Sant’Ignazio di Loyola

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Sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787) – memoria il 1 agosto
di Francesco Pappalardo
1. La scelta degli « ultimi »
Sant’Alfonso Maria de’ Liguori nasce a Marianella di Napoli il 27 settembre 1696, da nobile famiglia napoletana, iscritta al Sedile o circoscrizione di Portanuova, primo di otto figli.
Immatricolato all’università di Napoli all’età di soli dodici anni, dopo aver sostenuto un esame di retorica con il filosofo e storico Giambattista Vico (1668-1744), consegue il dottorato in utroque iure, cioè in diritto civile e in diritto canonico, il 21 gennaio 1713, con largo anticipo rispetto all’età consueta. Dopo due anni di apprendistato inizia l’attività forense, che svolge con onestà e rispetto della verità, superando i pericoli morali che vi erano connessi e diventando presto uno dei più rinomati giureconsulti della capitale, tanto da non perdere mai un processo per otto anni. Si dedica anche alle opere di misericordia e, nel 1715, si aggrega alla Pia Unione dei Dottori, assumendosi il compito di visitare e di assistere i malati del più grande ospedale di Napoli, chiamato degli Incurabili.
Nel luglio del 1723 patisce una cocente sconfitta professionale e, riprendendo un proposito della prima giovinezza, decide di abbracciare lo stato ecclesiastico. Il 29 agosto seguente conferma questa sua decisione, deponendo lo spadino di cavaliere davanti a una statua della Madonna nella piccola chiesa della Mercede. Il 27 ottobre 1724 entra come novizio nella Congregazione delle Apostoliche Missioni, e il 21 dicembre 1726, all’età di trent’anni, riceve l’ordinazione sacerdotale.
Grande amico del popolo, al quale insegna che tutti sono chiamati alla santità, ognuno nel proprio stato, sant’Alfonso si circonda di ecclesiastici e di laici di ogni ceto, sesso ed età, ovunque organizzandoli in numerose associazioni: degli Operai, dei Gentiluomini, dei Chierici, dei Missionari Diocesani, delle Donne Cattoliche, della Gioventù Femminile, delle Scuole Pie e altre ancora. Infatti, profondo conoscitore dei cuori e delle esigenze delle diverse realtà sociali, vuole un’assistenza materiale e spirituale adeguata alla particolare natura di ognuna di esse.
Si dedica in modo particolare ai ceti più umili, compiendo innumerevoli missioni nelle campagne e nei paesi rurali e prodigandosi in un intenso apostolato nei quartieri più poveri di Napoli, dove organizza, fin dal 1727, le Cappelle Serotine, frequentate assiduamente da artigiani e da « lazzari », cioè dal popolo minuto, che si radunavano la sera, dopo il lavoro, per due ore di preghiera e di catechismo. L’opera ha una rapida diffusione e diventa una scuola di rieducazione civile e morale.
Sant’Alfonso si rivolge al popolo con i mezzi pastorali più idonei e più efficaci, rinnovando la predicazione nei metodi e nei contenuti, collegandola con un’arte oratoria semplice e immediata. Il dialetto, che egli usa spesso nel contatto con i più umili, non è soltanto veicolo di trasmissione del messaggio evangelico, ma diventa strumento di raffinata poesia, che pone il santo nella schiera dei grandi poeti napoletani.
La scelta « preferenziale » per i poveri non significa trascurare la parte più abbiente della popolazione, dal momento che « ultimo » è chiunque si trova in pericolo di perdersi o per povertà materiale o per povertà spirituale e intellettuale. Sant’Alfonso, individuando nella missione verso i poveri e i dotti la necessità del momento, rivolge un’attenzione particolare anche ai nobili e agli intellettuali, perché la Chiesa, assorbita dal punto di vista culturale dal confronto con il giurisdizionalismo e da quello pastorale dalla catechesi popolare, aveva lasciato tali ceti sprovveduti di fronte alla diffusione delle nuove ideologie.
