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LA FIGURA DI MARIA NELLA LITURGIA – 3. L’IMMACOLATA CONCEZIONE DI MARIA
La solennità dell’Immacolata Concezione di Maria che si celebra l’8 dicembre è l’evoluzione della festa sempre dell’Immacolata Concezione di Maria, la quale a sua volta affonda le radici nell’oriente cristiano, dove fin dal secolo VIII si celebra la festa della “Concezione di s. Anna” (9 dicembre), derivante dal protovangelo di Giacomo. Solo nel IX secolo questa festa la troviamo presente in Occidente prima nell’Italia Meridionale e poi in Inghilterra dove viene celebrata l’8 dicembre con il nome di “Concezione della s. Vergine Maria”.
Questa nuova denominazione non celebra tuttavia l’immacolata concezione, ciò avverrà tre secoli più tardi, come viene precisato in alcuni testi inglesi e come si trova scritto nel De conceptione beatae Mariae di Eadmero, colui che si può definire il primo teologo dell’immacolata concezione. Verso il 1130 questa festa si diffonde in Normandia e in Francia, nonostante l’opposizione di s. Bernardo di Chiaravalle, come attesta la celebre lettera che lo stesso invia ai canonici di Lione, che già la celebravano.
Nel secolo XIII invece di un’ulteriore sviluppo essa subisce un declino e viene cancellata da molti calendari liturgici (nel secolo XII si era arrivati ad una quindicina di Offici della Concezione di Maria), ciò probabilmente è dovuto all’influenza di alcuni grandi teologi che non ammettevano il privilegio mariano e non tolleravano nemmeno la celebrazione liturgica di esso, nel senso di “santificazione di Maria”. Tuttavia nonostante il rifiuto dei più grandi teologi nel secolo XIV si assiste ad una ripresa, grazie anche ai primi interventi del magistero della Chiesa, infatti per autorità del concilio di Basilea (1438) Giovanni di Segovia compone un nuovo officio; qualche anno più tardi (1477) papa Sisto IV con la costituzione Cum praeexcelsa approva sia la messa sia l’officio della Concezione di Maria, composti da Leonardo di Nogarole, e con il breve Libenter ad ea (del 1408) quelli composti da Bernardino di Busto.
Ma è solo nel 1708, ad opera di Clemente XI che la festa della “Concezione della b. vergine Maria immacolata” (così si chiamava) diventa di precetto, festa che nel 1863 Pio IX doterà di un nuovo officio e di una nuova messa. Quello che possediamo attualmente è frutto della liturgia romana restaurata da Paolo VI a partire dall’anno 1969. Esso risulta essere «un composito di vecchio e di nuovo: infatti i due canti dell’ingresso e della comunione e le tre orazioni proprie provengono dalla messa approvata da Pio IX dopo la definizione dogmatica, mentre del tutto nuovo è il testo del prefazio, che utilizza Ef 5, 27 e si ispira alla LG e alla SC. Così vengono proposti insieme temi tradizionali in perfetta continuità dottrinale con il passato e temi nuovi in perfetta aderenza agli sviluppi teologici del nostro tempo: i primi si possono identificare nella descrizione del “privilegio” di Maria in rapporto a Cristo i secondi nella sottolineatura delle implicanze antropologiche ed ecclesiologiche del mistero celebrato» .
Questo l’iter, anche se descritto in modo sintetico, percorso dalla solennità dell’Immacolata Concezione di Maria per arrivare alla celebrazione che oggi conosciamo, tuttavia questo non è stato un semplice susseguirsi di eventi, ma ha comportato vere e proprie diatribe a volte anche di non facile e breve risoluzione. Ma vediamo meglio questo sviluppo.
Influsso prioritario della fede popolare
Ciò che emerge chiaramente è che la solennità dell’Immacolata Concezione, come pure il suo corrispondente dogma non nasce dalla riflessione teologica, bensì dalla pietà dei fedeli, esso usando il linguaggio teologico è frutto del “sensus fidelium”. È questo “sensus” cristiano popolare che intuitivamente ha preceduto la teologia che per anni o meglio per secoli, ha ondeggiato pro o contro di esso, fino alla definizione dogmatica del magistero del 1854. Dire quando la fede popolare abbia iniziato a manifestarsi anche attraverso scritti o con attività e iniziative di ordine cultuale o artistico è difficile, si è in possesso solo di testimonianze indirette offerteci dagli stessi teologi che si dichiaravano pro o contro a queste interpretazioni popolari.
