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CATECHESI SU SAN PAOLO
DI DON MASSIMILIANO PURPURA
Quest’anno dedicato a San Paolo è un anno di particolare grazia, voluto dal nosstro amato Papa Benedetto XVI a cui dobbiamo tutto e per il quale dobbiamo continuamente pregare il Signore affinchè ce lo custodisca ancora a lungo, a servizio della sua chiesa e a servizio della verità,della luce, della chiarezza,della giustizia,dell’amore e della sintesi. Voluto da questo papa é un anno in cui siamo chiamati da questa chiesa a riscoprire certamente la figura di questo uomo che è un vulcano, che non finiremo mai di conoscere e di approfondire; però è un’occasione, perché attraverso San Paolo, attraverso la sua persona, attraverso la sua missione, noi possiamo approfondire la nostra fede, riscoprirne la bellezza e soprattutto quella che è la missione specifica che ogni cristiano credente ha che è quella, innanzi tutto, di annunciare la Parola di Dio. S. Paolo è stato apostolo delle genti, un annunziatore mite e coraggioso della Parola di Dio,qualcuno ritiene addirittura che sia il 2° fondatore del cristianesimo. Il cuore di S. Paolo era un cuore totalmente aperto alla missionarietà, era un cuore che sapeva amare perché era un cuore completamente avvolto dal cuore di Cristo. Bisognerebbe riflettere sul valore fondamentale della parola annunciata, cioè la Parola di Dio, all’interno della quale rifletteremo sul rapporto che c’è tra la Parola e la Missione, tra la Parola e la Croce, tra la Parola e il Sacramento. Il cristianesimo non si impianta se non mediante la Parola. Ci può essere la testimonianza della vita vissuta, come si dice, nell’esercizio dell’amore, tuttavia, questo, ritengo che non basta se non c’è una Parola che annuncia, che dà senso della mia testimonianza , della mia vita; non c’è evangelizzazione vera e propria; il comandamento dell’amore o comunque l’esigenza dell’amore è molto diffuso anche a livello religionista, pensate al Buddismo o anche in qualche modo l’Induismo, hanno questo atteggiamento di grande simpatia con tutti gli esseri. Ciò che è proprio del Cristianesimo è un annuncio ed è dunque quest’annuncio un mezzo per impiantare il Vangelo che ne esclude altri, soprattutto l’esatto contrario che è la violenza, perché se c’è qualcosa di debole, di molto debole, questa è la Parola; non per nulla si parla di fractus vocis; la parola come io in questo momento sto emettendo del fiato dalla mia bocca e nient’altro, come ciascuno di noi quando comunica con altri. Ritengo che non c’è comunicazione senza parola, parola detta, formulata verbalmente; voi avete presente che c’è una certa raffigurazione di S. Paolo con la spada in mano, quell’iconografia è un po’ equivoca, un po’ ambigua perché potrebbe far pensare nei confronti di Paolo come di un uomo violento che annuncia l’Evangelo prendendo un’arma offensiva, quale potrebbe essere questa spada; bisogna stare attenti a non interpretare questa cosa , tra l’altro se si volesse fare la storia dell’iconografia Paolina si scoprirebbe che sostanzialmente nel primo millennio, quindi per mille anni Paolo non è mai stato rappresentato così, con la spada in mano; nei primi secoli Paolo era rappresentato con un libro in mano oppure con un rotolo, sapete che nell’antichità prevaleva il rotolo più che il libro; è stato il Cristianesimo in realtà a imporre la forma del libro, questa è la rappresentazione più antica, diremmo più tradizionale di Paolo; dunque che si serva di qualche cosa di debole quale la parola; noi non ci serviamo della spada, noi non imponiamo il Vangelo con la spada! Il vero annunciatore del Vangelo non ha altra arma, ha solo quella, la più debole, ma che ha in sè una forza particolare, se è vero che le parole sono pietre, hanno uno spessore così pesante e sono soprattutto pesanti quando contengono un messaggio