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LA BELLEZZA SECONDO LE SACRE SCRITTURE

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LA BELLEZZA SECONDO LE SACRE SCRITTURE

sintesi della relazione di Rinaldo Fabris

Verbania Pallanza, 18 novembre 2000

È un tema inconsueto quello della bellezza nella Bibbia. In passato l’interesse prevalente era per la verità, soprattutto pratica, e pertanto per la morale.
Ogni realtà creata, secondo la bibbia, è ambivalente, ha potenzialità positive e negative. Questo vale per la bellezza, come per la conoscenza, il potere, il possesso dei beni. L’ambivalenza contiene un appello alla responsabilità, alla decisione, alla scelta delle creature umane.
La bellezza nell’ambito biblico è inserita nell’orizzonte della fede in Dio come fonte e modello di ogni splendore e bellezza.
La bellezza viene integrata, redenta, o forse riscattata dalla sua ambivalenza grazie all’impegno etico e alla dimensione spirituale. Lo spazio dato alla bellezza nel Primo Testamento non riguarda tanto le forme pittoriche o architettoniche (ad eccezione del tempio), quanto la creazione, l’essere umano e in particolare alcune figure in cui la bellezza fisica si coniuga con la bellezza morale.

1. la « bellezza » nel Primo Testamento
Data l’estensione dei testi in esame si tratta di operare una lezione dei tratti fondamentali.
a. il lessico della « bellezza » nella bibbia ebraica e greca
Japheh e Tov sono termini ebraici traducibili con splendido, decoroso, ben riuscito, piacevole, in forma. In greco i termini sono kalòs e agathòs: bello e buono, soprattutto nel senso di sano, forte, eccellente, ben composto, adatto. La distinzione tra aspetto etico ed estetico non è così netta.
b. la « bellezza » nella creazione (Gen 1,1-2,4a)
L’ E Dio che vide che era tutto molto buono/bello, con cui si conclude il racconto della creazione indica non tanto la dimensione di ordine e di armonia del creato, quanto la reazione emotiva, estetica, che fa star bene, di sorpresa, di fronte all’opera compiuta. È l’aspetto gratuito della bellezza, che non serve a niente se non alla contemplazione.
Nel bello sono implicite le dimensioni della gratuità e dello stupore.
Il primo ambito in cui confluisce l’esperienza estetica ebraica è la narrazione, la composizione, il testo. La prima pagina della bibbia, che va recitata, contiene il ritornello (sette volte): Che bello! La parola di Dio crea una cosa splendida che desta stupore e ammirazione.
L’ammirazione estetica del mondo creato, uscito bello/splendido dalle mani di Dio è espressa mirabilmente dal salmo 104, che passa in rassegna le opere di Dio che suscitano l’emozione ammirata del « che bello! ».
Sempre a questo proposito abbiamo una riflessione più pacata e interiorizzata nelle riflessioni di Gesù ben Sira’, il Siracide (42,15-43,33). L’ultima parte delle sue lezioni celebra la gloria di Dio nel mondo e nella storia, che ha la sua massima concentrazione nel tempio e nella liturgia.
Nel libro della Sapienza (13,1-9) viene criticato il culto delle divinità astrali, il bisogno di rivestire di sacralità il mondo che suscita ammirazione. La radice profonda dell’idolatria sta nell’ambivalenza del mondo creato che affascina ed attira con il rischio di confonderlo con la potenza numinosa che sta oltre la bellezza visibile.
Pensiamo oggi di essere immuni da questa tendenza idolatrica di rivestire la realtà di caratteri divini. Ma che dire del nostro atteggiamento, spesso di adorazione, di fronte alle realtà tecnologiche?
c. la « bellezza » dell’essere umano creato da Dio (Ez 28,1-15)
Al centro dell’opera creatrice di Dio compare l’essere umano, fatto a immagine e somiglianza di Dio, riflesso del suo splendore/grandezza tra il mondo dei viventi.
Il salmo 8, nei versetti dal sei al nove, la bellezza e lo splendore di Dio si concentrano e si riflettono sul volto dell’uomo.
Nell’elegia di Tiro, che si trova in Ezechiele, l’essere umano è presentato come un principe che vive in un parco regale, ricco di acque, di piante, di animali e di ogni pietra preziosa. Ma l’iniquità, l’abuso di potere, deturpa la bellezza. L’uomo, riflesso della bellezza di Dio, ha tentato di prenderne il posto. È quanto si dirà più prosaicamente in Genesi 2,8-14. Il massimo di armonia, di pienezza, di ricchezza, di preziosità, può diventare una sfida per l’uomo che non sa più riconoscere la dimensione di dono della realtà, la sua gratuità. Se l’etica non è l’abuso, ma vivere il dono e la gratuità, allora c’è molta affinità con l’estetica.
d. i campioni della « bellezza »
Le mogli dei patriarchi sono presentate come donne di grande fascino, di bell’aspetto, che fanno innamorare i loro futuri mariti al primo sguardo. Lo stesso vale per le donne di re David.
David è presentato come bello, capace di suonare, e di strappare il capretto dalle fauci del leone. Il figlio Assalonne è presentato come molto bello, e la sua bellezza diventerà anche la sua trappola. La bellezza ha risvolti ambivalenti.
Come sostiene il libro dei Proverbi nel descrivere la donna saggia che sa bene amministrare la propria casa, afferma che oltre la bellezza quel che conta è il timore di Dio.
e. le realtà che riflettono la bellezza di Dio.
Nei salmi 19 e 119 si celebrano le bellezze e il fascino della parola di Dio, della legge.
La città di Gerusalemme è presentata come immagine della città ideale, accogliente e sicura (salmo 48 e 122; Isaia 60 e 62).
Il tempio, costruito da Salomone, è oggetto di grande stupore e meraviglia, ed è l’ambito in cui il popolo si ritrova per celebrare le grandi opere di Dio. Gesù ben Sira’ tesserà un elogio ammirato della liturgia del tempio (Sir 50,1-21).
Il piccolo popolo di Israele ha rinunciato a fare immagini per poter avere l’unica immagine del Dio invisibile, riflessa nell’immagine dell’uomo, attraverso la valorizzazione della parola come massima concentrazione della bellezza.

