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FREDERIC MANNS. SAN PAOLO IL TEOLOGO
Un re di Francia incontra un giorno dei tagliatori di pietra in pieno lavoro. Alla domanda : Che cosa fate? il primo dice : Sire, io taglio delle pietre; il secondo dice : Sire, io riunisco delle pietre tagliate, ed il terzo : Sire, io costruisco una cattedrale. All’inizio del terzo millennio la Chiesa sta scoprendo l’urgenza di una rinnovata evangelizzazione. Il santo Padre sollecita i cristiani a ritrovare lo slancio delle origini nei confronti del mondo contemporaneo. Chi ha incontrato il Signore Risorto non può tacere. « Guai a me se non predicassi il vangelo », esclamava in tal senso l’apostolo Paolo (1Cor 9,16). Il viaggio del santo Padre sulle orme di San Paolo in Grecia, Siria e Malta propone come modello di evangelizzatore Paolo di Tarso, uomo di una doppia cultura, che ha fatto l’esperienza del Risorto e che ha dedicato la vita a proclamare la sua certezza che Cristo è vivo. Vale la pena di riflettere sulle intuizioni e il pensiero teologico dell’apostolo delle genti.
Il corpo mistico In mezzo ai messaggeri della Buona Novella, Paolo è colui che ha costruito la prima cattedrale del pensiero cristiano. Il rosone che rischiara e trasfigura tutto il suo edificio, è l’apparizione di Cristo resuscitato sulla via di Damasco. Questa esperienza, dura e beneficente alla fede, illumina Paolo malgrado la sua momentanea cecità. Strumento di prima scelta, illuminato dallo Spirito Santo, istruito dagli altri Apostoli, l’Apostolo trarrà le conseguenze da questo incontro insperato. Perseguitare i cristiani, era perseguitare Gesù stesso. In un lampo Paolo, l’intuitivo, ha compreso tutta la dottrina della Chiesa come corpo mistico di Cristo. Il Cristo è la testa del corpo ed i cristiani sono le membra del corpo. Tra le verità che appaiono in rilievo nelle epistole che rischiarano la cattedrale di Paolo come delle vetrate, occorre indicare il primato di Cristo, la posizione essenziale della resurrezione, l’abolizione della legge mosaica, e la giustificazione per mezzo della fede in Gesù Cristo e l’intima unione di tutti i credenti nel Cristo e tra loro. La dottrina del primato di Cristo era già stata celebrata nell’inno pre-paulino ai Colossesi. E’ nell’ordine della creazione e della ri-creazione che Cristo ha ottenuto il primato. Tutto è stato creato per lui ed in vista di lui. Per la sua resurrezione dai morti, egli è divenuto il primo-nato tra i morti. Paolo prega assiduamente la Passione, al punto da poter dire che egli ostenta l’immagine di Gesù crocifisso davanti ai suoi ascoltatori (Gal 3,1). Ma egli non separa mai la resurrezione di Cristo dal suo sacrificio redentore. Egli amava ripetere le formule cherigmatiche che annunciavano la morte e la resurrezione di Gesù. Egli probabilmente non ha conosciuto Gesù durante la sua vita mortale (2 Cor 5,16), ma egli ha visto il Cristo resuscitato; l’apparizione sulla via di Damasco l’ha costituito autenticamente apostolo (1 Cor 9,1; 15,8) ed egli conserva sempre nel suo cuore l’ineffabile ricordo della manifestazione del Signore della Gloria (1 Cor 2,8). Egli si riferisce incessantemente alla resurrezione come all’avvenimento decisivo senza il quale la fede cristiana sarebbe vana e senza scopo (1 Cor 15,14-17). Egli vi vede la copia e la causa della resurrezione spirituale del cristiano ed il pegno della resurrezione corporale che coronerà all’ultimo giorno l’opera redentrice (Rm 6,4-11 ; Fil 3,10-11 ; 1 Cor 15,20-22).
