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Tormento invece che gioia – Senza pace niente ha significato

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(anche Paolo, molto; Chiesa Evangelica)

Tormento invece che gioia – Senza pace niente ha significato

Ci sono molte cose terrene che desideriamo: salute, amore, ricchezza, bellezza, telenti, potere, forza, liberta’ ma senza pace interiore tutte queste cose portano tormento invece di gioia. Se abbiamo la pace, non importa ciò di cui manchiamo, la vita merita d’essere vissuta. Senza la pace, il possesso di ogni altra cosa non ha significato.

Da: La psichiatria di Dio di Charles L. ALLEN

Paolo potè dire (Filippesi 4)
… io ho imparato ad accontentarmi dello stato in cui mi trovo.
So vivere nella povertà e anche nell’abbondanza; in tutto e per tutto ho imparato a essere saziato e ad aver fame; a essere nell’abbondanza e nell’indigenza. Io posso ogni cosa in colui che mi fortifica.

IL SEGRETO DI PAOLO
Qual’è il segreto per tale forza spirituale? Per tale serenità di spirito, per questa pace che sorpassa le circostanze? Lo stesso apostolo lo spiega in altri passaggi delle sue famosissime lettere che compongono parte del Nuovo Testamento, leggiamo infatti:
Sono stato crocifisso con Cristo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me! La vita che vivo ora nella carne, la vivo nella fede nel Figlio di Dio il quale mi ha amato e ha dato se stesso per me (Galati 2:20)
Sappiamo infatti che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con lui affinché il corpo del peccato fosse annullato e noi non serviamo più al peccato (Romani 6:6)
Ma quanto a me, non sia mai che io mi vanti di altro che della croce del nostro Signore Gesù Cristo, mediante la quale il mondo, per me, è stato crocifisso e io sono stato crocifisso per il mondo (Galati 6:14)
Questi versetti potrebbero apparire, per chi si avvicina alla Bibbia per la prima volta, molto criptici.
Infatti più che rivelare un segreto che da pace qui Paolo ci parla di morte e di croce, e quindi?
E quindi è proprio questa la buona notizia, c’è un modo per trovare pace e serenità, si tratta di sostituire, di cambiare, stravolgere la propria vita. In un certo senso un morire a questo sistema, al peccato, all’insoddisfazione, alla fame insaziabile e irrefrenabile, a diversi livelli e su diversi piani, di trasgredire.
Un modo di vivere, di fare scelte, che nascono proprio da quel desiderio di colmare quel vuoto nel cuore che ha una forma ben precisa, la forma di Dio. Proviamo a metterci un pò di tutto, ma è sempre insufficiente.
Ecco che Paolo ad un certo punto della Sua vita, proprio quando è all’apice della sua guerra contro la nascente chiesa, comprende, a seguito di una clamorosa chiamata, e si arrende. Depone la sua vita a quella croce e l’abbraccia, trovando la pace e il senso di ogni cosa.
Quella chiamata oggi è per te.
Chi ha conosciuto Cristo sa molto bene che l’esperienza con il Salvatore libera da ansie, paure e, sopratutto, dal giudizio e dall’Ira del Signore. Ecco che, quindi, il primo passo è rivolgerci a coLui che è il compitore della pace: Cristo Gesù.
La pace, per Gesù, fu la Sua missione, il Suo compito:
Io vi lascio pace, vi do la mia pace, Io non vi do come il mondo dà.. (Giovanni 14:27)
Gloria a Dio nei luoghi altissimi, pace in terra fra gli uomini che Egli gradisce. (Luca 2:14)
Ma ora, in Cristo Gesù, voi che allora eravate lontani siete stati avvicinati mediante il sangue di Cristo. Lui, infatti, è la nostra pace; lui che dei due popoli ne ha fatto uno solo e ha abbattuto il muro di separazione abolendo nel suo corpo terreno la causa dell’inimicizia, (Efesini 2.13-14)
Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore (Romani 5:1)
Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo (Matteo 11:28).
E’ quanto meno urgente, quindi, abbracciare il dono di Cristo. Alla croce, infatti, Gesù Cristo ha preso il tuo peccato, il mio peccato, il peccato di tutti quelli che riconoscono il bisogno, la necessità, di essere purificati dalle proprie azioni e dei pensieri peccaminosi e, alzando gli occhi ai piedi della croce gridano: « Cristo, sono in guerra con Dio, lo sento dentro, ho provato ha darmi pace con ogni tipo di bene, ho cercato soldi, ho provato ogni tipo di piacere pensando di avere pace, mi accorgo, invece, che più cercavo e più la perdevo. Mi accorgo, Gesù, che non ho pace perchè sono in guerra con Dio e sento già il dolore della Sua condanna, che fare, Cristo! »
E’ alla croce, e solo alla croce, che Gesù può guardarci e risponderci: « faccio io, tu seguimi ».
Alla croce Dio condanna, nel corpo innocente di Cristo, il peccato. Li, alla croce, Gesù fa pace con Dio e ci dona questa pace. Dona questa pace compiuta abolendo l’inimicizia causata dal peccato, la dona a tutti quelli che arrivano ai Suoi piedi inchiodati e sanguinanti facendo di quel sangue un ringraziamento e una lode incessante.
IL RISCHIO DI FERMARCI ALLA TEORIA
Tuttavia anche per quanti hanno sperimentato la nuova nascita, come la chiama Gesù (Giovanni 3.7), vi è il rischio di essere nuovamente attratti dalle chimere del mondo che, come tutti gli spot, promettono qualcosa che non potranno mai dare. Ecco che ci viene incontro un’altra indicazione dalla scrittura:
Le cose che avete imparate, ricevute, udite da me e viste in me, fatele; e il Dio della pace sarà con voi. (Filippesi 4:9)
Non si tratta, quindi, solo di teoria ma di applicazione.
Paolo poteva essere in pace, pur tra afflizioni e persecuzioni, perchè era stato crocifisso non soltanto al peccato ma al mondo (Galati 6.14).
Non aveva, quindi, rinunciato solo al peccato ma ad ogni attività che il mondo, seppur in apparenza lecita, gli offriva. E’ così, fratelli, non inganniamoci. Il mondo è attualmente in mano al nemico (efesini 2.2) e cosa potrà darci di più l’esercitarci negli hobby e nelle passioni che esso offre, che non l’applicarci alle cose dello Spirito?
E’ assai probabile che l’impegno del proprio tempo, delle proprie energie e le attenzioni alle attività del mondo ci tolga qualcosa di prezioso, passo dopo passo, in maniera impercettibile, con l’inganno che solo il dominatore di questo mondo sa architettare, rischiamo di farci trascinare lontano dalla pace, lontano dalla croce.
Nella palude dei desideri infranti, delle occasioni colte, dei pensieri coltivati, nelle fantasie che diventano realtà, infine nel peccato che spegne lo Spirito Santo.
Non si tratta, ovviamente, di abbandonare ogni attività per applicarci ad una vita ascetica ultraterrena.
Siamo chiamati a lavorare, per esempio, ad accudire i nostri figli, le nostre mogli o mariti, etc..
Tuttavia in questa nuova vita, in questa nuova via siamo chiamati ad una operazione che potremmo definire di « sostituzione » sostituire, cioè, le cose del mondo con le cose dello Spirito.
IL CAMMINO DELLA CROCE
E’ necessario restare vigili, o svegliarsi. Ancora una volta il Signore, per bocca di Paolo, ci da dei suggerimenti per mantenere l’automobile in carreggiata:
Io dico: camminate secondo lo Spirito e non adempirete affatto i desideri della carne.
Perché la carne ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; sono cose opposte tra di loro; in modo che non potete fare quello che vorreste.
Ma se siete guidati dallo Spirito, non siete sotto la legge.
Ora le opere della carne sono manifeste, e sono: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregoneria, inimicizie, discordia, gelosia, ire, contese, divisioni, sètte, invidie, ubriachezze, orge e altre simili cose; circa le quali, come vi ho già detto, vi preavviso: chi fa tali cose non erediterà il regno di Dio.
Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo; contro queste cose non c’è legge.
Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri.
Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche guidati dallo Spirito.
Guardate dunque con diligenza a come vi comportate; non da stolti, ma da saggi; ricuperando il tempo perché i giorni sono malvagi.
Perciò non agite con leggerezza, ma cercate di ben capire quale sia la volontà del Signore.
Non ubriacatevi! Il vino porta alla dissolutezza. Ma siate ricolmi di Spirito, parlandovi con salmi, inni e cantici spirituali, cantando e salmeggiando con il vostro cuore al Signore;
ringraziando continuamente per ogni cosa Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo; sottomettendovi gli uni agli altri nel timore di Cristo – Efesini 5
Quali programmi televisivi ti piacciono, quale musica ascolti? Molte delle cose che vediamo ed ascoltiamo sono in abominio a Dio, ci chiediamo poi, perchè non c’è pienezza e movimento dello Spirito Santo in noi.
Camminare nello Spirito significa sostituire le cose del mondo con quello dello Spirito. Non solo, ovviamente, le questioni palesamenti illecite e peccaminose quale: alcol, pornografia, maldicenza, adulteri, pensieri immorali. La sostituzione deve avvenire anche per questioni che, apparentemente, non risultano così compromettenti ma che, di fatto, tolgono spazio alle cose dello Spirito.
Ascoltiamo musica cristiana, utilizziamo i lettori mp3 per ascoltare prediche, la bibbia in mp3, leggiamo libri cristiani, spengiamo la tv, utilizziamo internet per testimoniare, etc.
E quando ci arrivano pensieri contrari allo Spirito, immoralità, ira, ribellione, etc, utiliziamo queste armi:
Ringraziamo il Signore
Cantiamo e lodiamo il Signore (in questo campo, nella lode, il nemico non ha armi)
Aggrappiamoci alle Sue promesse, quelle che ha fatto alla Sua chiesa e quelle che sappiamo averci fatto a noi, avendole lette nella Sua Parola.
Quando utilizziamo il nostro tempo per dedicarlo alle cose dello Spirito dovremmo per forza sacrificare, il termine qui è assai azzeccato, la nostra vita, per esempio, a queste attivita’:
Lettura della Bibbia
Meditazione della Bibbia
Preghiera, personale e di gruppo
Lode, personale e di gruppo
Canto, personale e di gruppo
Incontri con altri fratelli
Opere che il Signore ci ha preparato da compiere
Culto
Testimonianza
Evangelizzazione
Visite negli ospedali
Visite nei carceri
Visite agli affamati e senza tetto
Visite agli ammalati
etc, etc, etc, etc, etc,
Cosa potrà darci il mondo, buona musica?
Certamente, a chi non piace?
Bei film? Relaity? Documentari su come fare torte, pance, seni, sesso, giardinaggio, case con i lego?
Ma cosa ci arriverà nel cuore da quanti hanno vite sbandate che spesso culminano in eccessi di droga, sesso, alcol, suicidi, etc?
Non illudiamoci, a tutti noi piace quello che ci offre il mondo, qui non vogliamo moralizzare o demonizzare a prescindere.
E certamente vedere un buon film con i propri figli è salutare.
Il punto è fare delle scelte, sapendo che queste ci costeranno, ma ricordando il contraccambio: la pace.
In questo bailamme, in questo correre velocemente, in questo turbine del consumo, del piacere, di farfalline nello stomaco, di separazioni, scandali, pensieri immorali, divisioni, settarismi, etc, etc, come cristiani abbiamo quest’urgenza: ricordare, ritornare.
Non illudiamoci, se impegniamo ore in cose che piacciono a tutti e minuti in cose che piacciono a Dio non stiamo camminando avanti, indietreggiamo. Ci stiamo accontentando di una nuova religione, poi, quando verrà il momento delle decisioni importanti, chi ci guidera?
Alle chiese, ai membri delle assemblee, a me, Gesù dice:
« Tutti quelli che amo, io li riprendo e li correggo; sii dunque zelante e ravvediti.
Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me. hi vince lo farò sedere presso di me sul mio trono, come anch’io ho vinto e mi sono seduto con il Padre mio sul suo trono. Apocalisse 3:19-22 Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese ».
Torniamo alla croce, li c’è pace, guarigione, ancora.

Publié dans:anche Paolo, CHIESA EVANGELICA |on 4 octobre, 2018 |Pas de commentaires »

L’ISRAELE DI DIO (Rm)

http://camcris.altervista.org/medisrdio.html

L’ISRAELE DI DIO

Messaggio ai Cristiani a cura del past. Veglio, ministro della Chiesa cristiana evangelica di Trieste

INTRODUZIONE

Ringrazio il Signore perché ha voluto chiamare noi, gli ultimi, i più miseri, per comunicarci la sua parola, la verità. Egli ci ha detto che soltanto la verità ci renderà liberi e che se vogliamo avere libertà abbiamo bisogno della sua parola. Abbiamo bisogno di Gesù, che è la parola di Dio. Questa è la parola che ho ricevuto dal Signore.

Leggiamo quello che è scritto nella Lettera ai Romani, capitolo 11: 1Dico dunque: Dio ha forse ripudiato il suo popolo? No di certo! Perché anch’io sono Israelita, della discendenza d’Abrahamo, della tribù di Beniamino. 2Dio non ha ripudiato il suo popolo, che ha riconosciuto già da prima. Non sapete ciò che la Scrittura dice a proposito di Elia? Come si rivolse a Dio contro Israele, dicendo: 3″Signore, hanno ucciso i tuoi profeti, hanno demolito i tuoi altari, io sono rimasto solo e vogliono la mia vita »? 4Ma che cosa gli rispose la voce divina? « Mi sono riservato settemila uomini che non hanno piegato il ginocchio davanti a Baal ». 5Così anche al presente, c’è un residuo eletto per grazia. 6Ma se è per grazia, non è più per opere; altrimenti, la grazia non è più grazia. 7Che dunque? Quello che Israele cerca, non lo ha ottenuto; mentre lo hanno ottenuto gli eletti; e gli altri sono stati induriti, 8com’è scritto: « Dio ha dato loro uno spirito di torpore, occhi per non vedere e orecchie per non udire, fino a questo giorno ». 9E Davide dice: « La loro mensa sia per loro una trappola, una rete, un inciampo e una retribuzione. 10Siano gli occhi loro oscurati perché non vedano e rendi curva la loro schiena per sempre ». 11Ora io dico: sono forse inciampati perché cadessero? No di certo! Ma a causa della loro caduta la salvezza è giunta agli stranieri per provocare la loro gelosia. 12Ora, se la loro caduta è una ricchezza per il mondo e la loro diminuzione è una ricchezza per gli stranieri, quanto più lo sarà la loro piena partecipazione! 13Parlo a voi, stranieri; in quanto sono apostolo degli stranieri faccio onore al mio ministero, 14sperando in qualche maniera di provocare la gelosia di quelli del mio sangue, e di salvarne alcuni. 15Infatti, se il loro ripudio è stato la riconciliazione del mondo, che sarà la loro riammissione, se non un rivivere dai morti? 16Se la primizia è santa, anche la massa è santa; se la radice è santa, anche i rami sono santi. 17Se alcuni rami sono stati troncati, mentre tu, che sei olivo selvatico, sei stato innestato al loro posto e sei diventato partecipe della radice e della linfa dell’olivo, 18non insuperbirti contro i rami; ma, se t’insuperbisci, sappi che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te. 19Allora tu dirai: « Sono stati troncati i rami perché fossi innestato io ». 20Bene: essi sono stati troncati per la loro incredulità e tu rimani stabile per la fede; non insuperbirti, ma temi. 21Perché se Dio non ha risparmiato i rami naturali, non risparmierà neppure te. 22Considera dunque la bontà e la severità di Dio: la severità verso quelli che sono caduti; ma verso di te la bontà di Dio, purché tu perseveri nella sua bontà; altrimenti, anche tu sarai reciso. 23Allo stesso modo anche quelli, se non perseverano nella loro incredulità, saranno innestati; perché Dio ha la potenza di innestarli di nuovo. 24Infatti se tu sei stato tagliato dall’olivo selvatico per natura e sei stato contro natura innestato nell’olivo domestico, quanto più essi, che sono i rami naturali, saranno innestati nel loro proprio olivo. 25Infatti, fratelli, non voglio che ignoriate questo mistero, affinché non siate presuntuosi: un indurimento si è prodotto in una parte d’Israele, finché non sia entrata la totalità degli stranieri; 26e tutto Israele sarà salvato, così come è scritto: « Il liberatore verrà da Sion. 27Egli allontanerà da Giacobbe l’empietà; e questo sarà il mio patto con loro, quando toglierò via i loro peccati ». 28Per quanto concerne il vangelo, essi sono nemici per causa vostra; ma per quanto concerne l’elezione, sono amati a causa dei loro padri; 29perché i doni e la vocazione di Dio sono irrevocabili. 30Come in passato voi siete stati disubbidienti a Dio, e ora avete ottenuto misericordia per la loro disubbidienza, 31così anch’essi sono stati ora disubbidienti, affinché, per la misericordia a voi usata, ottengano anch’essi misericordia. 32Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disubbidienza per far misericordia a tutti. 33Oh, profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto inscrutabili sono i suoi giudizi e ininvestigabili le sue vie! 34Infatti, « chi ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi è stato suo consigliere? 35 O chi gli ha dato qualcosa per primo, sì da riceverne il contraccambio? » 36Perché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui sia la gloria in eterno. Amen.