Dal moto alfonsiano – che si intreccia ai primi del secolo XIX con la nuova fioritura delle pratiche religiose di spirito ignaziano, soprattutto grazie all’opera di padre Nikolaus Albert von Diessbach S.J. (1732-1798) e del venerabile Pio Bruno Lanteri (1759-1830) – nasce una pietà solidissima, che costituisce il principale alimento spirituale delle famiglie cattoliche per tutto l’Ottocento e oltre, specialmente nei centri rurali.
2. Maestro di sapienza e di infaticabile apostolato
Sant’Alfonso presta fin da subito la sua energica mano alla Chiesa travagliata da attacchi interni ed esterni, e si prodiga per migliorare le condizioni spirituali e le sorti materiali del popolo.
Il suo carattere positivo lo orienta verso i problemi più immediati della vita dei credenti, scossi nella fede e nelle certezze tradizionali da nuovi movimenti culturali e religiosi, soprattutto l’illuminismo, che minava alle fondamenta la fede cristiana, e il giansenismo, sostenitore di una dottrina della grazia che, invece di alimentare la fiducia e animare alla speranza, portava alla disperazione o, per contrasto, al disimpegno. Si tratta di argomenti cui dedica Breve dissertazione contro gli errori dei moderni increduli, del 1756, e Verità della fede contro i materialisti e deisti, del 1767.
Come missionario percorre i paesi vesuviani, gli Appennini e le Puglie annunciando con semplicità i princìpi della vita cristiana. Nel 1732, desiderando evangelizzare con più efficacia le popolazioni del Mezzogiorno, specialmente quelle più abbandonate e più sprovviste di aiuti spirituali, fonda a Scala, piccolo paese sopra Amalfi, la Congregazione del Santissimo Salvatore, poi denominata del Santissimo Redentore, allo scopo vincendo l’ostilità di intellettuali e di uomini di governo, che non volevano sentir parlare di nuovi ordini religiosi proprio mentre operavano per la soppressione di quelli già esistenti.
Nel 1762, a sessantasei anni, pur conservando la carica di rettore maggiore della Congregazione, viene nominato vescovo della diocesi di Sant’Agata dei Goti, nel Beneventano. Nel nuovo compito pastorale sviluppa un’attività che ha quasi dell’incredibile, nella duplice direzione del ministero diretto – avviando una riforma spirituale del clero nei tre fondamentali momenti della vocazione, del ministero e della preghiera – e dell’apostolato della penna.
La sua produzione letteraria è imponente, dal momento che giunge a comprendere ben centoundici titoli e ad abbracciare i tre grandi campi della fede, della morale e della vita spirituale. Fra le opere ascetiche, in ordine cronologico, si possono ricordare le Visite al SS. Sacramento e a Maria SS., del 1745, Le glorie di Maria, del 1750, Apparecchio alla morte, del 1758, Del gran mezzo della preghiera, del 1759, e la Pratica di amar Gesù Cristo, del 1768, il suo capolavoro spirituale e il compendio del suo pensiero. I suoi scritti, in cui la semplicità dell’esposizione si unisce a una sapienza profonda, saranno tradotti in oltre settanta lingue e avranno circa diciassettemila edizioni.
Nel 1775, fiaccato da molte sofferenze fisiche e spirituali, sant’Alfonso lascia la diocesi e si ritira a Pagani, nel Salernitano, in una casa del suo istituto religioso, dove rimane fino alla morte, avvenuta il 1° agosto 1787.
Il processo di beatificazione ha inizio già nove mesi dopo. Il 20 febbraio 1807, a meno di vent’anni dalla morte, Papa Pio VII (1800-1823) ne proclama l’eroicità delle virtù e il 15 settembre 1815 lo proclama beato; Papa Gregorio XVI (1831-1846) lo canonizza nel 1839, Papa Pio IX (1846-1878) lo proclama Dottore della Chiesa nel 1871 e Papa Pio XII (1939-1958) lo assegna come celeste patrono a tutti i confessori e moralisti nel 1950
3. Sant’Alfonso attraverso i secoli
Nel 1871, in occasione della sua proclamazione a dottore universale, fu detto giustamente che tutti gli errori condannati dal Sillabo nel 1864 – deismo, materialismo, liberalismo, socialismo, comunismo, società segrete – trovano una condanna e una confutazione anticipata nei suoi scritti. La fama di sant’Alfonso, notevolissima già nel corso della sua vita, è rimasta inalterata negli oltre due secoli trascorsi dalla sua morte.