La Parusia Le lettere di Paolo sono degli scritti di circostanza. E’ per rispondere a concrete questioni pastorali che egli detta le sue lettere che firma tuttavia di sua mano. Nelle lettere ai Tessalonicesi Paolo affronta il problema del ritorno di Cristo o della parusia. Parusia significa presenza. Il termine era riservato alla visita dei grandi personaggi. Nel Nuovo Testamento, e particolarmente presso Paolo, egli designa cosi l’avvento glorioso di Cristo alla fine dei tempi (1 Ts 3,13 etc.; 2 Ts 2,1-8; 1 Cor 15,23). La cristianità primitiva viveva in un ardente desiderio di questo avvenimento. Nella liturgia eucaristica si acclamava il Cristo : Marana tha ! Vieni, Signore Gesù! Paolo condivideva questa preghiera e questo desiderio. La parusia segnerà il compimento della redenzione e l’instaurazione totale e definitiva del regno di Dio. La vittoria di Cristo sarà allora definitiva. Una presentazione mal compresa di questa speranza provocò a Tessalonica la convinzione di un ritorno prossimo del Salvatore, al punto che alcuni fedeli incrociavano le braccia e vivevano nell’ozio. L’attesa di Cristo era diventata un’attesa passiva. L’Apostolo rimprovera con forza i Tessalonicesi (1 Ts 4,11-12 e sopratutto 2 Ts 3,6-15). Parecchi in mezzo a loro erano morti dopo il loro ingresso al cristianesimo. Da cui l’inquietudine della comunità : questi morti potevano mancare la venuta del Signore ? Paolo si sente solidale con questa angoscia. La risposta che egli dà si può cosi riassumere : prima della venuta del Signore i morti risusciteranno. In seguito, noi i viventi che saremo ancora là, saremo portati sulle nubi per incontrare il Signore nei cieli. Cosi noi saremo per sempre con il Signore (1 Ts 4,15-17). Questa consolazione sembra insinuare che Paolo ha atteso l’avvento definitivo mentre era vivo. Ma non è per lui un motivo per non vivere che nell’attesa. Paolo predica la vigilanza. Si tratta di rivestire la corazza della fede e della carità, il casco della speranza. Nessuno sa il giorno nè l’ora : ragione di più per essere pronto. Paolo insegna inoltre che la conversione dei pagani, poi quella degli Ebrei precederà la parusia (Rm 9-11), ciò che sembra suggerire un prolungato ritardo. Il Cristo deve presentare a suo Padre i frutti della sua vittoria. Fino a che tutti non sono entrati nell’unico battello, il ritorno di Cristo nella gloria è ritardato. Paolo insiste anche sulle lotte, le divisioni e le apostasie che precederanno il ritorno di Cristo (2 Ts 2,1-12), ma lo fa in termini oscuri, come in tutti i passaggi apocalittici del Nuovo Testamento. La Bibbia aveva intravisto prima della fine del mondo un ultimo sussulto del male (Ez 38-39) ; Dn 11,21-45). Paolo sottolinea due punti che a lui sembrano importanti. Il primo è che la morte introduce nella società di Cristo coloro la cui vita è stata conforme al Vangelo. Il secondo è che l’ultima generazione la quale sarà testimone della parusia avrà il privilegio di non passare attraverso la morte (1 Ts 4,15-18 ; 1 Cor 15,51-54); i corpi saranno trasformati in un batter d’occhio e resi simili ai corpi dei defunti ormai resuscitati. In breve, Paolo ricorda che il definitivo deve ancora venire. La prova ne è che il male e sempre misteriosamente presente ed attivo nel mondo. Ne deriva l’urgenza dell’annuncio della Parola e della conversione.
La giustificazione per mezzo della fede Figlio di Farisei, Paolo credeva prima della sua conversione che l’osservanza della legge gli sarebbe valsa per essere considerato come giusto. Ed ecco che il Cristo resuscitato lo chiama gratuitamente. Il suo universo religioso crolla. Nelle lettere ai Galati ed ai Romani Paolo ha sviluppato la dottrina della giustificazione per mezzo della fede in Gesù, ad esclusione delle opere della legge mosaica. La fede non è una pratica intellettuale. Essa è la confessione della divinità di Cristo, un dono totale ed irrevocabile della sua persona a Colui nel quale egli riconosceva il Figlio di Dio. Che devo fare, Signore ? (At 22,10) : Paolo è tutto intero in questa risposta al Resuscitato. Una fede astratta, senza influenza sulla vita, è per lui inconcepibile. La fede che giustifica, è la fede operante per mezzo della carità (Gal 5,6) la fede accompagnata dalle buone opere che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo (Ef 2,8-10). Fiducia nella parola di Cristo, la fede comporta il pentirsi degli errori ed il proposito di cambiare la propria vita. Paolo non cessa d’insistere sulla fuga dal peccato, la morte dell’uomo vecchio che deve fare posto all’uomo nuovo (Rm 6,6; Ef 4,22-24), la pratica assidua di tutte le virtù unite dalla carità (1 Cor 13; Col 3,14). Il gesto decisivo della fede con tutto ciò che essa comporta germoglia alla domanda del battesimo ed a una radicale conversione che fa del cristiano una nuova creatura (Gal 6,15).