Dio ci comunica realtà eterne. È scritto che la parola di Dio è sempre « Sì e amèn ». Egli non muta, non è una volta « sì » e l’altra « no » (2Corinzi, 1:19-20). Nel Signor Gesù non c’è né titubanza, né incertezza. Noi siamo insufficienti e imperfetti, per questo Dio ci dà secondo la misura della nostra fede (Romani, 12:6). Ci dà solo quello che possiamo portare e non ci costringe a credere quello che non riusciamo ad accettare. È scritto che i profeti profetizzano secondo la misura della loro fede, ciò significa che parlano di ciò che hanno ricevuto dal Signore nella misura in cui vi hanno creduto. Non possono dire di avere ricevuto da Dio ciò che non credono provenire dal Signore. Quello a cui non credono non lo considerano parola di Dio. Così è anche per tutti noi: quello che non crediamo non lo consideriamo parola di Dio. Il Signore ci parla in tante maniere, Dio ci sta dando tesori immensi, ricchezze meravigliose, infinite, ma noi siamo limitati, e nella nostra limitatezza riteniamo provenire dal Signore soltanto quello che riusciamo ad accettare. Dio non è avaro, ma noi siamo limitati e non siamo in grado di capire cose tanto grandi. Ma grazie a Dio abbiamo accolto la verità. Grazie a Dio abbiamo accettato Gesù, il fondamento della nostra fede e della nostra salvezza, e con Gesù la vita eterna. Su questo viene costruita l’opera di Dio. Tutta la nostra vita, tutto ciò che Dio ci dona viene messo pietra sopra pietra e così veniamo edificati in Cristo. Dio ci ha chiamati a libertà. Ma, se vogliamo piacere a Dio, non possiamo vivere una vita secondo la nostra volontà; dobbiamo vivere una vita conforme alla Sua volontà, conforme cioè a quello che Lui ci ha detto. Ora le cose che abbiamo conosciuto sono parziali: non imperfette ma parziali, perché noi, non siamo in grado di capire tutto. Come ci dice lo Spirito Santo per mezzo dell’apostolo Paolo: « Oggi noi contempliamo come in uno specchio » – cioè come di riflesso – le cose grandi di Dio, ma quando saremo col Signore, allora le vedremo direttamente, « faccia a faccia » (1Corinzi, 13:12). Allora vedremo le cose in una maniera molto più profonda, in una maniera completa. Riusciremo a comprendere la meravigliosa grandezza di Dio, perché vi saremo immersi. Saremo anche noi là, assieme a Lui. La Sacra Scrittura ci dice che non tutti i popoli sono popolo di Dio, ma soltanto uno: il Popolo di Israele. Noi abbiamo accettato Gesù, il Figlio di Dio, e in Lui siamo diventati anche noi figli di Dio. Per accettare Gesù, la Parola di Dio, abbiamo rinunciato (siamo morti) alla nostra vecchia vita e abbiamo cominciato a vivere la nuova vita che è Gesù Cristo stesso in noi. Gesù, che è la progenie d’Israele, è colui che vive in noi (come dice l’apostolo Paolo: « non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me »; Galati, 2:20). Essendo Gesù la discendenza d’Israele, tutti coloro che accettano Gesù diventano in lui l’Israele spirituale. Noi sappiamo che Israele non ha accettato Gesù. Il popolo d’Israele, ufficialmente, non ha accettato Gesù come il Messia, cioè l’Unto (Mashiach) di Dio. Non lo ha riconosciuto come figlio di Dio e non lo ha accettato come Salvatore; pertanto il popolo d’Israele non ha ottenuto la salvezza. Gesù è l’unica salvezza, l’unica via, l’unica verità e l’unica vita, l’unico attraverso cui si può essere salvati e ottenere la vita eterna. Certo, anche fra gli Israeliti ci sono coloro che hanno accettato Gesù: anche l’apostolo Pietro e l’apostolo Paolo erano israeliti, praticamente tutta la Chiesa di Gerusalemme era israelita. Quindi non è vero che nessuno del popolo d’Israele abbia accettato Gesù, anzi. Ma non la nazione d’Israele. In effetti, Israele sta ancora spettando il Messia. Ora, avendo rifiutato Gesù come figlio di Dio, ha rifiutato la salvezza e fino a oggi, quindi, il popolo d’Israele non è ancora salvato. Perciò noi che abbiamo accettato Gesù come nostro salvatore siamo diventati popolo di Dio, l’Israele spirituale, mentre il popolo d’Israele, che non ha ancora accettato Gesù, non è ancora entrato a far parte dell’Israele spirituale. Questa è solo la premessa.   L’ELEZIONE DI ISRAELE Abbiamo visto che è scritto: « Ora io dico: sono forse inciampati perché cadessero? No di certo! Ma a causa della loro caduta la salvezza è giunta agli stranieri per provocare la loro gelosia » (v. 11). Quindi, il popolo d’Israele non è inciampato per non rialzarsi più, non ha rifiutato per sempre Gesù l’Unto. Neanche Dio li ha rifiutati per sempre. Piuttosto: a causa del loro indurimento, del loro rifiuto, la salvezza è giunta agli altri popoli. Sin dall’inizio, prima ancora della distruzione del Tempio, i fratelli hanno subìto persecuzioni a causa della loro fede. Sono stati tutti dispersi; solo gli apostoli sono rimasti a Gerusalemme (Atti, 8:4e 11:19), gli altri sono dovuti scappare in altre città e così facendo hanno diffuso la parola di Dio, annunciando Gesù in tutti i luoghi dove sono andati. Negli scritti del Nuovo Testamento troviamo che quando l’apostolo Paolo arrivava in una città, prima di tutto entrava nella Sinagoga e lì annunciava la buona notizia della salvezza in Gesù Cristo (Atti, 13:5,14,17:1-3). Ma quando, come purtroppo è avvenuto, questo annuncio è stato rifiutato dagli ebrei, allora Paolo si è rivolto agli altri popoli (ai Gentili). Dicendo agli israeliti: « Era necessario che a voi per primi si annunciasse la Parola di Dio; ma poiché la respingete e non vi ritenete degni della vita eterna, ecco, ci rivolgiamo agli stranieri » (Atti, 13:46). E così è avvenuto, il vangelo è stato annunciato agli stranieri e molti hanno accettato Gesù. Quindi, a causa della caduta del popolo d’Israele, a causa del loro rifiuto, noi che siamo stranieri (estranei alle promesse, al patto, all’elezione) siamo stati raggiunti dalla Parola di Dio e abbiamo potuto ricevere la salvezza nel Signore Gesù e diventare così popolo di Dio. Ma il piano di Dio non si ferma qui. « Ora, – continua la Scrittura – se la loro caduta è una ricchezza per il mondo e la loro diminuzione è una ricchezza per gli stranieri, quanto più lo sarà la loro piena partecipazione! Parlo a voi, stranieri; in quanto sono apostolo degli stranieri faccio onore al mio ministero, sperando in qualche maniera di provocare la gelosia di quelli del mio sangue, e di salvarne alcuni. Infatti, se il loro ripudio è stato la riconciliazione del mondo, che sarà la loro riammissione, se non un rivivere dai morti? » (vv. 13-15). Questa parola scuote profondamente. La loro caduta, il loro rifiuto è stato per noi la salvezza. Non c’era nessuno che offrisse salvezza, come non c’è tuttora nessuna religione, nessuna dottrina, che offra salvezza. Tanti parlano, predicano, insegnano a fare buone opere, penitenze, riti, purificazioni e tante altre cose, ma nessuno assicura: « facendo così sarai certamente salvato ». Dicono: « Facendo questo, diventerai migliore, sarai più gradito a Dio, riceverai l’illuminazione », ma, sino alla venuta del Signor Gesù – e ancora sino a oggi – non c’è stato nessun altro che abbia offerto la salvezza e la vita per l’eternità, gratuitamente. Solo il Signore Gesù. Solo chi accetta Gesù nel suo cuore può dire: « Sì, io sono salvato ». Perché Gesù Cristo è la salvezza. Chiunque ha accettato Gesù Cristo nel proprio cuore, ha ricevuto la salvezza. E così, chi ha accettato Gesù può dire agli altri: « Accetta Gesù nel tuo cuore e sarai salvato anche tu ». Non c’è un altro modo per essere salvati. Cosicché quando quei popoli – in quel tempo, come anche oggi – hanno udito questa parola così certa, così ferma, così chiara, hanno accettato, perché non avevano mai sentito dire che questo fosse possibile. Ma Israele ha rifiutato Gesù Cristo, e a causa di questo rifiuto noi stranieri abbiamo ottenuto grazia, perché abbiamo ricevuto la parola di Dio. E Gesù ci ha rinnovati completamente, abbiamo difatti rinunciato volentieri a tutto ciò che era vergognoso, peccaminoso, iniquo, cioè a tutto il nostro vecchio modo di vivere, le vecchie tradizioni, le nostre vecchie passioni e i vecchi piaceri; e adesso siamo nuove creature. Ora se il rifiuto dell’Unto Gesù da parte del popolo d’Israele è stato per noi la salvezza, e oggi abbiamo la gioia di poter vivere in comunione con Dio e abbiamo pace nel cuore, avendo avuta trasformata la nostra vita, se Dio ha fatto questo in noi a causa del rifiuto del popolo d’Israele, che cosa succederà quando anche il popolo d’Israele accetterà Gesù? Questo è ciò che dice la parola di Dio: « Se il loro rifiuto è stata la riconciliazione del mondo, che sarà la riammissione, se non un rivivere dai morti? » (v. 15). Visto che non c’è un modo per poter esprimere qualcosa di così grande, l’apostolo lo esprime con questa frase interrogativa. Che altro può essere, se non qualche cosa di meraviglioso? Se oggi noi cristiani abbiamo già così tanto, che cosa succederà quando Israele si ravvederà e accetterà Gesù? Essi ai quali appartengono l’adozione, la gloria, i patti, la legislazione, il servizio sacro, le promesse e i padri, e dai quali proviene, secondo la carne, il Cristo (Romani, 9:4-5). Il popolo che ha la cultura di Dio, le tradizioni di Dio. (Mi riferisco alle tradizioni bibliche, non a quelle che ha assimilato dal mondo, corrompendosi, corruzione che poi ha anche pagato amaramente). Io ho visto che queste cose a noi mancano. Lo Spirito di Dio mi ha mostrato una cosa che non conoscevo: il popolo d’Israele ha una ricchezza che a noi cristiani manca. È vero, gli manca Gesù, e senza il figlio di Dio è privo della salvezza e della vita eterna. Ma quando Israele accetterà Gesù, la grande ricchezza che possiede diventerà patrimonio di tutto il popolo di Dio, ebrei e non ebrei. 

L’OLIVO C’è ancora qualcosa di meraviglioso. Rileggiamo la parola. « Se la primizia è santa, anche la massa è santa. Se la radice è santa, anche i rami sono santi. Se alcuni rami sono stati troncati, mentre tu che sei olivo selvatico sei stato innestato al loro posto e sei diventato partecipe della radice e della linfa dell’olivo, non insuperbirti contro i rami naturali, ma se ti insuperbisci, sappi che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te. Allora tu dirai: sono stati troncati dei rami perché fossi innestato io. Bene, essi sono stati troncati per la loro incredulità e tu rimani stabile per la fede. Non insuperbirti, ma temi, perché se Dio non ha risparmiato i rami naturali, non risparmierà neanche te. Considera dunque la bontà e la severità di Dio. La severità su quelli che sono caduti, ma verso di te la bontà di Dio, sempreché tu perseveri nella sua bontà, altrimenti anche tu sarai reciso. Allo stesso modo anche quelli, se non perseverano nella loro incredulità, saranno innestati. Perché Dio ha la potenza di innestarli di nuovo. Infatti se tu che sei stato tagliato dall’olivo selvatico per natura e sei stato contro natura innestato nell’olivo domestico, quanto più essi che sono i rami naturali saranno innestati nel loro proprio olivo. » (vv. 16-24). Ecco cosa ha preparato Dio. Questo indurimento d’Israele, durato per lungo tempo – duemila anni – ha fatto sì che la parola di Dio, cioè l’evangelo, la buona notizia, potesse venir annunciato per tutto il mondo, così che nessuno rimanesse senza la possibilità di conoscere la verità – cioè Gesù – e quindi di ricevere la salvezza e la vita eterna. Ora noi cristiani non dobbiamo giudicare gli israeliti. È vero che loro hanno perseguitato Gesù e gli apostoli, hanno rifiutato il Signore e la salvezza che egli offriva loro. Ma se ci mettiamo a giudicarli per questo, noi, nel nostro cuore per natura malvagio, siamo portati a giudicarli in modo sbagliato. Giudicando così, alcuni hanno gridato: « Perfidi Giudei! ». Per lunghi anni sono echeggiate queste terribili parole e, a causa di questo modo di interpretare e di giudicare le cose, tremende persecuzioni si sono abbattute sul popolo d’Israele. Da quello che è scritto, però, vediamo che lo Spirito ci dice: non ti inorgoglire. Ma come, proprio tu che a causa del loro indurimento hai ricevuto grazia, ora li stai trattando così duramente, giudicandoli e disprezzandoli in questa maniera? Non capisci che proprio il fatto che hanno indurito il loro cuore ha dato a te la possibilità di ricevere la verità? È vero che alcuni rami dell’olivo sono stati recisi per la loro incredulità, perché si può essere salvati solo credendo in Gesù Cristo e in nessun altro modo. Tutti allo stesso modo, ebrei e pagani, senza distinzione. Gesù è il Signore! Non uno dei signori: l’unico Signore. Quindi c’è solo una salvezza: Gesù Cristo, il Signore. Ma per quanto alcuni d’Israele, a causa della loro incredulità, siano stati recisi quali rami dell’olivo, non di meno Dio non si è dimenticato di loro. Invece, noi che eravamo parte dell’olivo selvatico, siamo stati innestati al loro posto. Così ora possiamo ricevere la grazia di Dio, cioè la sostanza grassa della radice dell’olivo. Partecipiamo, cioè, della grazia proveniente dalla salvezza che è in Cristo Gesù, l’olivo di Dio. Se loro sono stati recisi per la loro incredulità – perché non hanno accettato Gesù – e Dio ha potuto innestare noi al posto loro (e l’ha fatto davvero, perché proprio per questo noi abbiamo vita: Gesù ci ha fatto partecipi di questa grazia, e noi sappiamo che cosa è avvenuto nella nostra vita il giorno che lo abbiamo accettato, e come questa è stata veramente trasformata, non esteriormente ma in profondità dentro di noi, per poi manifestarsi anche fuori: noi lo sappiamo e possiamo testimoniarlo), se Dio è stato capace di un’opera così impossibile, innestando noi che eravamo pagani al posto dei rami recisi del popolo d’Israele, quanto più egli potrà prendere di nuovo i rami tagliati, ma naturali, e reinnestarli al loro posto. È opera più facile questa, piuttosto che ciò che il Signore ha fatto per noi. Non è difficile per l’Onnipotente reintegrare il popolo d’Israele nella grazia che ha preparato innanzitutto per loro (come è anche scritto in Romani, 1:6 e 2:10). Prima per loro e poi anche per noi, non solo per l’uno o solo per l’altro. Quindi loro non sono esclusi, anzi vengono prima di noi. Se non perseverano nell’incredulità, saranno innestati di nuovo nell’olivo, cioè in Gesù il Messia. Perché Dio ha la potenza di reinnestarli (v. 23). Vale la pena sottolinearlo: se Dio ha fatto questo con noi, tanto più può farlo con loro. Fratelli, non voglio che ignoriate questo mistero, affinché non siate presuntuosi. Infatti, è facile cadere nella presunzione, e quando questo avviene, ci si inorgoglisce e si giudica in modo errato. Non vorrei dimenticaste che « un indurimento si è prodotto in una parte d’Israele finché non sia entrata la totalità degli stranieri » (v. 25). Quindi l’indurimento si è prodotto solamente in una parte e soltanto finché non sia entrata la totalità degli stranieri, cioè dei popoli non ebrei. Dio ci ha rivelato che siamo negli ultimi tempi, anzi ci ha rivelato che i tempi sono finiti. Sono stato mandato ad annunciare queste testuali parole: « I tempi sono finiti, ravvedetevi, convertitevi a Gesù Cristo ». Questa è parola di Dio. Perciò, se i tempi sono finiti, ecco che questo « finché non sia entrata la totalità degli stranieri » ora è avvenuto. Questa condizione si concretizza ora, alla fine dei tempi, quando ormai gli stranieri, tutti i popoli, hanno ricevuto la parola di Dio. E tutto Israele sarà salvato, così come è scritto: il liberatore verrà da Sion. Egli allontanerà da Giacobbe l’empietà e questo sarà il mio patto con loro, quando toglierò via i loro peccati. Per quanto concerne l’evangelo essi sono nemici: per causa vostra, però, per consentire a voi di venire salvati. Ma per quanto concerne l’elezione, sono amati a causa dei loro padri. Perché i doni e la vocazione di Dio sono irrevocabili (v. 26-29). Cioè, come dice un’altra traduzione: senza pentimento. Dio non si pente di quanto ha dato e noi sappiamo bene che le sue promesse sono per il popolo d’Israele. Noi cristiani non abbiamo soppiantato il popolo d’Israele, come alcuni pensano. Costoro credono che il popolo d’Israele sia stato reciso e che i cristiani siano diventati popolo d’Israele al loro posto. Ma Dio ha un solo popolo, da sempre. Il popolo d’Israele rimane il suo popolo e noi cristiani non l’abbiamo soppiantato: per grazia siamo stati integrati nel popolo di Dio. Certamente nessuno entrerà nel regno dei cieli senza convertirsi e accettare Gesù: su questo non ci possono essere dubbi. Ma ciò non toglie che tutti gli israeliti che accettano Gesù sono il vero popolo d’Israele. Non tutti gli israeliti sono « Israele », come è anche scritto (Romani, 9:6), ma soltanto coloro che credono: solamente coloro che hanno accettato Gesù sono il vero Israele. Perché ci sono tanti della progenie d’Israele che non credono e anzi rifiutano la fede. Questi non saranno salvati, pur essendo nati da genitori israeliti. Ma ciò non ci dà il diritto di dedurre che noi cristiani abbiamo soppiantato Israele. No, noi siamo diventati parte del popolo d’Israele! Siamo diventati parte dell’olivo: « Innestati », come è scritto. Alcuni rami sono stati tagliati; altri, però, non sono stati tagliati. Ma il tronco non è cambiato e le radici non sono mutate: la sacra Scrittura è la stessa, le promesse sono le stesse, le profezie sono le stesse, il Signore è lo stesso. Alcuni rami sono stati tagliati e noi siamo stati innestati al posto loro, ma l’albero è sempre quello. Noi cristiani quindi siamo stati innestati e siamo entrati a far parte del popolo d’Israele. Questo è fondamentale, fratelli: Israele non è stato rifiutato. Noi cristiani non dobbiamo diventare né dei soppiantatori, come Giacobbe, e neanche dei profani, come Esaù. E noi diventiamo tali quando nel nostro inorgoglimento pensiamo di essere diventati il vero Israele. Piuttosto, abbiate l’umiltà necessaria e abbassatevi, perché a Dio non viene difficile reinnestare i rami tagliati del popolo d’Israele; mentre a noi è detto che se non perseveriamo nella verità verremo a nostra volta tagliati. Come Dio non ha esitato a rigettare quelli d’Israele che non hanno creduto, così non esiterà a rigettare neanche noi, se ci inorgogliamo. Quindi, rimani umile e sii riconoscente, perché altrimenti anche tu sarai reciso (v. 22). Fate attenzione, quindi, a non innalzarvi e a non mettervi a giudicare Israele con un cuore altero e gonfio d’orgoglio. Noi cristiani abbiamo il Vangelo, è vero, ed essi sono stati effettivamente nemici del Vangelo: ma questo è avvenuto per causa nostra, come abbiamo visto, cioè perché noi fossimo salvati. Quindi, come in passato voi siete stati disubbidienti a Dio e ora, per la loro disubbidienza, avete ottenuto misericordia – così, « anch’essi sono stati ora disubbidienti, affinché, per la misericordia a voi usata, ottengano anch’essi misericordia » (v. 31). Fratelli, è così difficile, ma è meraviglioso. Ecco ciò che dice: Voi che in passato eravate estranei alla vita di Dio, avete ottenuto misericordia, perché Israele ha indurito il suo cuore verso Gesù e non lo ha voluto accettare. Ma, come essi sono stati disobbedienti affinché voi accettaste Gesù, attraverso di voi ora, per la misericordia che voi avete ottenuta, anche loro accetteranno Gesù. Attraverso di voi, perché non c’è nessun altro che possa annunciare Gesù, se non coloro che credono in Gesù. Quindi loro, che aspettano ancora il Messia, hanno bisogno di ricevere la testimonianza da noi. Per la misericordia che è stata fatta a noi, anche loro otterranno misericordia. Così Dio ha deciso, perché nessuno si glori, perché tutti rimaniamo lì dov’è il nostro posto, cioè a terra, nella polvere, ai piedi del Signore. Dio, infatti, ha rinchiuso tutti nella disubbidienza, per fare misericordia a tutti (v. 32). Perché altrimenti Israele si sarebbe inorgoglito, come è successo in passato, perché aveva le promesse ed era il popolo eletto. Essendosi inorgogliti sono scaduti e non possono venire salvati, finché non accettano Gesù. Adesso devono ascoltare, sono costretti ad accettare Gesù attraverso noi cristiani. Ma neanche noi abbiamo motivo di inorgoglirci. Perché è a causa della loro disubbidienza che la salvezza è giunta a noi. Guardate che cosa hanno dovuto sopportare, perché noi fossimo salvati. Hanno dovuto sopportare sofferenze indicibili, perché hanno rifiutato Gesù e lo hanno consegnato ai pagani affinché fosse crocefisso. Questo li h

