25 SETTEMBRE: SAN SERGIO DI RADONEZ
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25 SETTEMBRE: SAN SERGIO DI RADONEZ
Sergio di Radonez
Riformatore della vita monastica in Russia, Sergio (1314-1392) nacque da una nobile famiglia della regione di Rostov, trasferitasi a Radonez dopo essere caduta in miseria. Fondò la «laura» della Trinità, monastero dal quale i monaci si recavano in pellegrinaggio al Monte Athos. Attraverso il suo discepolo Nil Sorskij si diffuse l’esicasmo, la preghiera del cuore resa celebre dai Racconti di un pellegrino russo: «Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me». Nel Quattrocento al monastero della Trinità, che stava rinascendo dopo la distruzione dei tartari nel 1409, fu legato per diversi anni il celebre pittore Andrej Rublëv, che vi dipinse la famosissima icona della Trinità.
Sergio e i suoi genitori furono scacciati dalla loro casa dalla guerra civile e dovettero guadagnarsi da vivere facendo i contadini a Radonez, a nord-est di Mosca. A vent’anni Sergio iniziò una vita da eremita, insieme a suo fratello Stefano, nella vicina foresta; in seguito altri uomini si unirono a loro, e ciò che ci vien detto di questi eremiti ricorda i primi seguaci di san Francesco d’Assisi, specialmente per quanto riguarda il loro atteggiamento verso la natura selvaggia – nonostante le differenze climatiche e di altro genere fra l’Umbria e la Russia centrale. Uno scrittore russo ha detto che il loro capo « odora di fresco legno d’abete ».
Nel 1354 essi si trasformarono in monaci che conducevano una vera e propria vita comune; questo cambiamento provocò dei dissensi che avrebbero potuto spaccare per sempre la comunità se non fosse stato per la condotta disinteressata di san Sergio. Questo monastero della Santa Trinità (Troice-Lavra) divenne per il monachesimo della Russia settentrionale quello che le Grotte di san Teodosio erano state per la provincia di Kiev nel sud. Sergio fondò altre case religiose, direttamente o indirettamente, e la sua fama si diffuse moltissimo; nel 1375 rifiutò la sede metropolitana di Mosca, ma usò la sua influenza per mantenere la pace fra i principi rivali. Quando (secondo la tradizione) Dimitrij Donskoj, principe di Mosca nel 1380, lo consultò per chiedere se doveva continuare la sua rivolta armata contro i signori tartari, Sergio lo incoraggiò ad andare avanti: ciò portò alla grande vittoria di Kulikovo. San Sergio è il più amato di tutti i santi russi, non soltanto per l’influenza che ebbe in un periodo critico della storia russa, ma anche per il tipo d’uomo che era. Per il carattere, se non per l’origine, era un tipico « santo contadino »: semplice, umile, serio e gentile, un « buon vicino ». Insegnò ai suoi monaci che servire gli altri faceva parte della loro vocazione, e le persone che indicò loro come modelli erano gli uomini dell’antichità che avevano fuggito il mondo ma aiutavano il loro prossimo; veniva posta un’enfasi particolare sulla povertà personale e comune e sullo sradicamento dell’ostinazione.
San Sergio fu uno dei primi santi russi a cui furono attribuite visioni mistiche (visioni della Beata Vergine connesse con la liturgia eucaristica) e, come in san Serafino di Sarov, talvolta compariva in lui una certa trasfigurazione fisica attraverso la luce. Il popolo lo vedeva come un uomo scelto da Dio, sul quale riposava visibilmente la grazia dello Spirito; ancor oggi molta gente va in pellegrinaggio al suo santuario nel monastero della Trinità di Zagorsk. Fu canonizzato in Russia prima del 1449.
Il celebre Monastero della Trinità-San Sergio a Zagorsk fu fondato attorno alla metà del XIV secolo dal Venerabile Sergio, figlio dei Boiari di Rostov Kiril e Maria, che si erano trasferiti dalla città natale a Radonez. All’età di sette anni, il giovane Bartolomeo (prese il nome di Sergio alla tonsura monastica) fu mandato a scuola. Nonostante avesse difficoltà di apprendimento, il suo animo era attratto dallo studio; Bartolomeo pregava Dio di aprire la sua mente, e di consentirgli l’accesso al sapere.
Un giorno, vagando alla ricerca di alcuni cavalli fuggiti nei campi, al giovane apparve un vecchio monaco, raccolto in preghiera sotto un alto albero.
Il ragazzo si avvicinò al monaco e parlò a lui del suo voto e della sua speranza. Dopo avere ascoltato con partecipazione, il monaco recitò una preghiera per il giovane, affinché la sua mente fosse illuminata. Trasse poi una particola di Pane Eucaristico e con esso benedì il ragazzo, dicendo: « Prendi, e mangiane, questo ti è dato come segno della grazia di Dio, e come aiuto nella comprensione delle Scritture ». E Bartolomeo ricevette la grazia dell’apprendimento e fu in grado di imparare, leggere e memorizzare con facilità.