La prima indicazione circa l’origine straordinaria e santa di Maria la troviamo presente nel protovangelo di Giacomo, uno scritto apocrifo del II secolo, nel quale si legge che Anna ha concepito Maria senza l’intervento di uomo, perché Gioacchino si trovava nel deserto. Il testo, probabilmente scritto in Egitto con un genere letterario popolare e molto fantasioso, non da un dato storico attendibile, in quanto l’autore non conosce bene la tradizione ebraica, e per questo criticato prima da san Epifanio e poi da san Bernardo circa la concezione verginale di Maria da parte di Anna. Tuttavia tale racconto, sorto in ambiente popolare, contiene certamente delle istanze teologiche e, pur non specificando l’assenza di peccato originale in Maria, rappresenta «una prima presa di coscienza intuitiva e mitica della santità perfetta e originale di Maria nella sua stessa concezione» .
Inoltre, non va dimenticato che fino al concilio di Nicea (325) non si hanno particolari riflessioni che descrivano l’assenza del peccato ab initio in Maria, tuttavia i padri nei loro abbondano nell’esaltare la figura della Tuttasanta usando parole ridondanti, questo conferma l’alta idea che il popolo si era fatto di lei. Nella controversia pelagiana la perfezione e la dignità di Maria divengono presupposto su cui Pelagio († 422 ca) e Giuliano di Eclano († 454) e che Agostino, in lotta contro il pensiero pelagiano, non solo condivide ma lo fa conoscere: «la pietà impone di riconoscere Maria senza peccato», specificando nella disputa con questi due assertori dell’immacolata concezione, che tuttavia non la proponevano in un contesto di privilegio né di dipendenza da Cristo, che per l’onore del Signore Maria non deve assolutamente entrare in questione quando si parla del peccato.
D’altra parte è vero per Agostino, che il suo pensiero circa il traducianesimo e il giusto pensiero circa la necessità della redenzione, gli impediscono di ammettere un’eccezione per Maria. Egli stesso si giustifica dall’accusa di assoggettare Maria al diavolo, ciò che chiaramente ripugnava la coscienza cristiana, ricorrendo alla grazia della rigenerazione, scrivendo in un’espressione divenuta famosa ma non priva di ambiguità: «Non ascriviamo al diavolo Maria in forza della sua nascita, ma proprio perché tale condizione è sciolta dalla grazia della rinascita» . In questa affermazione di Agostino negativa per motivi teologici all’immacolata concezione, ma attenta alla pietà popolare emerge chiaro il contrasto, che si farà sempre più forte, tra la teologia e l’amore del popolo verso Maria, amore che alla fine (come vedremo) prevarrà.
Ed è proprio per questo amore che alcuni teologi a partire dal secolo XI sono spinti ad approfondire questo tema mariano e il loro contributo non si ferma ai soli “Trattati” ma da il proprio contributo anche alla pietà liturgica. Profonda è la convinzione che Maria sia senza peccato che quando verrà abolita la festa della Concezione, che già celebrava, perché viene negato il privilegio mariano, dapprima si scandalizza, poi arriverà a reagire anche in modo violento contro gli assertori del peccato originale in Maria.
Il benedettino inglese Eadmero, nel suo Trattato sulla concezione della b. Maria vergine, rileva il contrasto tra la «pura semplice e l’umile devozione» del popolo che celebrava con gioia la festa della Concezione della madre di Dio e la «scienza superione e disquisizione valente» dei sapienti ecclesiastici o secolari, che avevano abolito la festa dichiarandola priva di fondamento. E in questo confronto il monaco benedettino, discepolo di sant’Anselmo, opta per il popolo perché Dio come attesta Gesù si rivela ai semplici e non ai superbi (cf. Mt 11, 25; Lc 10, 21) e scrive nel suo Trattato: «Mosso dall’affetto della pietà e sincera devozione per la madre di Dio» si schiera con coloro che condividono la concezione di Maria libera da ogni peccato.