La fede e la Legge La giustificazione per la fede in Cristo presuppone che le opere della Legge (Gal 2, 16) sono impotenti ad ottenere la giustificazione. Se l’osservanza della Legge mosaica poteva giustificare, si potrebbe concludere che Cristo è morto per niente (Gal 2,21) e che il sacrificio della croce è stato inutile, ciò che sarebbe una manifesta assurdità. La Legge è stata inchiodata alla croce da Cristo (Col 2,14) ; essa è ormai abolita e non poteva essere imposta ai convertiti. Nell’epistola ai Romani Paolo rintraccia la storia dell’umanità dopo Adamo (5,12) fino alla venuta di Cristo. Ebrei e pagani hanno dato scacco al piano di Dio. Tutti sono l’oggetto della collera di Dio e votati alla punizione. Nondimeno gli Ebrei avevano la Legge che doveva loro servire da guida. Quanto ai pagani, è la coscienza che era la legge iscritta nei loro cuori. Gli Ebrei si sono glorificati della loro relazione privilegiata con Dio grazie alla Legge. Essi hanno interpretato l’alleanza come un privilegio, in luogo di vederla come una missione. Di fatto la Legge fu per essi un’occasione di disobbedire (4,15). Neppure il pagano è stato fedele alla sua coscienza. Egli si è abbandonato al peccato (7,14). Ma, la giustizia di Dio si è manifestata senza la Legge. Al tempo della collera segue quello della giustizia. Dio fa misericordia a riguardo di tutti per pura grazia. Su questo fondamento è costruito l’uomo nuovo. Egli è fedele grazie allo Spirito (8,12). Non vi è pió differenza tra Ebrei e pagani che erano sottomessi senza distinzione al peccato e che sono discolpati in virtù della redenzione (3,24). Paolo dimostra con molta abilità che Abramo è stato giustificato per la sua fede alla promessa divina di una posterità innumerevole e non per la Legge mosaica, posteriore di numerosi secoli (Gal 3,6-9 ; 16-18), nè ugualmente per la circoncisione, ma per la fede (Rm 4,1-12). Il cristiano a sua volta è giustificato attraverso la sua fede in Gesù che ha il medesimo oggetto di quella di Abramo, a conoscere le promesse divine realizzate per mezzo di Cristo (Rm 4,16-25). E’ dunque per mezzo della fede che Dio giustifica, tanto prima della promulgazione della Legge mosaica quanto dopo la sua abolizione : da Mosè a Gesù Cristo, quando la Legge era in vigore, essa non concorreva alla discolpa presso i santi dell’Antico Testamento che per il motivo che la fede si univa alle promesse, come per Abramo. Le opere della Legge non si sono mai potute giustificare per se stesse. Se fosse stato diversamente, il carattere gratuito e trascendente dell’ordine soprannaturale sarebbe compromesso. L’uomo non è discolpato dalle sue opere; la fede stessa è un dono di Dio. In nessun modo l’uomo puo glorificarsi come se egli fosse l’autore della sua salvezza (Gal 5,5-6; 1 Cor 1,28-31; Rm 3,27-28 ; Ef 2,8-10). E’ umilmente che egli deve accogliere il dono della salvezza. Il ragionamento di Paolo prendeva di mira insieme alcuni convertiti i quali pensavano che la Legge rimaneva tuttora in vigore e gli Ebrei che pretendevano di osservare con le loro sole forze la Legge e le tradizioni che i maestri vi avevano aggiunto e poneva fine ad un vicolo cieco. La legge non giustificava senza la fede.
