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SPOGLIÀTI DELL’UOMO VECCHIO (CCC, CEI) (anche Paolo)

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SPOGLIÀTI DELL’UOMO VECCHIO (CCC, CEI)

L’incontro con Gesù cambia la vita, la rende nuova. Può accadere Che una persona, incontrando Gesù, non abbia il coraggio di fidarsi totalmente di lui e se ne vada via triste (Lc 18,18-23), oppure riconosca in lui quella novità che dà un significato profondo alla vita (Lc 19,1-10).
Il Nuovo Testamento è unanime nel sottolineare che un tratto fondamentale dell’uomo convertito, animato dallo Spirito, è l’esperienza della novità. La comunione con Cristo e l’accoglienza dello Spirito conducono ad una vita nuova. Scrive san Paolo ai cristiani di Corinto: « Se uno è in Cristo è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco, ne sono nate di nuove » (2Cor 5,17). E ai cristiani di Colossi: « Vi siete spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore » (Col 3,9-10). La novità dello Spirito raggiunge il nucleo più profondo della persona, ristrutturandolo e rinnovandolo dall’interno (Rm 6,4).
I primi cristiani sentivano la novità di questo nuovo orientamento in modo così vivace da esprimerlo con le immagini della risurrezione, della creazione, della rinascita, del risveglio. Queste immagini sottolineano una sorta di passaggio dalla morte alla vita, dalla schiavitù alla libertà, dal chiuso dell’egoismo e dell’indifferenza agli spazi aperti della carità.
La novità dello Spirito è la novità della vita di Dio, che irrompe nell’uomo vecchio, rigenerandolo. Siamo sempre in ansiosa ricerca di cose nuove; spesso, però, appena si fanno realtà e le tocchiamo con mano, ci deludono, appaiono subito vecchie. Lo Spirito, invece, dischiude all’uomo un mondo sempre nuovo e rinnovante, pieno di sorprese; nuovo a tal punto da prefigurare « un nuovo cielo e una nuova terra » (Ap 21,1).

Abbandonare l’uomo vecchio
Non è però possibile essere uomini e donne nuovi senza un coraggioso abbandono dell’uomo vecchio, l’uomo inautentico, ripiegato su se stesso. La novità dello Spirito è insieme dono e compito: « Dovete deporre l’uomo vecchio con la condotta di prima, l’uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici. Dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera » (Ef 4,22-24).
Uomini e donne nuovi si diventa quando si ha il coraggio di una conversione profonda, di una scelta netta e definitiva. L’azione trasformante dello Spirito non rinnega nulla di quanto nell’uomo è autentico, né trascura alcuna delle sue profonde aspirazioni, ma tutte porta a insospettata pienezza. Richiede però che ci si lasci alle spalle le opere dell’egoismo, per gustare i frutti dello Spirito.
Uomo « vecchio » è il giovane che cerca la novità per se stessa e si affanna a inventare il cambiamento per il cambiamento, immergendosi così in una vita sradicata, ridotta a continua esplorazione senza meta in una sorta di soggettività « senza dimora ». Una vita così sradicata affonda poi nel rincorrere impressioni e sensazioni sempre nuove, bloccata nelle secche dell’effimero.
Uomo « vecchio » è il giovane che affida la sua fame di novità a desideri senza limite, come se in essi ci sia una promessa di eternità. Nasce allora l’illusione di possedere certezze e soluzioni per un mondo nuovo, solo perché lo si sa immaginare in termini astratti. Ma la vera novità della pace, della giustizia, della libertà rimane lontana. L’utopia si rivela illusoria; rimane la novità dei piccoli appagamenti, dei bisogni soddisfatti; il sogno ricade su una quotidianità divorata dalla noia.
Uomo « vecchio » è il giovane che si lascia imbrigliare dalle opere dell’egoismo: « fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere » (Gal 5,19-21). L’elenco che Paolo offre trova purtroppo facili attualizzazioni: avidità di denaro e conseguenti atti delinquenziali per ottenerlo, disprezzo della propria e altrui vita, tempo libero vissuto nella noia, uso di droghe, violenza e libertinaggio sessuale, fragilità e suicidio, sfruttamento dei genitori, sincretismo religioso, satanismo e magia, rigurgiti razzisti e disprezzo degli immigrati, cecità di fronte alle tragedie umane…
« Vecchio » e « nuovo », « carne » e « Spirito », sono fra loro in antitesi: « La carne ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne » (Gal 5,17). Non sono possibili patteggiamenti, né illusioni. Si impone una scelta chiara e coraggiosa: « Quelli infatti che vivono secondo la carne, pensano alle cose della carne; quelli che vivono secondo lo Spirito, alle cose dello Spirito » (Rm 8,5).
La radice della novità è l’esperienza profonda, viva e attuale dello Spirito di Gesù. La novità per l’uomo non consiste nelle cose che egli può inventare, produrre, mettere sul mercato, godere… Consiste nella novità che è la persona stessa di Gesù: in lui e solo in lui è possibile inventare una storia nuova, una vicenda umana inedita, segnata dalla grazia. È lo Spirito di Gesù che rende nuove tutte le cose e dona ai credenti « amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé » (Gal 5,22).
I giovani che vivono secondo lo Spirito ne esprimono i frutti in volontariato, servizio ai poveri, servizio educativo, slancio e impegno per la pace, preparazione alla vita di famiglia, generosa risposta a una vocazione di speciale consacrazione, impegno missionario, apertura alla vita anche dopo esperienze di fallimento, slancio per i valori della giustizia, generosità di offrirsi gratuitamente, entusiasmo per le mete più alte…