forte diremmo anche nuovo, originale,incisivo, che ci segna per la vita e per tutta la vita il valore fondante della parola annunciata; per cui ritengo che non c’è comunità cristiana come pure non c’è Chiesa che non sia partita da un’annuncio. Paolo è proprio l’esempio classico, paradogmatico di questo tipo di impegno, di questo tipo di risultato; ecco perché ho scelto questi tre altri argomenti: il primo è Parola e Missione: Il testo della lettera ai Romani 10,14s “come potranno invocarlo senza avere prima creduto in Lui e come potranno credere senza averne sentito parlare, e come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzia, e come lo annunzieranno senza essere prima inviati? “ allora a monte della Parola annunciata c’è una missione, il chè vuol dire che l’annuncio non parte da un capriccio o da una voglia personale, soggettiva ma parte da una consegna che viene fatta; questa consegna , nel caso di Paolo, è in prima battuta, una consegna non direttamente ecclesiale, cioè non è la Chiesa che investe Paolo dell’autorità per potere annunciare il Vangelo; voi avete presente i racconti della conversione di Paolo: né Luca negli Atti degli Apostoli, né Paolo parlano di conversione, non usano mai questo lessico, ne usano degli altri; in quei racconti si vede bene che Paolo è posto a diretto contatto con il Cristo che incontra sulla strada di Damasco; in effetti, nella lettera ai Galati si farà un impegno è un punto di onore per Paolo, proprio questo, che lui non ha ricevuto queste cose dagli uomini ma direttamente da Gesù Cristo, Gal 1,11-12 “ vi dichiaro dunque fratelli che il Vangelo da me annunciato non è modellato sull’uomo, infatti io non l’ho ricevuto ne imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo e allora ci può essere dunque una missione che parte direttamente dal Cristo e dal Cristo nel caso di Paolo, risorto e glorificato; Non per nulla allora nei primi secoli Cristiani Paolo ebbe a soffrire una avversione e anche un rifiuto da parte di frange del Cristianesimo delle origini cosidette Giudeocristiani che non riconoscevano in lui la qualità di Apostolo perché lui diceva di avere ricevuto la missione dall’Alto, non da Gesù terreno come gli altri Dodici; Paolo non è uno dei Dodici, non l’ha mandato il Gesù terreno, il Gesù storico, ma l’ha mandato il Risorto, il Glorificato, uno che è al di là della storia; Paolo difende questa sua caratteristica, il termine apostolo è un termine greco, noi semplicemente lo abbiamo traslitterato in caratteri latini e scriviamo apostolo ma corrisponde al greco apostolos; non è una traduzione bensì una traslitterazione, però il vocabolo greco vuol dire proprio quest: “inviato”, ma inviato da chi nel caso di Paolo, nel caso di Paolo abbiamo questa fonte ultima o fonte prima dell’invio oltre la quale non ce n’è un’altra: è il Cristo che manda Paolo; nei Vangeli noi leggiamo spesso “ Ti mando come agnello in mezzo ai lupi , “ Ti mando alle pecore della casa d’ Israele “ oppure la finale del Vangelo di Matteo “ Andate ammaestrate tutte le genti”; E’ un invio questo. È una missione, Paolo ha questa missione dal Risorto. Questo può fare difficoltà perché ha fatto difficoltà ad alcuni settori del cristianesimo nostro, delle origini, a quelli che amano stare terra terra, alla dimensione storica constatabile, percepibile; se non ti ha mandato il Gesù terreno il Gesù storico, che apostolo sei? Un apostolo che si aggancia al Gesù terreno, al Gesù storico e chi difende questa concezione è Luca negli atti degli apostoli, per Luca dire i dodici e dire gli apostoli è la stessa cosa. Per Paolo non è così, per Paolo sono apostoli tante persone che non fanno parte dei dodici. Lui è il primo esempio e difende in maniera forte questa sua identità. Nella lettera ai Romani 16,6 , egli computa fra gli apostoli , una coppia ,un uomo e una donna, Andronico