DIO MANDO’ SUO FIGLIO, NATO DA DONNA…
Il sentimento prevalente di questa giornata è quasi certamente quello del tempo. Un nuovo anno inizia. Anche Gesù è venuto quando il tempo era « pieno », ci spiega San Paolo:
Fratelli, quando venne la pienezza del tempo,
Dio mandò il suo Figlio,
nato da donna,
nato sotto la legge,
per riscattare coloro che erano sotto la legge,
perché ricevessimo l’adozione a figli.
La pienezza del tempo è un’espressione magnifica. Significa il momento giusto, il tempo fissato da Dio, il « grande giorno ».
Se vogliamo incontrare Gesù, anche il nostro deve essere un tempo « pieno ». Non è facile però riempirlo.
Un romanzo termina con questa frase: « Non so neppure che cos’è la bontà. Sto con voi perché mi fa piacere. La vostra presenza mi rende ora lieto ora triste, qualche volta mi fa soffrire molto. Ma sempre mi tiene vivo, mi fa godere di più della gioia, rende più acuti i miei occhi e più sensibili le mie orecchie; la mia mente è più desta; e se mai occorresse, avrei più coraggio. Senza di voi, forse non soffrirei, ma vivrei di meno. E la vita è tutto quello che abbiamo ».
La vita è tutto quello che abbiamo!
L’anno è appena cominciato e già comincia a correre. Che fine fa il tempo che viviamo? Ma soprattutto a che serve? Il passato diventa così facilmente solo un’ombra o peggio un rimpianto.
Sulle lapidi del cimitero, tra la data di nascita e quella di morte c’è di solito un trattino di pochi centimetri. Quel trattino è la vita? Una vita ricca di amore, lavoro, preoccupazioni, gioie in pochi centimetri?
Le frasi più tristi dell’esistenza sono: « Avrebbe potuto andare diversamente », « Ah, se soltanto… », « Ah! se mia moglie non mi avesse lasciato! », « Ah! se non fossimo stati costretti a traslocare! ». Chi le pronuncia vive essenzialmente il proprio ambiente come un luogo ostile, che non gli consente di agire, di realizzare i propri ideali, le proprie scelte, di essere se stesso. Vive uno stato di frustrazione e di sofferenza perché l’ »Ah!, se … » dà l’idea che l’essere umano non possa scegliere né decidere alcunché. « Sono obbligato a… « , « Non ho altra scelta… ».
Dopo una conferenza, una signora testimoniò il contrario:
Mi hai chiesto se, potendo rinascere, avrei vissuto la vita in maniera diversa. Lì per lì ho risposto di no, poi ci ho pensato un po’ su.
Potendo rivivere la mia vita, avrei parlato meno e ascoltato di più.
Non avrei rinunciato ad invitare a cena gli amici soltanto perché il mio tappeto aveva qualche macchia e la fodera del divano era stinta.
Avrei mangiato briciolosi panini nel salotto buono e mi sarei preoccupata molto meno dello sporco prodotto dal caminetto acceso.
Avrei trovato il tempo di ascoltare il nonno, quando rievocava gli anni della sua giovinezza.
Non avrei mai preteso, in un giorno d’estate, che i finestrini della macchina fossero alzati perché avevo appena fatto la messa in piega.
Non avrei lasciato che la candela a forma di rosa si sciogliesse, dimenticata, nello sgabuzzino. L’avrei consumata io, a forza di accenderla.
Mi sarei stesa sul prato con i bambini senza badare alle macchie d’erba sui vestiti.
Avrei pianto e riso di meno guardando la televisione e di più osservando la vita.
Avrei condiviso maggiormente le responsabilità di mio marito.
Mi sarei messa a letto, quando stavo male, invece di andare febbricitante al lavoro quasi che, mancando io dall’ufficio, il mondo si sarebbe fermato.
Invece di non veder l’ora che finissero i nove mesi della gravidanza, ne avrei amato ogni attimo, consapevole del fatto che la cosa stupenda che mi viveva dentro era la mia unica occasione di collaborare con Dio alla realizzazione di un miracolo.
A mio figlio che mi baciava con trasporto non avrei detto: « Su, su, basta. Va’ a lavarti che la cena è pronta ».
Avrei detto più spesso: « Ti voglio bene » e meno spesso: » Mi dispiace »… ma soprattutto, potendo ricominciare tutto daccapo, mi impadronirei di ogni minuto… lo guarderei fino a vederlo veramente… lo vivrei… e non lo restituirei mai più.
Le persone che vogliono riempire il tempo sono pronte a cogliere i segni dei cambiamenti e ad anticiparli in modo da non trovarsi spiazzate. Si collocano al comando della cabina di pilotaggio della vita, tengono conto delle caratteristiche dell’apparecchio, del bollettino meteorologico, della propria esperienza di pilota, degli obiettivi e anche della necessità, qualche volta, di modificare il piano di volo.
Questo tempo che ci è dato è l’unica occasione che abbiamo quaggiù. Non ce ne sarà data un’altra. Eppure lasciamo che tutto scorra tra gesti d’impazienza e tanta noia. Che cosa ci tiene così spesso in uno stato di torpore? Abitudini, attaccamenti, la vischiosità e il grigio del tutto uguale. Ci accorgiamo che la vita se ne andata e non abbiamo vissuto.