Lo Spirito di Gesù in noi
Gesù, il risorto e il vivente, è presente nella Chiesa e nel mondo; lo Spirito ci mette in comunione con lui, delinea in noi i suoi lineamenti.
Il Vangelo di Giovanni sottolinea l’insostituibile funzione dello Spirito: « Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto » (Gv 14,26); « Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che ha udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà » (Gv 16,12-14).
Lo Spirito non dice parole proprie, ma ripete quelle già dette da Gesù: « Non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che ha udito ». Lo Spirito non si distacca dalla storia di Gesù e dalla tradizione vivente della Chiesa. C’è una perfetta comunione tra lo Spirito e Gesù, tanto che l’insegnamento dello Spirito è il medesimo insegnamento di Gesù; meglio, il suo insegnamento è Gesù. Lo Spirito svela la persona di Gesù e la sua comunione con il Padre.
L’insegnamento dello Spirito non è ricordo ripetitivo, non è semplice memoria. Non aggiunge nulla alla rivelazione di Gesù, però la interiorizza e la rende presente in tutta la sua pienezza; ristruttura la nostra personalità offrendole un nuovo centro e un solido fondamento, la vita stessa di Gesù. Lo Spirito fa incontrare Gesù: l’orientamento di vita che ne scaturisce diventa punto di unificazione della personalità e criterio per ogni scelta e decisione. Uomini e donne nuovi sono allora giovani vivi, ricchi di umanità, piegati fino in fondo al servizio e all’amore, alle prese con i problemi, le difficoltà, gli entusiasmi e le incertezze di ogni giorno, che si affidano e fanno riferimento esplicito a Gesù di Nazareth e al suo progetto di vita, radicati dal suo stesso Spirito su di lui, roccia indistruttibile. Per questo Gesù precisa: lo Spirito « v’insegnerà ogni cosa » e « vi guiderà alla verità tutta intera » (Gv 14,2616,13).
Questa è la fede dei primi cristiani e della Chiesa di ogni tempo: soltanto lo Spirito consente di comprendere le parole e ricordare i gesti di Gesù come realtà presenti e operanti, come inesauribile « sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna » (Gv 4,14): « È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho detto sono spirito e vita » (Gv 6,63).