e Giunia, è un apostolo questa donna; qui siamo di fronte a una concezione che è diversa da quella lucana che poi è diventata tradizionale, per cui quando si dice per esempio che i Vescovi sono i successori degli apostolo. Si parla di apostoli in senso lucano cioè i dodici e apostoli in senso paolino. Paolo non è successore dei dodici ed è un apostolo. I Vescovi sono degli apostoli come sono apostoli tutti i cristiani certo loro con quacosa in più rispetto a noi.In greco nel N.T. c’è poi la qualifica di “episcopos” che è riservato solo ad alcuni, non tutti i cristiani sono episcopoi. Nella chiesa poi c’è qualcuno che ha la funzione di episcopos, cioè il Vescovo; ma l’episcopos, il Vescovo, non esaurisce la funzione dell’apostolatol ma apostoli siamo tutti non come lo è Paolo, lui lo è stato e lo resta , pur non essendo mai chiamato da Gesù terreno; pur essendo entrato in collusione con S. Pietro “ Galati 2,12-15. C’è questo scontro avvenuto ad Antiochia di Siria, una città che adesso si trova in Turchia, subito dopo i confini con la Siria attuale. Paolo rimprovera Pietro: ”ma quando Cefa venne ad Antiochia mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto”.La missione in ultima analisi si rimonta a Gesù Cristo e tuttavia Paolo stesso ha voluto in qualche modo confermare, convalidare questa sua missione che viene dall’alto e confrontandosi con quelli di Gerusalemme, con quelli della chiesa madre, che lui non chiama apostoli perché non riservata solo a loro questa qualifica. Paolo dopo l’evento di Damasco va a Gerusalemme a consultare Cefa, per stabilire una comunione con lui, una coinomia, oltre la missione diretta che viene dall’alto, da Gesù Cristo, c’è poi una missione ecclesiale “ Galati 2,2-10 “, Paolo racconta dal suo punto di vista ciò che anche Luca racconta negli Atti 15 in riferimento al Concilio di Gerusalemme, siamo nel 49 cioè il 1° Concilio della storia, non l’ha inventato la Chiesa , i Papi, i successori degli apostoli, i Concili. Il 1° Concilio si è celebrato nel 49, nel Concilio di Gerusalemme avviene una ripartizione di competenze: Paolo e Barnaba vanno fra gli incirconcisi cioè fra i Gentili che sarebbero i pagani, mentre Pietro fra i circoncisi, fra i credenti. Paolo riceve la sua missione ecclesiale ed è sempre interessante rileggere Atti 13, quando Paolo deve partire per il 1° viaggio missionario è la chiesa di Antiochia che si raduna in preghiera e lo Spirito Santo indica; questo vuol dire che c’è una mediazione profetica, diremo noi che c’è qualcuno che si assume il compito di esprimere quale è l’idea dello Spirito, ispirato egli stesso dallo Spirito Santo di mettere a parte Paolo e Barnaba e la Chiesa ; la comunità di Antiochia impone le mani, e loro, Paolo e Barnaba partono per il viaggio missionario, quello che è computato come il 1° dei tre viaggi missionari di S. Paolo; ecco, la Chiesa li manda “Atti 8”.Quando in Samaria il diacono Filippo va ad annunciare il Vangelo ci sono vive le conversioni e la chiesa di Gerusalemme manda lì Pietro e Giovanni in Samaria per confermare questo risultato di evangelizzazione e stabilire una comunione fra i neocristiani e la chiesa madre di Gerusalemme. Ecco cosa dice Paolo: come lo annuncieranno senza essere prima inviati.E’ impossibile allora solo richiamarsi a Gesù Cristo se non c’è una approvazione ,una sansione ecclesiale e nel caso di Paolo si deve solo a questo, nessuno è cristiano per se stesso, nessuno può vantare un rapporto peculiare, ma nel senso che sia poi questo rapporto peculiare,sganciato, svincolato da un contesto ecclesiale; questo non appartiene ad una identità cristiana, io non posso dirmi cristiano se poi vivo sganciato dalla comunità, dalla ecclesia, dalla parrocchia. Nella fattispecie non esiste un cristianesimo fai da te , una fede fai da te. Paolo stesso fa conoscere un Gesù Cristo