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PACE NEL MONDO, DIALOGO FRA I CRISTIANI E FRA LE RELIGIONI (2002)

http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/chrstuni/documents/rc_pc_chrstuni_doc_20020107_peace-kasper_it.html

PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITÀ DEI CRISTIANI

PACE NEL MONDO, DIALOGO FRA I CRISTIANI E FRA LE RELIGIONI (2002)

La pace, shalom, è al centro del messaggio dell’Antico e del Nuovo Testamento. Pace, shalom nella Bibbia, non è soltanto un normale saluto quale espressione di cortesia; pace, shalom è l’escatologica promessa proveniente da Dio ed è l’augurio di benedizione fra gli uomini. Infatti Gesù Cristo stesso è la nostra pace (cfr Ef 2, 14). Benedetti da Dio in Gesù Cristo, i cristiani debbono essere fra di loro una benedizione ed una benedizione per tutte le nazioni. « Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio » (Mt 5, 9). La Chiesa è pertanto chiamata ad essere segno, strumento e testimone della pace, pace con Dio e tra gli uomini (cfr Lumen gentium, 1, 13).
Pace, giustizia e perdono
La pace tra gli uomini, quella tranquillitas ordinis insegnata da sant’Agostino, alla quale Papa Giovanni Paolo II si è riferito nel suo Messaggio per la Giornata della Pace del prossimo 1° gennaio (cfr n. 3), non va tuttavia intesa soltanto come silenzio delle armi e assenza della guerra. Essa è il frutto dell’ordine infuso nell’umana società dal suo fondatore (cfr Gaudium et spes, 78), e presuppone un impegno costante ad instaurare nel mondo la giustizia. Come afferma la Scrittura, la vera pace è « opera della giustizia » (Is 32, 17; cfr Gc 3, 18).
Per giustizia deve intendersi il riconoscimento della dignità di ogni persona, i suoi diritti umani fondamentali, la libertà di ognuno, l’assenza di discriminazioni a motivo della fede, della razza, della cultura, del sesso. Per giustizia deve intendersi il diritto di ciascuna creatura umana alla vita, alla terra, al cibo, all’acqua, ad un’educazione che la renda più pienamente consapevole di questi suoi diritti, e capace di autodeterminazione nella sua vita. Questo bene personale presuppone il bene comune, la giustizia sociale soprattutto per i poveri, l’equilibrio sociale e la stabilità dell’ordine sociale e politico.
Davanti ad un mondo contrassegnato dal peccato, dall’egoismo e dall’invidia, un mondo che troppo spesso nega con violenza la giustizia, e sconvolge, nel circolo vizioso dei conflitti, la tranquillitas ordinis, che è presupposto e sostanza della pace, non è possibile instaurare la pace senza la « sollecitudine misericordiosa e provvidenziale di Dio, che conosce le vie capaci di raggiungere i cuori più induriti e di trarre buoni frutti anche da una terra arida e infeconda » (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 2002, n. 1). La pace è il dono del perdono, della redenzione e della nuova creazione; al pari dell’amore, della gioia, della penitenza, della benevolenza, della bontà, essa è frutto dello Spirito (cfr Gal 5, 22). Il regno di Dio è giustizia, pace e gioia nello Spirito (cfr Rm 14, 17).
Questa speranza deve sempre più profondamente animare la nostra preghiera. La pace deve essere costantemente implorata, affinché essa ci possa essere concessa ed essere salvaguardata. Ma l’arma della preghiera rafforza anche il nostro impegno per ribaltare le situazioni di ingiustizia, e agire insieme per l’edificazione di un mondo più giusto. Guidati dalla mansuetudine di Colui che ha predicato la giustizia per i poveri del Regno, i cristiani sanno che « la capacità di perdonare è la base per fondare un progetto di società più giusta e solidale » (ibid., n. 9).
I cristiani sanno che l’odio etnico, razziale, religioso, la spirale di violenza che colpisce, indistintamente, vittime e carnefici, può avere un antidoto: il perdono. Soltanto il perdono, infatti, ci situa al di sopra delle accuse; ci permette di non colpevolizzare, a causa di pochi, interi popoli; di non far ricadere sui figli le colpe dei padri. Il perdono, che dipende da ciascuno di noi, può ristabilire la giustizia e condurci da una situazione di guerra a una condizione di pace.
Riconciliazione e pace fra i cristiani
Proprio su questo argomento del legame fra pace, giustizia e perdono si situa l’importanza del dialogo ecumenico e della collaborazione dei cristiani tra di loro. « Di fronte al mondo, infatti, la loro azione congiunta nella società riveste il trasparente valore di una testimonianza resa insieme al nome del Signore » (Ut unum sint, 75). Ma non soltanto. Oppressi dalla loro storia di dispute e di scontri, colpevoli di aver a volte predicato ed imposto il Vangelo di Cristo anche con le armi, i cristiani hanno iniziato, soprattutto in questo secolo, l’impegnativo e lento cammino del loro reciproco perdono. Non c’è ecumenismo senza conversione e perdono (cfr ibid., 15 s, 33). La vergogna e l’interiore ravvedimento per lo scandalo della divisione, ravvedimento che lo Spirito suscita, sono alla base del movimento ecumenico (cfr Unitatis redintegratio, 1).