2. la « bellezza » nel Nuovo Testamento
Qui la dimensione estetica ha una dimensione più sobria rispetto al panorama offerto dal Primo Testamento e più centrata sulla spiritualità e sull’etica. Non ci sono né edifici, né santuari, né liturgie. L’aspetto visivo è molto contenuto, nei piccoli libretti scritti in greco per un pubblico popolare.
a. « Evangelo »
La proclamazione della fede in Cristo Gesù viene chiamata « euaggèlion », cioè bella, buona e gioiosa notizia. Quindi una notizia anche affascinante.
Nel prologo del quarto vangelo si ha la dimensione irradiante del buon annuncio. La parola che era con Dio, che è stata all’origine di tutto, che dà coesione al tutto, è vita che diventa luce che illumina gli uomini.
Questa parola non è qualcosa di teorico, ma è la persona concreta di Gesù Cristo, per mezzo del quale viene a noi la pienezza del dono. È luce e gloria che noi « contemplammo ». Lo splendore di Dio ha il volto concreto del figlio. (Gv 1,1-5.14)
Ma come si fa a dire bella, gioiosa la notizia del Cristo condannato alla morte oscena della croce?
b. evangelo come « bell’annuncio »
Il regno di Dio viene annunciato come reintegrazione dell’armonia e come splendore della creazione. Gesù dai racconti evangelici viene presentato nella sua azione di reintegrazione di una umanità disgregata, di persone divise, di persone allontanate dalla convivenza perché ritenute pericolose (guarigioni, liberazioni da potenze negative come nel caso dell’indemoniato di Gerasa…). L’azione bella, estetizzante di Gesù appare nel restituire all’essere umano la sua libertà e integrità.
Anche i gesti di accoglienza e di perdono si collocano su questa linea, come restituzione della persona alla sua libertà e integrità (« ti sono perdonati i tuoi peccati »).
Le « belle parole » di Gesù, le parabole non sono racconti tesi a insegnare una morale, ma offrono scorci di altri orizzonti, di altre armonie, attraverso il piacere del racconto. Gesù non fa prediche, ma ha il gusto del racconto gratuito che prende lo spunto dal gesto del contadino, dal sale, dal lievito… È un amante del raccontare bello, che traspone nella narrazione la bellezza dell’agire di Dio, che reintegra l’essere umano diviso e disperso.
Del volto di Gesù e del suo splendore si parla solo in occasione della trasfigurazione, della preghiera sul monte, prima dell’epilogo cruento della sua vita.
Gesù riflette l’aspetto luminoso, bello, affascinante di Dio (« il suo volto divenne luminoso »). Questo bello però non è da catturare, da possedere, da controllare, come vorrebbe fare Pietro. L’invito è all’ascolto (« questi è il mio figlio. Ascoltatelo! »), e l’ascolto suppone abbandono e fiducia.
c. la bellezza che salva il mondo (2Tm 1,9-10).
È la bellezza paradossale, la bellezza della morte oscena.
La morte oscena di Gesù viene presentata come rivelazione della bellezza di Dio, nel contesto dell’amore portato sino all’estremo. Il crocifisso diventa fonte di vita nel momento del massimo degrado e deturpazione dell’essere umano.
Paolo parla dell’annuncio di un messia crocifisso come sapienza e potenza di Dio, mentre i giudei cercano i miracoli, il Dio forte e i greci la sapienza, l’armonia che dà ordine. (1Cor 1,17-25).
È la bellezza rovesciata: la sapienza è nella stoltezza e la potenza nella debolezza della croce, la bellezza nella bruttezza. È quanto ha intuito anche Dostojevskij: l’amore può trasformare l’insipienza e l’impotenza di un crocifisso nella bellezza. È la bellezza che salva il mondo.
Il superamento del negativo attraverso l’obbedienza, come amore fedele a tutti, è indicato nel famoso brano della lettera ai Filippesi (2,6-11). La manifestazione della bellezza intrinseca del mondo e della storia avviene grazie all’immersione di Gesù nel mondo e nella storia per dare un senso al negativo.
Sempre in questa lettera Paolo invita i cristiani di Filippi a scegliere quei valori che sono belli e coi quali si concretizza la rivelazione dell’amore di Dio (Fil 4,8-9).
Nell’elogio dell’amore (1Cor 13,1-13) la bellezza etica, che è l’amore portato alla massima intensità, coincide con la realtà stessa di Dio. Nella descrizione delle quindici qualità dell’amore c’è il ritratto di Gesù Crocifisso. Dio che non ha nome e immagine ha i tratti visibili di Gesù, del Gesù che si è appassionato dei poveri e dei malati e che alla fine, per restare fedele agli amici e a Dio come figlio, affronta la morte di croce.
Il progetto del mondo bello creato da Dio, con il giardino dove ci sono le piante della vita, della piena comunione, lo ritroviamo alla fine, nell’ultimo libro, nel sogno realizzato di una città bella, in cieli e terra nuova. In mezzo c’è il crocifisso, cioè il male riscattato, il negativo trasformato non grazie a gesti miracolistici, ma attraverso la fedeltà dell’amore.