Uomo di ampia e raffinata cultura umanistica e giuridica, oltre che teologica e filosofica, laico fervente, sacerdote dedito alla rieducazione religiosa, morale e civile del popolo napoletano, missionario, fondatore di una congregazione religiosa, vescovo zelante, scrittore fecondo di opere teologiche e ascetiche, pittore, poeta, musicista, sant’Alfonso è senza dubbio un grande protagonista della storia della Chiesa e della storia tout court.
Nel Mezzogiorno porta a termine uno straordinario lavoro di animazione civile e culturale, dotando la Chiesa e la società di numerosi e solidi presìdi, che sarebbero stati lievito della reazione della Santa Fede, che ebbe nel santo il suo preparatore remoto ma profondo, nello stesso senso in cui san Luigi Maria Grignion di Montfort (1673-1716) preparò la Vandea.
Inoltre, grazie ai suoi scritti e alla loro ampia diffusione, la consuetudine della meditazione diventa molto comune anche al di fuori della penisola italiana, si radica in tutti i ceti una sapienza cristiana, frutto dell’assimilazione delle massime eterne, e viene promosso il risveglio eucaristico europeo lungo la seconda metà del secolo XVIII e attraverso tutto il secolo XIX.
Infine, d’immensa portata è la sua polemica contro il giansenismo, poiché investiva la pratica sacramentale e la concezione stessa di Dio, della Redenzione, della salvezza e della Chiesa. Di fronte al dilagare dell’errore egli opera con alacrità per conservare integra nel popolo la fede in genere e, in specie, la devozione a Maria, e in campo strettamente dogmatico elabora una dottrina della grazia imperniata sulla preghiera, che restituirà alle anime il respiro della fiducia e l’ottimismo della salvezza. Perciò sant’Alfonso segna nella storia della teologia morale una svolta decisiva per la pratica della vita e della pietà cristiana.
Il suo probabilismo – che si opponeva sia al rigorismo giansenista, influenzato dal protestantesimo puritano, sia a un certo lassismo volgare, sorto come reazione eccessiva al rigorismo – costituisce la più sicura garanzia contro i sogni utopistici e ricorda, in opposizione a quanti pensano che il progresso storico porterebbe alla graduale estinzione del male, che la perfezione non è di questo mondo. Se si considera che, fra tutti i Dottori della Chiesa, sant’Alfonso è stato definito « il più letto » dai comuni fedeli, che la maggioranza del clero – in Italia come in Francia – ne adottò le massime nella pratica quotidiana del confessionale e che egli, per oltre un secolo, ha rappresentato la massima autorità riconosciuta nel mondo cattolico nel campo della teologia morale, si comprende il ruolo decisivo che questa figura ha avuto nel radicare un sano realismo di fronte a tutte le utopie e nel riformulare un ethos italiano di fronte alla sfida della Modernità.
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SANT’IGNAZIO DI LOYOLA: AD MAIOREM DEI GLORIAM (PRIMA PARTE)
La storia del fondatore della Compagnia di Gesù e della sua dolorosa conversione
di Pietro Barbini
ROMA, lunedì, 30 luglio 2012 (ZENIT.org) – Ignazio di Loyola, proclamato santo nel 1622 da papa Gregorio XV, viene ricordato domani, 31 luglio, giorno in cui si spense nell’anno 1556. La sua storia è universalmente conosciuta, grazie anche alla sua biografia, da lui stesso realizzata e pervenutaci intatta.
Il più piccolo di 13 fratelli, Ignazio crebbe agiatamente nel Castello di famiglia, appartenente al potente casato dei Loyola. Per un breve periodo prestò servizio come cortigiano presso il tesoriere del Regno di Castiglia, suo parente, e nel 1517, dopo la morte di entrambi i genitori, si arruolò nell’esercito di don Antonio Manrique, duca di Najera e viceré di Navarra, dove nel 1521, nel corso dell’assedio di Pamplona, rimase ferito ad una gamba da una palla di cannone.