Qualche secolo più tardi, il canonico Giovanni di Romiroy, presente al concilio di Basilea (1435), afferma che la devozione popolare deve essere considerata il primo valido motivo che deve indurre i padri conciliari a porre fine alla controversia “dell’immacolata concezione”. Operando in questo modo si toglierebbe anche lo scandalo che si perpreta contro il popolo cristiano quando si afferma che Maria è stata macchiata dal peccato originale .
Nel corso dei secoli successivi la fede popolare circa questo dogma va sempre più confermandosi, nonostante una parte della dotta teologia continui ad opporsi. Basti pensare che nel XVI secolo il domenicano Melchior Cano, uno tra i più insigni teologi del suo tempo, rivendica ad essi che sono saggi e competenti e non al volgo la facoltà di discernere la verità o la falsità delle proposizioni in materia di fede; fa questa affermazione perché deve riconoscere che se questo compito appartenesse al popolo la polemica relativa all’immacolata concezione sarebbe già risolta, perché il popolo non appena sente affermare che la beata Vergine Maria ha contratto il peccato originale, subito si sente turbato e offeso, quasi torturato. In Spagna addirittura diventa impossibile sostenere tale posizione dal pulpito, poiché il popolo reagisce con mormorii, clamore e perfino violenze, contro quei predicatori che tanto osano.
Se Dionigi il Certosino nel 1400 poteva pronunciare la parola “orrore” dinanzi all’attribuzione del peccato originale a Maria, il Vasquez nel 1600 può riconoscere che la credenza nell’immacolata concezione è divenuta un fatto universale profondamente radicato, affermando che: «Essa è talmente cresciuta e inveterata con i secoli, da far sì che nessun uomo possa esserne staccato o smosso» . Il popolo esprime questa sua fede a partire dal secolo XVII istituendo varie confraternite con il titolo dell’“Immacolata Concezione”, con nuove preghiere come l’aggiunta in qualche litania l’invocazione “sancta Virgo praeservata” (Parigi, 1586), con la dedica di cappelle o altari all’Immacolata, anche le varie espressioni artistiche non ne sono esente, basti ricordare le 25 tele del Murrillo.
Nel XVII secolo nasce nelle università un movimento di tipo promozionale, senza analogia con quello popolare. Tale movimento arriva ad includere il “votum sanguinis”, cioè un giuramento di difendere l’immacolata concezione fino all’effusione del sangue. La prima università ad emettere questo voto fu quella di Siviglia nei primi anni del 1600, seguita da varie università sia spagnole sia italiane. Tale gesto influirà anche ordini religiosi, santi, confraternite e i fedeli, provocando pure una lunga controversia, iniziata con l’opposizione di L. A. Muratori al “voto sanguinario”.
Il celebre erudito in altre opere scritte sotto pseudonimo tornerà ad attaccare il voto bollandolo come imprudente, gravemente colpevole e ispirato da falsa pietà certamente non illuminata. Perché non è lecito esporre la propria vita per un’opinione qual è quella relativa all’immacolata concezione, non approvata dal magistero. Tuttavia questa tesi fu duramente contestata in varie parti d’Europa, e tra gli oppositori si annovera sant’Alfonso M. de Liguori, il quale in una celebre apologia contesta l’affermazione di opinabilità a riguardo dell’immacolata concezione, perché esistono due motivi che garantiscono per certa tale dottrina: il consenso dei fedeli e la celebrazione universale della festa dell’Immacolata Concezione.
Da quanto fin qui si è potuto riscontrare grande è l’influsso del senso dei fedeli in relazione all’Immacolata Concezione, e molti sono i fattori che hanno concorso a fomentarli, tra i quali la predicazione popolare, soprattutto quella ad opera dei francescani che dal 1621 giurarono di difendere l’immacolata concezione, fra essi si ricorda san Leonardo da Porto Maurizio, anche i catechismi di san Pietro Canisio, di san Roberto Bellarmino e del Bossuet portarono il loro contributo, nemmeno vanno dimenticati alcuni eventi straordinari come la visione dell’abate inglese Helsin (salvato dal naufragio purché celebrasse l’Immacolata Concezione – 1070 ca –), le Rivelazioni di s. Brigida e le apparizioni di Rue du Bac (1830). Ma ciò che ha contribuito a radicare nel popolo la credenza nell’immacolata concezione fu la festa liturgica la prima delle quali, come già abbiamo visto, fu introdotta dall’oriente in Italia meridionale nel secolo IX (a Napoli un calendario liturgico inciso su marmo porta scritto al 9 dicembre “Conceptio sanctae Mariae Virginis”), seguita dall’Inghilterra nell’XI secolo, fino a diventare nel 1708 per volere di Clemente XI festa della chiesa universale.