Lo Spirito ci fa figli del Padre
Comunicandoci la conoscenza e l’amore di Gesù, il Figlio amato, lo Spirito ci inserisce nel dialogo di conoscenza e amore che corre tra il Padre e il Figlio, aprendoci a un nuovo e inaspettato rapporto con Dio: « Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio » (Gal 4,6-7). L’uomo animato dallo Spirito non sta più davanti a Dio nel timore e nella paura, ma nella libertà. Sa di stare a cuore a Dio, di potersi consegnare alla sua affidabile cura e di affidarsi a lui anche oltre la morte.
L’obbedienza a Dio non è più vissuta come legge, ma come libertà; non più come mortificazione, ma come dono. La preghiera rivolta a Dio è segnata dalla coraggiosa confidenza dei figli. La preghiera, infatti, è un punto nodale e rivelatore dell’esistenza. Manifesta il modo con cui l’uomo si pone davanti a Dio, a se stesso, al mondo.
Lo Spirito crea in noi quella segreta familiarità che ci consente di riconoscere nella voce di Dio la voce amica di un Padre: « Abbà, Padre! Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio » (Rm 8,15-16). Questa confidenza di fronte a Dio, una confidenza che è obbedienza e libertà, è il segno dell’autenticità della preghiera, non più fatta di molte parole, ma di sereno abbandono: « Voi dunque pregate così: Padre nostro… » (Mt 6,9). Questa libertà di fronte a Dio, che si manifesta nella preghiera e si esprime nella vita, è la libertà più alta donata all’uomo.

Testimoni liberi di fronte al mondo: il coraggio della missione
Un altro importante tratto dell’uomo nuovo è la testimonianza. Nei discorsi di addio, narrati nel Vangelo di Giovanni, Gesù avverte i discepoli che saranno odiati dal mondo e perseguitati, ma insieme li assicura che, dinanzi all’odio del mondo e alla persecuzione, saranno sorretti dalla testimonianza dello Spirito:
« Lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio » (Gv 15,26-27). Il cristiano spesso deve compiere scelte contro corrente, trovandosi di fronte a chi non riesce a capire, perché bloccato dall’accomodante: « Fanno tutti così! » e dai sondaggi d’opinione.
Nel grande processo tra Cristo e il mondo, che si svolge entro la storia, lo Spirito depone in favore di Gesù. Davanti all’ostilità che incontrano, anche i discepoli sono esposti al dubbio, allo scandalo, allo scoraggiamento (Gv 16,1-4). Ma lo Spirito custodirà la loro fede, li renderà sicuri nel loro opporsi alla logica del mondo. Quando i discepoli avranno bisogno di certezza, lo Spirito gliela offrirà. Lo Spirito è il testimone intimo e segreto che crea nei discepoli la sicurezza di essere con Dio e dona il coraggio della libertà.
« Dove c’è lo Spirito del Signore c’è la libertà », scrive Paolo con molta convinzione (2Cor 3,17). Di questa libertà il Nuovo Testamento offre ampie testimonianze. La parola greca che preferibilmente la esprime è « parresìa »; un termine che indica la libertà di parola e di coscienza, il coraggio di esprimere, di fronte a chiunque, la propria convinzione e il proprio dissenso.
Questa « franchezza » permette il superamento della paura, uno dei segni rivelatori dell’uomo vecchio, l’uomo ricattabile, perché prigioniero della stima del mondo ed eccessivamente preoccupato di sé, incapace di affrontare la solitudine in cui spesso il cristiano deve vivere i propri ideali. L’incontro con il Signore risorto libera il cuore dell’uomo dal timore del mondo e da tutti i suoi ricatti. Trasforma un cuore ricattabile in un cuore libero. I discepoli di Gesù sono liberi dentro, orgogliosi di appartenere a Cristo, incapaci di tenere per sé il dono e l’esperienza della fede. Sono appassionati per la grande causa del vangelo, come lo è Gesù per il regno di Dio.
Questo miracolo lo può compiere soltanto Gesù risorto. Di questa vittoria sulla paura parla spesso il libro degli Atti. Qui il cristiano è presentato nel vivo degli avvenimenti, non chiuso nella tranquillità della sua casa, separato in piccoli gruppi, ma presente sulle piazze, sulle strade, nelle sinagoghe, nei tribunali, in tutti i luoghi dove gli uomini vivono, dialogano, si incontrano e si confrontano. Sono uomini e donne pieni di fede, convinti di essere sorretti dalla presenza dello Spirito e di possedere un messaggio di salvezza di cui il mondo intero ha bisogno, lieti anche di subire persecuzioni « per amore del nome di Gesù » pur di non venir meno al compito « di insegnare e di portare il lieto annunzio che Gesù è il Cristo » (At 5,41-42). I cristiani sono pieni di slancio e in perenne cammino missionario: testimoni di Cristo « a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra » (At 1,8).
È sempre grande il numero di giovani che hanno sete di Dio e non trovano fontane a cui estinguere la loro sete; a volte hanno una domanda religiosa, ma non incrociano le proposte della comunità cristiana e disperdono l’intensità della ricerca nei rivoli delle sètte, della superstizione e della magia. Ancora più grande è il numero di coloro che ancora non conoscono il Signore; abitano in terre lontane o sono venuti ad abitare nella casa accanto. Cristiano è colui che senza stancarsi sa annunciare a tutte le genti la gioia sperimentata in Gesù.
Nel libro degli Atti, Luca tratteggia questa figura di cristiano, moltiplicando gli esempi, per mostrare ai suoi lettori che la risurrezione di Gesù ha introdotto nel mondo un radicale cambiamento. Non quello, certo, di far cessare le persecuzioni, che anzi sembrano insorgere più di prima, ma quello di suscitare, in ogni tempo e in ogni luogo, uomini liberi e coraggiosi, obbedienti a Dio piuttosto che agli uomini (At 4,19).