Fu così costretto a letto per tre mesi, sotto stretto controllo medico e subendo dolorose operazioni. In questo periodo ebbe modo di avvicinarsi al cristianesimo, grazie alla lettura di numerosi testi religiosi dei quali ne rimase profondamente affascinato, in particolar modo dalla Vita di Cristoe dalla Legenda Aurea:queste letture colpirono talmente nell’intimo il futuro santo che, a guarigione avvenuta (la sua gamba ferita rimarrà comunque più corta dell’altra), decise di convertirsi, ritenendo che la sua vita avrebbe dovuto cambiare drasticamente.
La sofferenza fisica patita da Ignazio, la paura e l’angoscia vissuta in quel periodo, fu cruciale per la sua conversione, in quanto proprio in quella situazione di impotenza, in quella sua “croce”, ebbe modo di incontrare Dio nella sua vita, nella figura di Gesù Cristo, motivo per cui ritenne opportuno da quel momento in poi vivere seguendo l’esempio, oltre che dei santi, di Gesù Cristo, cercando di imitarlo fino ad incarnarlo nella propria esistenza, con i fatti e con il cuore, divenendo vero e proprio strumento dell’azione divina.
Per Ignazio di Loyola, infatti, l’uomo progredisce o regredisce, indistintamente, imitando necessariamente l’esempio di qualcuno, positivo o negativo che sia, e dato che solamente in Gesù Cristo l’uomo ha trovato la sua espressione più alta, ne conviene che Cristo sia l’unico esempio da imitare. Decise dunque di andare in Terrasanta, sulle orme di Gesù, visitando i luoghi della sua presenza.
Tornato in Spagna, all’età di 33 anni, ritenne opportuno, per poter svolgere al meglio l’attività di apostolato, di approfondire le sue conoscenze letterarie e teologiche; dapprima studiò grammatica latina a Barcellona, poi filosofia all’Università di Alcalà e a Salamanca, completando gli studi a Parigi nel 1528, dove vi rimarrà fino al 1534.
Qui conobbe i suoi primi compagni/discepoli (Pietro Favre, Francesco Xavier, Diego Lainez, Alfonso Salmerón, Simão Rodrigues e Nicolás Bobadilla) che assieme a lui, il 15 agosto 1534, presso la Cappella di Montmartre fondarono la Compagnia di Gesù, vero e proprio frutto della conversione di Sant’Ignazio. Nell’ambito della Compagnia di Gesù, ad oggi, si contano 49 Santi di cui 34 martiri e ben 147 Beati di cui 139 martiri e numerosissimi Servi di Dio e Venerabili, tra i quali ricordiamo San Francesco Saverio, che evangelizzò l’India e il Giappone, e Matteo Ricci, uno dei più grandi missionari della Cina.
Benedetta da papa Adriano VI ancora prima della sua fondazione, lodata ed approvata con entusiasmo da papa Paolo III con ben 2 bolle (Regimini militantis ecclesiaee Iniunctum nobis), ’approvazione definitiva della Costituzione redatta dallo stesso Ignazio avvenne nel 1550 con la bolla Exposcit debitumdi papa Giulio III.
Già nel 1541 il santo venne eletto all’unanimità Preposito Generale della Compagnia e di conseguenza inviò i suoi “figli” in tutto il mondo allora conosciuto, compresi i cosiddetti “nuovi paesi” (Africa, America ed Asia), per portare la “buona novella”, fondando scuole, istituti, collegi e seminari; nel 1944, per volere del papa, Ignazio divenne l’apostolo di Roma, svolgendo, dalla città capitolina, un’assidua attività di preghiera, celebrando giornalmente l’eucarestia e coordinando tutte le attività della Compagnia (si dice che dormisse quattro ore a notte per adempiere a tutti i suoi compiti), accompagnato da continui ed intensi dolori allo stomaco sempre più frequenti fino alla fine dei suoi giorni.