DIETRICH BONHOEFFER, SEQUELA – LA GRAZIA A CARO PREZZO – (PARTE PRIMA)

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DIETRICH BONHOEFFER, SEQUELA – LA GRAZIA A CARO PREZZO – (PARTE PRIMA)

La grazia a buon prezzo è il nemico mortale della nostra Chiesa. Noi oggi lottiamo per la grazia a caro prezzo. Grazia a buon prezzo è grazia considerata materiale da scarto, perdono sprecato, consolazione sprecata, sacramento sprecato; grazia considerata magazzino inesauribile della Chiesa, da cui si dispensano i beni a piene mani, a cuor leggero, senza limiti; grazia senza prezzo, senza spese.
La grazia a buon prezzo è il nemico mortale della nostra Chiesa. Noi oggi lottiamo per la grazia a caro prezzo.
Grazia a buon prezzo è grazia considerata materiale da scarto, perdono sprecato, consolazione sprecata, sacramento sprecato; grazia considerata magazzino inesauribile della Chiesa, da cui si dispensano i beni a piene mani, a cuor leggero, senza limiti; grazia senza prezzo, senza spese. L’essenza della grazia, così si dice, è appunto questo, che il conto è stato pagato in anticipo, per tutti i tempi. E così, se il conto è stato saldato, si può avere tutto gratis. Le spese sostenute sono infinitamente grandi, immensa è quindi anche la possibilità di uso e di spreco. Che senso avrebbe una grazia che non fosse grazia a buon prezzo?
Grazia a buon prezzo è grazia intesa come dottrina, come principio, come sistema; è perdono dei peccati inteso come verità generale, come concetto cristiano di Dio. Chi la accetta, ha già ottenuto il perdono dei peccati. La Chiesa che annunzia questa grazia, in base a questo suo insegnamento è già partecipe della grazia. In questa Chiesa il mondo vede cancellati, per poco prezzo, i peccati di cui non si pente e dai quali tanto meno desidera essere liberato. Grazia a buon prezzo, perciò, è rinnegamento della Parola vivente di Dio, rinnegamento dell’incarnazione della Parola di Dio.
Grazia a buon prezzo è giustificazione non del peccatore, ma del peccato. Visto che la grazia fa tutto da sé, tutto può andare avanti come prima. «È inutile che ci diamo da fare». Il mondo resta mondo e noi restiamo peccatori «anche nella migliore delle vite». Perciò anche il cristiano viva come vive il mondo, si adegui in ogni cosa al mondo e non si periti in nessun modo – a scanso di essere accusato dell’eresia di fanatismo – di condurre, sotto la grazia, una vita diversa da quella che conduceva sotto il peccato. Si guardi bene dall’infierire contro la grazia, dall’offendere la grande grazia data a buon prezzo, dall’erigere una nuova schiavitù dell’interpretazione letterale, tentando di condurre una vita in obbedienza ai comandamenti di Gesù Cristo! Il mondo è giustificato per grazia, e perciò – in nome della serietà di questa grazia! per non opporsi a questa insostituibile grazia! – il cristiano viva come vive il resto del mondo! Certo, il cristiano desidererebbe fare qualcosa di straordinario; è senza dubbio la rinuncia più difficile quella di non farlo, ma di dover vivere come il mondo! Ma il cristiano deve accettare questo sacrificio, essere pronto a rinunciare a se stesso e a non distinguersi, nel suo modo di vivere, dal mondo. Deve lasciare che la grazia sia veramente grazia, in modo da non distruggere la fede del mondo in questa grazia a buon prezzo. Il cristiano sia, nella sua vita secolare, in questo sacrificio inevitabile che deve compiere per il mondo – anzi, per la grazia! – tranquillo e sicuro nel possesso di questa grazia che fa tutto da sé. Il cristiano, dunque, non segua Cristo, ma si consoli della grazia! Questa grazia a buon prezzo, che è giustificazione del peccato, e non giustificazione del peccatore penitente che si libera dal suo peccato e torna indietro; non perdono del peccato che separa dal peccato. Grazia a buon prezzo è quella grazia che noi concediamo a noi stessi.
Grazia a buon prezzo è annunzio del perdono senza pentimento, è battesimo senza disciplina di comunità, è Santa Cena senza confessione dei peccati, è assoluzione senza confessione personale. Grazia a buon prezzo è grazia senza che si segua Cristo, grazia senza croce, grazia senza il Cristo vivente, incarnato.
Grazia a caro prezzo è il tesoro nascosto nel campo, per amore del quale l’uomo va e vende tutto ciò che ha, con gioia; la perla preziosa, per il cui acquisto il commerciante dà tutti i suoi beni; la Signoria di Cristo, per la quale l’uomo si cava l’occhio che lo scandalizza, la chiamata di Gesù Cristo che spinge il discepolo a lasciare le sue reti e a seguirlo.
Grazia a caro prezzo è “l’Evangelo che si deve sempre di nuovo cercare, il dono che si deve sempre di nuovo chiedere, la porta alla quale si deve sempre di nuovo picchiare.
È a caro prezzo perché ci chiama a seguire, è grazia, perché chiama a seguire Gesù Cristo; è a caro prezzo, perché l’uomo l’acquista al prezzo della propria vita, è grazia, perché proprio in questo modo gli dona la vita; è cara, perché condanna il peccato, è grazia, perché giustifica il peccatore. La grazia è a caro prezzo soprattutto perché è costata molto a Dio; a Dio è costata la vita del suo Figliolo – «siete stati comperati a caro prezzo» – e perché per noi non può valere poco ciò che a Dio è costato caro. È soprattutto grazia, perché Dio non ha ritenuto troppo caro il suo Figlio per riscattare la nostra vita, ma lo ha dato per noi. Grazia cara è l’incarnazione di Dio.
Grazia a caro prezzo è la grazia ritenuta cosa sacra a Dio, che deve essere protetta di fronte al mondo, che non deve essere gettata ai cani; è grazia perché Parola vivente, Parola di Dio, che lui stesso pronuncia come gli piace. Essa ci viene incontro come misericordioso invito a seguire Gesù, raggiunge lo spirito umiliato ed il cuore contrito come parola di perdono. La grazia è a caro prezzo perché aggioga l’uomo costringendolo a seguire Gesù Cristo, ma è grazia il fatto che Gesù ci dice: «Il mio giogo è soave e il mio peso leggero».
Due volte è stata rivolta a Pietro la chiamata: seguimi!
È stata la prima e l’ultima parola di Gesù al suo discepolo (Mc 1,17; Gv. 21,22). Tutta la vita di questo è posta tra queste due chiamate. La prima volta Pietro ha sentito l’invito di Gesù sul lago di Genezaret ed ha abbandonato le sue reti, la sua professione, e lo ha letteralmente seguito. L’ultima volta il Risorto lo trova di nuovo nella sua professione di prima, sul lago di Genezaret, ed ancora una volta gli dice: seguimi! Frammezzo c’è stata tutta una vita di discepolato al seguito di Cristo; al centro la sua professione di fede in Gesù come il Cristo (l’unto) di Dio. Tre volte a Pietro fu annunziata la stessa cosa: al principio e alla fine a Cesarea di Filippo, che, cioè, Cristo è il suo Dio e il suo Signore. È la stessa grazia di Dio che lo chiama: seguimi! e che si manifesta nella sua professione di fede nel Figlio di Dio.
Per tre volte la grazia si è fermata sulla via di Pietro: una grazia annunziata tre volte in maniera diversa; e così fu la grazia di Cristo stesso, e non certo una grazia che il discepolo si annunziava da se stesso. Fu la stessa grazia di Cristo che vinse il discepolo e lo indusse ad abbandonare tutto per seguirlo, la stessa che operò in lui la professione di fede, che a tutto il mondo doveva apparire una blasfemia, la stessa che richiamò l’infedele Pietro alla comunione del martirio e gli perdonò così tutti i peccati. Grazia e seguire Cristo, nella vita di Pietro, sono indissolubilmente legati. Egli aveva ricevuto la grazia a caro prezzo.
Con la diffusione del cristianesimo e la progressiva secolarizzazione della Chiesa, a poco a poco la conoscenza della grazia a caro prezzo andò perduta. Il mondo era cristianizzato; la grazia era divenuta un bene comune a tutto il mondo cristiano. La si poteva ottenere a poco prezzo. Ma la chiesa romana conservò un resto della sua conoscenza primitiva. Fu un fatto di importanza decisiva che il monachesimo non si separò dalla Chiesa e che la prudenza della chiesa sopportò il monachesimo. Qui, ai margini della Chiesa, era il luogo dove si manteneva ancora viva la conoscenza del prezzo della grazia, dove si sapeva che la grazia è a caro prezzo, che la grazia include la necessità di seguire Gesù. Ci furono uomini che per amore di Cristo abbandonavano tutto ciò che possedevano e cercavano di seguire, in quotidiano esercizio, i severi comandamenti di Gesù. E la vita monastica divenne una protesta vivente contro la secolarizzazione del cristianesimo, contro il rinvilimento della grazia. Ma la Chiesa, sopportando questa protesta e non permettendo che scoppiasse completamente, non solo la relativizzò, ma, anzi, ne trasse persino la giustificazione della sua propria vita secolarizzata; perché così la vita monastica divenne una particolare opera meritoria di singoli, alla quale il popolo non poteva essere impegnato in massa. La fatale limitazione dei comandamenti di Gesù, ritenuti validi solo per un determinato gruppo di persone particolarmente qualificate, portò alla distinzione in prestazione massima e prestazione minima dell’obbedienza cristiana.
E così ad ogni ulteriore attacco contro la secolarizzazione della Chiesa si poteva rispondere rimandando alla vita monastica entro la Chiesa, accanto alla quale l’altra possibilità di una via più facile era senz’altro giustificata. Così il rinvio al concetto di grazia a caro prezzo com’era inteso nella chiesa primitiva e come fu mantenuto nella chiesa di Roma mediante il monachesimo, servì paradossalmente a sua volta a dare l’ultima giustificazione alla secolarizzazione della Chiesa. In tutto ciò l’errore fondamentale del monachesimo non consisteva nel fatto che – con tutti i malintesi di contenuto di fronte alla volontà di Gesù – esso aveva scelto la via della grazia nella severa imitazione di Gesù; il monachesimo, piuttosto, si allontanava fondamentalmente dal cristianesimo per il fatto che permise che la sua via divenisse un’opera particolare di alcuni pochi e pretendeva che si vedesse in questa via un particolare merito. Quando il Signore risvegliò, mediante il suo servitore Martin Lutero, nella Riforma, l’Evangelo della grazia pura, a caro prezzo, egli fece passare Lutero per il monastero. Lutero fu monaco. Aveva abbandonato tutto e voleva seguire il Cristo in assoluta obbedienza. Rinunciò al mondo e si dedicò all’opera cristiana. Imparò a obbedire a Cristo e alla sua Chiesa, perché sapeva che solo chi obbedisce può credere. La vocazione ad entrare nel convento costò a Lutero l’impegno totale della sua vita. Lutero naufragò in questa sua via «andando a sbattere» contro Dio stesso. Dio, tramite la Sacra Scrittura, gli mostrò che seguire Cristo non è una particolare opera meritoria di alcuni singoli, ma comandamento divino rivolto a tutti i cristiani. L’umile atto di seguire Cristo era divenuto, nel monachesimo, opera meritoria dei santi. La rinuncia al proprio io di chi seguiva Cristo si svelò qui come estrema affermazione spirituale di se stessi da parte degli uomini pii. Con questo il mondo aveva fatto irruzione nel monachesimo stesso e agiva di nuovo nella maniera più pericolosa. L’evasione del mondo lontano dal mondo si era svelata come il più raffinato modo di amare il mondo. In questo naufragio dell’ultima possibilità di condurre una vita devota Lutero afferrò la grazia. Nel crollo del mondo monastico egli riconobbe la mano salvatrice di Dio tesa in Cristo. Egli l’afferrò convinto nella sua fede che «tutte le nostre opere sono inutili, anche nella migliore delle vite». Era una grazia a caro prezzo quella che gli si offriva, e spezzò tutta la sua esistenza. Egli dovette abbandonare un’altra volta le sue reti e seguire. La prima volta, quando entrò in convento, aveva lasciato dietro di sé tutto tranne se stesso, tranne il suo pio ‘io’; questa volta gli fu tolto anche questo. Seguì non per un suo qualche merito proprio, ma per la grazia di Dio. Non gli fu detto: «hai, sì, peccato, ma ora tutto è perdonato; resta pure dove eri prima e consolati con il perdono!». Lutero dovette abbandonare il convento e tornare nel mondo, non perché il mondo fosse buono e sacro in sé, ma perché anche il convento non era altro che mondo.
Il ritorno di Lutero dal convento nel mondo era l’attacco più grave condotto contro il mondo dopo i primordi del cristianesimo. La rinuncia al mondo da parte del monaco era una cosa da niente di fronte alla rinuncia che il mondo ebbe a subire da parte di chi tornava nel mondo. Ora l’attacco era frontale. Si doveva seguire Gesù in mezzo al mondo, ora. Ciò che si compiva come opera meritoria nelle particolari situazioni e facilitazioni della vita monastica era ora divenuto necessità, comandamento rivolto ad ogni cristiano nel mondo. L’assoluta obbedienza al comandamento di Gesù doveva ora essere messa in atto nella vita quotidiana e nella professione. Così il conflitto tra la vita del cristiano e la vita del mondo si aggravò in maniera imprevedibile. Il cristiano incalzava il mondo. Ora era una lotta «corpo a corpo».
Non si può fraintendere in maniera peggiore l’atto di Lutero che credendo che egli, con la scoperta dell’Evangelo della pura grazia, abbia proclamato la dispensa dall’obbedienza al comandamento di Gesù nel mondo, che la scoperta della Riforma sia stata la canonizzazione, la giustificazione del mondo mediante la grazia che perdona tutto. La professione laica del cristiano per Lutero trova la sua giustificazione solo nel fatto che in essa la protesta contro il mondo viene espressa in tutto il suo rigore. Solo in quanto il cristiano esercita la sua professione seguendo Gesù, questa ha acquistato un nuovo diritto basato sull’Evangelo. Non la giustificazione del peccato, ma la giustificazione del peccatore fu la ragione del ritorno di Lutero dal convento nel mondo. A Lutero era stata donata una grazia a caro prezzo: grazia perché era acqua per il campo assetato, consolazione per la paura, liberazione dalla schiavitù della via scelta da lui stesso, perdono di tutti i peccati; ma questa grazia era a caro prezzo, perché non dispensava dall’agire, anzi, rendeva infinitamente più rigorosa l’invito a seguire Gesù. Proprio, però, lì dove era a caro prezzo, era la grazia, e dove era grazia lì era a caro prezzo. Ecco il segreto dell’Evangelo della Riforma, il segreto della giustificazione del peccatore.