I doni dello Spirito
I cristiani possono contare sulla potenza dello Spirito che si comunica loro mediante i suoi doni. La tradizione della Chiesa ne enumera sette, ispirandosi a Is 11,2: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timore di Dio.
Con la ricchezza e la novità dei suoi doni, lo Spirito offre a ciascuno lo spazio per seguire la propria vocazione, esprimere la propria originalità ed esercitare il proprio servizio. Ai cristiani di Corinto Paolo scrive che « a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune » (1Cor 12,7).
L’uomo nuovo non si appiattisce nell’anonimato, ma riconosce e difende la propria originalità. Al tempo stesso, però, sente la passione della comunione e non fa della sua originalità un motivo per dividere, per contrapporsi o per elevarsi sopra gli altri, ma ne fa un dono per tutti, un servizio per la crescita comune.
L’uomo nuovo non è senza volto, non è anonimo: è una persona creativa e originale. E tuttavia non cammina da solo, ma con gli altri. L’uomo nuovo, contemplando la croce di Gesù, non vive per se stesso, nella difesa egoistica della propria vita, ma nel dono di sé. E questo il « perdersi per ritrovarsi » di cui parla Gesù nel Vangelo (Mc 8,35).

“Annunciamo Cristo crocifisso” (1Cor) (Teologo Borèl) Marzo 2009 – autore: CEI

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“Annunciamo Cristo crocifisso”

(Teologo Borèl) Marzo 2009 – autore: Conferenza Episcopale Italiana

Il brano di san Paolo dalla prima lettera ai corinzi parla di potenza e sapienza. Cristo crocifisso è entrambe. Cristo crocifisso è infatti sia potenza di Dio, a dispetto del fatto che scandalizza chi cerca miracoli (“scandalo per i giudei”), sia sapienza di Dio, a dispetto del fatto che venga disprezzato da chi cerca la sapienza umana (“stoltezza per i pagani”)…

[III DOMENICA DI QUARESIMA]