unico, lì a Damasco Paolo Gesù Cristo l’ha conosciuto nella testimonianza di fede della chiesa che lui ha perseguitato per cui non si può essere cristiani senza appartenere alla comunità, non si è cristiani per conto proprio, è la comunità che nel suo insieme è investita di questo senso di missione, di propagazione, di annuncio. Il Concilio Vaticano II definisce l’essenza stessa della chiesa è essere missionaria; quando parte un fratello, quando parte un gruppo che va in missione è sempre la comunità nel suo insieme che è chiamata ad annunciare il Vangelo, perché quel cristiano che parte , quel fratello che parte che va in missione non rappresenta se stesso ma rappresenta la comunità, l’ecclesia, la chiesa, chi opera in terra di missione opera in nome della chiesa, per mandato della chiesa. Nel secondo punto vorrei parlare della Parola e della Croce, si è mandati dice Paolo ad annunciare Gesù Cristo; qualcuno sostiene che Gesù appartiene al mondo unito soltanto alla chiesa per dire che chiunque può richiamarsi alla figura di Gesù ma da quale angolazione, da quale ambito, ma nel caso specifico cosa voleva dire? A prescindere non solo dalla divinità di Cristo, ma a prescindere dal valore salvifico della croce di Cristo. Noi cristiani pur vantandoci della croce di Cristo tuttavia abbiamo paura della Croce di Cristo, non si parla più della Croce di Cristo, perché richiama alla sofferenza e la sofferenza deve essere esorcizzata come la morte, cancellate queste parole. Bisogna guardare a Gesù come un maestro, un maestro di sapienza, è quello che dicono gli uomini di oggi ma anche quelli di ieri. Per alcuni Gesù è un maestro per altri è stato un rivoluzionario, un aspetto caratteristico di Gesù che riempie molte pagine nei Vangeli; ma non è tutto lì di Gesù, quello lì non è Gesù di Paolo, qui bisogna prendere coscienza della diversità che c’è fra le lettere di Paolo, il corpo paolino così chiamato e i Vangeli, c’è un pluralismo che esiste,una diversità tra il Nuovo Testamento e le lettere di Paolo, che è caratteristico anche delle origini cristiane, non c’è un solo modo di rifarsi a Gesù e di annunciare Gesù. Comunque per Paolo il Gesù che annuncia è il Crocifisso o integrando, il Crocifisso Risorto, ma primariamente per Paolo è il Crocifisso ” Non ci sia altro vanto in me che nella Croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo del quale il mondo è stato crocifisso come io per il mondo, il mio vivere è in Cristo e il morire è un guadagno”. Se Paolo parla 2 volte della resurrezione di Gesù parla 3 volte della croce, della crocifissione. Non è possibile pensare a Gesù senza pensare alla sua Croce. Nella prima lettera ai Corinzi 1,17 dice: “Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare ma a predicare il Vangelo non però come un discorso sapiente ma perché non venga resa vana la croce di Cristo”; questo è l’annuncio evangelico e dobbiamo prendere coscienza come Chiesa, anche come Diocesi, dobbiamo ritornare ad annunciare il Cristo Crocifisso e Risorto, dobbiamo ritornare a parlare della Croce di Gesù; viviamo in una società in cui Dio stesso fa problema, noi come cristiani non arriveremo al nocciolo delle cose, della nostra identità se ci limitassimo a parlare dell’esistenza di Dio, questo non è un discorso tipicamente cristiano che sarà importante anche necessario.Al tempo di Paolo nel mondo ellenistico del secolo primo c’erano anche dei settori di ateismo nel mondo greco e romano, Paolo anche se dice che ci possono essere vari dei e molti signori 1° Corinzi 8,4-5, ma per noi c’è un solo Dio e Padre, un solo Signore Gesù Cristo, noi non possiamo allora evangelizzare se non parliamo di Gesù Cristo, non sarebbe Vangelo, parlare di Gesù Cristo significa si parlare del Gesù storico, del Gesù terreno, ma vuol dire recuperare anche la dimensione teologica nel senso stretto e