[La seconda parte dell'articolo biografico su Sant'Ignazio di Loyola sarà pubblicato domani, martedì 31 luglio]
http://www.zenit.org/article-31945?l=italian
SANT’IGNAZIO DI LOYOLA: AD MAIOREM DEI GLORIAM (SECONDA PARTE)
La Compagnia di Gesù fu determinante nell’evangelizzazione dell’America Latina, ponendo un limite al triste fenomeno dello schiavismo
di Pietro Barbini
ROMA, martedì, 31 luglio 2012 (ZENIT.org) – La Compagnia di Gesù, frutto dell’azione dello Spirito Santo nella persona di Ignazio di Loyola, si fonda sin dalle sue origini sui principi del monachesimo accompagnato da un fervente e dinamico spirito apostolico.
Di carattere pressoché itinerante, l’azione missionaria dei gesuiti non ha conosciuto confini. Alle numerose attività di carattere umanitario, svolte con uno zelo pressoché unico, i Gesuiti combinavano una profonda vita interiore, fatta di costanti pratiche spirituali, come insegnato da Sant’Ignazio nei suoi Esercizi Spirituali.
Ciò che ha da sempre contraddistinto i gesuiti da qualsiasi altro ordine è l’assoluta obbedienza, oltre che ai loro superiori, al Papa; la Compagnia di Gesù, infatti, è l’unico ordine al mondo ad includere, oltre i tre voti di povertà, castità e obbedienza, un quarto voto solenne di totale fedeltà ed obbedienza al Santo Padre.
Altra peculiarità è la minuziosa preparazione culturale dei suoi membri. Nel 1547 sant’Ignazio affidò alla Compagnia il ministero dell’insegnamento, che diventò ben presto una delle loro principali attività che dette altresì lustro e prestigio alla Compagnia di Gesù. D’altronde è noto a tutti che dopo la caduta dell’Impero Romano fu la Chiesa Cattolica a preoccuparsi dell’istruzione e della diffusione, nonché conservazione, della cultura, fondando scuole, creando biblioteche e istituti per l’insegnamento, impartito gratuitamente e liberamente a chiunque (da ricordare che la più antica università, quella di Bologna, nacque all’interno del territorio pontificio).
Per quanto riguarda l’istruzione, i Gesuiti svolsero un ruolo di primo piano e la fama della rinomata istruzione impartita all’interno delle loro scuole è nota a chiunque; non a caso presso i Gesuiti si formarono noti intellettuali e scienziati come Buñuel, Cartesio, Joyce, Voltaire, nonché personalità politiche di fama mondiale.
Nei secoli XVII e XVIII i Gesuiti divennero una realtà consolidata all’interno della società, un esempio di fedeltà, integrità morale e virtù. Dediti al servizio e alla cura del prossimo, furono anche al centro di numerose dispute teologiche e dottrinali dell’epoca, operando nella Controriforma e nell’evangelizzazione dei cosiddetti “nuovi paesi”, fondarono missioni, collegi, monasteri e scuole in tutto il mondo.
Tutto questo zelo dimostrato e il ruolo di rilievo acquisito all’interno della vita politica e sociale, però, alimentò l’odio di molti, in particolare dei sovrani europei che arrivarono al punto di cacciarli dai loro stati, con conseguente persecuzione.
Negli ultimi due secoli è stato fatto di tutto per diffamare quest’ordine religioso, tra i più prestigiosi al mondo, attraverso una propaganda denigratoria portata avanti da tutti quei governi, partiti ed intellettuali da sempre avversi alla Chiesa cattolica. Maldicenze, calunnie e dicerie sono state perpetrate sino ai giorni nostri, create ad arte con l’unico scopo di screditare la Chiesa e gettare fango sulla Santa Sede.
Nonostante ciò la ricerca storica sta portando alla luce molti documenti e, di conseguenza, svelando le molte verità celate, grazie, soprattutto, ad alcuni studiosi, seri e capaci, che da molti anni si stanno prodigando in un consistente lavoro di revisionismo storico, attuato con diligenza e professionalità.