Oggi i cristiani hanno varcato la soglia del terzo millennio, e si trovano di fronte ad una scelta impegnativa, difficile, essenziale. L’impegno ecumenico, la promozione dell’unità dei cristiani è una delle grandi sfide e dei compiti più urgenti all’inizio del nuovo millennio (cfr Novo Millennio ineunte, 12, 48). I cristiani sono chiamati a « promuovere una spiritualità della comunione » (ibid., 43 s), ed essere così « luce del mondo », « città collocata sopra un monte » (Mt 5, 14).
Predicano il perdono, questa forma particolare dell’amore (cfr Messaggio, cit., n. 2), e faticosamente la applicano a loro stessi, alle loro Chiese in Oriente ed in Occidente. Dialogare, incontrarsi, purificare le loro memorie, è per le Chiese un atto di coraggio ed un gravoso impegno.
Esse sanno che « la coerenza e l’onestà delle intenzioni e delle affermazioni di principio si verificano applicandole alla vita concreta » (Ut unum sint, 74). Ciò le sollecita, nell’attuale situazione, ad avere tra loro un comportamento esemplare, che rechi al mondo una testimonianza di perdono, di concordia, di dialogo, che esige di essere ancora più profondo quando le divergenze sembrano insormontabili.
Le Chiese, malgrado le perduranti divisioni, grazie all’esperienza di dialogo che esse stanno vivendo, hanno potuto, fino ad oggi, almeno dimostrare che il processo di purificazione della memoria del loro passato genera a poco a poco un’evoluzione che fa prevalere « la legge « nuova » dello spirito di carità. La « fraternità universale » dei cristiani è diventata una ferma convinzione ecumenica » (ibid., 42). Vivono già in una comunione reale e profonda, sebbene essa non sia purtroppo ancora perfetta (cfr ibid., nn. 11-14). Nella testimonianza e nel servizio della pace, essi possono e debbono, già oggi, collaborare strettamente tra di loro.
Dialogo ecumenico e dialogo interreligioso
L’atteggiamento delle Chiese e la predisposizione al perdono, che esse applicano alle loro reciproche relazioni, deve indurle a dialogare insieme con le altre religioni e le altre culture affinché la morale ecumenica che esse ricercano nel loro agire, si rifletta sui rapporti e sul dialogo con le altre religioni, verso una collaborazione che valga a riaffermare i valori della vita e della cultura umana.
Il dialogo ecumenico ed il dialogo interreligioso sono connessi e legati, ma non si identificano l’uno con l’altro. Esiste tra i due una differenza specifica e qualitativa, e perciò non vanno confusi. Il dialogo ecumenico non si fonda soltanto sulla tolleranza ed il rispetto dovuto ad ogni convinzione umana e soprattutto religiosa; né esso si fonda soltanto su un filantropismo liberale o una mera cortesia borghese; al contrario, il dialogo ecumenico è radicato nella comune fede in Gesù Cristo e nel reciproco riconoscimento del battesimo per mezzo del quale tutti i battezzati sono membri dell’unico Corpo di Cristo (cfr Gal 3, 28; 1 Cor 12, 13; Ut unum sint, 42) e possono pregare insieme, come ci ha insegnato Gesù, « Padre nostro ». Nelle altre religioni, la Chiesa riconosce un raggio di quella verità « che illumina ogni uomo » (Gv 1, 9), ma che soltanto in Gesù Cristo è rivelata nella sua pienezza; solo lui è « la via, la verità e la vita » (Gv 14, 6; cfr Nostra aetate, 2). È pertanto ambiguo riferirsi al dialogo interreligioso in termini di macroecumenismo o di una nuova e più vasta fase dell’ecumenismo.
I cristiani e i seguaci delle altre religioni possono pregare, ma non possono pregare insieme. Ogni sincretismo è escluso. Nondimeno essi condividono il senso ed il rispetto di Dio o del Divino ed il desiderio di Dio o del Divino; il rispetto per la vita, il desiderio della pace con Dio o con il Divino, tra gli uomini e nel cosmo; essi condividono molti valori morali. Possono e debbono collaborare per difendere e promuovere insieme, a vantaggio di tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà. Ciò vale particolarmente per le religioni monoteiste, che vedono in Abramo il loro Padre nella fede.
L’invito per la Giornata di preghiera per la pace nel mondo è un modo per riaffermare tutto questo. La Chiesa cattolica considera questa partecipazione un’occasione utile per testimoniare insieme che « i cristiani si sentono sempre più interpellati dalla questione della pace » (Ut unum sint, 76).
Applicando i criteri della ricerca della loro propria unità, i cristiani rispettano le altre religioni. Essi sanno che la « legge nuova » dello spirito di carità incoraggia all’accoglienza, non esclude la legittima diversità. Essi sanno di avere in comune, con le altre religioni, l’arma della preghiera per implorare la pace.
Di fronte al male terribile dell’assenza di pace, di fronte all’infinita catena di lutti che reca la guerra, esse sanno di avere una sola alternativa: dare una testimonianza di reciproco perdono e di tranquillitas ordinis tra loro. Così chiediamo a tutti di percorrere con noi la stessa via di speranza verso la giustizia, la riconciliazione e la pace.