Paolo stesso che scrive a Galati 4,4 “ quando venne la pienezza del tempo Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge per riscattare coloro che erano sotto la legge”. La figura di Dio entra necessariamente in gioco ma il punto focale dell’Evangelo di Paolo è il Crocifisso e i Santi qui nella lettera di S. Paolo hanno percorso questo cammino di santificazione; pensate a P. Pio che amava e meditava tantissimo le lettere di Paolo soprattutto in rapporto al discorso della croce. Attenzione perché quando dice croce Paolo intende sempre e soltanto la croce di Cristo, attenzione si corre il rischio di evangelizzare in un certo modo, come si dice moralistico, di parlare cioè delle nostre croci e dire che è la croce che ci salva, anche se noi soffriamo dobbiamo portare le nostre croci, Dio non vuole la sofferenza, non vuole le nostre croci, Dio non vuole che l’uomo soffra come pure Dio non vuole che l’uomo si perda, non vuole la morte bensì la conversione, questo non è il Vangelo paolino sia ben chiaro; la frase che leggiamo nei sinottici” se qualcuno vuol venire dietro di me prenda la sua croce e mi segua”. Questa frase non è paolina , per Paolo non ci sono le nostre croci c’è solo quella di Cristo che peraltro non è presentata come modello da seguire in termini di limitazioini, non è questo il Vangelo paolino della croce di Cristo ma è sempre presentata da Paolo in termini positivi, se volete scandalosi come nella 1° Corinzi 1,18-25 ,scandalosi nel senso che noi scopriamo la rivelazione di Dio in ciò che è più abbietto, più ignominoso, questo è lo scandalo di un Crocifisso, scandalo per i Giudei e stoltezza per i Pagani, ma per noi che crediamo la Croce di Cristo è sapienza; un Dio allora che non si rivela soltanto diremmo nella bellezza della natura, nei bei tramonti, o nelle belle aurore o nei bei panorami, ma che si rivela questo Dio in un Crocifisso, nell’estrema debolezza anzi ritengo che l’esistenza di Dio è dimostrata dalla croce di Cristo, la croce di Cristo è la dimostrazione dell’esistenza di Dio, che non c’è amore più grande come ha detto Gesù di colui che dà la vita per i propri amici e anche di un Dio che si lascia crocifiggere per amore , allora ha ragione la beata Angela da Foligno, la grande mistica francescana, la quale dice “ o Tu o Cristo non ci hai amati per scherzo “ e Paschal “ Cristo è in agonia fino alla fine del mondo”; allora noi diciamo a Gesù “ Cristo non scendere dalla croce ma rimani lì”, è tipico di Paolo insistere su questa dialettica; come dice Lutero” Dio si rivela su contraria specie”, cioè Dio si rivela in ciò che è opposto, rivela la sua potenza nell’impotenza, rivela la sua sapienza nell’insipienza, rivela la sua forza nella debolezza. Paolo “ sono forte quando sono debole”, è nella debolezza la nostra forza non come cerca di farci credere il mondo che l’uomo è forte se, o certi stili di vita o certe mode che si diffondono in maniera pericolosa anche nella mentalità e nel cuore dei giovani, tu vali se corrispondi a queste categorie, questo allora è il Dio del Vangelo? ; non è allora questo il Dio di Platone, noi diremmo o dei filosofi, Pascal dice “ non il Dio dei filosofi ma il Dio di Gesù Cristo” è questo ciò che ha conquistato Paolo. E’ facile credere al Dio dei filosofi perché il Dio dei filosofi è un Dio costruito dalla mente dell’uomo, ma il Dio che si rivela nella Croce suscita una ripulsa, ecco perché anche oggi la croce dà fastidio, ecco perché la croce anche oggi continua ad essere perseguitata ecco perché ancora oggi si dice che la croce deve essere tolta dai luoghi pubblici apportando motivazioni sciocche, infondate, illogiche che tradiscono soprattutto l’identità di un popolo, di una nazione quale l’Italia. In quella croce lì, quella e non altre Dio rivela la sua originalità, la sua magnificenza, la sua alterità rispetto a ciò