In tal senso è necessario ricordare il ruolo fondamentale svolto dai gesuiti per il buon mantenimento dei rapporti con le popolazioni dell’America Latina. Sin dall’inizio della colonizzazione, infatti, si schierarono in difesa dei diritti delle popolazioni locali, facendo costanti richiami al rispetto dei diritti naturali, denunciando soprusi e violenze commesse da chi approfittava della lontananza dalla propria patria per lucrare sulle popolazione locali, disobbedendo alle disposizioni dell’allora regina Isabella di Castiglia che intimava ai suoi sudditi il massimo rispetto degli indigeni, contro lo sfruttamento economico.
Parimenti il papa, attraverso numerose lettere, scoraggiava qualsiasi tipo di conversione forzata nonché la schiavitù degli indios, “uomini al pari nostro”. La propaganda contro la colonizzazione dell’America Latina parte dunque dalle denunce fatte dagli uomini di Chiesa che affiancavano gli spagnoli; richiami che nel corso della colonizzazione del Nord America da parte dell’Inghilterra protestante e anticattolica non sono mai avvenuti, nonostante la colonizzazione anglosassone sia avvenuta tutt’altro che pacificamente, al punto che gli indiani d’America sono stati quasi completamente eliminati.
Fatto sta che nel 1773 papa Clemente XIV, pressato dalla congiura dei “philosophes anticristiani”, dopo le continue calunnie e la massiccia propaganda antigesuita, sciolse ufficialmente la Compagnia di Gesù (vedi Vittorio Messori, Pensare la storia). I Gesuiti però sopravvissero in Russia sotto la protezione dell’imperatrice Caterina II, fino a che papa Pio VII nel 1814 diede avvio alla restaurazione della Compagnia continuando così la loro missione apostolica, fino ai giorni nostri, ad Maiorem Dei Gloriam .
[La prima parte è stata pubblicata ieri, lunedì 30 luglio]
http://www.paroledivita.it/upload/2001/articolo5_2.asp
I PROFETI ELIA ED ELISEO
Pier Luigi Ferrari
Abbiamo dato a questa annata il titolo Storie di re e di profeti.Infatti, accanto ai re emergono continuamente figure di profeti, personaggi inviati dal Signore per annunciare al popolo la volontà di Dio. La loro presenza fa subito comprendere come la storia narrata in questi quattro libri non è soltanto storia di re, guerre e battaglie, ma è prima di tutto storia del rapporto tra Dio e il suo popolo o, se vogliamo, una lettura della storia fatta a partire dalla fede nel Dio d’Israele. Abbiamo già incontrato figure di profeti: Samuele all’inizio della monarchia, Natan e Gad accanto a David; altre figure incontreremo nella storia dei re successivi. Tra questi profeti emergono in modo particolare due personalità di primo piano: Elia (1Re 17-2Re 1) ed Eliseo (2Re 2-13). Le tradizioni che li riguardano formano un dittico che si colloca, non solo sotto l’aspetto materiale, ma soprattutto sotto l’aspetto teologico, nel cuore stesso dei due libri dei Re. Quasi la metà di questi due libri è segnata dalla loro presenza.
A questi due profeti è dedicato il quinto numero di «Parole di vita». Siamo guidati innanzi tutto a comprendere il significato del «ciclo di Elia», a scoprire come si sono formate e come sono state trasmesse le tradizioni che esso raccoglie, quali sono i livelli di lettura del testogiunto fino a noi (Il ciclo di Elia). Due esegeti ci introducono, con due articoli complementari, a scoprire il senso della teofania dell’Oreb, uno dei testi più belli e significativi dell’Antico Testamento: con questa esperienza di Elia, Israele fa un passo in avanti nella conoscenza di Dio(Elia sul monte Oreb; Elia e la voce del silenzio). La figura di Elia, così ricca di tratti misteriosi, ricompare in molti testi veterotestamentari, diviene oggetto d’incessante speculazione nella tradizione giudaica ed è riletta e attualizzata nel Nuovo Testamento(Elia nel giudaismo e nel Nuovo Testamento).