Card. WALTER KASPER
Presidente

Publié dans:PACE NEL MONDO (LA), Vaticano (dal |on 23 avril, 2018 |Pas de commentaires »

EGLI E’ LA NOSTRA PACE – di P. Raniero Cantalamessa

http://www.artcurel.it/ARTCUREL/RELIGIONE/VITA%20CRISTIANA/eglielanostrapacecantalamessa.htm

EGLI E’ LA NOSTRA PACE – di P. Raniero Cantalamessa

“Immagina che non esiste paradiso, / è facile se provi./ Nessun inferno sotto di noi, / nient’altro che il cielo su di noi. Immagina tutta la gente / vivere per l’oggi, / immagina non ci sono patrie. /Non è difficile, vedrai. / Nulla per cui uccidere o morire / e nessuna religione più. (Imagine all the people / living for today./ Imagine there’s no countries / it isn’t hard to do./ Nothing to kill or die for /and no religion too). Immagina tutta la gente / vivere la vita in pace. / Ti sembro un sognatore? /Non sono il solo. / Spero che un giorno ti unirai a noi / e il mondo sarà una cosa sola. (Imagine all the people / living life in peace. / You may say I’m a dreamer / But I’m not the only one./ I hope someday you’ll join us / and the world will live as one)” .  

Mi pare sia di Platone la massima: “Agli anziani sono maestri i filosofi, ai giovani i poeti”.