Eppure non è la grazia, come era stata conosciuta da Lutero, a trionfare nella ,storia della Riforma, ma il vigile istinto religioso dell’uomo, sempre pronto a trovare il luogo dove si può ottenere la grazia a minor prezzo. Bastò un leggerissimo, appena percettibile spostamento di accento, perché si compisse l’opera più perniciosa e pericolosa. Lutero aveva insegnato che l’uomo non può giustificarsi davanti a Dio nemmeno con le sue vie e le sue opere migliori, perché, in fondo, egli cerca sempre se stesso. In questa sua situazione così misera egli aveva afferrato per fede la grazia del perdono libero e incondizionato di tutti i suoi peccati. E Lutero sapeva che questa grazia gli era costata, e gli costava ogni giorno, la vita, poiché la grazia non lo dispensava dal seguire Cristo, ma anzi ve lo spingeva ancor più. Quando Lutero parlava della grazia, intendeva sempre riferirsi anche alla vita che solo tramite la grazia era stata sottoposta pienamente all’obbedienza a Cristo. Non poteva parlare della grazia se non in questo modo. È la grazia sola ad agire, aveva detto Lutero, ed i suoi discepoli lo ripetevano alla lettera, con la sola differenza che ben presto lasciarono da parte, sia nel pensiero che nelle parole, ciò che era sempre stato pensiero ovvio per Lutero, cioè la necessità di seguire Gesù; Lutero non aveva bisogno di esprimere questo pensiero, perché parlava sempre come uno che dalla grazia era stato condotto per la via più difficile del discepolato. L’insegnamento dei suoi seguaci, quindi, proveniva senz’altro dall’insegnamento di Lutero, eppure questo insegnamento segnò la fine e la rovina della Riforma in quanto manifestazione della grazia a caro prezzo di Dio in terra. La giustificazione del peccatore nel mondo fu mutata in giustificazione del peccato e del mondo. La grazia a caro prezzo fu mutata in grazia a buon prezzo senza la necessità di seguire Cristo.
Se Lutero diceva che tutte le nostre opere sono vane anche nella migliore delle vite e che presso Dio non vale altro che «la sua grazia e la sua benevolenza pronte a perdonare i peccati», lo diceva come uno che fino a quel momento, e nello stesso momento di nuovo, si sapeva chiamato ad abbandonare tutto quello che aveva e a seguire Gesù. La conoscenza della grazia fu per lui l’ultimo netto e radicale taglio col peccato della sua vita e certo non la sua giustificazione. Affermare il perdono significava per lui ultima radicale rinuncia alla propria vita, alla propria volontà; e proprio in ciò la grazia era veramente un serio invito a seguire il Signore. Era sempre il ‘risultato’, certo un risultato divino, non uno umano. Ma questo risultato presso i suoi seguaci divenne il presupposto per principio di un calcolo. Ecco in che cosa consisteva il male. Se la grazia è il ‘risultato’ di una vita cristiana, donato da Cristo stesso, questa vita non è dispensata nemmeno un attimo dal seguirlo. Se la grazia è, invece, presupposto per principio della mia vita cristiana, allora i peccati che commetto durante la mia vita in terra sono giustificati in partenza. E allora in base a questa grazia posso peccare, dato che il mondo, per principio, è giustificato per grazia. lo, allora, continuo a vivere la mia vita secolare-borghese; nulla cambia nella mia esistenza, eppure sono sicuro di essere coperto dalla grazia divina. Tutto il mondo, sotto questa grazia, è divenuto ‘cristiano’, ma il cristianesimo, sotto questa grazia, è divenuto mondo come mai in precedenza. Il conflitto fra la vita professionale cristiana e quella secolare-borghese è superato. La vita cristiana consiste appunto nel fatto che io vivo nel mondo come il mondo, che non mi distinguo in nulla da esso, anzi, non devo nemmeno – per amore della grazia! – distinguermi da esso, ma che al momento opportuno dall’ambiente ‘mondo’ mi reco nell’ambiente ‘chiesa’ per ricevervi l’assicurazione del perdono dei peccati. Sono dispensato dalla necessità di seguire Cristo mediante la grazia a buon prezzo, che deve essere il nemico più accanito della volontà di seguirlo, che deve odiare e disprezzare l’impegno a seguirlo. veramente. La grazia come presupposto è una grazia di nessun valore; la grazia come risultato è una grazia a caro prezzo. È terribile riconoscere quanto è importante il modo con cui una verità evangelica viene espressa e messa in atto. È la stessa parola che esprime la giustificazione per sola grazia, eppure l’uso errato della stessa frase porta alla distruzione totale della sua essenza.
Se Faust, alla fine della sua vita spesa nello sforzo di conoscere, dice: «Riconosco che non possiamo sapere nulla», questo è un risultato ed ha un senso ben diverso che se uno studente di primo anno si arroga tale frase per giustificare con essa la sua pigrizia (Kierkegaard). Come risultato l’affermazione è vera, come presupposto è un autoinganno. Il che significa che non si può separare ciò che è stato riconosciuto dall’esistenza che ha portato a tale constatazione. Solo chi si trova al seguito di Gesù, dopo aver rinunciato a tutto ciò che aveva, può affermare di essere giustificato per sola grazia. Egli riconosce nell’invito stesso a seguire Gesù la grazia, e nella grazia questo invito. Chi, però, pensa di essere dispensato per via della grazia dal seguirlo inganna se stesso.
Ma Lutero non ha corso lui stesso questo grav1ssimo pericolo di fraintendere completamente il concetto di grazia? Che significano le sue parole: «pecca fortiter, sed fortius fide et gaude in Christo» – pecca coraggiosamente, ma credi tanto più coraggiosamente e gioisci in Cristo[1] -? Dunque, sei, sì, un peccatore e non riuscirai mai a liberarti dal peccato; che tu sia monaco o laico, che voglia essere pio o malvagio, non riesci a sfuggire alle catene del mondo, pecchi comunque. E allora pecca coraggiosamente – e questo proprio perché la grazia è un fatto! – Sarebbe la proclamazione manifesta della grazia a buon prezzo, la franchigia per il peccato, l’annullamento della necessità di seguire Gesù? Sarebbe il blasfemo invito a peccare temerariamente basandosi sulla grazia? Chi potrebbe mostrare un disprezzo della grazia più diabolico di colui che pecca richiamandosi alla grazia donata da Dio? Il catechismo cattolico non ha forse ragione se vede in questo il peccato contro lo Spirito Santo?
Per poter comprendere ciò è assolutamente necessario fare una netta distinzione tra risultato e presupposto. Se la frase di Lutero diviene presupposto di una teologia della grazia, si proclama la grazia a buon prezzo. Ma la frase di Lutero non può, appunto, essere intesa come principio, ma esclusivamente come fine, come risultato, come chiave di volta, come ultima parola. Inteso come presupposto, il «pecca fortiter» diventa un principio etico; ad un principio della grazia corrisponde necessariamente il principio del «pecca fortiter». Questo è giustificazione del peccato. E così la frase di Lutero viene mutata nel suo contrario. «Pecca coraggiosamente» per Lutero non poteva essere che proprio l’ultima parola, il conforto per chi, sul suo cammino al seguito di Gesù, riconosce che non può liberarsi dal peccato e, atterrito dal peccato, dispera della grazia di Dio. Per lui il «pecca coraggiosamente» non è una ratificazione di fatto della sua vita peccaminosa, ma è l’Evangelo della grazia divina, di fronte al quale siamo, sempre ed in qualunque situazione, peccatori, Evangelo che ci cerca e giustifica proprio in quanto peccatori. Confessa pure coraggiosamente di essere peccatore, ma «credi ancora più coraggiosamente». Tu sei un peccatore, quindi sii peccatore, non voler essere diverso da quello che sei; anzi, sii pure ogni giorno di nuovo peccatore e comportati coraggiosamente come tale. Ma a chi può essere rivolto questo invito se non a colui che, ogni giorno, ricusa il peccato, che, ogni giorno, ricusa tutto ciò che gli impedisce di seguire Gesù e che pure è sconsolato per la sua quotidiana infedeltà e per il suo peccato? Chi può ascoltare questa parola senza pericolo per la sua fede se non colui che, confortato da questo incoraggiamento, sa di essere nuovamente chiamato a seguire Cristo? Così la frase di Lutero, intesa come risultato, diviene la grazia a caro prezzo, la sola vera grazia.
Grazia come principio, «pecca fortiter» come principio, grazia a buon prezzo, in fondo, non è altro che una nuova legge che non aiuta e non libera. Grazia come parola viva, «pecca fortiter» come conforto nella tentazione e chiamata a seguire Gesù, grazia a caro prezzo, è la sola grazia pura, che veramente perdona i peccati e libera il peccatore.
Ci siamo raccolti come corvi attorno al cadavere della grazia a buon prezzo, da essa abbiamo ricevuto il veleno che fece morire tra noi l’obbedienza a Gesù. La dottrina della grazia pura conobbe, sì, un’apoteosi senza pari, la dottrina pura della grazia divenne Dio stesso, la grazia stessa. Erano, in tutto, le parole di Lutero, eppure erano tramutate dalla verità in un autoinganno. Si diceva una volta che, se la nostra Chiesa ha la dottrina della giustificazione, è certo anche una Chiesa giustificata. La vera eredità di Lutero doveva, dunque, essere riconosciuta nel fatto che la grazia era resa accessibile ad un prezzo quanto mai minimo. Si considerava atteggiamento luterano lasciare che seguissero Gesù i legalisti, i riformati, i fanatici, – tutto per amore della grazia -, giustificare il mondo e dichiarare eretici i cristiani che seguivano Gesù. Un popolo era divenuto cristiano, luterano, ma sacrificando il desiderio di seguire Gesù; lo era divenuto a poco prezzo. La grazia a buon prezzo aveva vinto.
Ma lo sappiamo che questa grazia a buon prezzo è stata estremamente spietata verso di noi? Il prezzo che oggi dobbiamo pagare con la rovina delle chiese istituzionali non è forse la conseguenza necessaria della grazia acquistata troppo a buon prezzo? Predicazione e sacramenti venivano concessi ad un prezzo troppo basso; si battezzava, si cresimava, si dava l’assoluzione a tutto un popolo senza porre domande e senza mettere condizioni; per amore umano le cose sacre venivano dispensate a uomini sprezzanti e increduli; si distribuivano fiumi di grazia senza fine, mentre si udiva assai raramente l’invito a seguire Gesù con impegno. Dove restava ciò che aveva riconosciuto la Chiesa primitiva la quale, durante il catecumenato, vigilava tanto attentamente sulle frontiere tra Chiesa e mondo, sulla grazia cara? Dove restavano gli ammonimenti di Lutero di guardarsi dall’annunziare un Evangelo che tranquillizzasse gli uomini nella loro vita senza Dio? Quando mai il mondo fu cristianizzato in maniera più orrenda e funesta? Che cosa sono le tre migliaia di Sassoni uccisi da Carlo Magno fisicamente di fronte ai milioni di anime uccise oggi? Si è realizzato sopra di noi l’ammonimento che i peccati dei padri saranno puniti sopra i figli fino alla terza e quarta generazione. La grazia a buon prezzo si è mostrata alquanto spietata verso la nostra chiesa evangelica.
E spietata la grazia a buon prezzo lo è stata pure verso la maggior parte di noi personalmente. Non ci ha aperta la via verso Cristo, ma anzi l’ha bloccata. Non ci ha invitati a seguirlo, ma ci ha induriti nella disobbedienza. O non era forse spietato e duro se, dopo aver sentito l’invito a seguire Gesù come invito della grazia, dopo aver, forse, osato una volta fare i primi passi sulla via che ci portava a seguirlo nella disciplina dell’obbedienza al suo comandamento, fummo colti dalla parola della grazia a buon prezzo? Quale senso poteva avere per noi questa parola se non quello di un richiamo ad una sobrietà assai umana, inteso a fermare il nostro cammino, a soffocare in noi il piacere di seguire Gesù, con l’affermazione che questa era una via scelta solo da noi stessi, un impiego di forze, una fatica e una disciplina non solo inutili, ma addirittura dannosi? Infatti nella grazia tutto era già pronto e compiuto! Il lucignolo fumante fu spento in maniera spietata. Era spietato parlare in questo modo ad un uomo, perché egli, turbato da un’offerta così a buon prezzo, necessariamente lasciava la via alla quale era chiamato da Gesù, perché ora voleva afferrare la grazia a buon prezzo che gli precludeva per sempre la possibilità di riconoscere la grazia a caro prezzo. Non poteva essere diversamente; l’uomo debole, ingannato, possedendo la grazia a buon prezzo doveva sentirsi improvvisamente forte, mentre, in realtà, aveva perduto la forza di obbedire, di seguire Gesù. La parola della grazia a buon prezzo ha rovinato più uomini che non qualunque comandamento di buone opere.
Nelle pagine seguenti vogliamo parlare per coloro che sono tentati appunto, perché la parola della grazia è divenuta per loro terribilmente vuota. Per amore di sincerità si deve parlare per quelli tra noi che confessano che con la grazia a buon prezzo hanno perduto la vocazione di seguire Cristo, e seguendo Cristo, invece, la comprensione per la grazia a caro prezzo. E appunto perché non vogliamo negare che non seguiamo più Gesù come dovremmo, che siamo, sì, membri di una Chiesa che conserva la dottrina della grazia in maniera pura e ortodossa, ma non più altrettanto membri di una Chiesa che segue il suo Signore, dobbiamo tentare di comprendere di nuovo il senso della grazia e della vocazione a seguire Gesù nel loro giusto rapporto reciproco. Non possiamo più, oggi, eludere il problema. Diviene sempre più evidente che la difficoltà della nostra chiesa ,sta solo nel problema di come vivere, oggi, da veri cristiani.
Beati coloro che si trovano già alla fine del cammino che noi vogliamo percorrere, e che comprendono, pieni di meraviglia, quello che veramente non pare comprensibile, cioè che la grazia è a caro prezzo proprio perché è grazia pura, perché è grazia di Dio in Gesù Cristo. Beati coloro che, seguendo semplicemente Gesù Cristo, sono vinti da questa grazia, così che possono lodare con cuore umile la grazia di Cristo che sola agisce. Beati coloro che, avendo conosciuto questa grazia, possono vivere nel mondo senza perdersi in esso, che, seguendo Gesù Cristo, hanno acquistato una tale certezza della loro patria celeste, che sono veramente liberi per la vita in questo mondo. Beati coloro, per i quali seguire Gesù Cristo non ha altro significato che vivere della grazia, e per i quali grazia non ha altro significato che seguire Gesù Cristo. Beati coloro che sono divenuti cristiani in questo senso, coloro dei quali la grazia ha avuto misericordia.