Una seconda serie di articoli è dedicata alla figura del profeta Eliseo. Il ciclo a lui dedicato è analizzato nei tratti essenziali e scavato nel suo significato ultimo: qui la tradizione deuteronomista ci offre una ricca teologia della Parola (Il ciclo di Eliseo: linee di teologia profetica). Il risanamento dalla lebbra di Naaman non è solo il racconto di una guarigione fisica ma anche della trasformazione spirituale di una persona (La guarigione di Naaman il Siro). Infine, la vicenda della donna di Sunem presenta un volto insolito di Eliseo e una rilettura critica della sua figura e del suo ruolo (La stanza del figlio: la Sunammita converte Eliseo).
La presentazione della figura di Elia è completata dalle rubriche La narrativa biblica e I libri di Samuele e Re nella storia: la prima,prosegue l’illustrazione dell’arte narrativa con l’episodio di Elia e della vedova di Zarepta; la seconda, presenta il legame tra il profeta Elia e la spiritualità dell’ordine carmelitano. La Scheda biblica propone un altro incontro con Gesù: la vicenda di Zaccheo (Lc 19,1-10), mentre nella rubrica Attualità l’Ufficio catechistico della diocesi di Firenze presenta gli itinerari della pastorale biblica nel programma diocesano. Infine, la rubrica Arte offre una classica immagine del rapimento di Elia sul carro di fuoco attingendo a un maestro lapicida del duomo romanico di Fidenza.
Pier Luigi Ferrari
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EFESINI 4,1-6
(GIOVEDÌ 17 APRILE 2008)
1 Vi esorto dunque io, il prigioniero nel Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, 2 con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, 3 cercando di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. 4 Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; 5 un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. 6 Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti.
Di CælestiLumine a 05:10 Etichette: Efesini
COMMENTO:
giovanni nicolini, 17 aprile 2008
« Vi esorto »(ver.1). Dopo la grande esposizione dei tre primi capitoli della Lettera, nei quali ci è stato annunciato il disegno salvifico di Dio nel suo Cristo, disegno consegnato ai padri ebrei nella Prima Alleanza e portato a compimento in Cristo per tutte le genti, cioè per l’intera umanità, ora inizia appunto la grande esortazione, e cioè quella via della sapienza e dell’obbedienza che consente di cogliere, di accogliere e di far fiorire il dono di Dio in ogni persona, nella comunità ecclesiale e verso tutti i popoli.
Paolo si qualifica come « il prigioniero nel Signore », come in Ef.3,1 si era detto « il prigioniero di Cristo per voi gentili.. ». Il termine mi sembra di grande rilievo proprio per il tema fondamentale che viene introdotto dal nostro brano di oggi e che ci accompagnerà sino alla fine. Per tutto quello che ci è stato rivelato della Chiesa, cioè della nuova comunità messianica, come incontro e partecipazione di giudei e pagani nel mistero di comunione che scaturisce dalla croce del Signore, il cuore dell’etica che ne scaturisce sarà in modo forte l’amore che unisce realtà diverse che in Cristo, la nostra pace, convergeranno e nell’amore si custodiranno.
Si tratta infatti, rendo alla lettera, « di camminare in maniera degna della vocazione con la quale siete sati chiamati ». Dunque, la chiamata da parte di Dio, e il nostro metterci in cammino per questa nuova via che la misericordia del Padre ha aperto per noi. In tal senso quel « comportarvi » della versione italiana è più rigido e più statico rispetto al termine usato da Paolo, e cioè il « camminare », che indica appunto una progressione, una strada nella quale camminiamo e nella quale non si tratta di essere dentro o fuori, ma nella quale ognuno è stato chiamato e, appunto, sta procedendo; non siamo arrivati alla fine, ma siamo partiti.
Colpisce al ver.2 che la prima virtù necessaria per questa strada sia l’umiltà. Qui Paolo usa un termine ricco che gli è consentito dalla vasta terminologia della lingua greca del suo tempo. Il significato del termine è primariamente quello di « umiliazione », ed è in questo senso che Maria lo usa nel Magnificat quando dice che Dio ha guardato all’ « umiliazione », alla condizione misera della sua serva, alla sua piccolezza. Qui il termine è arricchito da una nota sapienziale e lo si può intendere appunto come una « sapienza dell’umiliazione », e quindi forse come l’atteggiamento di chi vive la sua piccolezza, la sua miseria, come « umiltà ». E’ dunque il momento in cui l’umiliazione diventa umiltà. E’ fare della propria piccolezza un principio fecondo di umiltà. Si potrebbe dire in qualche modo che un problema – appunto i propri limiti – diventa un’opportunità. Il principio dell’accoglienza reciproca non è una superiore tolleranza, ma il bisogno l’uno dell’altro! Questo trascina con sè la preziosità degli altri due termini, « mansuetudine e pazienza », che tale è la prova inevitabile e preziosa dell’accoglienza dell’altro, del diverso da me. « ..sopportandovi a vicenda con amore » dice ancora il ver.2, e qui la richiesta passa certamente attraverso una prova di sopportazione,e quindi di fatica.