Oggi, a dire il vero, maestri dei giovani non sono più neppure i poeti, ma i cantautori; non la poesia, ma la musica. Vi sono milioni di giovani la cui visione della vita è ricalcata su quella del cantautore (se non addirittura del canto) preferito. Nelle settimane agitate che abbiamo vissuto, quella canzone, scritta da uno dei grandi idoli della musica leggera moderna, su una melodia suadente, è risuonata con frequenza nei cortei e nei programmi radiofonici, come una specie di manifesto pacifista. Non possiamo lasciarla senza una risposta. Gesù, una volta, prese lo spunto per un suo insegnamento da quello che cantavano i ragazzi del suo tempo nelle piazze: “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, vi abbiamo cantato un lamento e non avete pianto” (Mt 11,16-17). Dobbiamo seguirne l’esempio. La prima domanda che ci poniamo è questa: Perché sforzarsi di ”immaginare” qualcosa che abbiamo avuto sotto gli occhi fino a ieri? Un mondo senza paradiso e inferno, senza religione, senza patrie, with no possessions, senza proprietà privata, dove si insegnava alla gente a vivere solo “per quaggiù”: non è esattamente la società che si erano proposto di realizzare i regimi totalitari comunisti? Il sogno dunque non è nuovo, ma il risveglio da esso non è stato allegro… “Non più paradiso, non più inferno”: anche queste parole non è la prima volta che sono risuonate nel mondo. “Se Dio esiste l’uomo è nulla. Dio non esiste! Felicità, lacrime di gioia! Non più cielo. Non più inferno! Nient’altro che la terra”. Sono parole che un noto filosofo e scrittore metteva in bocca a un suo personaggio negli anni ruggenti dell’esistenzialismo ateo . Lo stesso autore scrisse però anche un altro dramma, intitolato Porte chiuse. In esso si parla di tre persone -un uomo e due donne- introdotte, a brevi intervalli, in una stanza. Non ci sono finestre, la luce è al massimo e non c’è possibilità di spegnerla, fa un caldo soffocante, e non c’è nulla all’infuori di un canapè. La porta è chiusa, il campanello c’è, ma non dà suono. Di chi si tratta? Sono tre persone appena morte, e il luogo dove si trovano è l’inferno. Dopo che, a forza di frugare uno nella vita dell’altro, le loro anime sono diventate nude davanti a tutti e le colpe di cui più ci si vergogna sono venute a galla e sfruttate dagli altri senza pietà, uno dei personaggi dice agli altri due: “Ricordate: lo zolfo, le fiamme, la graticola Tutte sciocchezze. Non c’è nessun bisogno di graticole: l’inferno sono gli Altri” . Per questa via, l’inferno non viene dunque abolito; è solo trasferito sulla terra.

* * * Ma il canto che ho ricordato, a parte i suggerimenti sbagliati per realizzarlo, contiene un anelito giusto e santo che non si può lasciar cadere nel vuoto. Ascoltiamo un’altra “canzone” sulla pace e l’unità, scritta molto tempo prima:

“Egli è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l’inimicizia. Egli è venuto perciò ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito” (Ef 2, 14-18).

Anche qui viene presentato un mondo in cui si vive “in pace”, come fosse “una cosa sola”; ma la via per realizzarlo è assai diversa. “Ha fatto la pace, distruggendo in se stesso l’inimicizia”. Distruggendo l’inimicizia, non il nemico; distruggendola in se stesso, non negli altri! In quello stesso tempo un altro grande uomo proclamava al mondo l’avvenuta pace. In Asia Minore è stata ritrovata, tra le pietre di una moschea, copia del famoso “Indice delle proprie imprese” dell’imperatore Augusto. In esso egli celebra la pax Romana da lui stabilita nel mondo, definendola parta victoriis pax, una pace ottenuta mediante vittorie militari . Gesù non entra nel merito di questa pace, ma rivela che ne esiste un’altra di genere diverso. Dice: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi” (Gv 14, 27). Anche la sua è una “pace frutto di vittorie”. Ma vittorie su se stessi, non sugli altri, vittorie spirituali, non militari. “Ha vinto il leone della tribù di Giuda”, vicit leo de tribu Juda, esclama l’Apocalisse (5, 5), ma S. Agostino spiega: “Victor quia victima”, vincitore perché vittima . Gesù ci ha insegnato che non c’è nulla per cui uccidere, ma che c’è qualcosa per cui morire.   * * * La via alla pace del Vangelo non ha senso solo nell’ambito della fede; vale anche nell’ambito politico, per la società. È l’attuale assetto del mondo a esigere che si cambi il metodo di Augusto con quello di Cristo. Non è più accettata dalla coscienza moderna la vocazione che Virgilio additava ai suoi concittadini: “Tu regere imperio populos, Romane, memento” : “il tuo compito, ricordati, Roma, è esercitare l’impero dei popoli”. Ogni popolo rivendica il proprio diritto ad autogovernarsi. Oggi vediamo chiaramente che l’unica via alla pace è di distruggere l’inimicizia, non il nemico (distruggeremo metà della popolazione del mondo, scontenta del suo assetto? e come individuare il nemico nel terrorismo?). Senza contare che si applica anche ai nemici ciò che Tertulliano diceva del sangue dei cristiani: “Semen est sanguis christianorum”: anche il sangue dei nemici, purtroppo, è seme di altri nemici. Qualcuno rimproverò un giorno Abramo Lincoln di essere troppo cortese con i propri nemici e gli ricordò che il suo dovere di presidente era piuttosto di distruggerli. Al che egli rispose: “Non distruggo forse i miei nemici quando me li faccio amici?”. Troverà, il grande presidente degli Stati Uniti, qualcuno che raccolga questa formidabile sfida? I nemici si distruggono con le armi, l’inimicizia con il dialogo. Prima di additarlo alle nazioni, la Chiesa, guidata dal papa, si sta sforzando di realizzare questo programma nel rapporto tra le varie religioni.