 

Publié dans:BIBBIA E ARTE |on 9 juillet, 2018 |Pas de commentaires »

LA BIBBIA NELLA COMUNICAZIONE ARTISTICA

http://www.artcurel.it/ARTCUREL/RELIGIONE/LA%20BIBBIA/labibbianellacomunicazioneartisticaCesareBissoli.htm

LA BIBBIA NELLA COMUNICAZIONE ARTISTICA

Alcune considerazioni in merito alla pratica scolastica

di Cesare Bissoli

1. Quale arte è la Bibbia
La nostra prassi abituale di incontrare il Libro Sacro è quella della lettura di pensieri codificati in un testo, spinti dalla convinzione spontanea che più estraiamo dalla Bibbia concetti precisi su chi è Dio, l’uomo, la storia, la morale… più la comprendiamo, e da credenti ascoltiamo veramente la Parola di Dio. Non è un percorso sbagliato, ma incompleto e impoverito. In realtà l’uomo biblico, su ispirazione di Dio, fece il suo Libro Sacro proprio “a regola d’arte”. Già dovrebbe metterci sull’attenti l’immensa fecondità artistica della Bibbia, tale da essere in occidente la matrice più ampia dell’arte. Gli studi portati avanti dai moderni sono arrivati al pensiero circolare che «la Bibbia (è) codice dell’arte e l’arte codice dell’esegesi».
Le ragioni di una comprensione della Bibbia come arte si possono ricondurre a due:
1° la motivazione ontologica: se l’arte è espressione del bello, la Bibbia intende esprimere il Mistero stesso della bellezza che è Dio, di cui Gesù Cristo è l’icona visibile (Col 1,15). Entrare nella Bibbia è entrare nel “ bello” di Dio. Almeno questa è la convinzione dell’uomo biblico che dovremo scandagliare;
2° la motivazione estetica: la Bibbia non solo comunica la Bellezza, ma la esprime con bellezza, artisticità. Ravasi ha cercato più di ogni altro di sviluppare questa verità incastonandola in tre affermazioni che sintetizziamo:
* La Bibbia offre una sua teoria estetica, compendiabile nelle parole originarie del racconto di creazione del mondo: ”Dio vide ki tob” (Gen 1,4.10…), cioè la realtà creata è buona/bella.
Tale è il cosmo, armonia profonda di contrari, come il mare e la terra e il cielo (cf Gb 38); tale è l’uomo, nesso inscindibile tra corporeità e spiritualità, tra eros e amore, tra polvere e respiro divino, “ immagine e somiglianza”, cioè icona di Dio (Gen 1,26-27). Il Cantico dei Cantici ne è la espressione compiuta; tale è Gesù che dice di sé: «Io sono il pastore kalòs» (Gv 10,11.14), buono/bello: suggerisce grazia, bellezza, fascino, oltreché bontà, verità, efficacia, pienezza. Tale è Dio “tob” (Sal 34,9), buono/bello, che nella creazione è visto come artista (Gb 38-39;40-41;Sal 8;29;104.), davanti a cui la sapienza danza/gioca (Pr 8,22-31).
Vi è in verità l’obbligo severo di non fare “ immagine” di Dio (Es 20,4). É un silenzio iconico che vuol evitare la riduzione di Dio a prodotto umano (= il vitello d’oro, Es 32-34), ma che nella verità di Gesù, “parola di Dio e icona di Dio” fatta carne, può essere “ascoltato e visto”, dove l’immagine e la parola devono stare insieme in una tensione difficile ma necessaria, pertanto la parola si allarga in immagine, e l’immagine si concentra nella parola.
* La Bibbia si offre come un prodotto estetico, artistico. Ricordiamo che è “il giardino dei simboli” (T.S.Eliot). Senza l’attenzione alla verità del simbolico, la Bibbia diventa incomprensibile in tutto il suo splendore: il libro di Giobbe, il Salterio, l’Apocalisse, le parabole evangeliche (”Gesù fuor di parabola non diceva nulla”: Mt 13, 34).
Ricordiamo il versetto salmodico “ cantate inni con arte” (Sal 47,8) per cui l’arte del canto dice Dio (cf Sal 150). Non manca il ricorso all’arte statuaria e architettonica (Tempio e Gerusalemme, Es 25-27;35-38; 1-2 Re; Ez 40-48). L’arte letteraria è ben consapevole negli autori, come il dramma in Giobbe; la poetica dei Salmi, vero ed ineguagliato microcosmo poetico incentrato su Dio, il cosmo, l’uomo; l’epica dell’Esodo; il narrativo dei Patriarchi, dei Giudici, di Giona, Rut, Tobia, dei Vangeli…, fino ai piccoli ma continui segnali, colti da una avvertita filologia, dati dall’uso delle figure del dire: parallelismi, sonorità verbali, gioco di nomi, di numeri… Una lingua incantata per dire l’incanto di un contenuto avvertito sublime. Verrebbe da dire: più che un teologo, l’artista e il poeta sono le persone adatte a cogliere i grandi pensieri che fanno la teologia della Bibbia.
* La Bibbia esige una esegesi estetica. È la conclusione elementare in due direzioni: da un lato la Bibbia è diventata sorgente di arte, dall’altro l’arte diventa interprete della Bibbia. Sono i due aspetti che sviluppiamo qui sotto.