[1] Enders III, p. 208, 118ss.
(L’autore) Dietrich Bonhoeffer, Sequela – autore: Dietrich Bonhoeffer

Publié dans:CHIESA EVANGELICA, D. |on 3 février, 2015 |Pas de commentaires »

IL SONNO PARTICOLARE DI COLORO CHE DIO AMA (1855)

http://camcris.altervista.org/spurgeonac1.html

IL SONNO PARTICOLARE DI COLORO CHE DIO AMA (1855)

di C. H. Spurgeon (Chiesa Battista, ho messo Evangelica, manon sono sicura)

(Si ringrazia Antonio Consorte per la traduzione)

Tenuto il 4 marzo 1855 a Exeter Hall, Strand.

« …Egli dà altrettanto a quelli che ama, mentre essi dormono » (Salmo 127:2).

Il sonno del corpo è un dono di Dio. Così disse Omero quando lo descrisse come qualcosa che scendeva dal cielo e si fermava sopra le tende dei guerrieri che circondavano l’antica Troia. E così pure cantò Virgilio, quando raccontava di Palinuro che si addormentò sulla prua della nave. Sì, il riposo è un dono di Dio.
Pensiamo che, appoggiando il capo sul cuscino e facendo assumere al nostro corpo una posizione rilassata inevitabilmente ci addormenteremo senza fare alcuno sforzo. Ma non è così. Il riposo è un dono di Dio, e nessun uomo chiuderebbe gli occhi se Dio non mettesse le Sue dita sulle palpebre, se l’Onnipotente non esercitasse un dolce influsso sul suo corpo, acquietando a poco a poco i suoi pensieri, facendolo così entrare in quel beato stato di riposo che noi chiamiamo sonno.
Veramente ci sono dei farmaci e dei narcotici con i quali la gente può avvelenarsi fin quasi a morire, e lo chiamano riposo; ma il riposo di un corpo sano è il dono di Dio. Egli lo concede; ogni notte lui stesso ci dondola la culla, tira la tenda del buio, comanda al sole di chiudere i suoi occhi ardenti, e poi viene e dice; « Dormi, dormi, figlio mio, Io ti dono il sonno ».
Ti è mai accaduto qualche volta di essere a letto e di lottare per addormentarti? Si potrebbe dire di te quello che fu detto di Dario: « Il re mandò a chiamare i suoi musicisti, ma il sonno fuggì da lui ». Hai cercato di dormire, ma non ci sei riuscito; procurarti un sano riposo va oltre le tue capacità. Immagini che fissando la mente su un certo soggetto finché esso assorba tutta la tua attenzione, tu possa poi dormire; ma poi scopri che non cela fai. Diecimila cose ti passano per la mente come se tutta la terra fosse scossa davanti a te. Vedi tutte le cose mai contemplate ballare in una fantasmagoria davanti ai tuoi occhi. Chiudi gli occhi, ma continui a vederle; e ci saranno cose nella testa e nelle orecchie e nel tuo cervello che non ti lasceranno dormire. E’ Dio solo che, allo stesso modo in cui sigilla gli occhi del marinaio sopra il vertiginoso pennone della nave, fa riposare anche il monarca; poiché con tutto il gran daffare che ha costui non potrebbe riposare senza l’aiuto di Dio.
E’ Dio che permea la mente di oblio e ci ordina di dormire, affinché i nostri corpi possano rinnovarsi, in modo che possiamo alzarci rinvigoriti e rafforzati per affrontare gli impegni del giorno seguente.
O amici miei, quanto dovremmo essere riconoscenti per il sonno! Il sonno è il migliore medico che conosco. Il sonno ha guarito tante ossa doloranti, più di tanti eminenti dottori. E’ la migliore medicina – la migliore in assoluto tra quelle che si trovano negli elenchi della farmacia! Non c’è nulla come il dormire!
Quale grazia è che esso appartenga ugualmente a tutti! Dio non fa del sonno un privilegio del ricco; non lo concede solamente al nobile o al ricco, cosicché essi possano tenerselo come un bene di lusso per loro stessi, ma lo concede a tutti. E se c’è una differenza, il sonno del lavoratore è dolce, sia che mangi poco o molto. Colui che lavora duramente dorme profondamente, stanco com’è. Mentre la effeminatezza lussuriosa non può riposare, girandosi da una parte all’altra di un letto di piume d’oca; colui che lavora sodo, dalle membra forti e possenti, stanco morto si getta sul duro giaciglio e dorme; risvegliandosi, ringrazia Dio perché ha ritemprato le sue energie.
Amici miei, non sapete quanto dovete a Dio per il riposo che vi dona di notte! Se aveste delle notti insonni, allora apprezzereste quella benedizione. Se per settimane voi giaceste girandovi nel vostro letto, allora ringrazieresti Dio per questo Suo favore. Ma poiché è il dono di Dio, è un dono preziosissimo, di cui non si può apprezzare il valore finché non ci viene portato via; eppure, anche allora, lo possiamo apprezzare come dovremmo.
Il Salmista afferma che ci sono alcuni uomini che si privano del sonno a scopo di guadagno o per ambizione; si alzano presto e vanno a dormire tardi. Alcuni di noi qui presenti, può darsi che siano colpevoli della stessa cosa. Ci siamo alzati la mattina presto per poterci buttare su volumi poderosi in modo da acquisire conoscenza; siamo rimasti seduti di notte fino a che la nostra lampada spenta ci ha rimproverato e ci ha detto che il sole stava per sorgere, mentre i nostri occhi dolevano, il cervello pulsava e il cuore palpitava. Ci siamo affaticati fin troppo; ci siamo alzati presto e siamo stati alzati fino a tardi, e in tal modo siamo arrivati a mangiare il pane tribolato. Molti di voi uomini d’affari state lavorando proprio così. Non vi condanniamo per questo, non vi proibiamo di alzarvi presto e stare alzati fino a tardi, ma vi ricordiamo questo testo: « Invano vi alzate di buon mattino e tardi andate a riposare e mangiate pane tribolato; Egli dà altrettanto a quelli che ama, mentre essi dormono » (Salmo 127:2).
Ed è proprio di questo sonno che Dio concede ai Suoi diletti che vogliamo parlarvi questa mattina, con l’aiuto di Dio; un sonno particolare per i figli di Dio, un sonno che Egli concede « a quelli che ama ».
Talvolta il sonno viene usato in senso cattivo nella Parola di Dio per esprimere la condizione degli uomini carnali e del mondo. Alcuni uomini hanno un sonno dovuto alla pigrizia e all’amore sfrenato delle comodità. Salomone ci parla di costoro, i quali sono figli stolti, che sonnecchiano durante il raccolto, comportandosi vergognosamente, per cui quando il raccolto è terminato, a fine estate, essi se la passeranno poi molto male.
Il sonno spesso esprime uno stato d’indolenza, di torpore, di indifferenza, in cui tutti gli uomini senza Dio si trovano – « Non dormiamo come fanno gli altri, ma noi che siamo del giorno, facciamo sì che siamo sobri » (I Tessalonicesi 5:5-6).
Ci sono molti che dormono il sonno del fannullone, che riposano sul letto dell’indolenza; ma quale tremendo risveglio sarà il loro, quando scopriranno che hanno sprecato il loro tempo, che la sabbia dorata della loro vita è scesa inosservata dalla clessidra e che essi sono giunti ormai in quel mondo dove non c’è più perdono, dove non c’è più speranza, né rifugio, nessuna salvezza.
In altri luoghi troverete il sonno usato come figura della sicurezza carnale, uno stato in cui molti si trovano. Guardate Saulo mentre dormiva sentendosi umanamente al sicuro, non come Davide che disse: « Io mi giacerò e dormirò, perché Tu, o Signore, mi fai abitare in sicurezza ». Abner era là e tutte le truppe erano attorno a lui, ma Abner dormiva. Dormi, Saulo, dormi pure. Ma c’è un Abishai in piedi vicino al tuo cuscino con una lancia in mano che dice: « Fa che lo inchiodi a terra con un solo colpo » (I Samuele 26:9). Egli continua a dormire, ignaro di tutto. Così è di molti di voi: dormite di un sonno pericoloso per la vostra anima. Satana è in piedi vicino a voi; la Legge è pronta; la vendetta è impaziente, e tutti stanno dicendo: « Devo colpirlo? Lo colpirò improvvisamente e lui non si sveglierà più ». Ma Cristo dice: « Trattieniti, vendetta, trattieniti! ». Guarda la lancia che sta quasi oscillando – « Trattieniti, risparmialo ancora per un anno, nella speranza che possa svegliarsi dal lungo sonno del peccato ». Come Sisera, io ti dico, peccatore, che tu stai dormendo nella tenda del distruttore; può darsi che tu abbia mangiato burro e miele da un piatto signorile, ma tu stai dormendo sulla soglia dell’Inferno; anche adesso il nemico sta alzando il martello ed il chiodo per trapassarti le tempie, per inchiodarti a terra, cosicché tu possa giacere per sempre nella morte di un tormento eterno, se un tale stato possa chiamarsi morte.
Nella Scrittura viene anche menzionato il sonno della lussuria, come quello che colpì Sansone quando perse i suoi buccoli, ed è un tipo di sonno che hanno quei molti che indulgono nel peccato, e poi al risveglio si trovano spogliati, perduti e rovinati.
C’è anche il sonno della negligenza, come quello che ebbero le vergini stolte, delle quali fu detto : « Esse sonnecchiarono e poi si addormetarono ». E poi c’è il sonno del dolore che vinse Pietro, Giacomo e Giovanni.
Nessuno di questi tipi di sonno è un dono di Dio. Sono dovuti alla nostra fragilità naturale; ci vengono addosso perché siamo uomini moralmente decaduti; ci piovono addosso perché siamo figli di un genitore perduto e rovinato. Questi tipi di sonno non sono benedizioni di Dio, né Egli li concede ai Suoi diletti.
Adesso andiamo a dire quali tipi di riposo Egli concede.
I. Primo, c’è un sonno miracoloso che Dio ha qualche volta concesso ai Suoi diletti e che Egli adesso non accorda più. In quel genere di sonno miracoloso, o piuttosto trance, cadde Adamo, quando dormiva solo e addolorato. Ma quando si svegliò, non lo era più, poiché Iddio gli aveva dato il dono migliore che abbia mai concesso all’uomo. Abraamo ebbe lo stesso sonno quando si dice che un sonno profondo cadde su di lui, mentre era coricato e vide una fornace fumante e una lampada ardente, e udì una voce che gli diceva: « Non temere, Abraamo, Io sono il tuo scudo e la tua sovrabbondante ricompensa ». Un tale santo sonno fu anche di Giacobbe, quando dormiva coricato per terra con una pietra come guanciale, le siepi come tende, il cielo come tetto, i venti come musica e le bestie come suoi servitori. In sogno, egli vide una scala che si innalzava da terra verso il cielo, e gli angeli di Dio che salivano e scendevano per essa. Anche Giuseppe ebbe lo stesso sonno, quando sognò che gli altri covoni si inchinavano al suo covone e che il sole, la luna e le sette stelle gli erano sottoposti. In tal modo, Davide spesso riposava, quando il sonno gli era dolce. Un tale sonno gustò anche Daniele quando affermò:  » Ero profondamente assopito ed ecco il Signore mi disse: « Alzati e stai in piedi ». Ed inoltre tale fu anche il sonno del padre putativo del nostro Signore benedetto, quando in una visione notturna l’angelo gli disse: « Alzati, Giuseppe, prendi il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, poiché Erode cercherà il bambino per ucciderlo ».
Questi sono sonni miracolosi. L’angelo di Dio ha toccato i suoi servitori con la bacchetta magica del sonno ed essi hanno dormito, non semplicemente come noi, ma il loro è stato un sonno meraviglioso; si sono tuffati nelle profondità del sonno, si sono immersi nel mare del sonno, dove hanno visto l’Invisibile, hanno parlato con lo Sconosciuto ed udito suoni mistici e stupendi; e quando si sono svegliati, hanno detto: « Che dormita! Per certo il sonno è stato dolce per me ». Quindi davvero « Egli dona il sonno ai Suoi diletti ».
Ma oggigiorno non abbiamo più un sonno come questo. Molte persone sognano cose meravigliose, ma la maggior parte sogna sciocchezze. Alcuni fanno affidamento sui sogni e certamente Dio ci avvisa per mezzo di sogni e visioni anche oggi – son sicuro che lo fa. Non c’è un uomo che non possa menzionare uno o più esempi di qualche avvertimento o beneficio ricevuto per mezzo di un sogno. Noi però non abbiamo mai una fiducia assoluta nei sogni. Ricordiamo ciò che disse Rowland Hill ad una donna che diceva di sapere di essere una figlia di Dio poiché sognava ripetutamente una determinata cosa – « Non si preoccupi, signora, di ciò che faceva quando dormiva; vediamo piuttosto cosa farà quando sarà sveglia ». Questa è anche la mia opinione sui sogni. Non crederò mai che un uomo sia cristiano solamente perché ha sognato di esserlo; poiché una religione sognatrice renderà un uomo sognatore per tutta la vita, e tali sognatori avranno alla fine un brutto risveglio, se quello è tutto ciò in cui hanno fiducia.
II. In secondo luogo, Egli dà ai suoi diletti il sonno di una coscienza tranquilla.
Credo che molti di voi abbiano visto quello splendido quadro alla mostra della Royal Academy, il sonno di Argyle, in cui egli è sdraiato addormentato nelle prime ore del mattino prima della sua esecuzione. Si vedono alcuni nobiluomini lì in piedi che lo guardano, quasi con un senso di rimorso; il carceriere è lì con le sue chiavi tintinnanti; ma praticamente l’uomo dorme, sebbene l’indomani la sua testa sarà staccata dal corpo ed un uomo la terrà in mano dicendo: « Questa era la testa di un traditore ». Egli dormiva perché aveva la coscienza a posto in quanto non aveva fatto nulla di male.
Poi considerate Pietro. Avete mai notato quel passo importante degli Atti degli Apostoli in cui viene detto che Erode intendeva portare fuori Pietro al mattino; ma ecco, mentre Pietro stava dormendo fra due guardie, l’angelo lo scosse? Dormiva tra due guardie, quando al mattino doveva essere crocifisso o ucciso! Ma egli non se ne curava, poiché il suo cuore era pulito, non aveva commesso alcun male. Egli poté dire: « Giudicate voi se sia giusto servire Dio o gli uomini » e di conseguenza si coricò e dormì tranquillamente.
Signori, sapete qual è il sonno di una coscienza tranquilla? Siete mai stati il bersaglio delle calunnie da parte di tutti gli uomini, calpestati, oggetti dello scherno, delle risate e del canto di qualche ubriaco? Sapete cosa sia, dopo tutto, dormire, come se nulla vi preoccupasse, perché il vostro cuore era puro? Ahimé, voi che avete dei debiti, voi che siete disonesti, voi che non amate Dio né Cristo, mi chiedo come possiate dormire, poiché il peccato mette spine pungenti nel cuscino. Il peccato infila un pugnale nella testa di un uomo, in modo che ovunque si giri lo punga. Ma una coscienza tranquilla è la musica più dolce che possa far dormire tranquilli. Il demone dell’irrequietezza non si presenta al capezzale dell’uomo che ha la coscienza serena, una coscienza a posto con Dio e che può quindi cantare; « Con il mondo, con me e con te, io dormirò ed in pace sarò ». Così Egli dà il riposo a coloro che ama.
Ma lasciatemi dire a voi che non conoscete la vostra elezione in Cristo Gesù, che non avete fiducia nel lavacro del sangue del Salvatore, a voi che non siete stati mai chiamati dallo Spirito Santo, a voi che non siete stati rigenerati e non siete nati di nuovo – lasciatemi dire che voi non conoscete questo tipo di sonno. Potete dire magari che la vostra coscienza è tranquilla, potete dire di non fare del male a nessuno, e che credete che davanti al Tribunale di Dio avrete poco di cui rendere conto. Ma, signori, voi sapete bene di aver peccato e che le vostre virtù non possono mai espiare i vostri vizi. Voi sapete che l’anima che pecca, anche se pecca una sola volta, deve morire. Se il quadro ha un’unica pecca, non è perfetto. Se voi avete peccato anche solo una volta, voi sarete condannati per questo, a meno che abbiate qualcosa che tolga quell’unico peccato. No, voi non conoscete questo sonno, ma il Cristiano sì, poiché tutti i suoi peccati sono stati posti sul capo del capro espiatorio antico. Cristo è morto per tutti i suoi peccati, grandi o piccoli che fossero, e adesso non c’è alcun peccato segnato a suo carico nel Libro di Dio. « Io sono Colui (dice Dio), « che si carica delle tue trasgressioni per amore del mio nome e non ricorderò più i tuoi peccati ». Adesso tu puoi dormire, poiché « Egli dà il sonno ai suoi diletti ».
III. Ed ancora c’è il sonno della soddisfazione, di cui il Cristiano può godere.
Nessun uomo mai sente la necessità di offrire una ricompensa di un migliaio di sterline a chi è contento del suo stato, perché se qualcuno venisse a reclamare tale compenso, dimostrerebbe ovviamente di non essere soddisfatto, contento. Ho il sospetto che tutti, in una certa misura, siamo insoddisfatti della nostra sorte; la maggior parte degli esseri umani è sempre in movimento; non si fermano mai, non scendono mai su qualche albero per costruire il proprio nido, ma svolazzano sempre da un albero all’altro. Quest’albero non è abbastanza verde, quello non è abbastanza alto, questo non è abbastanza bello, quello non è pittoresco – e quindi sono sempre in volo e non costruiscono per niente un nido sicuro. Il Cristiano invece costruisce il suo nido e come affermò il nobile Lutero: « Come quel piccolo uccellino sull’albero, si è nutrito stanotte, ma non sa dove farà la colazione domani. Sta posato lì, mentre i venti scuotono l’albero; chiude gli occhi, mette la testa sotto l’ala e dorme; e quando si sveglia al mattino, canta ». I mortali smettono di faticare e soffrire; Dio provvederà per il domani.
Quante poche persone vi sono che possiedono questo benedetto stato di soddisfazione e che quindi possono dire: « Non voglio altro, non voglio che poche cose quaggiù, sì, non desidero niente altro, sono soddisfatto e contento ».
Avete cantato un bellissimo inno proprio adesso, ma ho il sospetto che molti di voi non abbiano il diritto di farlo perché non lo sentite veramente – « Con la tua volontà io abbandono il resto, ma concedimi solo questo: sia in vita che in morte, come ti pare, che io provi i segni del tuo amore particolare ». Potevate dire che non volevate altro che Gesù sulla terra? Intendevate dire che siete completamente soddisfatti e che dormite il sonno dell’appagamento? Ah, no! Voi che eravate apprendisti, state mirando a diventare operai qualificati; voi che siete operai qualificati brontolate, perché vorreste essere voi i padroni; i padroni non vedono l’ora di andare in pensione e lasciare gli affari, e quando sono in pensione, sono impazienti di vedere tutti i loro figli sistemati nella vita.
L’uomo guarda sempre un po’ più in là; è un marinaio che non arriva mai in porto, una freccia che non colpisce mai il bersaglio. Il credente invece dorme tranquillo.
Una notte non potevo riposare, e mentre i miei pensieri vagavano qua e là senza meta, incontrai questo testo e mi confrontai con esso – « Egli dà il sonno a coloro che ama ». Nel mio sogno ad occhi aperti, in quanto mi trovavo al confine della terra dei sogni, mi pareva di essere in un castello. Intorno alle sue mura possenti c’era un fossato profondo. Le guardie andavano su e giù per le mura giorno e notte. Era una bella fortezza antica, che sfidava il nemico. Ma non ero felice lì dentro. Pensavo di essere coricato su di un giaciglio; ma avevo chiuso a mala pena gli occhi che udii il suono di una tromba: « Allarmi! Allarmi! » Quando il pericolo fu superato, mi sdraiai di nuovo. « Allarme! Allarme! » risuonò di nuovo, e così mi alzai un’altra volta. Insomma non potevo mai riposare. Pensavo di avere addosso l’armatura; mi muovevo continuamente vestito di maglie di ferro, correndo ogni ora in cima al castello e sempre risvegliato da qualche nuovo allarme. Una volta il nemico proveniva da occidente, un’altra volta da oriente. Credevo di avere un tesoro nascosto giù in qualche parte profonda del castello, e la mia preoccupazione era di sorvegliarlo. Vivevo nel terrore che me lo portassero via. Mi svegliai completamente col pensiero che non avrei vissuto volentieri in una torre come quella, nonostante la sua grandiosità. Quello era il castello dell’insoddisfazione, il castello dell’ambizione nel quale l’uomo non riposa mai. Infatti si sente sempre il grido, « Allarme! Allarme! ». C’è un nemico qui ed un nemico là; il suo beneamato tesoro deve essere custodito. Il sonno non attraversa mai il ponte levatoio del castello dell’insoddisfazione.