ANNUNCIARE
“Annunciamo Cristo crocifisso” 1Cor 1,22-25

Il brano di san Paolo dalla prima lettera ai corinzi parla di potenza e sapienza. Cristo crocifisso è entrambe. Cristo crocifisso è infatti sia potenza di Dio, a dispetto del fatto che scandalizza chi cerca miracoli (“scandalo per i giudei”), sia sapienza di Dio, a dispetto del fatto che venga disprezzato da chi cerca la sapienza umana (“stoltezza per i pagani”). Egli è vera potenza e vera sapienza, ma in un senso inaudito e scandaloso. L’attesa giudaica di potenza divina era fondata sull’evento della prima Pasqua avvenuta all’uscita dall’Egitto. La prima Pasqua fu accompagnata da segni e prodigi grandi: le dieci piaghe; l’aprirsi delle acque; terremoto, tuono e tempesta al Sinai. La “potenza di Dio” che è Cristo crocifisso non è così. Nessun prodigio pubblico. La croce è l’unico segno che Gesù ha voluto che fosse evidente alla storia. Né i miracoli, né la risurrezione volle che apparissero pubblicamente al mondo. Solo la croce, nella quale nessun prodigio appare. In Cristo crocifisso appare solamente un amore che non si ferma di fronte a niente. Il nostro amore di solito muore al primo sgarbo, alla prima offesa… In Cristo crocifisso appare un amore che non muore di fronte a niente: non muore di fronte al tradimento, né di fronte allo scherno, né di fronte alla crudeltà, né di fronte alla sofferenza, né di fronte alla morte. In Cristo crocifisso appare la potenza dell’Amore che non è ucciso da alcuna arma del maligno. Così “annunciare Cristo crocifisso” significa rivelare e attrarre gli uomini a questo amore. Questo annuncio è “potenza di Dio” perché lo Spirito opera in chiunque crede la salvezza, che è nel perdono dei peccati, e rende capaci di rispondere con lo stesso amore: amore umile e paziente, che non risponde al male col male, che non desiste dal servire nel bene i fratelli, che libera dal rancore, dall’odio e opera la riconciliazione… La vera potenza di Dio non è più dunque l’aprirsi prodigioso della acque del mare, ma l’aprirsi attraverso il costato aperto di Cristo crocifisso dell’amore di Dio per noi. Attraverso di Lui entriamo nella vera libertà dell’amore. Anche il concetto giudaico di sapienza è scaturito dall’evento della prima Pasqua.
Allora Israele ricevette al Sinai la Legge: “quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli”, Dt 4,6). Questa Legge è condensata nelle “dieci parole” che ascoltiamo nella prima lettura. La “sapienza di Dio” di cui parla san Paolo è invece Cristo crocifisso. La vera “sapienza di Dio” infatti non è osservare alla perfezione la Legge, cosa impossibile. I farisei avevano ipocritamente addomesticato la Legge riducendola a propria misura. Voler ‘mettersi a posto con Dio’ osservando i comandamenti, è come voler comprare il suo Amore, è come fare del luogo del nostro incontro con Dio, del Tempio, “un luogo di mercato”. In questo tempio corrotto portiamo i nostri meriti per comprare la Sua benevolenza. Questo modo di relazionarsi a Dio è la falsa sapienza che Gesù denuncia profeticamente nel Vangelo di questa domenica. Che figlio sarebbe, infatti, uno che dichiarasse di volersi comprare l’amore del papà o della mamma con i suoi servizi a loro? Non offenderebbe profondamente il loro amore gratuito per lui? Che cuore di figlio sarebbe? No, la vera “sapienza di Dio” è Cristo Crocifisso, ossia è riconoscere in Lui l’Amore del Padre. Amore che perdona e salva e, in forza di esso, in forza cioè dello Spirito, rispondere con un amore simile. È sapiente chi riconosce Cristo, Amore che perdona.