Il corpo mistico di Cristo Sulla via di Damasco Paolo ha compreso che il Cristo ed i cristiani sono un tutt’uno. Nella prima lettera ai Corinti egli sviluppa questo pensiero. Egli aveva dovuto intervenire a proposito di divisioni in seno alla comunità. Delle divisioni si erano manifestate anche nelle assemblee liturgiche. Per di più, nelle comunità, dei gruppi di credenti si proclamavano di Paolo, altri d’Apollo, altri ancora di Cefa. Paolo combatte questa sapienza umana. Nelle scuole filosofiche, i maestri arruolavano i discepoli. Se la stessa divisione si produceva nella Chiesa, essa sarebbe votata a sbriciolarsi in differenti gruppuscoli. Il cristianesimo non è una filosofia, un prodotto del genio umano. Il messaggio del Vangelo è stato accolto non dai filosofi, ma dai poveri e dai piccoli. Il Regno è promesso ai poveri, ai dolci ed ai misericordiosi. La sapienza di Dio è follia agli occhi degli uomini. La doppia formazione di Paolo gli tornava utile. Paolo ha dovuto affrontare la mentalità ellenistica in ciò che concerne i corpi. Per i Greci il corpo è trascurabile, esso è un ostacolo alla realizzazione totale del destino umano. Esso è la tomba dell’anima. Sôma, Sêma (corpo, tomba), ripetevano i Greci. Per la Bibbia il corpo è una creatura di Dio. L’uomo è un corpo vivente. Perfino il corpo è chiamato ad essere glorificato. Paolo deve difendere la dignità del corpo. Egli non tollera il ricorso alle prostitute (6,12-20) e scomunica l’incestuoso che vive con la donna di suo padre (5,1-13). E’ la dignità del corpo che lo esige : il corpo, è il tempio dello Spirito e il dovere del cristiano e di servirsene per offrire a Dio il culto della sua fedeltà. Il corpo e chiamato a resuscitare, perché la resurrezione di Cristo primo nato di tra i morti, significa che egli trae tutta l’umanità dalla morte alla vita. Definendo il corpo come tempio dello Spirito, Paolo riprendeva una antica tradizione ebraica la quale sottolineava che tutti gli elementi presenti nel Tempio di Gerusalemme trovavano il loro corrispondente nel corpo umano e nel cosmo. Vi sono dunque tre templi dove l’uomo può incontrare Dio.
L’agape La mentalità greca favoriva la conoscenza. Apollo è il dio delle belle arti e del chiarore. Paolo ricorda ai Corinti che la scienza deve essere al servizio della carità. La comunità si costruisce grazie ai doni spirituali di cui Dio la gratifica. Questi carismi sono diversi, ma essi devono servire all’edificazione del corpo di Cristo che è la Chiesa. Questi doni provengono dallo Spirito. Vi è un solo e medesimo Spirito che opera nella Chiesa e che distribuisce i suoi doni come egli crede. Paolo riprende allora dai retori romani il confronto del corpo – il midrash ebraico lo conosce ugualmente : allo stesso modo come il corpo è un tutto unico avente più membra, e che tutte le membra non formano che un solo corpo, cosi è di Cristo. E’ in un solo Spirito che noi siamo stati battezzati per non formare che un corpo : Ebrei o Greci, schiavi o uomini liberi. Paolo ripeterà spesso che non vi è più né Ebreo né Greco, né schiavo né uomo libero, né uomo né donna. Nel Cristo tutti noi non formano che un solo corpo. Per comprendere questa insistenza occorre ricordarsi che nella preghiera del mattino l’Ebreo recitava una tripla benedizione : « Io ti benedico per non avermi creato pagano, ma Ebreo, per avermi creato libero e non schiavo ; uomo e non donna ». Dopo la resurrezione di Cristo questa formula e desueta agli occhi di Paolo. In mezzo ai più nobili doni, tutti devono cedere il passo all’amore (1 Cor 13,13). E’ ancora il l’amore-dono che permette ai cristiani di partecipare degnamente al culto eucaristico. Creando delle differenze tra loro nella mancanza di compartecipazione i cristiani offendono la carità fraterna indissociabile dal Banchetto nuziale di Cristo.