Grandi cose ci sfiorano, ci passano nell’anima come acqua sulle pietre.
Vivere in pienezza, significa avere il gusto di vivere, assaporarne la miracolosa bellezza. Vivere, non lasciarsi vivere.
Il vero guaio del nostro tempo è la velocità eccessiva che ha preso la vita. Così finiamo per vivere crocifissi tra due ladroni, come Gesù, il passato da una parte e il futuro dall’altra. Il presente è divorato dal nulla. Ma non si può vivere per niente. Non si può vivere di vuoto.
Non basta semplicemente vivere. Occorre precisare per che cosa si vive. Non basta guardare il calendario, 1′orologio. Bisogna dare un significato ai giorni, alle ore, ai minuti.
Non basta, come ha fatto osservare acutamente qualcuno, aggiungere anni alla vita. È necessario aggiungere vita agli anni. La vita corre veloce. Non si può sbrigare la vita come una faccenda di ordinaria amministrazione. È magnifico vivere. A patto sia veramente vita. Non una rappresentazione, un’apparenza, un funzionamento. Non si tratta di far passare il tempo. Si tratta di far passare il tempo nella vita.
All’inizio del nuovo anno, molta gente è curiosa di sapere in anticipo ciò che succederà nella propria vita e nel mondo. Si consultano, in proposito, i maghi più o meno famosi. Persino i giornali più contegnosi ospitano e azzardano previsioni per il futuro.
Probabilmente tutti prenderemo in mano un calendario. Dovremmo guardare i singoli foglietti o le pagine con un senso di venerazione. Renderci conto che a ognuno di quei foglietti sono appese diverse speranze.
Le speranze di Dio, prima di tutto. Ogni giornata che arriva e Dio che ci fa segno… Ogni nuova giornata è « segno » della speranza di Dio nei nostri confronti.
Ogni foglietto, ogni spazio bianco accanto al giorno, contiene, non un numero, ma una notizia: » Ti informo che c’è un Dio che spera, che oggi attende qualcosa di buono da te… «
Ma i fogli del calendario vanno letti anche come « segno » delle attese degli uomini. La nostra vocazione cristiana, non dobbiamo dimenticarlo, non è un fatto individuale, ma è « dono per la felicità di tutti ». Quindi tutti gli uomini hanno diritto di aspettarsi qualcosa da noi.
Il miglior augurio che possiamo formulare è che nel prossimo anno siamo in grado di comunicare a tutti una « buona notizia », come i pastori di Betlemme:
In quel tempo, i pastori andarono senz’indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano.
La buona notizia è questa: qualcuno sta cercando di prendere sul serio il Vangelo, qualcuno ha deciso di riempire il suo tempo con il messaggio di Gesù di Nazaret.
Un giorno, non molto tempo fa, un contadino si presentò alla porta di un convento e bussò energicamente. Quando il frate portinaio aprì la pesante porta di quercia, il contadino gli mostrò, sorridendo, un magnifico grappolo d’uva.
« Frate portinaio », disse il contadino, « sai a chi voglio regalare questo grappolo d’uva che è il più bello della mia vigna? ».
« Forse all’abate o a qualche padre del convento ».
« No. A te! ».
« A me? ». Il frate portinaio arrossì tutto per la gioia. « Lo vuoi dare proprio a me? ».
« Certo, perché mi hai sempre trattato con amicizia e mi hai aiutato quando te lo chiedevo. Voglio che questo grappolo d’uva ti dia un po’ di gioia ». La gioia semplice e schietta che vedeva sul volto del frate portinaio illuminava anche lui.
Il frate portinaio mise il grappolo d’uva bene in vista e lo rimirò per tutta la mattina. Era veramente un grappolo stupendo. Ad un certo punto gli venne un’idea: « Perché non porto questo grappolo all’abate per dare un po’ di gioia anche a lui? ».
Prese il grappolo e lo portò all’abate.
L’abate ne fu sinceramente felice. Ma si ricordò che c’era nel convento un vecchio frate ammalato e pensò: « Porterò a lui il grappolo, così si solleverà un poco ». Così il grappolo d’uva emigrò di nuovo. Ma non rimase a lungo nella cella del frate ammalato. Costui pensò infatti che il grappolo avrebbe fatto la gioia del frate cuoco, che passava le giornate a sudare sui fornelli, e glielo mandò. Ma il frate cuoco lo diede al frate sacrestano (per dare un po’ di gioia anche a lui), questi lo portò al frate più giovane del convento, che lo portò ad un altro, che pensò bene di darlo ad un altro. Finché, di frate in frate, il grappolo d’uva tornò dal frate portinaio (per portargli un po’ di gioia). Così fu chiuso il cerchio. Un cerchio di gioia.
Non possiamo aspettare che inizi qualche altro. Tocca a ciascuno di noi, oggi, cominciare un cerchio di gioia. Spesso basta una scintilla piccola piccola per far esplodere una carica enorme. Basta una scintilla di bontà e il mondo comincerà a cambiare.
BRUNO FERRERO sdb