* * * Ma non abbiamo raccolto che metà del messaggio cristiano sulla pace. Uno slogan oggi assai di moda dice: “Think globally, act locally”: pensa globalmente, agisci localmente. Esso vale soprattutto per la pace. La pace non si fa come la guerra. Per fare la guerra, occorrono lunghi preparativi: formare grossi eserciti, predisporre strategie, sancire alleanze e poi muovere compatti all’attacco. Guai a chi volesse cominciare per primo, da solo e alla spicciolata: sarebbe votato a sicura disfatta. La pace si fa esattamente al contrario: alla spicciolata, cominciando subito, per primi, anche uno solo, anche con una semplice stretta di mano. Miliardi di gocce d’acqua sporca non faranno mai un oceano pulito. Miliardi di uomini senza pace nel cuore – e di famiglie senza pace al loro interno – non faranno mai un’umanità in pace. Uno dei messaggi di Giovanni Paolo II per la giornata della pace, quello del 1984, portava come titolo: “La pace nasce da un cuore nuovo”. Che senso ha sfilare in corteo per le strade gridando “Pace!”, se si alza il pugno minaccioso e si sfondano vetrine? Si può essere dei “pacifisti a mano armata”? Anche esporre il drappo della pace fuori della propria finestra che senso avrebbe, se dentro casa si alza la voce, si impone tirannicamente la propria volontà ed si erigono muri di ostilità o di silenzio? Non sarebbe meglio, in questo caso, ritirare il drappo ed appenderlo dentro casa? Ma anche noi che siamo qui riuniti dobbiamo fare qualcosa per essere degni di parlare di pace. Gesù è venuto ad annunciare “pace ai lontani e pace ai vicini”. La pace con “i vicini” è spesso più difficile che non la pace con “i lontani”…Gesù ha detto: “Se presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e và prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono” (Mt 5, 23-24). Fra poco noi ci accosteremo a baciare il Crocifisso. Se non vogliamo che dall’alto della sua croce Gesù debba ripeterci: “Vai prima a riconciliarti con il tuo fratello!”, il nostro deve essere un bacio dato non solo a Lui che è il capo, ma anche alle membra del suo corpo, specialmente quelle che tendiamo a rifiutare. Un tempo, al termine della Quaresima o di Missioni popolari, si facevano i falò delle vanità. In un rogo acceso al centro della piazza principale della città, ognuno gettava gli strumenti del vizio o gli oggetti di superstizione che aveva in casa. Essi facevano un falò delle vanità, noi facciamo un falò delle ostilità! Gettiamo tra le braccia del Crocifisso e nella fornace ardente del suo cuore ogni odio, rancore, risentimento, invidia, rivalità, ogni desiderio di farci giustizia da soli.