2. La Bibbia come inesauribile fonte di arte
È un’affermazione del tutto ovvia tanto il panorama è immenso. Ci basta qui suggerire alcuni pensieri: un giudizio autorevole di Giovanni Paolo II; le espressioni artistiche che hanno fin qui mediato l’ispirazione biblica; una breve storia di tali effetti, anche questa per mano di Giovanni Paolo II.

1) L’arte davanti al mistero del Verbo incarnato
La Legge dell’Antico Testamento presenta un esplicito divieto di raffigurare Dio invisibile ed inesprimibile con l’aiuto di «un’immagine scolpita o di metallo fuso» (Dt 27,15), perché Dio trascende ogni raffigurazione materiale: «Io sono colui che sono» (Es 3,14). Nel mistero dell’Incarnazione, tuttavia, il Figlio di Dio in persona si è reso visibile: «Quando venne la pienezza del tempo. Dio mandò il suo Figlio nato da donna» (Gal 4,4). Dio si è fatto uomo in Gesù Cristo, il quale è diventato così «il centro a cui riferirsi per poter comprendere l’enigma dell’esistenza umana, del mondo creato e di Dio stesso».
Questa fondamentale manifestazione del «Dio-Mistero» si pose come incoraggiamento e sfida per i cristiani, anche sul piano della creazione artistica. Ne è scaturita una fioritura di bellezza che proprio da qui, dal mistero dell’Incarnazione, ha tratto la sua linfa. Facendosi uomo, infatti, il Figlio di Dio ha introdotto nella storia dell’umanità tutta la ricchezza evangelica della verità e del bene, e con essa ha svelato anche una nuova dimensione della bellezza: il messaggio evangelico ne è colmo fino all’orlo.
La Sacra Scrittura è diventata così una sorta di «immenso vocabolario» (P. Claudel) e di «atlante iconografico» (M. Chagall), a cui hanno attinto la cultura e l’arte cristiana. Lo stesso Antico Testamento, interpretato alla luce del Nuovo, ha manifestato filoni inesauribili di ispirazione.
A partire dai racconti della creazione, del peccato, del diluvio, del ciclo dei Patriarchi, degli eventi dell’esodo, fino a tanti altri episodi e personaggi della storia della salvezza, il testo biblico ha acceso l’immaginazione di pittori, poeti, musicisti, autori di teatro e di cinema. Una figura come quella di Giobbe, per fare solo un esempio, con la sua bruciante e sempre attuale problematica del dolore, continua a suscitare insieme l’interesse filosofico e quello letterario ed artistico. E che dire poi del Nuovo Testamento? Dalla Natività al Golgota, dalla Trasfigurazione alla Risurrezione, dai miracoli agli insegnamenti di Cristo, fino agli eventi narrati negli Atti degli Apostoli o prospettati dall’Apocalisse in chiave escatologica, innumerevoli volte la parola biblica si è fatta immagine, musica, poesia, evocando con il linguaggio dell’arte il mistero del «Verbo fatto carne».
Nella storia della cultura tutto ciò costituisce un ampio capitolo di fede e di bellezza. Ne hanno beneficiato soprattutto i credenti per la loro esperienza di preghiera e di vita. Per molti di essi, in epoche di scarsa alfabetizzazione, le espressioni figurative della Bibbia rappresentarono persino una concreta mediazione catechetica Questo principio pedagogico è stato autorevolmente enunciato da S. Gregorio Magno in una lettera del 599 al Vescovo di Marsiglia Sereno: «La pittura è adoperata nelle chiese perché gli analfabeti, almeno guardando sulle pareti, leggano ciò che non sono capaci di decifrare sui codici» (Epistulae, IX, 209: CCL 140A, 1714). Ma per tutti, credenti e non, le realizzazioni artistiche ispirate alla Scrittura rimangono un riflesso del mistero insondabile che avvolge ed abita il mondo (Lettera del Papa Giovanni Paolo II agli Artisti, n. 5).