CELEBRARE
Noi ti rendiamo grazie!
«E’ veramente cosa buona e giusta, renderti grazie…» Con queste parole ha inizio il momento centrale e culminante dell’intera celebrazione eucaristica: la grande preghiera di azione di grazie e santificazione. Questa preghiera costituisce da una parte, il vertice di tutto il percorso rituale (dall’ingresso, all’ascolto, alla benedizione), dall’altro, conduce la celebrazione verso la sua consumazione: i riti di comunione.
É una preghiera antica, che nel corso dei secoli ha conosciuto una grande varietà di forme e di testi. Prima della riforma liturgia, nella liturgia eucaristica si proclamava il solo Canone Romano (la nostra attuale Preghiera eucaristica I) successivamente, grazie al lavoro prezioso dei padri della riforma, sono stati ripristinati alcuni testi antichi e create preghiere di nuova composizione. La preghiera eucaristica ha una struttura unitaria, che attraverso le diverse parti, ci fa percorrere il sentiero orante dalla lode, all’invocazione, alla narrazione, all’intercessione, alla glorificazione. È dunque il modello di ogni preghiera cristiana.
La preghiera si apre con il prefazio: è una preghiera di lode in cui Dio viene ringraziato per le meraviglie compiute nel corso della storia. Le sue opere vengono cantate con un linguaggio lirico e poetico, così da accendere nel cuore la gratitudine e la meraviglia. La preghiera di lode si fa poi, invocazione. Il Dio che ha compiuto gesta prodigiose, viene invocato, perché possa, per la potenza dello Spirito Santo, realizzare per noi la pasqua del Signore Gesù. La preghiera epicletica ci conduce nel cuore del mistero della Croce, ha infatti inizio subito dopo, il racconto dell’isituzione in cui la Chiesa ricorda le parole e i gesti compiuti da Gesù nell’Ultima Cena. Dopo aver acclamato, al mistero grande della fede, l’assemblea viene invitata a trasformare tutta la propria vita in un sacrificio gradito a Dio: l’offerta. Infatti così esplicitano le norme liturgiche: «La chiesa desidera che i fedeli non solo offrano la vittima immacolata, ma imparino ad offrire se stessi e così portino a compimento ogni giorno di più, per mezzo di Cristo Mediatore, la loro unione con Dio e con i fratelli, perché finalmente Dio sia tutto in tutti» (OGMR 79). Dopo aver offerto la nostra vita con quella di Cristo, come Gesù sulla Croce, la Chiesa innalza a Dio preghiere e suppliche, per i presenti e per i defunti.
La preghiera eucaristica si conclude con la dossologia, con cui Dio è glorificato per l’opera compiuta nel sacrificio della morte e risurrezione di Gesù.
La preghiera Eucaristica è modello di ogni preghiera cristiana, in essa possiamo trovare ispirazione e insegnamento: ringraziare, invocare, narrare, acclamare, intercedere, glorificare, solo questi i movimenti del cuore che conducono la chiesa a vivere con fede il sacrificio eucaristico.

TESTIMONIARE
Incontri lungo il cammino…
Ripenso spesso all’anno trascorso laggiù. E devo partire dall’inizio.
Quando sono arrivato, mi sono sentito un “diverso”. Questa percezione mi ha portato a impostare il lavoro con le persone che incontravo basandolo su una bussola che poi mi ha guidato in tutti i momenti di dubbio: la condivisione. Una scelta che con il passare delle settimane ha dato i suoi frutti, ed è stata ricambiata con fiducia e amicizia.
Così ho vissuto un’esperienza unica per scoprire me stesso, i miei limiti, la sfida della differenza.
Nei miei dodici mesi in Ruanda ho seguito, insieme ai componenti di un’équipe della diocesi locale e ad altri due caschi bianchi, l’inserimento scolastico dei bambini: duemila nella scuola primaria e trecento nella secondaria. Abbiamo dedicato particolare attenzione al recupero di ex ragazzi di strada. Ancora, ho partecipato all’avviamento al lavoro di alcuni giovani attraverso il microcredito: piccoli prestiti, da investire (e restituire quando l’attività si consolida) in botteghe di barbiere, meccanico, parrucchiera, sarta, per aprire un autolavaggio, comprare la moto e diventare mototassista.
Questa esperienza mi ha formato come persona e come cristiano.
Influenzerà positivamente e per sempre le mie scelte future.
Ma soprattutto mi ha insegnato una cosa sorprendente e incoraggiante al tempo stesso: si può lodare Dio e ringraziarlo con naturalezza e immediatezza, come fanno i ruandesi, anche quando si è tremendamente sofferto, come è accaduto nella loro storia recente.
Così ho capito, scoprendo che è come se il nostro vivere convulso ci portasse a un rapporto con Dio più contorto e conflittuale, ciò che noi davvero rischiamo di perdere…