Continuità dei due testamenti San Paolo è il teologo della continuità del piano divino della redenzione che appare da una parte nell’unità dei due Testamenti, dall’altra nell’identità fondamentale tra lo stato del cristiano discolpato quaggiù e lo stato glorioso che gli è promesso. L’Antico Testamento, che si è compiuto nel Nuovo (Rm 1,2; 3,21), ha un carattere tipologico e profetico : è uno dei punti sui quali Paolo è stato profondamente illuminato dallo Spirito. Il Cristo è il si per eccellenza : tutte le promesse fatte da Dio ad Israele hanno trovato in lui la loro realizzazione (2 Cor 1,19-20). Paolo cita nominatamente l’Antico Testamento più di duecento volte, ed un rapido colpo d’occhio su una traduzione delle epistole permette di rendersi conto come al di fuori delle citazioni esplicite le reminiscenze sono continue, conformemente all’uso dei rabbini di ricorrere ai testi biblici per sostenere i loro ragionamenti. Le citazioni sono fatte più spesso secondo la versione greca dei Settanta, comune agli Ebrei ed ai cristiani della Diaspora, la maggior parte dei convertiti non conosceva l’ebraico. Accade che le citazioni siano approssimative e fatte a memoria e che esse siano delle semplici illustrazioni del pensiero per un riferimento alla Scrittura. Qualche volta lo stesso Paolo si avvicina alle tradizioni targumiche lette alla sinagoga. Qualche volta il ragionamento di Paolo non corrisponde alla nostra logica. Cosi la diffusione rapida del Vangelo e sottolineata nell’epistola ai Romani, 10, 18 con un versetto del salmo dove si tratta del linguaggio silenzioso degli astri percepito dovunque. Questo accomodamento non è un argomento scritturistico, si tratta di una semplice forma letteraria corrente presso gli Ebrei. Ma Paolo cita anche delle vere profezie, per esempio quando dichiara che il Cristo è morto per i nostri peccati e che egli è stato resuscitato conformemente alle Scritture (1 Cor 15,3-4) e cita sovente la Bibbia in senso letterale, come Osea 2,25, in Rm 9,25-26. D’altra parte Paolo dà al testo una completezza di significato che l’autore sacro non aveva senza dubbio intravisto, ma che era voluta da Dio e che egli riconosce alla luce della rivelazione evangelica. E’ alla luce della Resurrezione che la Scrittura trova il suo vero significato. La giustificazione per mezzo della fede in Ab 2,4 significa direttamente che la fede alle promesse divine sarà ricompensata con la fine della prigionia in Babilonia. Paolo vede in questa liberazione storica l’annuncio della vera liberazione, la salvezza messianica che sarà liberazione dal peccato e sorgente della vera vita del profeta : Il giusto vivrà per la fede è approfondita in una linea che non la deforma, perché si tratta di fiducia nella parola di Dio (Gal 3,11; Rm 1,17), rivelazione ancora frammentaria ai tempi del profeta e completata da Cristo (Eb 1,2). Paolo rinforza questo argomento con il salmo 142,2 ove si dice che nessuno è giusto davanti a Dio (Gal 2,16). Egli applica al caso degli Ebrei che attendono dalla Legge la loro discolpa l’affermazione senza restrizione del salmo ed egli si ritiene incaricato a dichiarare che nessuno è giustificato per mezzo delle opere della Legge, ciò che è inoltre stabilito per delle altre ragioni nei versetti che seguono (2,17). Alcuni ragionamenti scritturistici di Paolo non cessano di meravigliare il lettore moderno. Quando si ricordi la formazione rabbinica di Paolo, si comprendono meglio i suoi metodi di lettura ed il suo approccio al testo ispirato che deve parlare ancora al giorno d’oggi.
Tipologia Ai piedi di Gamaliele, Paolo aveva appreso a leggere le Scritture. Ma il Cristo Resuscitato si era manifestato a lui come colui che ha compiuto le Scritture. La lettura midrashica doveva cedere il passo alla lettura cristologica. Negli avvenimenti dell’Antico Testamento Paolo vede il carattere, la preparazione di quelli del Nuovo. La tradizione giovannea applica a Cristo gli episodi del serpente di bronzo (Gv 3,14), della manna (Gv 6, 32-33.58), dell’acqua viva (Gv 7,37-38), del buon pastore (Gv 10,11). I Sinottici usano lo stesso procedimento : il salmo 22 è applicato a Cristo durante la sua Passione (Mt 27,46); Gesù è il vero sposo e la vera vigna (Mc 2,19-20 ; Mt 22,1-14 ; Mc 12,1-9 ; Gv 15,1-8), la pietra angolare (Mc 12,10-11). La prima lettera di Pietro (2, 22-25) e l’autore dell’Apocalisse sottintendono la medesima dottrina. Paolo pone in principio che la Legge è l’ombra delle cose a venire (Col 2,17) e ne fa numerose applicazioni : Adamo è il tipo o figura di Cristo (Rm 5,12), la giustificazione di Abramo per mezzo della fede prefigura quella dei cristiani (Rm 4, 17.23) ; il Cristo è il vero agnello pasquale (1 Cor 5,7) ; l’antica alleanza annuncia la nuova conclusa nel sangue di Cristo (1 Cor 11,25), la manna del deserto e l’acqua sgorgata dalla roccia simbolizzano i sacramenti cristiani (1 Cor 10,1-6) e la punizione degli Israeliti privati dall’entrare nella terra promessa a causa della loro indocilità deve far temere ai cristiani la collera divina se essi seguono questo esempio (1 Cor 10,6-11) ; l’unione dell’uomo e della donna deve prendere esempio da quella di Cristo e della Chiesa (Ef 5,22-33) ; l’antico Israele, discendenza carnale di Abramo, prefigura l’Israele nuovo, secondo lo spirito (Gal 3,7-9.26), l’Israele di Dio (Gal 6,16) che non è più limitato ad un solo popolo, ma abbraccia tutta l’umanità (Gal 3,26-28).