* * * “Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito”. “Gli uni e gli altri” non sono più solo giudei e gentili; sono anche cristiani e musulmani, latini e greci, cattolici e protestanti, clero e laici, uomini e donne, bianchi e neri. Ecco la risposta del Vangelo al “sogno” della canzone: “e il mondo sarà una cosa sola”, and the world will live as one. Conosciamo l’obbiezione: “Sono passati duemila anni da allora e cosa è cambiato?” Ma non ci inganniamo. Il mondo riconciliato, divenuto una cosa sola in Cristo, esiste già. È ciò che vede Dio quando guarda questo nostro tormentato pianeta, lui che abbraccia con il suo sguardo passato, presente e futuro insieme. Vale anche per il mondo ciò che Francesco d’Assisi dice di ogni uomo: “L’uomo, ciò che è davanti a Dio, quello è, e non altro” . Il mondo, ciò che è davanti a Dio, quello è, e non altro. E agli occhi di Dio, già ora, “non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, perché tutti siamo uno in Cristo Gesù”(cf. Gal 3, 28). Il 13 Aprile 1997, nello stadio di Sarajevo, il Santo Padre Giovanni Paolo II elevò a Dio una preghiera per la pace. Ci uniamo al suo grido accorato, non meno attuale oggi di allora, dopo che una guerra si è appena consumata e altre continuano dimenticate: “Io, vescovo di Roma, mi inginocchio davanti a te, Signore, per gridare: Liberaci dal flagello della guerra. Venga il tuo regno; regno di giustizia, di pace, di perdono e di amore. Tu non ami la violenza e l’odio, tu rifuggi dall’ingiustizia e dall’egoismo. Tu vuoi che gli uomini siano fra loro fratelli e ti riconoscano come loro padre. La tua volontà è la pace”. Sia fatta la tua volontà!  

 

PACE NEL MONDO, DIALOGO FRA I CRISTIANI E FRA LE RELIGIONI – W. KASPER

http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/chrstuni/documents/rc_pc_chrstuni_doc_20020107_peace-kasper_it.html

PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITÀ DEI CRISTIANI

Pace nel mondo, dialogo fra i cristiani e fra le religioni

La pace, shalom, è al centro del messaggio dell’Antico e del Nuovo Testamento. Pace, shalom nella Bibbia, non è soltanto un normale saluto quale espressione di cortesia; pace, shalom è l’escatologica promessa proveniente da Dio ed è l’augurio di benedizione fra gli uomini. Infatti Gesù Cristo stesso è la nostra pace (cfr Ef 2, 14). Benedetti da Dio in Gesù Cristo, i cristiani debbono essere fra di loro una benedizione ed una benedizione per tutte le nazioni. « Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio » (Mt 5, 9). La Chiesa è pertanto chiamata ad essere segno, strumento e testimone della pace, pace con Dio e tra gli uomini (cfr Lumen gentium, 1, 13).