che noi potremmo pensare di Lui; è un Dio, allora, il Dio in cui noi crediamo, il Dio di Gesù Cristo,un Dio sorprendente, è un Dio che ci provoca, che ci scandalizza, dice Paolo “ scandalo per i giudei e stoltezza per i gentili” , in quel testo lì il discorso si limita a questa idea della rivelazione inopinabile, insospettata, di un Dio sì fatto, invece Paolo annette il discorso sulla croce di Cristo una valenza, in termine tecnico, la croce ha una valenza sotereologica di salvezza, noi siamo stati salvati per mezzo della croce di Gesù Cristo; dunque se non annunciamo la croce di Gesù Cristo, il Cristo crocifisso il Vangelo è vuoto, si svuota senza la croce di Gesù, Galati 2,20, questo per noi, questo Cristo è morto dice S.Paolo per tutti gli empi, è morto per i miei fratelli, è morto per i peccatori; sono tutte formazioni paoline queste che indicano la positività dell’evento della croce che ha sconvolto l’umanità, è come una sorgente la croce di Cristo e la nostra fede in Cristo non è fondata sui miracoli, a noi non interessano i miracoli di Gesù, la nostra fede in Cristo non scaturisce dai miracoli ma scaturisce dalla croce . Parola e Croce vuol dire che se l’evangelizzazione non parla di questo, gira attorno al centro senza colpire il bersaglio. Ultimo punto, il terzo punto è il testo alla prima lettera ai Tessalonicesi 2,13 , ci permette di dire una parola sulla sacramentalità della Parola, noi dice Paolo ringraziamo Dio continuamente perché avendo ricevuto da noi la Parola divina della predicazione e l’averla accolta non quale parola di uomini ma come è veramente quale Parola di Dio che opera in voi, io parlo qui di sacramentalità della Parola. Nella nostra tradizione cattolica abbiamo perso un po’ di vista queste cose invece i nostri fratelli protestanti l’hanno coltivato di più; voi sapete che la riforma protestante è stata fatta nel nome di S.Paolo; Lutero, Calvino, Zwingli ecc. hanno valorizzato di più, almeno certi aspetti. Prima, allora, dei sette sacramenti codificati, c’ è un sacrameno anteriore e non parlo del sacramento primordiale come dice una certa teologia che sarebbe l’umanità di Cristo, che è sacramento di Dio; ma al di fuori di Cristo e dopo Cristo qual è il primo sacramento che dovrebbe essere amministrato? È proprio il sacramento della Parola! Noi cristiani cattolici siamo ignoranti in materia di scrittura. Dice San Girolamo che l’ignorante della scrittura è ignorante di Gesù Cristo, ecco perché tanti nostri cristiani quando incontrano i protestanti, in particolare i Testimoni di Geova, di fronte a citazioni estrapolabili rimangono così attoniti. Che cos’è che fa il sacramento? Il sacramento è un atto umano al quale si aggiunge una parola, una formula ad esempio si prende l’acqua e si dice “io ti battezzo”, è una formula; ecco, l’acqua è la materia poi il sacramento; così l’olio per la Cresima, il pane per l’Eucarestia. Su una realtà fisica si innesta una formulazione che dà il senso della cosa che viene compiuta e la combinazione di questa, se raccolta con fede, provoca una realtà nuova, del battezzato, del cresimato, del comunicato; La grazia, dice San Tommaso D’Aquino, suppone la natura. In questo versetto si dice qualcosa di analogo alla parola che dal punto di vista fenomenologico è solo parola di uomini, attenzione ecco la materia paragonabile all’acqua del Battesimo e al pane dell’Eucarestia , “ la Parola”. E’ come diceva all’inizio “ fractus vocis”, qualcosa che esce dalla bocca, è un suono unito ad un certo alito che viene emesso, questo è il dato materiale ma qua dice l’avete accolto non come parola di uomini ma come veramente è Parola di Dio. Attenzione, ma Dio non parla mica, Dio non ha bocca, gola, alito, lingua.Se uno si ferma allora alla semplice parola umana non percepisce, anche perché Dio non parla, siamo noi che parliamo; Dio parla solo