2) I grandi canali artistici che esprimono la Bibbia
Ne facciamo solo cenno per intuire almeno la grandiosità degli effetti biblici nel mondo dell’arte. Esiste un singolare libro che fa entrare in questo argomento, Il grande dizionario illustrato dei personaggi biblici. Storia, letteratura, arte, musica. Per ogni figura biblica da Abacuc fino a Zippora viene data una informazione relativamente ai dati dell’esegesi, alla tradizione ebraica, cristiana, islamica, nella letteratura, nella musica, nell’arte. Non è una ricerca esaustiva. Ben altre opere permettono di cogliere il respiro di questa risonanza artistica della Bibbia. Qui ci basti menzionare, alla luce del suddetto libro, i quattro grandi canali entro cui fluisce l’acqua dell’arte ispirata dalla Bibbia:
- l’arte letteraria, certamente la più vasta. Nessun grande capolavoro dell’occidente in tempi cristiani è esente dall’influsso biblico;
- l’arte grafica, sia pittorica che statuaria. É un settore straordinario, come si può vedere in tutti i musei del mondo;
- l’arte musicale, di incomparabile bellezza, da G. da Palestrina, a Bach, alle “Messe Solenni” o da” Requiem” (Mozart, Beethoven, Verdi…), agli infiniti generi musicali popolari e moderni;
- l’arte mimica o gestuale, proposta dal linguaggio del teatro e del cinema, a loro volta spesso sintesi dei linguaggi precedenti. Vi è solo l’imbarazzo della scelta per l’uno e l’altro ambito.
Non possiamo dire che quanto dicono queste arti siano prodotti eccellenti. Bisognerà avere capacità critica di lettura. Ma ciò non toglie che siano strettamente legati al mondo biblico. Confessiamo che mediamente tra di noi, anche nella scuola, gli spazi culturali su questo argomento sono assai modesti.

3) Tra Vangelo ed arte un’alleanza feconda
É un’eccellente carrellata storica ancora di Giovanni Paolo II che fissa sinteticamente, ma con forza la formidabile matrice artistica che è la Bibbia.
I primordi
L’arte che il cristianesimo incontrò ai suoi inizi era il frutto maturo del mondo classico, ne esprimeva i canoni estetici e al tempo stesso ne veicolava i valori. La fede imponeva ai cristiani, come nel campo della vita e del pensiero, anche in quello dell’arte, un discernimento che non consentiva la ricezione automatica di questo patrimonio. L’arte di ispirazione cristiana cominciò così in sordina, strettamente legata al bisogno dei credenti di elaborare dei segni con cui esprimere, sulla base della Scrittura, i misteri della fede e insieme un «codice simbolico», attraverso cui riconoscersi e identificarsi specie nei tempi difficili delle persecuzioni. Chi non ricorda quei simboli che furono anche i primi accenni di un’arte pittorica e plastica? Il pesce, i pani, il pastore, evocavano il mistero diventando, quasi insensibilmente, abbozzi di un’arte nuova.
Quando ai cristiani, con l’editto di Costantino, fu concesso di esprimersi in piena libertà, l’arte divenne un canale privilegiato di manifestazione della fede. Lo spazio cominciò a fiorire di maestose basiliche, in cui i canoni architettonici dell’antico paganesimo venivano ripresi e insieme piegati alle esigenze del nuovo culto. Come non ricordare almeno l’antica Basilica di San Pietro e quella di San Giovanni in Laterano, costruite a spese dello stesso Costantino? O, per gli splendori dell’arte bizantina, la Haghia Sophia di Costantinopoli voluta da Giustiniano?
Mentre l’architettura disegnava lo spazio sacro, progressivamente il bisogno di contemplare il mistero e di proporlo in modo immediato ai semplici spinse alle iniziali espressioni dell’arte pittorica e scultorea. Insieme sorgevano i primi abbozzi di un’arte della parola e del suono, e se Agostino, fra i tanti temi della sua produzione, includeva anche un De musica, Ilario, Ambrogio, Prudenzio, Efrem il Siro, Gregorio di Nazianzo, Paolino di Nola, per non citare che alcuni nomi, si facevano promotori di una poesia cristiana che spesso raggiunge un alto valore non solo teologico ma anche letterario. Il loro programma poetico valorizzava forme ereditate dai classici, ma attingeva alla pura linfa del Vangelo, come efficacemente sentenziava il santo poeta nolano: «La nostra unica arte è la fede e Cristo è il nostro canto» («At nobis ars una fides et musica Christus»: Carmen 20, 21: CCL 203, 144). Gregorio Magno, per parte sua, qualche tempo più tardi poneva con la compilazione dell’Antiphonarium la premessa per lo sviluppo organico di quella musica sacra così originale che da lui ha preso nome. Con le sue ispirate modulazioni il canto gregoriano diverrà nei secoli la tipica espressione melodica della fede della Chiesa durante la celebrazione liturgica dei sacri Misteri. Il «bello» si coniugava così col «vero», perché anche attraverso le vie dell’arte gli animi fossero rapiti dal sensibile all’eterno.
In questo cammino non mancarono momenti difficili. Proprio sul tema della rappresentazione del mistero cristiano l’antichità conobbe un’aspra controversia passata alla storia col nome di «lotta iconoclasta». Le immagini sacre, ormai diffuse nella devozione del popolo di Dio, furono fatte oggetto di una violenta contestazione. Il Concilio celebrato a Nicea nel 787, che stabilì la liceità delle immagini e del loro culto, fu un avvenimento storico non solo per la fede, ma per la stessa cultura.
L’argomento decisivo a cui i Vescovi si appellarono per dirimere la controversia fu il mistero dell’Incarnazione: se il Figlio di Dio è entrato nel mondo delle realtà visibili, gettando un ponte mediante la sua umanità tra il visibile e l’invisibile, analogamente si può pensare che una rappresentazione del mistero possa essere usata, nella logica del segno, come evocazione sensibile del mistero. L’icona non è venerata per se stessa, ma rinvia al soggetto che rappresenta.