Pace, giustizia e perdono
La pace tra gli uomini, quella tranquillitas ordinis insegnata da sant’Agostino, alla quale Papa Giovanni Paolo II si è riferito nel suo Messaggio per la Giornata della Pace del prossimo 1° gennaio (cfr n. 3), non va tuttavia intesa soltanto come silenzio delle armi e assenza della guerra. Essa è il frutto dell’ordine infuso nell’umana società dal suo fondatore (cfr Gaudium et spes, 78), e presuppone un impegno costante ad instaurare nel mondo la giustizia. Come afferma la Scrittura, la vera pace è « opera della giustizia » (Is 32, 17; cfr Gc 3, 18).
Per giustizia deve intendersi il riconoscimento della dignità di ogni persona, i suoi diritti umani fondamentali, la libertà di ognuno, l’assenza di discriminazioni a motivo della fede, della razza, della cultura, del sesso. Per giustizia deve intendersi il diritto di ciascuna creatura umana alla vita, alla terra, al cibo, all’acqua, ad un’educazione che la renda più pienamente consapevole di questi suoi diritti, e capace di autodeterminazione nella sua vita. Questo bene personale presuppone il bene comune, la giustizia sociale soprattutto per i poveri, l’equilibrio sociale e la stabilità dell’ordine sociale e politico.
Davanti ad un mondo contrassegnato dal peccato, dall’egoismo e dall’invidia, un mondo che troppo spesso nega con violenza la giustizia, e sconvolge, nel circolo vizioso dei conflitti, la tranquillitas ordinis, che è presupposto e sostanza della pace, non è possibile instaurare la pace senza la « sollecitudine misericordiosa e provvidenziale di Dio, che conosce le vie capaci di raggiungere i cuori più induriti e di trarre buoni frutti anche da una terra arida e infeconda » (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 2002, n. 1). La pace è il dono del perdono, della redenzione e della nuova creazione; al pari dell’amore, della gioia, della penitenza, della benevolenza, della bontà, essa è frutto dello Spirito (cfr Gal 5, 22). Il regno di Dio è giustizia, pace e gioia nello Spirito (cfr Rm 14, 17).
Questa speranza deve sempre più profondamente animare la nostra preghiera. La pace deve essere costantemente implorata, affinché essa ci possa essere concessa ed essere salvaguardata. Ma l’arma della preghiera rafforza anche il nostro impegno per ribaltare le situazioni di ingiustizia, e agire insieme per l’edificazione di un mondo più giusto. Guidati dalla mansuetudine di Colui che ha predicato la giustizia per i poveri del Regno, i cristiani sanno che « la capacità di perdonare è la base per fondare un progetto di società più giusta e solidale » (ibid., n. 9).
I cristiani sanno che l’odio etnico, razziale, religioso, la spirale di violenza che colpisce, indistintamente, vittime e carnefici, può avere un antidoto: il perdono. Soltanto il perdono, infatti, ci situa al di sopra delle accuse; ci permette di non colpevolizzare, a causa di pochi, interi popoli; di non far ricadere sui figli le colpe dei padri. Il perdono, che dipende da ciascuno di noi, può ristabilire la giustizia e condurci da una situazione di guerra a una condizione di pace.

Riconciliazione e pace fra i cristiani
Proprio su questo argomento del legame fra pace, giustizia e perdono si situa l’importanza del dialogo ecumenico e della collaborazione dei cristiani tra di loro. « Di fronte al mondo, infatti, la loro azione congiunta nella società riveste il trasparente valore di una testimonianza resa insieme al nome del Signore » (Ut unum sint, 75). Ma non soltanto. Oppressi dalla loro storia di dispute e di scontri, colpevoli di aver a volte predicato ed imposto il Vangelo di Cristo anche con le armi, i cristiani hanno iniziato, soprattutto in questo secolo, l’impegnativo e lento cammino del loro reciproco perdono. Non c’è ecumenismo senza conversione e perdono (cfr ibid., 15 s, 33). La vergogna e l’interiore ravvedimento per lo scandalo della divisione, ravvedimento che lo Spirito suscita, sono alla base del movimento ecumenico (cfr Unitatis redintegratio, 1).
Oggi i cristiani hanno varcato la soglia del terzo millennio, e si trovano di fronte ad una scelta impegnativa, difficile, essenziale. L’impegno ecumenico, la promozione dell’unità dei cristiani è una delle grandi sfide e dei compiti più urgenti all’inizio del nuovo millennio (cfr Novo Millennio ineunte, 12, 48). I cristiani sono chiamati a « promuovere una spiritualità della comunione » (ibid., 43 s), ed essere così « luce del mondo », « città collocata sopra un monte » (Mt 5, 14).
Predicano il perdono, questa forma particolare dell’amore (cfr Messaggio, cit., n. 2), e faticosamente la applicano a loro stessi, alle loro Chiese in Oriente ed in Occidente. Dialogare, incontrarsi, purificare le loro memorie, è per le Chiese un atto di coraggio ed un gravoso impegno.
Esse sanno che « la coerenza e l’onestà delle intenzioni e delle affermazioni di principio si verificano applicandole alla vita concreta » (Ut unum sint, 74). Ciò le sollecita, nell’attuale situazione, ad avere tra loro un comportamento esemplare, che rechi al mondo una testimonianza di perdono, di concordia, di dialogo, che esige di essere ancora più profondo quando le divergenze sembrano insormontabili.
Le Chiese, malgrado le perduranti divisioni, grazie all’esperienza di dialogo che esse stanno vivendo, hanno potuto, fino ad oggi, almeno dimostrare che il processo di purificazione della memoria del loro passato genera a poco a poco un’evoluzione che fa prevalere « la legge « nuova » dello spirito di carità. La « fraternità universale » dei cristiani è diventata una ferma convinzione ecumenica » (ibid., 42). Vivono già in una comunione reale e profonda, sebbene essa non sia purtroppo ancora perfetta (cfr ibid., nn. 11-14). Nella testimonianza e nel servizio della pace, essi possono e debbono, già oggi, collaborare strettamente tra di loro.