Il ruolo illuminante della teologia
Se il luogo originario dell’immacolata concezione non è nella teologia, perché come abbiamo brevemente visto importante e fondamentale è stato l’intuito popolare, tuttavia ha teologia ha svolto lo stesso un ruolo importante nell’enucleazione della verità mariana sia mediante la formulazione chiara della fede popolare, sia riuscendo ad armonizzarla con l’insieme dei dati rivelati, sia sciogliendo i nodi di ordine teologico e culturale, sia fondandola su argomenti convincenti.
La patristica è la teologia che ha saputo preparare il terreno per lo sbocciare della fede immacolista, infatti lungo i primi secoli della Chiesa i padri hanno saputo elaborare la figura morale di Maria dandole dei connotati di grande santità ed esenzione dal peccato. Nonostante qualche esitazione (Tertulliano, Origene, Basilio), i padri e gli altri antichi scrittori partono dalla vocazione iniziale di Maria, essere madre di Dio per arrivare a concludere ad una conveniente preparazione morale di Maria. Se Origene, Ippolito, Epifanio, Eusebio, Agostino, Girolamo, chiamano “santa” Maria, altri padri come Teodoto d’Ancira, Efrem il Siro e altri omileti del VI-IX secolo, dichiarano Maria “senza macchia, immacolata, integra, innocente”, tuttavia non va dimenticato che si è ancora nel campo dell’esenzione dai peccati personali, solo in Proco di Costantinopoli, Theoteknos di Livia e Andrea di Creta la condizione di immacolatezza di Maria viene estesa fino al momento della sua venuta all’esistenza.
Maria è «il santuario dell’impeccabilità, il tempio santificato da Dio… il paradiso verdeggiante e incorruttibile», così Proco di Costantinopoli, mentre per Theoteknos di Livia Maria è: «tutta bella, pura e senza macchia… Nasce come i cherubini colei che è fata di argilla pura e immacolata» , mentre per Andrea di Creta «il corpo della Vergine è una terra che Dio ha lavorato, la primizia della massa adamitica che è stata divinizzata nel Cristo, l’immagine del tutto somigliante della bellezza divina, l’argilla modellata dalle mani dell’artista divino» . Ed è questa dottrina che trova codificazione liturgica nella festa della Concezione di Maria, che sorge in oriente tra il VII e VIII secolo e che passa in Italia nel IX aprendo una lunga discussione che già la controversia pelagiana aveva abbozzato.
In ambito occidentale grazie a Pelagio si inizia a esplicitare la dottrina sull’Immacolata, questi l’affermava partendo dalla santità di Maria e dall’onore del Signore, tesi ripresa dal suo discepolo Giuliano d’Eclano. Tuttavia questa era una conclusione teologica unilaterale, non armonizzata con altri dati di fede. Nella controversia con Pelagio prima e Giuliano poi Agostino riconoscendo «che Maria va tenuta lontano da ogni forma di peccato, riconduce questa sua santità nell’alveo della condizione umana inficiata dalla colpa originale e bisognosa della redenzione di Cristo» , afferma che «Maria sarebbe sottoposta al peccato d’origine solo per esserne subito liberata con la grazia della rigenerazione» .
È questo un concetto che complica e ritarda lo sviluppo della verità sull’immacolata concezione, già emersa chiaramente nel discorso plagiano, ma allo stesso tempo la inserisce nell’orbita della salvezza. D’ora in poi questa verità mariana si affermerà non come caso di autosalvezza, frutto della natura umana lasciata a se stessa per confrontarsi con l’opera salvifica dell’unico mediatore (Pelagio e Giuliano), ma chiaro esempio della grazia redentiva di Cristo salvatore.