Il Medioevo
I secoli che seguirono furono testimoni di un grande sviluppo dell’arte cristiana. In Oriente continuò a fiorire l’arte delle icone, legata a significativi canoni teologici ed estetici e sorretta dalla convinzione che, in un certo senso, l’icona è un sacramento: analogamente, infatti, a quanto avviene nei Sacramenti, essa rende presente il mistero dell’Incarnazione nell’uno o nell’altro suo aspetto. Proprio per questo la bellezza dell’icona può essere soprattutto gustata all’interno di un tempio con lampade che ardono e suscitano nella penombra infiniti riflessi di luce. Scrive in proposito Pavel Florenskij: «L’oro, barbaro, pesante, futile nella luce diffusa del giorno, con la luce tremolante di una lampada o di una candela si ravviva, poiché sfavilla di miriadi di scintille, ora qui ora là, facendo presentire altre luci non terrestri che riempiono lo spazio celeste» (La prospettiva rovesciata ed altri scritti, Roma 1984, 63).
In Occidente i punti di vista da cui partono gli artisti sono i più vari, in dipendenza anche dalle convinzioni di fondo presenti nell’ambiente culturale del loro tempo. Il patrimonio artistico che s’è venuto accumulando nel corso dei secoli annovera una vastissima fioritura di opere sacre altamente ispirate, che lasciano anche l’osservatore di oggi colmo di ammirazione. Restano in primo piano le grandi costruzioni del culto, in cui la funzionalità si sposa sempre all’estro, e quest’ultimo si lascia ispirare dal senso del bello e dall’intuizione del mistero. Ne nascono gli stili ben noti alla storia dell’arte. La forza e la semplicità del romanico, espressa nelle cattedrali o nei complessi abbaziali, si va gradatamente sviluppando negli slanci e negli splendori del gotico. Dentro queste forme non c’è solo il genio di un artista, ma l’animo di un popolo. Nei giochi delle luci e delle ombre, nelle forme ora massicce ora slanciate, intervengono certo considerazioni di tecnica strutturale, ma anche tensioni proprie dell’esperienza di Dio, mistero «tremendo» e «fascinoso». Come sintetizzare in pochi cenni, e per le diverse espressioni dell’arte, la potenza creativa dei lunghi secoli del medioevo cristiano? Un’intera cultura, pur nei limiti sempre presenti dell’umano, si era impregnata di Vangelo, e dove il pensiero teologico realizzava la Summa di S. Tommaso, l’arte delle chiese piegava la materia all’adorazione del mistero, mentre un mirabile poeta come Dante Alighieri poteva comporre «il poema sacro, / al quale ha posto mano e cielo e terra» (Paradiso XXV, 1-2), come egli stesso qualifica la Divina Commedia.