Conversione Paolo esamina cosi il significato profondo dell’Antico Testamento. A Qumran gli Esseni avevano già paragonato le Scritture al pozzo d’acque vive dato al popolo nel deserto. I rabbini compararono incessantemente la Legge all’acqua. Tuttavia le Scritture sono orientate verso il Cristo. Dimenticare questo orientamento messianico, è far prova di cecità. Il velo che era sul volto d’Israele nella lettura dell’Antico Testamento cade definitivamente quando ci si converte al Signore (2 Cor 3,13-16). Questo ragionamento, senza dubbio valevole solamente per chi riconosce il carattere ispirato e profetico della Scrittura, porta una conferma alle altre prove della fede. Eccezionalmente Paolo lo usa nell’allegoria di Sara e di Agar (Gal 4,21-31) con una sottigliezza degna dei metodi rabbinici. Vi è dunque tutta una gamma nell’utilizzazione della Scrittura da parte di Paolo; ogni citazione deve essere pesata con cura onde evitare di maggiorare o minimizzare l’insegnamento dell’Apostolo.
Continuità della vita di grazia e della vita eterna L’unità e la continuità dei due Testamenti hanno per complemento e coronamento la continuità tra la vita della grazia quaggiù e la vita eterna. Il dono dello Spirito Santo fa del cristiano il figlio del Padre celeste ed il fratello e coerede del Figlio (Gal 4,6-7; Rm 8,16-17.29). Il cristiano diviene figlio nel Figlio. Egli è trasformato fino al profondo del suo essere e posto in un nuovo stato che egli può perdere per il peccato, ma che non differisce dalla vita eterna che nel grado e non in natura. Le lettere di Paolo ritornano in diversi modi su questo aspetto del mistero redentore. Il cristiano vive nel tempo e nell’eternità; gli ultimi tempi sono iniziati per lui. La parusia, presenza velata di Cristo nei cuori (Ef 3,17), è l’inizio della sua parusia finale nella gloria; nostra vita, nascosta ora in Dio con il Cristo, si schiuderà con lui nella gloria al momento del suo ritorno nella Gloria (Col 3, 3-4). La celebrazione eucaristica, nel corso della quale i cristiani annunciano il ritorno di Cristo, è il legame per eccellenza tra questi due avvenimenti (1 Cor 11-26). I pegni e le primizie dello Spirito che noi possediamo ora (2 Cor 1,22; 5,5; Ef 1,14; Rm 8,23) garantiscono il dono totale. Noi viviamo della vita di Cristo (Gal 2,20). Il regno di Dio è incominciato, attendendo di divenire completo e definitivo (1 Cor 15,24-28). Dio ci chiama al suo Regno ed alla sua gloria (1 Ts 2,12) e noi vi siamo ora introdotti strappandoci alla potenza delle tenebre (Col 1,13). Paolo riprende la definizione della Pasqua ebraica per parlare della Pasqua definitiva. E’ nella speranza che noi saremo stati salvati (Rm 8,24). Tuttavia la nostra salvezza e parzialmente acquisita, noi siamo nei giorni della salvezza (2 Cor 6,2). La liberazione dal peccato e dalla morte è iniziata; si tratta di rimanere fedeli. Il cristiano non è destinato alla collera, ma all’ottenimento della salvezza per mezzo di Gesù (1 Ts 5,9). Egli è salvato dalla bontà di Dio mediante la fede (Ef 2,8). Tempi ed eternità si compenetrano. Benché vivente sulla terra il cristiano è già cittadino dei cieli (Fil 3,20). Paolo rivolta in tutti i significati questo pensiero che caratterizza la speranza cristiana : esso non può sbagliare (Rm 5,5). Un’inadempienza ed un insuccesso non sono possibili. La connessione costante delle due prospettive temporale ed eterna che si frammischiano può a prima vista sembrare oscura. La giustapposizione dei due orizzonti era già conosciuta nel pensiero apocalittico.