« ..cercando di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace » dice il ver.3. Mi piace anche qui sottolineare la versione più letterale del testo che sarebbe: »..solleciti nell’osservare l’unità dello spirito.. », dove quel solleciti rende efficacemente il senso della « risposta » a qualcosa che è accaduto, che abbiamo ricevuto. Come Maria in Luca 1, che, ricevuto l’annuncio dell’Angelo, in fretta si alza e si reca da Elisabetta. E mi sembra bello precisare il significato del « conservare » usato dalla versione italiana, con il più dinamico termine « osservare », che evita si pensi alla semplice « conservazione » di un dato acquisito, ma all’incessante e amorevole e vigilante custodia di una realtà viva che sempre si dilata, presentandosi a ciascuno come sempre nuova. E propone una garanzia a questa custodia dell’unità dello spirito, ed è il « legame », il vincolo appunto, della pace. Ma siccome, come sappiamo, la nostra pace è il Signore Gesù, è a Lui che chiediamo di custodirci tutti, come Paolo, nella sua dolce prigionìa.
La seconda parte del nostro testo gioca con il termine dell’unità. Anche qui si può notare che la povertà della nostra lingua non consente di sottolineare le finezze di significato dei vari termini che Paolo usa per indicare l’unità divina alla quale siamo tutti chiamati. Il significato globale dei vers.4-6 è il rapporto e la tensione tra l’unità del mistero divino, della comunione trinitaria, potremmo forse aggiungere noi, e la sconfinata diversità di coloro che sono chiamati, giudei e pagani, diversità che è si rende presente in ogni persona. Ma tutti questi « diversi » sono convocati nella stessa realtà divina. La diversità, che mondanamente viene vissuta sempre come estraneità e quindi facilmente come inimicizia, diversità che giustifica violenza, guerra, privazione della libertà, odio e uccisione, misfatti di ogni tipo, in nome di un diritto o di un potere totalizzante, sia esso culturale, politico, spirituale, religioso, razziale…, tale diversità viene « sequestrata » da Dio, che rivendica per Sè solo il diritto all’unità! Ma lo fa in modo capovolto rispetto alle pretese sacrali e imperiali dell’umanità ferita e decaduta. Riposiamo oggi – e glorifichiamo Dio – nella meraviglia del ver.6! Qual’è il volto e il modo dell’unità di Dio? Egli è « il Padre di tutti »: questa è la relazione d’amore fondamentale che Egli stabilisce tra Sè e l’intera umanità, con ogni donna e uomo del mondo. Egli è « al di sopra di tutti »: questo è l’abbattimento di ogni idolo di potere, economico, culturale, politico, spirituale, religioso, e quindi la liberazione-libertà della nuova creatura, riscattata dal regno del male e della morte. Egli « agisce per mezzo di tutti »: non ci sono destinatari privilegiati o « sacerdoti » con incarichi asclusivi, perchè la stessa Parola e lo stesso Spirito guidano il cammino della storia, e nessuna autorità anche « autorizzata » è legittima se non è subordinata rigorosamente alla sua Parola e al suo Spirito. Egli infine, « è presente in tutti »: nessuno, anche chi apparentemente vive e cammina più lontano da Lui, è totalmente privo di Lui. E quello che di Lui a ciascuno manca diventa il silenzioso grido che ogni persona grida come diritto ad essere visitato a accolto da chi con più abbondanza ha già ricevuto il dono che Dio vuol far giungere a tutti i suoi figli.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
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