L’esperienza con il monaco fece crescere in Bartolomeo il desiderio di servire Dio; il giovane desiderava trascorrere la vita nell’isolamento e nella preghiera, ma questa vocazione fu per qualche tempo frenata dall’amore per la propria famiglia.
Bartolomeo era buon carattere e di indole ascetica: umile e gentile, non si irritava mai; si cibava do pane ed acqua, astenendosi da ogni cibo e bevanda nei giorni di digiuno. Dopo la morte dei genitori, Bartolomeo rinunziò all’eredità in favore del fratello minore Pietro, e assieme al fratello Stefano si insediò in una foresta selvaggia e isolata a circa 10 chilometri da Radonez, nei pressi del fiume Konchora. I fratelli costruirono una casetta in legno ed una cappella, che fu dedicata alla Santa Trinità e consacrata da un sacerdote inviato dal Metropolita Feognost’. Fu la fondazione della famosa Lavra della Trinità.
Stefano lasciò presto il fratello per diventare igumeno del monastero Bogojavlenskij di Mosca: Bartolomeo, diventato Sergio dopo la tonsura monastica, restò solo nella foresta. La vita non fu facile, tra le tentazioni, e in mezzo a branchi di lupi ed orsi. Un giorno l’anacoreta nutrì un grande orso ponendo un pezzo di pane sul ceppo di un albero. L’orso ne mangiò, e da quel momento si affezionò al venerabile Sergio, e visse nei pressi del suo rifugio.
Nonostante i tentativi di Sergio di vivere nell’isolamento, il suo stile di vita e di preghiera attrasse molti monaci, che vollero porsi sotto la sua direzione spirituale. Insistevano nel chiedere a Sergio di accettare gli Ordini sacri e di diventare loro igumeno. Dopo tanta insistenza, nel 1354 accetto, con le parole: « preferirei di gran lunga obbedire piuttosto che comandare, ma temendo il giudizio di Dio mi pongo interamente nelle sue mani ».
Il neo-fondato monastero era privo di beni e di ogni mezzo di sostentamento. I paramenti erano molto modesti, i Sacri vasi intagliati nel legno, e torce di legno venivano bruciate al posto delle candele, ma la comunità era devota e zelante. Attratti dalla fama di santità e pietà della comunità di Sergio, molti contadini e artigiani si stabilirono nei pressi del monastero. Ciò portò anche allo stesso monastero qualche vantaggio e maggiore sostentamento. Ciò consentì di distribuire elemosine e di praticare l’ospitalità ai viandanti e ai bisognosi.
San Sergio fu un modello di ascetismo e di umiltà. La sua fama giunse a Costantinopoli, e il Patriarca Filoteo gli inviò la propria benedizione e approvò il sistema di vita cenobitica inaugurato da Sergio. Il Metropolita Alessio di Mosca era molto attaccato a Sergio, e si avvaleva di lui per ricomporre le controversie tra principi e governanti. Volle anche designarlo come proprio successore, ma Sergio rifiutò sempre questa offerta. Un giorno volle premiare Sergio con la Croce d’oro, ma Sergio rifiutò l’onorificenza dicendo: « sin dalla mia gioventù ho rifiutato di decorarmi con oro, e ancora di più ora, in età avanzata, desidero restare povero ».
Il Monastero della Trinità fu casa madre di molte altre fondazioni. Prima della morte di San Sergio, si potevano già contare tra queste i seguenti monasteri: Kirzhachski (nei pressi del fiume Kirzhack nella regione di Vladimir), Golutvin (a Kolomna), Simon (a Moscow), Visotski (nei pressi di Serpukhov), Boris e Gleb (nei pressi di Rostov), Dubenski, Pokrovski (a Borovsk), Avraamiev (a Chukhloma).
Sergio morì all’età di 78 anni, nel 1392. Il suo corpo fu rinvenuto incorrotto e profumato dopo alcuni decenni dalla inumazione.
Dal diario Nella Santa Russia di D. Barsotti
“(…) ci dirigiamo verso la chiesa che conserva i resti mortali del santo. Entriamo con un sentimento vivo di venerazione. Intendiamo nella venerazione di san Sergio venerare tutti i santi che la Russia ha donato a Dio e ha donato anche a tutta l’umanità. Se i santi vivono una comunione con Dio non possono non essere in comunione con tutti i fratelli, con tutti gli uomini. Noi sentiamo che san Sergio ci appartiene e siamo sicuri che noi gli apparteniamo. La nostra comunione con Dio è necessariamente una comunione con gli amici di Dio. Ricchissimo è l’interno della chiesa. A destra di chi entra è la cassa dove sono i resti mortali del santo. In silenzio, come possiamo, vista la calca della gente che continuamente si rinnova entrando e uscendo dalla chiesa, facciamo la nostra preghiera (…)”[1].