Poi pensai di rimpiazzare questo sogno con un altro. Mi trovavo in una casa di campagna, situata in uno di quei luoghi che i poeti definiscono ameno e bellissimo, ma non me ne importava nulla. Non avevo alcun tesoro al mondo, tranne un gioiello scintillante sul petto, e pensavo di mettere la mano su questo gioiello e di andare a letto. Non mi svegliai fino
all’alba. Quel tesoro rappresentava la mia coscienza tranquilla e l’amore di Dio – rappresentava « la pace che sorpassa ogni conoscenza ». Dormii, perché dormivo nella casa della soddisfazione, soddisfatto, appunto, di ciò che avevo.
Via da me voi avari che fate il passo più lungo della gamba! Via da me uomini avidi e ambiziosi! Non invidio la vostra vita di inquietudine! Il sonno degli uomini di stato viene spesso interrotto; il sonno del meschino è sempre cattivo; il sonno dell’uomo che ama il guadagno non è mai tranquillo. Ma Dio « dà » mediante la soddisfazione o contentezza, « ai suoi diletti il sonno ».
IV. Ma c’è di più: Dio dà ai suoi diletti il sonno della serenità d’animo riguardo al futuro. Oh, quel futuro oscuro! Quel futuro! Quel futuro! Il presente può essere favorevole ma, ah il prossimo vento può far seccare tutti i fiori e dove sarò io? Afferra il tuo oro, o spilorcio, poiché « le ricchezze mettono le ali e volano via ». Stringiti al seno il tuo bambino, o madre, poiché la ruvida mano della morte può rubartelo. Considera la tua celebrità e rifletti, o tu uomo ambizioso! Ma una critica che sembra insignificante potrebbe colpirti al cuore e tu protesti spronfondare in basso tanto quanto sei stato innalzato in alto dalle voci della folla.
Il futuro! Tutti hanno motivo di temere il futuro, tranne il Cristiano. Dio dà a coloro che ama un sonno tranquillo anche per quanto riguarda gli eventi futuri.
« Qualunque sia il mio futuro, non me ne curo; ciò che Dio stabilisce è la cosa migliore, e questo certamente fa riposare il mio cuore ».
Sia che debba vivere o morire non mi importa; sia che debba essere « il rifiuto di tutti » o « l’uomo che il re si compiace di onorare » non mi interessa. Tutto è uguale per me, a condizione che sia mio Padre a darmelo – « Quindi Egli concede il sonno ai Suoi diletti ».
Quanti di voi avete raggiunto quello stato felice nel quale non sentite affatto il desiderio di possedere qualcosa? E’ una cosa buona avere un solo desiderio, ma è cosa migliore non avere alcun desiderio, godendo della presenza di Cristo nella nostra vita, in vista dell’incontro faccia a faccia con Lui.
Oh anima mia! Quale sarebbe il tuo futuro se tu non avessi Cristo? Se anche fosse, umanamente parlando, un futuro buio e triste, poco importerebbe, purché Cristo, il tuo Signore, lo santifichi, e lo Spirito Santo ti dia coraggio, energia e forza.
E’ una benedizione essere in grado di dire con Madame Guyon: « Per me è lo stesso, purché l’ordini l’amore, vita o morte, sofferenza o conforto. L’anima mia non soffre veramente nel dolore, né si delizia negli agi e nella buona salute: solo un bene desidera, e quello solo, cioè fare, o Dio, la Tua volontà, libero dall’egoismo, preferendo una casetta al trono, la sofferenza al conforto, se questo è quel che ti piace. Tu ci hai ordinato di portare la Tua croce, cioè di morire al mondo e di non vivere più nel peccato. Sono quindi pronto a soffrire impassibile sotto i colpi di una mano crudele, così come sono contento quando faccio naufragio o quando sono sicuro sulla spiaggia ».
Questo è davvero uno stato felice da raggiungere, poiché « Egli dà il sonno ai Suoi diletti ».
Ah, se voi avete caparbietà nei vostri cuori, chiedete a Dio di sradicarla! Avete egoismo? Supplicate lo Spirito Santo che lo scacci; poiché se desiderate fare sempre la volontà di Dio, voi dovete essere felici. Ho sentito di una vecchia signora che abitava in una casa di campagna e non aveva nient’altro che un pezzo di pane e un po’ d’acqua. Eppure alzando le braccia a mo’ di benedizione diceva; « Cosa! Tutto questo ed anche Cristo? » E’ il « tutto questo » confrontato con ciò che meritiamo.
Ho letto anche di una persona morente, alla quale fu chiesto se desiderava vivere o morire; egli rispose: « Non ho nessun desiderio in merito ». « Ma se tu potessi desiderare, cosa sceglieresti? » « Non sceglierei affatto ». « Ma se Dio ti imponesse di scegliere? » « Implorerei Dio di scegliere al posto mio, perché io non saprei cosa desiderare ». Che condizione felice! Essere perfettamente arrendevole, arrendersi nella Sua mano e non conoscere altra volontà che la Sua! Sì! « Egli dà il riposo ai Suoi diletti ».
V. In quinto luogo c’è il sonno della sicurezza. Salomone dormiva con uomini armati intorno al letto e così dormiva al sicuro. Ma il padre di Salomone una notte dormì sulla nuda terra, non in un palazzo, senza il fossato intorno alle mura del castello, ma egli dormiva sicuro come suo figlio, in quanto aveva dichiarato: « Mi sono coricato ed ho dormito, e mi sono risvegliato, poiché il Signore mi ha sostenuto ».
Ora, alcune persone non si sentono affatto al sicuro in questo mondo; mi chiedo se la metà dei miei ascoltatori si senta così. Supponete che fra un attimo mi mettessi a cantare così: « Resisterò fino alla fine, fidandomi del pegno datomi; più felici, ma non più sicuri sono gli spiriti glorificati nel cielo ». Voi direste che questa è una dottrina troppo profonda, ed io risponderei che probabilmente lo è per voi, ma è la verità di Dio ed è dolce dottrina per me sapere che se sono predestinato secondo la preconoscenza di Dio Padre, devo essere salvato; se sono stato acquistato con il sangue del Figlio non posso essere perduto, perché sarebbe impossibile per Gesù Cristo perdere uno che ha redento, altrimenti Egli sarebbe deluso della Sua opera. Io so che dove Egli ha iniziato una buona opera, la porterà avanti.
Non ho mai timore di deviare o di perdermi; il mio unico timore è che io non abbia avuto ragione prima; ma, ammesso che io abbia ragione, se io sono veramente un figlio di Dio, potrei credere che il sole potrebbe impazzire e rotolare per l’universo come un ubriaco; potrei credere che le stelle potrebbero abbandonare la loro rotta e invece di muoversi secondo un determinato ordine, come fanno adesso, volteggiare confusamente, come in una danza dei Baccanali; potrei perfino concepire che questo grande Universo possa tutto acquietarsi in Dio proprio come la schiuma si deposita di nuovo sull’onda che la porta. Ma né la ragione, né l’eresia, la logica, l’eloquenza, né un conclave ecclesiastico attirerebbero la mia attenzione per un solo momento sul vile suggerimento che un figlio di Dio possa perire. Perciò cammino su questa terra con fiducia.
Discutendo qualche tempo fa con un Arminiano mi disse: « Signore, voi dovreste essere un uomo felice, perché se ciò che dite è vero, allora voi siete sicuro di essere in Cielo come se foste già là ». Risposi: « Sì, lo so ». « Allora dovreste vivere affrontando tranquillamente preoccupazioni e tribolazioni e cantare felice dalla mattina alla sera ». Ed io replicai: « Dovrei farlo, e così farò con l’aiuto di Dio ». Questa è la sicurezza – « Egli dà il sonno ai suoi diletti ».
Sapere che se dovessi morire, entrerei nel Cielo – essere sicuro come lo sono della mia esistenza, che Dio, avendomi amato di un amore eterno, ed essendo immutabile, non mi odierà mai, se una volta mi ha amato; sapere che devo entrare nel Regno di Gloria, non è questo sufficiente a rendere tutti i pesi leggeri e darmi i piedi della cerva cosicché io possa ergermi sulle alture?
Oh felice stato della sicurezza! Perciò egli dà ai suoi diletti il sonno.
E c’è un riposo, miei cari amici, che viene dalla sicurezza, di cui si può godere sulla terra persino in mezzo ai problemi più grandi. Ricordate quel passo nel libro di Ezechiele dove viene detto: « Essi dimoreranno al sicuro nel deserto e dormiranno nei boschi »? (Ezechiele 34:25). Un posto strano in cui dormire! Nei boschi. C’è un lupo laggiù, una tigre nella giungla, un’aquila si alza nel cielo, un’orda di ladri dimora nella foresta oscura. « Non importa », dice il Figlio di Dio – « colui che ha fatto di Dio il suo rifugio, troverà una dimora più che sicura, camminerà tutto il giorno alla sua ombra e là, alla sera, poserà il suo capo ».
Ho ammirato spesso Martin Lutero e mi sono stupito della sua calma. Quando tutti parlavano male di lui cosa disse? Considerate quel Salmo: « Dio è il nostro rifugio e la nostra forza, un aiuto sempre pronto nelle difficoltà; perciò noi non temeremo anche se la terra è sconvolta, se i monti si muovono in mezzo al mare » (Salmo 46:1-2).
In misura molto più piccola, mi sono trovato nella stessa situazione di Martin Lutero; sono stato fatto bersaglio di critiche, oggetto di riso e scherno, ma tutto questo non ha ancora spezzato il mio spirito, né lo farà, in quanto sono in grado di godere di quello stato di tranquillità – « quindi Egli dà il sonno ai suoi diletti ». Ma mi permetto di informare coloro che scelgono di calunniarmi o di parlare male di me, che sono i benvenuti nel farlo, finché non si stancheranno. Il mio motto è « Cedo nulli », cioè « Non mi arrendo a nessuno ».
Non sono mai andato in cerca dell’affetto di nessuno; non ho chiesto ad alcuno di prestare attenzione al mio ministero; predico ciò che mi piace, quando mi piace e come mi piace. Oh, felice condizione: essere coraggioso, sebbene abbattuto ed afflitto; andare a inginocchiarmi e dire a mio Padre tutto, e poi scendere dalla mia cameretta e dire: « Se a causa del tuo amato nome, la vergogna ed il biasimo mi colpiranno, darò il benvenuto al rimprovero e darò il benvenuto alla vergogna, poiché tu ti ricorderai di me ».
VI. L’ultimo sonno che Dio concede ai suoi diletti è il sonno di un felice congedo. Sono stato presso la tomba di molti servi del Signore. Ho sepolto alcuni degli uomini eccellenti della terra, e quando do l’addio ad un mio fratello che giace giù nella sua bara, di solito inizio il mio discorso con queste parole: « Egli dona il sonno a coloro che ama ». Cari servi del Signore! Vi vedo là! Cosa posso dire di loro se non « Egli dona il riposo a coloro che ama »? Oh, felice sonno! Questo mondo è in continuo movimento, ma in quella tomba essi riposano. Niente dolore là; niente sospiri, lamenti che si mescolino con i canti sgorganti da lingue immortali. Posso ben rivolgermi ai morti in questo modo: « Fratello mio, spesso tu hai combattuto le battaglie di questo mondo; hai affrontato i tuoi problemi, le tue prove ed i tuoi dolori, ma ora sei andato, non in un mondo sconosciuto, ma nella terra della luce e della gloria. Dormi pure fratello! La tua anima non dorme, poiché sei in cielo, ma il tuo corpo riposa. La morte ti ha posto sull’ultimo giaciglio; può darsi che esso sia freddo, ma è santificato; può darsi che sia umido, ma è sicuro; e nella mattina della resurrezione, quando l’Arcangelo porterà la sua tromba alla bocca, tu risorgerai – « Beati coloro che muoiono nel Signore; sì, dice lo Spirito, poiché essi si riposano dalle loro fatiche e le loro opere li seguiranno » (Apocalisse 14:13). Dormi nella tua tomba, fratello mio, poiché tu risorgerai in gloria. Quindi « Dio dà il riposo a coloro che Egli ama ».
Alcuni di voi hanno paura di morire, e a buona ragione, poiché la morte per voi sarebbe l’inizio dei dolori ed al suo avvicinarsi potreste udire la voce dell’Angelo dell’Apocalisse: « Una calamità è passata, ma ecco altri due guai stanno per arrivare ». Signori, se dovessimo morire impreparati, inconvertiti e quindi non salvati, non ci rimarrebbe niente altro che una terribile attesa del giudizio e l’ardore di un fuoco che divorerà i ribelli (Ebrei 10:27).
Non c’è bisogno di parlare come un « figlio del tuono » (Marco 3:17), poiché è una verità ben nota a voi che, senza Dio, senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza dei santi, la vostra sorte sarà fra i dannati, i demoni, i torturati, le anime che non trovano riposo. « Gettàti sopra onde di ardente zolfo infernale, per sempre, per sempre perduti! »
« L’ira a venire! L’ira a venire! » Ma, amato fratello credente, perché hai paura di morire? Vieni, fatti prendere per mano. A te e a me per grazia è stato dato di conoscere il prezioso nome del Salvatore; e fra breve incontreremo in cielo il nostro scopo, la nostra speranza, la nostra via.
Sai che il Paradiso è proprio al di là di quel fiume stretto? Hai paura di tuffarti dentro e nuotarci? Temi di annegare? Io sento il fondo, è buono. Pensi che sprofonderai? Ascolta la voce dello Spirito: « Non temere, Io sono con te, non smarrirti, Io sono il tuo Dio, quando attraverserai il fiume, io sarò con te e le onde non ti sommergeranno ».
La morte è la porta della gioia infinita e tu temi di passarvici? Cosa? Hai paura di essere liberato dalla corruzione? Oh, non dire così, ma piuttosto coricati felicemente e riposati in Gesù e sii benedetto.
Ho terminato di trattare questo tema. C’è solo una domanda che voglio ancora farvi prima che oltrepassiate quella porta. Credete sul serio di appartenere ai « diletti » menzionati qui? Posso essere indiscreto nel farvi una tale domanda – sono stato accusato proprio di questo in precedenza, ma non l’ho mai negato, piuttosto me ne sono attribuito il merito. Ma ora ancora seriamente e solennemente vi chiedo: credete di essere fra i « diletti »? E se accade che vogliate una prova, permettetemi di darvene tre, molto brevemente, e poi ho finito.
E’ stato detto che ci sono tre generi di predicatori: i predicatori dottrinali, i predicatori sperimentali e i predicatori pratici. Ora, io credo che ci siano tre elementi che costituiscono un Cristiano: una sana dottrina, un’ esperienza reale ed una buona pratica.
Consideriamo ora la vostra dottrina. Potete dire se appartenete ai diletti del Signore in parte in base ad essa. Alcuni pensano che non sia importante ciò che un uomo crede. Scusatemi – la verità è sempre preziosa, e l’ultimo atomo di verità è degno di essere scoperto. Oggigiorno le sette non si scontrano così tanto quanto nel passato. Forse questo è un bene, ma c’è il rovescio della medaglia: la gente non legge più la Bibbia come una volta. Si pensa che in fondo tutti abbiano ragione. Ora, io credo che possiamo essere tutti nel giusto parlando così, in generale, ma non abbiamo tutti ragione quando ci contraddiciamo l’un l’altro, e quindi ognuno dovrebbe esaminare la Bibbia per vedere che cosa è giusto.
Non ho paura di sottomettere il mio Calvinismo o la dottrina del battesimo del credente al vaglio della Bibbia. Un nobile colto, ma miscredente, disse una volta a Whitffeld: « Signore, sono un miscredente, non credo nella Bibbia, ma se la Bibbia è vera, voi avete ragione ed i vostri avversari arminiani sbagliano. Se la Bibbia è la Parola di Dio, la dottrina della grazia è vera », e aggiunse che se chiunque gli avesse garantito che la Bibbia era la verità, egli lo avrebbe sfidato a confutare il Calvinismo.
Le dottrine del peccato originale, dell’elezione, della chiamata efficace, della perseveranza finale, e tutte quelle grandi verità che si chiamano Calvinismo – sebbene Calvino non ne fosse l’autore, ma semplicemente un abile scrittore e un predicatore di tale argomento, sono, secondo me, le dottrine fondamentali del Vangelo che è in Gesù Cristo. Ora, io non vi chiedo se voi credete tutto questo; è possibile di no, ma io credo che voi lo crederete prima di entrare in Cielo. Io sono persuaso che, come Dio ha lavato i vostri cuori, Egli laverà anche le vostre menti prima che entriate in Cielo. Egli farà in modo che accettiate le dottrine giuste.
Ma io devo chiedervi se leggete la Bibbia. Io non ho nulla da ridire sul vostro conto questa mattina per il fatto che siete diversi da me; può darsi che io mi sbagli. Ma io voglio sapere se voi investigate le Scritture per trovare ciò che è la verità. E se non siete lettori della Bibbia, se accettate dottrine di seconda mano, se andate nella sala di culto e dite « Questo non mi piace », cosa importa che non vi piaccia, purché sia nella Bibbia? E’ questa una verità biblica o non lo è? Se è la verità di Dio, esaltiamola! Può anche non piacervi, ma lasciatemi ricordarvi che la verità che è in Gesù non è stata mai gradita agli uomini carnali ed io credo che non lo sarà mai. Il motivo per cui non lo amate, è perché essa ferisce troppo il vostro orgoglio, vi umilia. Esaminatevi dunque quanto alle dottrine bibliche.
Poi non dimenticatevi dell’esperienza. Ho paura che ci sia scarsa pratica fra di noi; ma dove c’è la sana dottrina, ci dovrebbe essere sempre un’esperienza vitale. Signori, mettetevi alla prova mediante l’esperienza. Avete mai avuto un’esperienza della vostra miseria, del vostro stato di depravazione, della vostra incapacità, della vostra morte nel peccato? Avete mai gustato la vita in Cristo, l’esperienza della luce del volto di Dio, di lotte con la corruzione? Avete fatto l’esperienza di comunione con Cristo, indotta dallo Spirito Santo e concessa per grazia? Se così, avete superato la prova dell’esperienza personale.
E, per concludere, abbiate cura della prova pratica. « La fede senza le opere è morta ». Colui che cammina nel peccato, è figlio del Diavolo, e colui che cammina nella giustizia è figlio della Luce. Non pensate di essere giusti, perché credete nelle dottrine giuste. Ci sono molti che credono giusto, ma agiscono in modo sbagliato e di conseguenza periscono. « Non vi ingannate; non ci si può beffare di Dio, perché quello che l’uomo avrà seminato quello pure mieterà » (Galati 6:7).
Ho finito. Lasciate che vi supplichi per la fragilità della vostra vita per la brevità del tempo, per le terribili realtà dell’eternità, per i peccati da voi commessi, per il perdono di cui avete bisogno, per il sangue e le ferite di Gesù, per la Sua seconda venuta per giudicare il mondo con giustizia, per la gloria del Cielo, per gli orrori dell’Inferno, per il tempo, per l’eternità, per tutto ciò che è buono, per tutto ciò che è sacro, lasciate che vi chieda, poiché voi amate le vostre anime, di investigare e vedere se siete fra i « diletti », coloro ai quali Dio dà il sonno. Dio vi benedica!