Umanesimo e Rinascimento
La felice temperie culturale, da cui germoglia la straordinaria fioritura artistica dell’Umanesimo e del Rinascimento, ha riflessi significativi anche sul modo in cui gli artisti di questo periodo si rapportano al tema religioso. Naturalmente le ispirazioni sono variegate quanto lo sono i loro stili, o almeno quelli dei più grandi tra essi. Ma non è nelle mie intenzioni richiamare cose che voi, artisti, ben conoscete. Vorrei piuttosto, scrivendovi da questo Palazzo Apostolico, che è anche uno scrigno di capolavori forse unico al mondo, farmi voce dei sommi artisti che qui hanno riversato le ricchezze del loro genio, intriso spesso di grande profondità spirituale. Da qui parla Michelangelo, che nella Cappella Sistina ha come raccolto, dalla Creazione al Giudizio Universale, il dramma e il mistero del mondo, dando volto a Dio Padre, a Cristo giudice, all’uomo nel suo faticoso cammino dalle origini al traguardo della storia. Da qui parla il genio delicato e profondo di Raffaello, additando nella varietà dei suoi dipinti, e specie nella «Disputa» della Stanza della Segnatura, il mistero della rivelazione del Dio Trinitario, che nell’Eucaristia si fa compagnia dell’uomo, e proietta luce sulle domande e le attese dell’intelligenza umana. Da qui, dalla maestosa Basilica dedicata al Principe degli Apostoli, dal colonnato che da essa si diparte come due braccia aperte ad accogliere l’umanità, parlano ancora un Bramante, un Bernini, un Borromini, un Maderno, per non citare che i maggiori, dando plasticamente il senso del mistero che fa della Chiesa una comunità universale, ospitale, madre e compagna di viaggio per ogni uomo alla ricerca di Dio.
L’arte sacra ha trovato, in questo complesso straordinario, un’espressione di eccezionale potenza, raggiungendo livelli di imperituro valore insieme estetico e religioso. Ciò che sempre di più la caratterizza, sotto l’impulso dell’Umanesimo e del Rinascimento, e poi delle successive tendenze della cultura e della scienza, è un interesse crescente per l’uomo, il mondo, la realtà della storia. Questa attenzione, di per sé, non è affatto un pericolo per la fede cristiana, centrata sul mistero dell’Incarnazione, e dunque sulla valorizzazione dell’uomo da parte di Dio. Proprio i sommi artisti su menzionati ce lo dimostrano. Basterebbe pensare al modo con cui Michelangelo esprime, nelle sue pitture e sculture, la bellezza del corpo umano. Del resto, anche nel nuovo clima degli ultimi secoli, in cui parte della società sembra divenuta indifferente alla fede, l’arte religiosa non ha interrotto il suo cammino. La constatazione si amplia, se dal versante delle arti figurative, passiamo a considerare il grande sviluppo che, proprio nello stesso arco di tempo, ha avuto la musica sacra, composta per le esigenze liturgiche, o anche solo legata a temi religiosi. A parte i tanti artisti che si sono dedicati principalmente ad essa – come non ricordare almeno un Pier Luigi da Palestrina, un Orlando di Lasso, un Tomàs Luis de Victoria? – è noto che molti grandi compositori – da Haendel a Bach, da Mozart a Schubert, da Beethoven a Berlioz, da Liszt a Verdi – ci hanno dato opere di grandissima ispirazione anche in questo campo (Lettera del Papa Giovanni Paolo II agli Artisti, nn. 6-9).

3. Saper leggere l’arte con la Bibbia
I due punti che seguono intendono evidenziare con molta modestia la ricaduta dei punti precedenti nel processo scolastico
Il primo risultato, che dà premessa ad ogni altro, è il seguente: per la buona ragione che l’IRC nella scuola di base mira all’uso della Bibbia, in particolare dei Vangeli, integrati da opportuni testi della Tradizione (cf Prog. IRC, 5, 2), occorre che l’alunno, e quindi il docente, entrino in questa zona così straordinariamente feconda con più cultura e competenza comunicativa. Cosa che vale anche nel cammino della catechesi e di ogni formazione cristiana.
Più specificamente merita chiarire alcune istanze pedagogico-didattiche che conseguono dalla Bibbia in relazione alle forme artistiche che l’esprimono. Sono tre affermazioni:
* L’arte che si ispira alla Bibbia ne è automaticamente un’esegesi pratica, un’esegesi che (in ciò più consona all’identità della Bibbia), intende dire il messaggio biblico per la via della bellezza o poetica. Ma questo non significa sempre che sia una buona esegesi tout court in senso scientifico, “storico-critico”. Il Dies Irae di Mozart o di Verdi non fanno del tutto giustizia al giudizio di Dio nella genuina visione biblica (tanto che il Dies Irae è stato messo da parte dalla riforma liturgica del Concilio). Il loro contributo va visto piuttosto nella potenza che la Parola, pur avvertita secondo i canoni della teologia del tempo, ha provocato nelle persone. Lo stesso si può dire per l’arte pittorica, ad es. di certi quadri sacro-profani del Rinascimento (quadri sia dell’Ultima Cena come pure della Natività): possono avere delle valenze esegetiche scarse, mentre ne hanno grandiose quelle artistiche. A questo scopo è doveroso dire che la caratura esegetica delle opere artistiche corrisponde al livello, grande o mediocre, della cultura biblica del tempo, anche se gli artisti mai hanno pensato di essere esegeti del testo.
* Questo comporta anche una avveduta presentazione dell’opera d’arte ai ragazzi, che prendendo alla lettera i particolari e indebitamente storicizzandoli, rischiano forzature esegetiche .In questo senso non si può fare del Giudizio Universale di Michelangelo una riproduzione storica, quasi “fotografica”, del discorso di Cristo sul giudizio in Mt 25, 31-46. Né si può dire automaticamente che lo sguardo di Cristo nell’Ultima Cena di Leonardo esprima la delusione del tradimento, quanto piuttosto – facendo un raffronto tra racconto evangelico e dipinto – la passione amorosa del dono che Egli fa di sé nei segni del pane e del vino. In concreto si richiedono da parte dell’insegnante due atteggiamenti: qualora fosse necessario (e lo è con immaturi), di precisare il senso esegetico secondo una qualificata ed aggiornata critica biblica, mostrando così convergenze e divergenze del testo con l’opera d’arte proposta; cogliere il messaggio del testo, più che i particolari di esso, perché è la globalità del senso che l’artista, bene o male, intende esprimere. Egli opera secondo un processo gestaltico, più che analitico, anche quando esprime un determinato episodio.
* E qui raggiungiamo un fondamentale criterio dell’arte secondo la Bibbia, in piena corrispondenza con la sua estetica interiore. Da un lato essa grazie al simbolo di cui è sostanziata dà la possibilità di dire “Dio è come…”, ed anche “Dio non è come…” É questa dicibilità ed insieme ineffabilità del sacro che diventano obiettivo ed insieme verifica di autenticità per quell’arte che si vuole ispirata alla Bibbia e dunque nostro parametro di lettura.