Dialogo ecumenico e dialogo interreligioso
L’atteggiamento delle Chiese e la predisposizione al perdono, che esse applicano alle loro reciproche relazioni, deve indurle a dialogare insieme con le altre religioni e le altre culture affinché la morale ecumenica che esse ricercano nel loro agire, si rifletta sui rapporti e sul dialogo con le altre religioni, verso una collaborazione che valga a riaffermare i valori della vita e della cultura umana.
Il dialogo ecumenico ed il dialogo interreligioso sono connessi e legati, ma non si identificano l’uno con l’altro. Esiste tra i due una differenza specifica e qualitativa, e perciò non vanno confusi. Il dialogo ecumenico non si fonda soltanto sulla tolleranza ed il rispetto dovuto ad ogni convinzione umana e soprattutto religiosa; né esso si fonda soltanto su un filantropismo liberale o una mera cortesia borghese; al contrario, il dialogo ecumenico è radicato nella comune fede in Gesù Cristo e nel reciproco riconoscimento del battesimo per mezzo del quale tutti i battezzati sono membri dell’unico Corpo di Cristo (cfr Gal 3, 28; 1 Cor 12, 13; Ut unum sint, 42) e possono pregare insieme, come ci ha insegnato Gesù, « Padre nostro ». Nelle altre religioni, la Chiesa riconosce un raggio di quella verità « che illumina ogni uomo » (Gv 1, 9), ma che soltanto in Gesù Cristo è rivelata nella sua pienezza; solo lui è « la via, la verità e la vita » (Gv 14, 6; cfr Nostra aetate, 2). È pertanto ambiguo riferirsi al dialogo interreligioso in termini di macroecumenismo o di una nuova e più vasta fase dell’ecumenismo.
I cristiani e i seguaci delle altre religioni possono pregare, ma non possono pregare insieme. Ogni sincretismo è escluso. Nondimeno essi condividono il senso ed il rispetto di Dio o del Divino ed il desiderio di Dio o del Divino; il rispetto per la vita, il desiderio della pace con Dio o con il Divino, tra gli uomini e nel cosmo; essi condividono molti valori morali. Possono e debbono collaborare per difendere e promuovere insieme, a vantaggio di tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà. Ciò vale particolarmente per le religioni monoteiste, che vedono in Abramo il loro Padre nella fede.
L’invito per la Giornata di preghiera per la pace nel mondo è un modo per riaffermare tutto questo. La Chiesa cattolica considera questa partecipazione un’occasione utile per testimoniare insieme che « i cristiani si sentono sempre più interpellati dalla questione della pace » (Ut unum sint, 76).
Applicando i criteri della ricerca della loro propria unità, i cristiani rispettano le altre religioni. Essi sanno che la « legge nuova » dello spirito di carità incoraggia all’accoglienza, non esclude la legittima diversità. Essi sanno di avere in comune, con le altre religioni, l’arma della preghiera per implorare la pace.
Di fronte al male terribile dell’assenza di pace, di fronte all’infinita catena di lutti che reca la guerra, esse sanno di avere una sola alternativa: dare una testimonianza di reciproco perdono e di tranquillitas ordinis tra loro. Così chiediamo a tutti di percorrere con noi la stessa via di speranza verso la giustizia, la riconciliazione e la pace.

Card. WALTER KASPER
Presidente

Publié dans:Card. W. Kasper, PACE NEL MONDO (LA) |on 23 septembre, 2015 |Pas de commentaires »

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