SENTIMENTI DI AMORE E DI TRISTEZZA VERSO ISRAELE (commento a Rm 9, 1-5)

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SENTIMENTI DI AMORE E DI TRISTEZZA VERSO ISRAELE

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“1 Dico la verità in Cristo, non mento – poiché la mia coscienza me lo conferma per mezzo dello Spirito Santo – 2 ho una grande tristezza e una sofferenza continua nel mio cuore; 3 perché io stesso vorrei essere anatema, separato da Cristo, per amore dei miei fratelli, miei parenti secondo la carne, 4 cioè gli Israeliti, ai quali appartengono l’adozione, la gloria, i patti, la legislazione, il servizio sacro e le promesse; 5 ai quali appartengono i padri e dai quali proviene, secondo la carne, il Cristo, che è sopra tutte le cose Dio benedetto in eterno. Amen!” (Romani 9:1-5).
In questo capitolo l’apostolo Paolo parla degli Israeliti (che egli chiama “miei parenti secondo la carne”) e del particolare ruolo che essi hanno avuto nei propositi di salvezza di Dio. Egli esprime qui la sua grande tristezza per il fatto che la maggioranza degli Israeliti non abbiano accolto Gesù di Nazareth come il Messia atteso e del quale tutte le Scritture antiche rendono testimonianza. Il suo amore per il popolo ebraico è così grande che egli qui afferma: “Se solo si potesse fare uno scambio! Io mi offrirei ben volentieri ad essere io stesso maledetto, separato da Cristo e perduto e tutti loro salvati!”.
Per quanto vi sia chi afferma il contrario e con indignazione alcuni considerino scandaloso il solo menzionarlo, Paolo, all’unisono con tutto il Nuovo Testamento, dice chiaramente che “non c’è distinzione tra Giudeo e Greco, essendo egli lo stesso Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti chiunque avrà invocato il nome del Signore [Gesù] sarà salvato” (Romani 10:12). Sì, “in nessun altro è la salvezza; perché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati » (Atti 4:12): Gesù di Nazareth. “Egli è « la pietra che è stata da voi costruttori rifiutata, ed è divenuta la pietra angolare » (Atti 4:11). È un atto d’amore per Paolo e pure per noi, dire agli Israeliti, e a chiunque altro: “Non vi sarà per voi salvezza alcuna davanti a Dio se non vi affidate di tutto cuore a Gesù di Nazareth come vostro Signore e Salvatore, confessandolo come il Messia atteso”. Non esiste altra alternativa se si prende sul serio il messaggio del Nuovo Testamento come ispirata Parola di Dio, e questo senza tanti “sì”, “ma” e “però”…
Che molti Israeliti respingano Gesù di Nazareth e neghino che Egli sia il Messia, è indubbiamente triste e tragico, perché così svuotano di significato l’intera loro storia ed identità. Essa, infatti, era finalizzata proprio per portare alla luce e presentare al mondo Gesù, “il Cristo, che è sopra tutte le cose Dio benedetto in eterno” (5).
Agli Israeliti Dio ha concesso, infatti, onori e privilegi stupefacenti: (1) sono stati i primi ad essere chiamati ad essere figli adottivi di Dio; (2) Dio si era compiaciuto di manifestare la Sua gloria in modo unico proprio in mezzo a loro, nell’arca e nel tempio; (3) Dio aveva stabilito con loro uno speciale patto d’alleanza, più volte confermato; (4) Dio ha rivelato in modo altrettanto unico a Mosè le Sue leggi (la legislazione); (5) Dio ha rivelato loro il modo con il quale Egli vuole che Gli si renda culto (il servizio sacro); (6) Dio ha fatto e mantenuto verso di loro stupefacenti promesse. La cosa, però, più grande di tutte, (7) Dio ha fatto nascere fra di loro, come ebreo, Gesù, il Cristo, il Messia, il Salvatore del mondo, Dio stesso con noi! Quali indicibili privilegi! Ciononostante, come afferma Giovanni: “È venuto in casa sua e i suoi non l’hanno ricevuto” (Giovanni 1:11).
Grazie a Dio, però, anche se non la maggioranza, molti Israeliti nel corso della storia ed ancora oggi, hanno riconosciuto Gesù di Nazareth come il vero ed unico atteso Messia, L’hanno seguito e Lo seguono fedelmente. Ammiriamo il loro coraggio ed anticonformismo ed onoriamo la loro identità storica. La chiesa cristiana, come annunciavano già gli antichi profeti d’Israele, ora include nella stessa grazia e privilegi, gente d’ogni nazione. La nostra storia è stata innestata nella loro. I propositi di Dio non sono e non saranno mai frustrati da niente e da nessuno, nemmeno dalle nostre infedeltà. Amiamo gli Israeliti e, con umiltà e delicatezza, con la parola e con il buon esempio, li accompagniamo a riporre la loro fiducia in Gesù, “il Cristo, che è sopra tutte le cose Dio benedetto in eterno” (5).

PREGHIERA
Signore Iddio, che in noi non manchi mai la nostra stima ed il nostro rispetto per gli Israeliti. Ti chiediamo perdono per tutti quei cristiani che, nel corso della storia, hanno mancato loro di rispetto e li hanno in vario modo osteggiati e persino soppressi. Fa’ sì che con la parola e l’esempio noi si possa rendere buona testimonianza al Cristo, affinché molti di loro lo riconoscano come quello che è, cioè il Messia, Salvatore nostro e loro. Amen.

LA BIBLIOTECA DELL’APOSTOLO PAOLO

http://camcris.altervista.org/spurgeon16.html

LA BIBLIOTECA DELL’APOSTOLO PAOLO

di C. H. Spurgeon

(Sermone tratto dal sito Cristiani Evangelici, pubblicato con permesso)

« Quando verrai porta il mantello che ho lasciato a Troas presso Carpo e i libri, soprattutto le pergamene » (2 Timoteo 4:13).

    Che cosa leggeva l’apostolo Paolo? Non lo sappiamo e possiamo solo indovinare che cosa fossero queste pergamene a cui egli fa riferimento. Paolo aveva lasciato a Troade dei libri a cui teneva, forse avvolti in un mantello. Anche un apostolo deve leggere. Alcuni dei nostri fratelli in fede ritengono che un predicatore che legge dei libri e prepara attentamente il suo sermone sia un predicatore piuttosto deplorevole. Mentre un uomo che sale sul pulpito affermando di cogliere sul momento il testo biblico su cui predicherà e dice una quantità di banalità, per alcuni è il massimo… Se poi parla senza premeditazione, o afferma di farlo senza cibare il cervello di gente spiritualmente morta – allora quello è un vero predicatore!
Eppure l’apostolo Paolo è un rimprovero vivente per gente così. Egli è ispirato, e ciononostante vuole… i suoi LIBRI! Ha predicato per almeno trent’anni, e vuole ancora dei LIBRI! Ha visto il Signore e vuole ancora dei LIBRI! Ha avuto l’esperienza più vasta che si possa immaginare, e ha ancora bisogno di LIBRI! E’ stato rapito al terzo cielo, ha udito cose che non è neppure lecito ad un uomo di proferire, e vuole ancora dei LIBRI! Ha scritto la maggior parte del Nuovo Testamento, e vuole ancora dei LIBRI! L’apostolo dice a Timoteo, e a ciascuno di noi, specialmente se predicatore: « Applicati alla lettura ».
    L’uomo che non legge mai, non sarà mai letto; colui che non cita mai, non sarà mai citato. Colui che non è pronto ad usare il prodotto del cervello di altri uomini, dimostra di non avere un cervello. Fratelli, quel che è vero per i predicatori, è vero anche per tutti. Voi avete bisogno di leggere.
Rinunciate pure a tutta la letteratura leggera, ma fintanto che vi è possibile, studiate sana letteratura teologica, specialmente quella dei Puritani e le esposizioni della Bibbia. Siamo persuasi che per voi il modo migliore di passare il tempo libero sia leggere oppure pregare. Potrete acquisire molta conoscenza da libri che potrete in seguito usare come un’autentica arma al servizio del Signore. Paolo dice: « Porta i libri ». Non dovremmo noi fare altrettanto?
La nostra seconda osservazione è che l’apostolo non si vergogna di confessare di leggere. Egli scrive al suo figlio in fede Timoteo. Ora, alcuni vecchi predicatori del passato non permetterebbero mai ai giovani di scoprire i loro segreti. Si atteggiano a grande dignità e fanno mistero della loro arte di predicare, ma tutto questo è alieno dallo spirito di trasparenza che dovremmo avere. Paolo vuole i suoi libri e non si vergogna di dire a Timoteo che lui legge e Timoteo potrà andare a dire questo a Tichico, se lo vorrà, ma a Paolo non importa. Paolo qui è un autentico esempio di praticità. E’ in prigione, non può predicare, così legge. Era così per certi pescatori del passato: avevano perduto le loro barche, e allora che facevano? Rammendavano le loro reti. Così, se la provvidenza ti fa stare a letto ammalato e non puoi insegnare alla tua classe, se non puoi lavorare per Dio in pubblico, rammenda le tue reti leggendo. Se un’occupazione ti è tolta, prendine un’altra e lascia che i libri dell’Apostolo ti insegnino qualcosa almeno di pratico.

INTERPRETAZIONE DEI PRIMI TRE COMANDAMENTI – DIETRICH BONHOEFFER

http://www.atma-o-jibon.org/italiano3/bonhoeffer2.htm

DIETRICH BONHOEFFER 

LE DIECI PAROLE DEL SIGNORE: PRIMA TAVOLA

INTERPRETAZIONE DEI PRIMI TRE COMANDAMENTI

(forse l’ho già messo, ma è sempre bello!)

In mezzo a tuoni, lampi, dense nubi, terremoti e terrificante squillare di tromba Dio manifesta al suo servo Mosè sul Monte Sinai i dieci comandamenti. Non si tratta del risultato di lunghe riflessioni di uomini saggi ed esperti della vita umana e dei suoi ordini: è la Parola rivelata di Dio, al cui suono la terra trema e gli elementi si scatenano. Non si tratta di una saggezza universale, offerta ad ogni uomo pensante, ma di un avvenimento sacro, al quale persino il popolo di Dio non può avvicinarsi pena la morte; di una rivelazione di Dio nella solitudine della vetta di un vulcano fumante: ecco come i dieci comandamenti entrano nel mondo. Non è Mosé a dadi; li dà Dio; non è Mosé a scriverli; li scrive Dio stesso con il suo dito su tavole di pietra, come ripetutamente ed energicamente sottolinea la Bibbia: «E non aggiunse altro» (Deut. 5,19), cioè Dio in persona scrisse solo queste parole; in esse è compresa tutta la volontà di Dio. La preminenza dei dieci comandamenti di fronte a tutte le altre parole di Dio è messa in rilievo con la massima chiarezza dal fatto che le due tavole vengono conservate nell’arca nel Santo dei santi. I dieci comandamenti hanno il loro posto nel santuario; bisogna cercarli qui, nel luogo della benevola presenza di Dio nel mondo, e da qui sempre di nuovo essi si diffondono nel mondo (Is. 2,3 ).
In ogni tempo gli uomini si sono chiesti qual è il principio fondamentale della loro vita, ed è un fatto assai strano che i risultati di queste riflessioni concordano quasi sempre tra di loro e per lo più con i dieci comandamenti. Ogni volta che le situazioni umane sono scosse da profondi rivolgimenti e disordini esteriori o interiori, gli uomini che sanno mantenere la chiarezza e l’avvedutezza della riflessione e del giudizio riconoscono che senza timor di Dio, senza rispetto dei genitori, senza protezione della vita, del matrimonio, della proprietà e dell’onore – qualunque sia la forma di questi beni – non è possibile che gli uomini vivano insieme. Per riconoscere queste leggi della vita non è necessario essere cristiani, basta seguire la propria esperienza e la propria sana ragione. Il cristiano prova piacete ad avere in comune con altri uomini questi concetti così importanti. È pronto a collaborate e a lottate con loro dove si tratta di realizzare scopi comuni. Non si meraviglia che in ogni tempo certi uomini abbiano raggiunto le stesse conclusioni sulla vita umana, che, per lo più, coincidono con i dieci comandamenti; infatti i comandamenti sono stati dati appunto dal creatore e conservatore della vita. Ma ciononostante il cristiano non dimentica mai la differenza fondamentale che c’è tra queste leggi della vita e i comandamenti di Dio. In quelle è la ragione a parlare, in questi Dio. La ragione umana predice al trasgressore delle leggi della vita che la vita stessa si vendicherà su di lui portandolo, dopo un iniziale apparente successo, al fallimento ed all’infelicità. Ma Dio non parla della vita, dei suoi successi o fallimenti, Egli parla di se stesso. La prima Parola di Dio nei dieci comandamenti è ‘Io’. L’uomo deve trattare con questo « io », non con una legge generale, non con un « si deve fare questo o quello », ma col Dio vivente. In ogni parola dei dieci comandamenti, in fondo, Dio parla di se stesso; e questo, nei comandamenti, è la cosa più importante. Sono, infatti, la rivelazione di Dio. Nei dieci comandamenti non obbediamo a una legge ma a Dio; e la nostra trasgressione non è un fallimento di fronte alla Legge, ma di fronte a Dio stesso. Non solo disordine e insuccesso colpiscono il trasgressore, ma l’ira stessa di Dio. Non è solo stoltezza trasgredire il comandamento di Dio, ma è peccato, ed il salario del peccato è la morte. Perciò il Nuovo Testamento chiama i dieci comandamenti « Parole di vita » (Atti 7,38).
Forse invece di dire « dieci comandamenti » sarebbe meglio parlare delle « dieci parole » di Dio, come si esprime la Bibbia (Deut. 4,13). Così, non li confonderemmo tanto facilmente con le leggi umane, e non metteremmo tanto facilmente da parte le prime parole: «Io sono il « Signore, l’Iddio tuo», come se si trattasse di un preambolo che veramente non fa parte dei dieci comandamenti e non sta bene nel contesto. In realtà, invece, proprio queste prime parole sono le più importanti, la chiave dei dieci comandamenti; ci fanno vedere in che cosa il comandamento di Dio si distingue per tutta l’eternità dalle leggi umane. Nei dieci comandamenti Dio parla altrettanto della sua grazia quanto del suo comandamento. Non si tratta di un brano che in certo qual modo potremmo considerare volontà di Dio, separatamente da Dio; in essi al contrario si manifesta tutto il Dio vivente quale è veramente. Questa è la cosa fondamentale.
I dieci comandamenti, come li conosciamo noi, sono un’abbreviazione del testo biblico. Chi ci dà il diritto di allontanarci in questo modo dalla Bibbia in un passo così decisivo? La chiesa cristiana universale ascolta i dieci comandamenti in forma diversa dal popolo di Israele. Ciò che riguarda Israele quale popolo dotato di una realtà politica, non è vincolante per la chiesa cristiana, che è popolo spirituale in mezzo a tutti i popoli. Perciò la chiesa, nella libertà della sua fede nel Dio dei comandamenti, ha osato sostituire la traduzione letterale del testo biblico con una traduzione che è esegesi ecclesiastica del testo. «Io sono il Signore, l’Iddio tuo»: quando Dio dice « Io », allora si tratta di rivelazione. Dio potrebbe anche lasciare che il mondo vada per la sua strada, e tacere. Perché Dio dovrebbe aver bisogno di parlare di se stesso? Se Dio dice « Io », questo è grazia. Quando Dio dice « Io », dice semplicemente tutto, la prima cosa e l’ultima; quando Dio dice « Io », vuol dire: «tienti pronto a comparire davanti al tuo Dio, o Israele» (Amos 4,10).
«Io sono il Signore». Non un Signore, ma il Signore! Con ciò Dio pretende di essere l’unico Signore. Ogni diritto di comandare e di pretendere obbedienza appartiene a lui solo. Dio, rivelandosi come Signore, ci libera da ogni assoggettamento umano. C’è e noi abbiamo un solo signore e «nessuno può servire due padroni». Serviamo solo Dio e non serviamo nessun uomo. Anche quando eseguiamo ordini di signori terreni, in realtà serviamo solo Dio. È un grave errore di molti cristiani credere che Dio durante la nostra vita terrena ci abbia sottomesso a molti altri signori accanto a lui, e che la nostra vita sia posta in continuo conflitto tra gli ordini di questi signori terreni e il comandamento di Dio. Abbiamo un solo Signore a cui obbedire; i suoi ordini sono chiari e non ci pongono in balìa di conflitti. È vero che Dio ha dato a genitori e superiori il diritto ed il potere di darci degli ordini, ma ogni autorità terrena è fondata solamente sulla signoria di Dio, in questa trova la sua autorità ed il suo onore; altrimenti è usurpazione e non ha diritto a pretendere obbedienza.
Obbedendo solo al comandamento di Dia, obbediamo anche ai nostri genitori e superiori. La nostra obbedienza a Dio ci impone anche l’ obbedienza a genitori e superiori. Ma non ogni obbedienza a genitori e superiori è anche obbedienza a Dio. La nostra obbedienza non ha valore in quanto è resa a uomini, ma solo in quanta è resa a Dio. «Qualunque cosa fate, agite di buon animo, come per il Signore e non per gli uomini» (Col. 3,23). «Siete stati riscattati a gran prezzo, non vogliate diventar schiavi degli uomini» (1Cor. 7,23).
Solo l’obbedienza a Dio è il fondamento della nostra Libertà. Ma il Signore Iddio non solo è l’unico ad avere il diritto di comandare, ma anche il solo ad avere il potere di far valere il suo comandamento; ha a disposizione tutti i mezzi per farlo. Chi vuole erigersi a Signore accanto a lui, necessariamente precipita. Chi disprezza il suo comandamento deve morire. Ma chi serve lui solo e confida in lui, viene da lui sostenuto e preservato; a costui farà godere ogni bene ora ed in eterno.
«Il tuo Dio». Dio parla al suo popolo eletto, alla comunità che lo ascolta nella fede. Per lei il Signore irraggiungibilmente lontano e potente è allo stesso tempo vicino, presente e misericordioso. «Qual è quella nazione che abbia gli dei così vicini a sé, com’è vicino a noi il nostro Dio quando lo invochiamo?» (Deut. 4,7). Non è un estraneo, un tiranno, né un cieco destino che ci carica di pesi insopportabili, sotto i quali dobbiamo crollare; ma è Dio, il Signore, che ci ha eletto, creato e amato, che ci conosce e vuol essere accanto a noi, con noi e per noi. Ci dà i comandamenti perché possiamo essere e restare accanto a lui, per lui e con lui. Si mette dalla nostra parte, facendoci conoscere il suo comandamento come Signore e amichevole aiuto: «Così non agisce verso nessun pagano» (Salmo 147,20). Dio è tanto grande, che anche la cosa più piccola non è troppo piccola per lui; egli è a tal punto il Signore, da sapersi porre accanto a noi per sostenerci. Se Dio è accanto a noi, allora i suoi comandamenti non sono difficili, allora la sua legge è la nostra consolazione (Salmo 119, 92), il suo giogo è soave, il suo peso leggero. «Io corro la via dei tuoi precetti, poiché tu consoli il mio cuore» (Salmo 119,32). Nell’arca dell’alleanza che è il trono della benevola presenza di Dio, sono deposte le due tavole, rinchiuse, avvolte, circondate dalla grazia di Dio.
Chi vuol parlare dei dieci comandamenti, deve cercarli nell’arca dell’alleanza, e così deve allo stesso tempo parlare della grazia di Dio. Chi vuole annunziare i dieci comandamenti, deve contemporaneamente annunziare la libera grazia di Dio.