Vista d’insieme sul piano redentore La dottrina della redenzione della salvezza traspare dappertutto nelle lettere di Paolo. Le sue grandi articolazioni sono facili da cogliere, sopratutto nell’epistola ai Romani. Altrove esse sono più diffuse. Nulla di strano che Pietro abbia avuto difficoltà a seguire il pensiero di Paolo. Quest’ultimo è molto meno occupato a dare un insegnamento sistematico che a rispondere alle questioni concrete delle comunità cristiane. Dei casi delicati di coscienza si presentano in alcune comunità. Inoltre dei dottori di menzogne cercano di dividere il gregge di Cristo. Le eresie nascenti, in particolare quelle dei giudaizzanti che preconizzavano un ritorno all’osservanza della Legge ebraica, hanno avuto tuttavia una fortunata influenza : esse hanno portato Paolo ad approfondire la sua dottrina, a formularla in maniera più precisa, più completa. Paolo parla del suo Vangelo (Gal 1,11; Rm 2,16). Attraverso quello, egli intende meditare il mistero della redenzione universale, mistero di Cristo che associa coloro che credono in lui alla sua morte ed alla sua resurrezione. L’umanità ha fatto l’esperienza del peccato. Nessuno penserà di negarla. Lo spettacolo di Atene riempita di idoli aveva indignato Paolo (At 17,16). Nell’epistola ai Romani (1,18-3,20)) è redatta una tavola della corruzione del mondo pagano e dell’infedeltà d’Israele, che pone gli Ebrei in situazione cosi spiacevole come i pagani. Il regno del peccato e della morte risale alla disobbedienza di Adamo che ha fatto perdere all’umanità l’amicizia divina ed ha scatenato le passioni malvagi. Gli uomini sono sprofondati nella rivolta contro Dio. Il mondo pagano non ha saputo riconoscere il Creatore nelle sue opere. Israele, benché favorita dalle rivelazioni divine, si è dimostrata indocile ed ha violato i precetti della Legge. La Legge non le ha dato la forza di vivere il messaggio rivelato. Dio aveva, nella sua misericordia, promesso per mezzo dei profeti un Messia discendente da Davide che ridarà i sei oggetti perduti a causa del peccato di Adamo e che concluderà la nuova alleanza con tutta l’umanità. Quando i tempi furono compiuti, Dio a inviato il suo unico Figlio, preesistente, creatore ed eterno come lui. Nato dalla discendenza di Davide, secondo la carne, il Figlio di Dio ha rivestito una natura umana soggetta alla sofferenza ed alla morte. Nel suo amore per gli uomini, egli si è fatto obbediente fino alla morte in croce, divenendo secondo una volontà eterna del Padre mezzo d’espiazione per gli uomini. La sua obbedienza ha riparato le disobbedienze di Adamo. Il nuovo Adamo crea cosi una nuova umanità. Per la fede in lui i peccatori sono giustificati ; la solidarietà in Gesù Cristo è più forte che la solidarietà in Adamo. Per manifestare l’efficacia del sacrificio di Cristo, Dio l’ha sovranamente esaltato con la resurrezione e l’ascensione. Glorificato alla destra del Padre, Gesù ha ricevuto il titolo di Signore. Come redentore egli riconcilia gli uomini con Dio. Tale è il messaggio della redenzione.
La redenzione E’ il sangue di Cristo che redime l’uomo peccatore (1 Cor 6,20 ; 7,23). Ma Dio che ci ha redenti senza di noi, non ci salva senza chiederci il nostro libero consenso; questa soluzione è degna di Dio e dell’uomo. La risposta alla chiamata di Dio è data dalla fede che è accettazione per mezzo dell’intelligenza del messaggio cristiano e consacrazione vitale del credente al Salvatore nel suo essere e nella sua vita. La fede è essa stessa un dono di Dio. Dio non la rifiuta agli uomini di buona volontà. L’adesione a Cristo porta il convertito a chiedere il battesimo, che significa una nuova nascita, il perdono del peccato ed il dono della vita soprannaturale (Rm 6,3-11) che lo fa morire, lo seppellisce e lo risuscita spiritualmente con il Cristo. Egli muore al peccato e vive d’ora innanzi per Dio nel Cristo. Per non decadere dal suo stato di giustificato, il cristiano deve lottare contro le tendenze malvagi che sussistono in lui. Paolo conosce l’antropologia delle due tendenze che sono presenti nel cuore dell’uomo. La vita diventa cosi una battaglia spirituale. Per riportare la vittoria il cristiano e armato con il dono dello Spirito che lo fortifica per crocifiggere la carne, per vivere nella pratica della carità e di tutte le virtù, per riprodurre in se l’immagine del Cristo, al fine d’essere trasformato in questa stessa immagine (2 Cor 3,8). Lo Spirito lo illumina, l’ispira, gli dà gli aiuti indispensabili per vivere veramente da figlio del Padre celeste, da fratello di Cristo, da membro del suo corpo e da tempio dello Spirito. L’Eucaristia che fa memoria del sacrificio redentore è il mezzo privilegiato di trasmettere ed accogliere la vita divina.