4. Saper leggere la Bibbia con l’arte
Siamo così al vero compito nella presentazione del rapporto arte e Bibbia. Quello che conta, non è tanto, per sé, constatare come l’artista è rimasto fedele o meno al testo nei suoi particolari, quanto piuttosto avvertire come l’opera d’arte fa entrare e gustare, per qualche aspetto, quello che la Bibbia afferma. Si accetta dunque di fare una certa verifica anche esegetica dell’arte, per premurarsi meglio la comprensione artistica del dato biblico, poter penetrare nel testo con gli occhi della bellezza, e così cogliere il “bello/buono” della Bibbia. Vengono alla mente tre applicazioni:
1.L’opera d’arte è tale, e sempre di più lo è, perché – come dice ancora Giovanni Paolo II – «va oltre ciò che percepiscono i sensi e, penetrando la realtà, si sforza di interpretarne il mistero nascosto. Essa scaturisce dal profondo dell’animo umano, là dove l’aspirazione a dare un senso alla propria vita si accompagna alla percezione fugace della bellezza e della misteriosa unità delle cose…Ciò che gli artisti dipingono, scolpiscono, creano non è che un barlume di quello splendore che è balenato per qualche istante davanti agli occhi del loro spirito. Di questo il credente non si meraviglia: egli sa di essersi affacciato per un attimo su quell’abisso di luce che ha in Dio la sua sorgente originaria. Ogni forma autentica d’arte è, a suo modo, una via d’accesso alla realtà più profonda dell’uomo e del mondo. Come tale, essa costituisce un approccio molto valido all’orizzonte della fede, in cui la vicenda umana trova la sua interpretazione compiuta. Ecco perché la pienezza evangelica della verità non poteva non suscitare fin dall’inizio l’interesse degli artisti, sensibili per loro natura a tutte le manifestazioni dell’intima bellezza della realtà.». Aiutare gli alunni a penetrare in questo “mistero” attraverso l’emozione dell’arte è il miglior servizio che l’arte fa alla Bibbia e che ci si attende da essa.
2. Questo comporta un certo criterio di valutazione e perciò di scelta fra le tante opere d’arte collegate al tema biblico. Non le più precise valgono, ma quelle che più fanno intuire la pienezza del mistero di Dio. In questo senso l’icona per la sua capacità di stabilità dinamica, povera nei particolari e concentrata nei volti, meglio favorisce la comprensione del testo. Questo vale non solo per l’icona bizantina, ma anche per quelle icone moderne che possono emergere anche dalle nuove correnti artistiche, una volta che si è capaci di penetrarne il significato. Rouault come Chagall possono parlare quanto i pittori bizantini delle icone.
3. Ma la maturità di una lettura artistica della Bibbia sarà raggiunta quando anche le espressioni che paiono meno propizie all’immediatezza biblica, ma che sono di pittori valenti, saranno colte nel loro sforzo, talora fallimentare, di cercare di dire il mistero. Dio è mistero. L’uomo è mistero. E dove vi è mistero ivi c’è presagio di Dio e dell’uomo. Questi parametri assumono ancora più veemenza di verità nell’opera letteraria, teatrale e filmica, dove è facile ritrovare verità stupende in un mare d’inesattezze materiali

5. Conclusione
Chiaramente tutto questo discorso richiede cultura nel docente e porta decisamente ad intendere e volere il rapporto Bibbia ed arte come orientamento dell’animo degli alunni ad una comprensione artistica del testo biblico più che ad una comprensione esegetica dell’opera d’arte. Vuol dire entrare nel mistero che il Libro Sacro racchiude, per la via così singolare e in certo modo unica dell’arte che tale mistero dischiude.

Publié dans:BIBBIA E ARTE |on 2 octobre, 2016 |Pas de commentaires »

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