Il primo comandamento
«Non avere altri dei nel mio cospetto». L’imperativo negativo che ora segue per ben dieci volte è solo la spiegazione della precedente testimonianza che Dio dà di se stesso. In dieci brevi frasi è espresso qui che cosa significa per la nostra vita che Dio è il Signore Iddio nostro. Il contesto acquista la massima chiarezza se davanti ad ognuna di queste proposizioni introduciamo un «perciò»: «Io sono il Signore, Iddio tuo»… e perciò non… È per bontà che Dio, mediante questi divieti, ci vuol preservare da errori e trasgressioni e ci indica i limiti, entro i quali possiamo vivere in comunione con lui.
«Non avere altri dei nel mio cospetto». Non è affatto una cosa ovvia. In ogni tempo i popoli con civiltà progredite hanno conosciuto un cielo popolato da varie divinità, ed era segno della grandezza e dignità di un dio, se non era geloso del posto che un altro dio occupava nel cuore devoto degli uomini. La virtù umana della generosità e della tolleranza veniva attribuita anche agli dei. Ma Dio non ammette altro dio accanto a sé; vuol essere l’unico Dio. Vuole essere e fare tutto per l’uomo; perciò vuole anche essere adorato come unico Dio. Accanto a lui non c’è posto per null’altro; sotto di lui si pone la creazione. Dio vuole essere l’unico Dio, perché egli soltanto è Dio.
Qui non si tratta di altri dei che potremmo adorare al posto di Dio, ma del fatto che potremmo pensare di porre qualcosa accanto a Dio. Ci sono dei cristiani che dicono che accanto alla fede in Dio, che non lascerebbero per nulla al mondo, hanno ragion d’essere anche il mondo, lo stato, il lavoro, la famiglia, la scienza, l’arte, la natura. Dio dice che nulla, assolutamente nulla ha il diritto di esistere accanto a lui, ma solo al di sotto di lui. Ciò che noi poniamo accanto a lui è un idolo.
Si è soliti dire che i nostri idoli sono il denaro, là voluttà, l’onore, altri uomini, noi stessi. Più appropriato sarebbe dire che nostri idoli sono lo spiegamento delle nostre forze, il potere, il successo. Ma, in fondo, gli uomini nella loro debolezza hanno sempre amato tutte queste cose, e nulla di tutto quanto è stato detto sopra è ciò che veramente intende il primo comandamento parlando di « altri dei ». Per noi il mondo è stato privato dei suoi dei; non adoriamo più nulla. Troppo chiaramente abbiamo provato la debolezza e nullità di tutte le cose, per poterle ancora divinizzare. Troppo abbiamo perso la fiducia in tutto ciò che esiste, per poter essere ancora in grado di avere dei e di adorarli. Se per noi c’è ancora un idolo, questo è forse il nulla, la fine, l’insensatezza di tutto. E il primo comandamento ci chiama al solo vero Dio, l’onnipotente, il giusto e misericordioso, che ci salva dalla rovina, dal nulla, e ci fa rimanere nella sua comunità.
Ci furono tempi in cui l’autorità profana puniva severamente il rinnegamento di Dio e l’idolatria. Se anche lo faceva per proteggere la comunità dal traviamento e dal disonore, tuttavia non rendeva un servizio a Dio, perché, in primo luogo, Dio vuole essere servito in piena libertà; poi, le forze della seduzione, secondo il piano di Dio, devono servire a mettere alla prova i credenti e a rinvigorirli; terzo, il rinnegamento aperto di Dio nonostante tutto è in noi più promettente che una confessione di fede ipocrita, ottenuta con un ricatto. Le autorità profane devono concedere protezione esteriore alla fede nel Dio dei dieci comandamenti; ma la lotta con l’incredulità deve essere lasciata solo alla potenza della Parola di Dio.
Non è sempre facile fissare il momento in cui la partecipazione ad un atto ordinato dallo stato diviene idolatria.
I primi cristiani rifiutavano di contribuire anche solo con un granello di incenso al sacrificio che serviva al culto dell’imperatore romano, e per questo sopportavano il martirio. I tre uomini nel libro del profeta Daniele (cap. 3) rifiutarono di inginocchiarsi, secondo gli ordini del re, davanti all’idolo d’oro che simboleggiava la potenza del re e del suo regno. D’altro canto il profeta Elia permise espressamente al capo dell’esercito siriano Naaman di inginocchiarsi, accompagnando il suo re, nel tempio pagano (2 Re 5,12). La maggior parte dei cristiani in Giappone di recente ha dichiarato che la partecipazione al culto statale dell’imperatore è lecita.
In tutte le decisioni di questo genere si dovrà considerare quanto segue: 1) l’ordine di partecipare a simili atti politici richiede univocamente l’adorazione di altri dei? allora è preciso dovere del cristiano rifiutarsi. 2) ci sono dei dubbi se si tratta di un atto religioso o politico? allora nella decisione si dovrà considerare se partecipandovi si dia scandalo alla comunità di Cristo e al mondo; se cioè si susciti anche minimamente l’impressione del rinnegamento di Gesù Cristo. Se per il giudizio comune dei cristiani non è così, nulla impedisce la partecipazione; ma se è così, anche qui si dovrà rifiutare la partecipazione.
La chiesa luterana ha fatto rientrare il secondo comandamento biblico, la proibizione di farsi delle immagini, nel primo. Non è vietato alla chiesa la rappresentazione figurativa di Dio. Dio stesso in Gesù Cristo ha preso forma umana e si è offerto alla vista degli uomini. È solo proibito adorare o venerare le immagini come se in esse fosse insita una potenza divina. Sotto lo stesso divieto cade h superstiziosa venerazione di amuleti, immagini protettive ecc., come se avessero un particolare potere di proteggere da disgrazie.
«Ascolta, o Israele, Jahve è il nostro Dio; Jahve è uno solo. Ama Jahve tuo Dio con tutto il cuore, con tutto l’animo, con tutta la forza» (Deut. 6,4). Gesù Cristo ci ha insegnato a rivolgerei fiduciosi in preghiera a questo nostro Dio: «Padre nostro, che sei nel cielo».

Il secondo comandamento
«Non usare il nome dell’Eterno, che è il tuo Dio, invano; perché l’Eterno non terrà per innocente chi avrà usato il suo nome invano». « Dio » non è per noi un concetto generale, con cui indicare quanto di più alto, di più santo, di più potente si possa pensare. « Dio » è un nome. È ben diverso se dei pagani dicono « dio », o se lo diciamo noi, ai quali Dio stesso ha parlato. Dio è per noi il nostro Dio, il Signore, il vivente. « Dio » è un nome e questo nome è la cosa più santa che possediamo, poiché in esso non abbiamo qualcosa di immaginario, ma Dio stesso in tutto il suo essere, nella sua rivelazione. Se ci è concesso dire « Dio », lo è solo perché Dio, nella sua incommensurabile grazia, si è fatto conoscere da noi. Se diciamo « Dio », è come se lui stesso ci parlasse, ci chiamasse, ci consolasse e ci comandasse. Avvertiamo la sua vicinanza a noi nella sua azione, nella sua creazione, nel suo giudizio, nel suo ammonimento. «Ti ringrazio, o Signore, perché il tuo nome ci è così vicino» (Salmo 75,2). «Il nome di Jahve è una torre fortissima; il giusto vi si rifugia ed è al sicuro» (Prov. 18,10).

La parola « dio » è nulla; il nome « Dio » è tutto.
Gli uomini, per lo più, oggi intuiscono bene che Dio non è solo una parola, ma un nome. Perciò cercano di evitare di dire « Dio »; e dicono invece « divinità », « destino », « provvidenza », « natura », « l’onnipotente ». « Dio » suona quasi come una confessione di fede. E questo non lo vogliono. Vogliono la parola, non il nome. Il nome, infatti, è impegnativo.
Il secondo comandamento ci invita a santificare il nome di Dio. Il secondo comandamento, veramente, possono violarlo solo coloro che conoscono il nome di Dio. La parola « dio » non vale né più né meno di altre parole umane, e chi ne abusa disonora solo se stesso ed i propri pensieri. Ma chi conosce il nome di Dio e ne abusa, disonora e profana Dio. Il secondo comandamento non parla di bestemmia del nome di Dio, ma del suo abuso, così come il primo comandamento non parlava del rinnegamento di Dio, ma di altri dei accanto a Dio. I credenti non corrono pericolo di bestemmiare Dio, ma di usare male del suo nome.
Noi, che conosciamo il nome di Dio, lo usiamo male se lo pronunciamo come se fosse solo una parola, come se in questo nome non fosse sempre Dio stesso a parlarci. C’è un abuso del nome di Dio nel bene e nel male. È veramente difficile immaginare che i cristiani possano abusare del nome di Dio nel male; eppure succede. Se nominiamo Dio e lo invochiamo coscientemente per far apparire buona e pia dinanzi al mondo una causa empia e malvagia, se chiediamo la benedizione di Dio per una causa malvagia, se nominiamo Dio in un contesto che lo disonora, allora noi ne abusiamo per il male. Sappiamo bene che in tal caso Dio stesso sarebbe senz’altro contrario alla causa per cui lo invochiamo; ma, dato che il suo nome ha un potere anche di fronte al mondo, noi ci richiamiamo a Lui.
Più pericoloso, perché più difficile da riconoscere, è l’abuso del nome di Dio nel bene. Accade quando noi cristiani pronunciamo il nome di Dio così spesso, così semplicemente, così scorrevolmente, in modo così confidenziale da pregiudicare la santità e il miracolo della sua rivelazione. È un abuso se a ogni problema ed a ogni necessità umana rispondiamo sempre prontamente con la parola Dio o con un versetto biblico, come se fosse la cosa più naturale di questo mondo che Dio debba risolvere subito tutti i nostri problemi umani ed essere già lì pronto ad accorrere in nostro aiuto ad ogni difficoltà. È abuso se noi facciamo di Dio un tappabuchi per ogni nostra minima difficoltà. È abuso se mettiamo semplicemente a tacere ogni sincero sforzo scientifico o artistico con la parola Dio. È abuso se gettiamo la « perla ai porci ». È abuso parlare di Dio senza essere coscienti della presenza vivente nel suo nome. È abuso parlare di Dio come se lo avessimo sempre a nostra disposizione e come se ci fossimo seduti con lui a consiglio. In tutti questi modi noi abusiamo del nome di Dio e ne facciamo una vuota parola umana e chiacchiere inefficaci. Con ciò noi lo profaniamo più di quanto potrebbero fare tutti i bestemmiatori.
Al pericolo di un tale abuso del nome di Dio gli Israeliti ovviarono col divieto di pronunciarlo in genere. Dal rispetto che questa regola mette in luce non possiamo che trarre un insegnamento. È certo meglio non pronunciare affatto il nome di Dio che abbassarlo a semplice parola umana. Ma noi abbiamo l’obbligo sacro e il fondamentale diritto di testimoniare di Dio gli uni agli altri e di fronte al mondo. E questo lo facciamo solo se pronunciamo il nome di Dio in modo tale che in esso la Parola del Dio vivente, presente, giusto e pieno di grazia renda testimonianza a se stessa. Ciò accade solo se noi preghiamo ogni giorno come ci ha insegnato Gesù Cristo: «Sia santificato il tuo nome».
Le autorità profane dell’occidente hanno sempre punito la bestemmia in pubblico. Con ciò hanno testimoniato di essere chiamate a proteggere la fede in Dio e il servizio di Dio da disprezzo e oltraggio. Ma esse non furono mai in grado di soffocare da sole i movimenti spirituali, dalle cui aberrazioni, bene o male intese, nascono tali oltraggi; e non può nemmeno essere loro compito. La soppressione violenta dei movimenti spirituali non aiuta la chiesa. Questa non pretende altro che di poter liberamente annunziare il suo messaggio e liberamente vivere, e confida che il nome di Dio correttamente annunziato riesca a imporsi e a incutere rispetto da solo.
È abuso giurare nel nome di Dio? Per il contenuto del parlare di un cristiano non c’è differenza se egli parla sotto giuramento o no, se usa il testo del giuramento così detto religioso o quello non religioso. Il suo sì è sì ed il sua no è no, non imparta quali giuramenti vi si aggiungano. Tra cristiani non c’è giuramento, ma solo un sì o un no. Solo per via degli altri uomini e per via della menzogna che regna nel mondo il cristiano può rendere la sua parola – non certo più vera – ma più credibile, servendosi della formula di giuramento richiesta dallo stato; e per lui è di secondaria importanza se in questa formula è nominato Dio o no. Il giuramento per il cristiano è solo una conferma esteriore, di ciò che, in ogni caso, per lui è un dato di fatto, cioè che la sua parola è stata detta al cospetto di Dio.

Il terzo comandamento

«Ricordati del giorno del riposo per santificarlo». È difficile per noi comprendere che questa comandamento occupa un posto di pari dignità accanto al divieto di adorare idoli o anche a quello di non uccidere, che chi viola questo comandamento non è meno colpevale di chi disprezza i genitori, del ladro, dell’adultero, del calunniatore. La nostra vita è fatta di giorni feriali riempiti di lavoro, in mezzo alla gente. A noi sembra che il giorno del riposo sia un piacevole permesso, ma è divenuto per noi un pensiero alquanto estraneo che in esso sia contenuta tutta la serietà del comandamento di Dio.
Dio comanda il giorno di festa. Comanda il riposo e la santificazione della festa.
Il decalogo non contiene nessun ordine di lavorare, ma uno di riposare dal lavoro sì. È proprio il contrario di quanto siamo soliti pensare. Nel terzo comandamento il lavoro è presupposto come stato naturale; ma Dio sa che l’opera che l’uomo compie acquista un tale potere su di lui, che egli non riesce più a liberarsene, e si aspetta ogni cosa dalla propria opera, e così dimentica Dio. Perciò Dio comanda di riposare dal proprio lavoro. Non è il lavoro a mantenere l’uomo, ma solo Dio; non del suo lavoro può vivere l’uomo, ma solo di Dio. «Se l’Eterno non edifica la casa, invano s’affaticano gli edificatori; se l’Eterno non guarda la città, invano vegliano le guardie. Egli dà altrettanto ai suoi diletti, mentre essi dormono» (Salmo 127,12); così la Bibbia parla contro tutti quelli che del lavoro fanno la loro religione. Il riposo festivo è il segno visibile che l’uomo vive della grazia di Dio e non delle proprie opere.
Durante il giorno del riposo dovrebbe regnare il silenzio esteriore ed interiore. Nelle nostre case si lascino da parte tutti i lavori non strettamente necessari per la vita; il decalogo include espressamente in questo comandamento anche servi, estranei, animali. Non dobbiamo cercare una distrazione disordinata, ma tranquillità e raccoglimento. Poiché questo non è facile, poiché, anzi, l’inoperosità spinge facilmente a vuoto ozio, a distrazione e divertimenti stancanti, ci deve essere espressamente comandato il riposo. Si richiede forza per obbedire a questo comandamento.
Il riposo festivo è la premessa indispensabile per la santificazione della festa. L’uomo abbassato ad essere una macchina da lavoro e sovraffaticato ha bisogno di riposo, perché il suo pensiero possa chiarirsi, i suoi sentimenti possano purificarsi, la sua volontà possa ricevere una nuova direzione.
La santificazione del giorno festivo è il contenuto del riposo in esso. Il giorno di festa viene santificato mediante l’annunzio della Parola di Dio nel culto e mediante l’ascolto pronto e rispettoso di questa Parola. La dissacrazione del giorno di festa inizia col decadimento della predicazione cristiana. È, perciò, in primo luogo, colpa della chiesa e soprattutto dei suoi ministri. Il rinnovamento della santificazione della festa parte dal rinnovamento della predicazione.
Gesù ha infranto le leggi ebraiche del riposo del sabato. Lo fece per richiamare alla vera santificazione del sabato. Il giorno del riposo viene santificato non da quello che fanno o non fanno gli uomini, ma dall’azione di Gesù Cristo per la salvezza degli uomini. Perciò i primi cristiani hanno sostituito il sabato con il giorno della risurrezione di Gesù Cristo e lo hanno chiamato giorno del Signore. A ragione, perciò, Lutero non traduce letteralmente la parola ebraica con « sabato » ma ne dà un’interpretazione spirituale come «giorno festivo». La nostra domenica è il giorno in cui lasciamo che Gesù Cristo agisca in noi e negli uomini. Veramente questo dovrebbe accadere ogni giorno, ma la domenica riposiamo dal nostro lavoro per poter essere più aperti a questa azione di Cristo in noi.
« Il riposo domenicale è lo scopo della santificazione della domenica. Dio vuole condurre il suo popolo alla sua quiete, a riposare dal lavoro quotidiano in terra. «Cuore, rallegrati, sarai liberato dalla miseria di questa terra e dal lavoro del peccato». Liberato dall’operare umano imperfetto, il popolo di Dio guarderà la pura e perfetta opera di Dio e vi parteciperà. Il cristiano che santifica la domenica può trovare in questo riposo domenicale un riflesso e una promessa del riposo eterno presso il Creatore, il Redentore, Colui che porta a compimento il mondo.
Agli occhi del mondo la domenica ha la funzione di mettere in evidenza, che i figli di Dio vivono della grazia di Dio e che gli uomini sono chiamati al suo Regno. Perciò preghiamo: «Venga il tuo Regno».

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