Un giovane “casco bianco” in Rwanda
… verso una vita nuova
Incontrare persone che escono da una terribile esperienza di guerra e imparare proprio da loro la lode a Dio, la speranza, la voglia di ricominciare…
È un’iniezione di fiducia nel nostro mondo che sembra perdere tutti questi valori, nonostante siamo ancora dei privilegiati. Il “Cristo crocifisso” che predichiamo sarà glorificato nella resurrezione.
Cerchiamo nella nostra vita personale e di gruppo occasioni per superare conflitti e ricostruire, insieme, una nuova vita.

PREGHIERA INTORNO ALLA MENSA
Noi annunciamo Cristo crocifisso, potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini. (1Cor 1,24-25).
La mentalità del mondo oggi esalta il potere, il successo, il benessere, la forza fisica. Tu, Gesù, dalla croce ci insegni che la vera grandezza sta nell’amore, nel servizio ai fratelli, nel dono della propria vita per gli altri. Aiutaci ad accogliere questa lezione di vera sapienza e a servire con amore i no

2 FEBBRAIO, « GIORNATA MONDIALE DELLA VITA CONSACRATA »: l’invito a rileggere la povertà, la castità e l’obbedienza con lo «sguardo» di San Paolo, «modello e prototipo» dei « religiosi ».

dal sito: 

http://www.atma-o-jibon.org/italiano4/rit_cei13.htm

« GIORNATA MONDIALE DELLA VITA CONSACRATA »

« Vita Consacrata »:

il « Messaggio » della « Cei » per la « Giornata Mondiale » del 2 Febbraio 2009.

«Esistenze trasformate dall’amore di Gesù»

Dalla « Commissione episcopale », l’invito a rileggere la povertà, la castità e l’obbedienza con lo «sguardo» di San Paolo, «modello e prototipo» dei « religiosi ».

(« Avvenire », 13/1/’09)

Il prossimo 2 Febbraio si celebra la « 13ª Giornata Mondiale della Vita Consacrata ».

Di seguito pubblichiamo il « Messaggio », preparato per l’occasione dalla « Commissione Episcopale per il Clero e la Vita Consacrata ».

Alle consacrate e ai consacrati, ai sacerdoti, ai diaconi e ai fedeli laici.

«Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (« Gal 2,20″). Con queste parole l’Apostolo Paolo ci comunica la sua totale conformazione a Gesù. Esse esprimono in modo sublime la bellezza della vita consacrata e ad esse vogliamo ispirarci nell’ormai tradizionale « Messaggio » in occasione della « 13ª Giornata Mondiale della Vita Consacrata », nella Festa della « Presentazione del Signore ». Tale « Giornata » offre a tutta la Chiesa l’occasione per ringraziare Dio per il dono dei consacrati e delle consacrate, e allo stesso tempo li incoraggia a vivere la loro particolare vocazione con la passione di San Paolo, ponendolo quale modello e prototipo della loro vita.

Inaugurando l’ »Anno Paolino », il Santo Padre Benedetto XVI ha richiamato la splendida « professione di fede » dell’Apostolo, affermando: «Tutto ciò che Paolo fa, parte da questo centro. La sua fede è l’esperienza dell’essere amato da Gesù Cristo in modo tutto personale; […] è l’essere colpito dall’amore di Gesù Cristo, un amore che lo sconvolge fin nell’intimo e lo trasforma; [...] è l’impatto dell’amore di Dio sul suo cuore» (« Omelia » nei « Primi Vespri » della Solennità dei « Santi Apostoli Pietro e Paolo, 28 Giugno 2008). È questo il fondamento della vita cristiana e della vita consacrata in particolare: è il Signore a irrompere nella storia dell’uomo, chiamandolo ad appartenergli completamente. Proprio così, in modo straordinario sulla « via di Damasco », il Signore Gesù ha folgorato e conquistato (cfr. « Fil 3,12″) Saulo di Tarso. Nella luce abbagliante dell’incontro con Cristo, il consacrato è chiamato a vivere tutta la sua esistenza fino a poter dire: «Cristo vive in me»; a lasciarsi coinvolgere in un rapporto interpersonale tanto appassionato da non vedere altro se non il Cristo crocifisso e risorto, conformandosi a Lui fino a portare nel proprio corpo le sue « stimmate ». Emergerà così, in modo sempre più convinto e decisivo, che «l’amore del Cristo ci possiede» (« 2Cor 5,14″). È stato osservato che l’originale « greco » ha tre sfumature: l’amore « agapico » di Cristo ci avvolge, ci coinvolge, ci travolge.