per mezzo nostro. Ecco perché c’e bisogno di collaboratori; Dio nella storia della salvezza non ha fatto mai nulla, nessuna cosa da solo, ha sempre cercato dei collaboratori, sino ad arrivare a suo Figlio; ma anche suo Figlio per continuare sulla scia del Padre non ha voluto fare nulla da solo. Ha cominciato a chiamare a sé dei collaboratori, discepoli e così via. Sarebbe interessante un confronto tra il racconto “ Lucano” della Pentecoste e il modello della Epifania del Sinai, quando Dio darà la Torah , cioè la legge al suo popolo; là è Dio che parla secondo il testo biblico, ma naturalmente a Pentecoste Dio non parla, chi parla sono gli uomoni, coloro che hanno ricevuto lo Spirito, solo loro parlano. Questa è una smitizzazione di qualunque concetto poetico di Dio, che si può dare di Dio, diremmo antropomorfico di Dio. Quando diciamo Parola di Dio, noi non intendiamo altro che una parola di uomoni scritta nella bibbia, oppure pronunciata oralmente da un annunciatore che però è di contenuto o origine extraumana; come nel caso di Paolo, che dice: “Io non l’ho ricevuta dagli uomoni ma per mezzo di Gesù Cristo, ma l’avete accolta non quale parola di uomini che è quello che appare; il pane dell’Eucarestia non appare altro se non altro che pane, ma l’avete accolta come Parola di Dio”. Qui c’è il salto qualitativo che suppone una combinazione inesplicabile tra i due livelli; Dio è presente in noi attraverso la Parola ed ha bisogno di noi perché questa parola corra e raggiunga Gesù Cristo; la parola cammina allora nel mondo con i nostri piedi, da sola non può camminare, ha bisogno di noi. Come ha fatto Gesù Cristo ad essere conosciuto in una tribù sperduta dell’Amazzonia? se non ci sono due piedi che vanno sin là, di uomini, di persone umane; Gesù Cristo là non arriva. Come fa Gesù Cristo a raggiungere i lontani che sono la preoccupazione della Chiesa e del Vescovo se non ci sono uomini che dicono: “ Ecco, Gesù, ti do tutto me stesso, ti presto i miei piedi e la mia bocca per andare, per portarti, questo significa essere missionari, ecco l’avete accolto come Parola di Dio nell’annuncio evangelico ed è Dio stesso che opera. Allora ecco il 3° elemento del sacramento che dice, che opera in voi che credete, cioè non in voi che credete nel senso che già credete, opera in voi in questo credere, l’operazione che opera la parola è proprio la suscitazione della fede perché dobbiamo entrare in confidenza con la Parola di Dio. Quante volte ci lamentiamo che la nostra fede è insufficiente è nana oppure a causa di quella situazione abbiamo perso la fede; Dice l’apostolo che la fede nasce, cresce, si nutre, si sviluppa; se noi ci poniamo in atteggiamento di ascolto Shemà Israele, ascolto, è attraverso l’ascolto della Parola di Dio che la fede in me cresce; è l’effetto Sacramentale, come si dice nella teologia dei Sacramenti. L’effetto procurato dall’acqua del battesimo, procurato dal pane eucaristico e via di questo passo. Questo è l’effetto procurato dalla parola di uomini che ha in sé una forza, questa parola, una vitalità peculiare, incomparabile che suscita non automaticamente ma che può suscitare questo risultato che non è ascrivibile ad una certa parola umana. E’ ascrivibile solo alla fede. Se aveste fede quanto un granellino di senapa direste a questa montagna di spostarsi; è la fede nella parola. E’ attraverso la parola della quale ci si nutre che noi possiamo spostare persino le montagne e spalancare il cuore di Dio, per ottenere, come ci ha insegnato Gesù, tutto quello che volete: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Tutto questo Paolo l’aveva ben chiaro, e da tutto questo scaturiva la sua forza, la sua focosità, il suo carattere, la sua passione di annunciare la Parola di Dio che voleva portarla perfino in Spagna, Dio poi lo fece approdare a Roma dove ha terminato la sua corsa.