Certamente rispetto all’oriente in occidente l’idea dell’immacolata concezione trova un contesto irto di difficoltà, essa andava a cozzare sia con il concetto universale di salvezza sia con le conoscenze di ordine biologico che distinguevano la concezione attiva e passiva (a sua volta completa o incompleta), sia con il traducianesimo, dottrina che pensava il peccato originale si trasmettesse tramite l’atto generativo. Tutti questi presupposti hanno portato i grandi teologi del XIII secolo, quali Alberto di Hales, Alberto Magno, Tommaso d’Aquino, Bonaventura, e prima ancora Anselmo di Canterbury e Bernardo di Chiaravalle, ad affermare che Maria venne concepita nel peccato originale e in seguito purificata. Affermazione che solo attraverso la riflessione attiva di altri teologi fu piano piano rimossa spianando la strada all’affermazione dell’immacolata concezione della Vergine Maria quale effetto dell’azione salvifica di Cristo.
Pascasio Radberto, movendo dall’oggetto proprio della festa liturgica, afferma senza indugi che Maria «è stata esente da ogni peccato originale» . Anche Anselmo di Canterbury contribuisce alla causa immacolista, infatti, pur negandone la sostanza, mediante il concetto della “pre-redenzione” annovera Maria tra quelli che Cristo redime prima di nascere.
Tuttavia, come già dicevo, il primo teologo dell’immacolata concezione resta Eadmero, il quale nel suo trattato non solo difende l’intuizione de popolo, ma dimostra la possibilità di questa dottrina distinguendo la concezione attiva (nel peccato) da quella passiva (senza peccato) nel celebre esempio della castagna che esce indenne dal proprio guscio spinoso: «Non poteva forse (Dio) conferire a un corpo umano… di restare libero da ogni puntura di spine, anche se fosse stato concepito in mezzo ai pungiglioni del peccato? È chiaro che lo poteva e voleva; se lo ha voluto l’ha fatto». Inoltre elabora l’argomento di convenienza che si fonda sull’unione esistente tra Maria in quanto madre e Cristo in quanto figlio, e sull’armonia esistente tra la condizione glorificata della Vergine e la sua entrata nell’esistenza, condizione non meno perfetta di quella degli angeli, e sulla finalità salvifica di colei che è il «singolare propiziatorio di tutto il mondo».
Nonostante conosca la posizione redentiva anticipata di sant’Anselmo, Eadmero non giunge alla redenzione preservativa, questa sarà fatta propria da alcuni teologi della scuola francescana come il Bonaventura e l’Olivi, che però in seguito la rigettano, e dallo Scoto, che ne farà il fulcro della propria argomentazione a conferma della tesi immacolista, tesi che presenta con circospezione per non essere accusato di eresia, infatti se ad Oxford afferma di ritenere l’immacolato concepimento di Maria probabile, a Parigi affermerà che questo è possibile. Nonostante questo porsi con cautela a Duns Scoto va riconosciuto il merito di aver slegato la questione teologica dai condizionamenti culturali circa la generazione ponendo la persona come soggetto di colpa o santità, ma anche ha elaborato definitivamente il concetto della redenzione preservativa, della quale l’immacolata concezione non è un’eccezione alla redenzione operata da Cristo, ma un caso di perfetta e più efficace azione salvifica dell’unico mediatore.
Così ragiona lo Scoto: «Cristo esercitò il più perfetto grado possibile di mediazione relativamente a una persona per la quale era mediatore. Ora per nessuna persona esercitò un grado più eccellente che per Maria… Ma ciò non sarebbe avvenuto se non avesse meritato di preservarla dal peccato originale» . È questo un intervento decisivo nello sviluppo della dottrina dell’immacolata concezione, la quale sarà difesa soprattutto dai francescani e diverrà via via comune a tutti i teologi, le stesse università cominceranno ad accettarla e si impegneranno con giuramento a difenderla.
In questa lunga e controversa diatriba non va dimenticato il magistero dei pontefici che a partire da papa Sisto IV cominciano a codificare liturgicamente questo privilegio mariano, approvando i vari offici che nascono, fino ad arrivare a Pio IX che nel 1854 sancì dogmaticamente questo privilegio mariano.
P. Gino Alberto Faccioli, ISSR « Santa Maria di Monte Berico »