In ogni caso, Paolo arriva alla certezza che nulla potrà mai separarlo e separarci da questo amore: la vita consacrata diventa così «epifania dell’amore di Dio nel mondo» (Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica « Vita Consecrata », Cap. III).

Questo amore appassionato di Gesù suscita una risposta totalizzante da parte del consacrato nella reciprocità amicale e sponsale: «Ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura» (« Fil 3,8″). «Per me il vivere è Cristo» (« Fil 1,21″).

È proprio in questa luce che si devono comprendere i « voti religiosi ». San Paolo è modello di obbedienza allo Spirito e anche agli « Apostoli » e agli anziani (cfr. « At 15,2″), sceglie una vita povera e dedita al lavoro intenso per non essere di peso ad alcuno, vive nel « celibato » consacrato per essere totalmente dedito al Signore e alla « comunità », si dona con tutte le sue forze alla missione dell’evangelizzazione in mezzo a molte tribolazioni (cfr. « 1Tes 2,2″).

In questo orizzonte, ci sembra particolarmente importante sottolineare l’importanza dell’obbedienza, anche perché la Festa della « Presentazione del Signore » mette in evidenza più volte come Maria, Giuseppe e Gesù obbedirono umilmente alla legge del Signore data a Mosè. In tutta la sua vita Gesù ha obbedito alla volontà del Padre, «fino alla morte e a una morte di croce» (« Fil 2,8″). La recente « Istruzione » della « Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica », « Il servizio dell’autorità e l’obbedienza », invita a cercare «ogni mattina il contatto vivo e costante con la « Parola » che in quel giorno è proclamata, meditandola e custodendola nel cuore come tesoro, facendone la radice d’ogni azione e il criterio primo d’ogni scelta» (n. 7). Infatti, obbedendo alla « Parola di Dio » che si rivela attraverso le mediazioni umane, «ci inseriamo nel disegno con cui Egli ci ha concepito con amore di Padre. Dunque l’obbedienza è l’unica via di cui dispone la persona umana, essere intelligente e libero, per realizzarsi pienamente» (n. 5).

Questa « Giornata » sia per tutti i consacrati e le consacrate l’occasione per rinnovare l’offerta totale di sé al Signore nel generoso servizio ai poveri, secondo il carisma dell’ »Istituto » di appartenenza. Le « comunità » monastiche e religiose siano « oasi » nelle quali si vive il primato assoluto di Dio, della sua gloria e del suo amore, nella gioia della comunione fraterna e nella dedizione appassionata ai poveri, agli ultimi, ai sofferenti nel corpo e nello spirito.

La Vergine Maria, che si è associata completamente all’offerta di Gesù dicendo «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (« Lc 1, 37″), accolga l’offerta della vostra vita e la unisca strettamente a quella del Figlio suo, in un legame indissolubile che la condurrà sino al « Calvario »: «È lei la Vergine Figlia di Sion che per adempiere la legge presentò nel tempio il Figlio, gloria d’Israele e luce delle genti. Così, o Padre, per tua disposizione, un solo amore associa il Figlio e la Madre, un solo dolore li congiunge, una sola volontà li sospinge: piacere a te, unico sommo bene» (« Prefazio » della « Messa a Maria Vergine » nella « Presentazione del Signore »).

Roma, 1° Gennaio 2009, Solennità di « Maria SS. Madre di Dio ».

La « Commissione Episcopale per il Clero e la Vita Consacrata ».

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