La Chiesa Depositaria dell’insegnamento di Cristo e degli apostoli, essa è guardiana della fedeltà alle esigenze della vita cristiana. Membro di questo grande corpo (Col 1, 24 : Ef 1,22-23), il cristiano non è isolato. Egli è sostenuto dalla preghiera, gli esempi ed i sacrifici dei suoi fratelli; egli sa che tutte le sue azioni contribuiscono all’edificazione del corpo di Cristo. Nella posizione in cui Dio l’ha chiamato, verginità o matrimonio, si ricorda che egli ha carico dei suoi fratelli, unito a loro dal legame dell’Eucaristia. Lavorando alla salvezza di tutti nello stesso tempo che sua, egli cammina con amore verso la vita gloriosa promessa. Nella speranza del ritorno di Cristo, egli collabora alla venuta del Regno. Né Ebreo né pagano Tutti gli uomini sono invitati a superare il nazionalismo ed a realizzare che non vi sia più né Ebreo né pagano, né schiavo né uomo libero. Se Israele nella sua grande maggiorità ha tenuto una benda sugli occhi, un giorno verrà in cui riconoscerà in Gesù di Nazaret il Messia annunciato dalle Scritture. La sua incredulità ha portato la benedizione sui pagani; ma le promesse divine non saranno messe in scacco. Il popolo eletto rimane amato da Dio per merito dei Padri e sarà salvato a sua volta. Un terribile dramma si giocò in effetti dopo la caduta del primo uomo. Il Cristo ha vinto Satana sulla croce. Ma i nemici di Cristo e del Vangelo non hanno perduto tutta la loro virulenza e la battaglia continua. Il mistero d’iniquità, l’uomo del peccato che si sostituisce a Dio, sono sempre in azione. Delle apostasie affliggono la Chiesa. Tutti i cristiani sono attori in questo dramma e sono invitati a perseverare fino alla fine. Coloro che rimarranno fedeli saranno per sempre con il Cristo quando la morte verrà a porre un termine al loro soggiorno sulla terra. La battaglia proseguirà fino al giorno conosciuto soltanto da Dio quando il Salvatore discenderà dal cielo, annienterà l’Empio con il soffio della sua bocca ed il fulgore del suo avvento (2 Ts 2,1-12). Distruggendo la morte stessa, Gesù resusciterà per l’azione dello Spirito Santo, coloro che si sono addormentati; allora egli rimetterà il Regno nelle mani di suo Padre, i corpi mistici avranno raggiunto la loro statura perfetta e Dio sarà ormai tutto in tutti (1 Cor 1,24-28). Paolo insiste molto sulla libertà del cristiano. Da sottile dialettico egli afferma che tutto appartiene al cristiano, ma il cristiano appartiene a Cristo ed il Cristo appartiene a Dio. Tutto ciò che tiene conto di questo orientamento finale è lecito. « Ama e fai ciò che vuoi », dirà sant’Agostino. Paolo ed i suoi discepoli non furono dei teorici né degli speculativi. Prima di tutto essi furono dei pastori, sacerdoti ad illuminare il popolo di Dio. La loro teologia inizia da una vita spirituale profonda che fa di loro degli innati ottimisti. Sicuri dell’amore divino e della vittoria di Cristo sulla morte, essi avanzano in mezzo alle difficoltà. La croce e le prove non furono loro risparmiate. Ma unendo le loro sofferenze a quelle di Cristo essi completano nei loro corpi ciò che manca alla passione di Cristo (Col 1,24). In effetti, il Cristo è in agonia fino alla fine dei tempi.