Archive pour mars, 2018

Cristo è risorto

imm paolo

Publié dans:immagini sacre |on 30 mars, 2018 |Pas de commentaires »

DOMENICA DI PASQUA – RISURREZIONE DEL SIGNORE (ANNO B) (01/04/2018)

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PASQUA: UN PASSAGGIO A VARI LIVELLI, DALL’ESODO EBRAICO ALLA RISURREZIONE FINALE

padre Antonio Rungi

Domenica di Pasqua – Risurrezione del Signore (Anno B) (01/04/2018)

Pasqua si sa, significa passaggio ed indica storicamente e biblicamente il passaggio da parte del popolo d’Israele dalla schiavitù dell’Egitto, alla Terra Promessa, la Palestina, meditante un lungo viaggio di 40 anni di gioie e travagli, per giungere alla meta indicata e scelta per la sua stabilità geografica e territoriale.
Per un cristiano, la Pasqua è la celebrazione della risurrezione del Signore, che passa dalla morte alla vita, dalla croce, alla gioia.
Per tutti la Pasqua è la festa della rinascita e della vita, di tutto ciò che ci indica la strada di un risveglio dopo il sonno dell’inverno e dopo il gelo dei giorni tristi del freddo.
La festa della Primavera, che è la Pasqua, ci pone di fronte a questo triplice passaggio di carattere biblico, teologico e naturale. E tutti questi tre passaggi sono indicati nella liturgia, a partire dalla veglia pasquale che si celebra in tutte le chiese nel sabato santo, a tarda ora, per preparare la festa della Domenica che è poi una Domenica speciale in quanto ricorda la risurrezione dai morti di nostro Signore Gesù Cristo.
Il significato di questo triplice esodo, uscita e passaggio lo troviamo sintetizzato nei testi biblici che fanno da supporto alla liturgia di questo giorno importantissimo e centrale nella religione cristiana.
Nella prima lettura della liturgia del giorno di Pasqua, tratta dagli Atti degli Apostoli è Pietro che sale in cattedra e da buon maestro, dopo l’esperienza della passione di Cristo, fortificato nella fede, si rivolge alla gente che lo stava per ascoltare con queste parole: “Dio ha risuscitato Gesù Cristo al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti”. Ed aggiunge: Egli ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio. A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome». Sono questi i pilastri della fede nella risurrezione di Cristo: annunciare, testimoniare e perdonare.
Cristo va accolto nella fede partendo proprio da quel sepolcro vuoto. Una volta accolto va testimoniato con una vita degna di essere risorti con Lui a vita nuova. Ed infine questa risurrezione personale parte dalla consapevolezza che alla base del mistero del Cristo Morto e Risorto, c’è la misericordia di Dio nei confronti dell’umanità e da questa misericordia ripartire per portare amore e gioia, pace e riconciliazione in ogni luogo.
In fondo, è quello che scrive l’Apostolo Paolo nel breve brano della seconda lettura di oggi, tratta dalla sua Lettera ai Colossesi: essere risorti con Cristo, significa centrarsi sull’eternità, sulle cose che contano davvero, che hanno un valore eterno. Le cose di lassù non sono altre che la ricerca della vera gioia che viene da Dio e che parte dal cielo e ritorno al cielo. Le cose di quaggiù, quel del mondo della materia, che non ha cuore e vita, non possono dare vita e gioia per l’eternità. Magari possono soddisfare il cuore avaro di qualcuno, ma non certamente trasformare quel cuore freddo e gelido, in un cuore che palpita d’amore verso Dio e attaccamento alla vita. Infatti “quando Cristo, nostra vita, sarà manifestato, allora anche noi fare parte con lui nella gloria”. La dimensione eterna della risurrezione di Cristo e della nostra risurrezione finale è detta con chiarezza dal grande teologo dell’eterno, che è Paolo di Tarso.
Nel Vangelo di Giovanni è espressa con un linguaggio chiaro e accessibile a tutti la risurrezione di Gesù. Dalle donne che vanno a sepolcro e non trovono il corpo di Gesù, all’allarme lanciato di fronte a quel corpo non più trovato, all’arrivo del primo gruppo degli apostoli fino alla professione della fede in Cristo Risorto che appare e conferma quello che aveva detto prima della sua passione e morte in croce. Il discernimento interiore per arrivare all’ammissione di questo dono e mistero avviene in pochi attimi e Pietro, anche questa volta, al centro della verità che va affermata e che riguarda appunto la risurrezione di Cristo, che è primizia della nuova creazione e della risurrezione finale di tutti gli uomini.
Questo triplice passaggio a cui accennavo all’inizio della riflessione per questo giorno santissimo di Pasqua, è chiarito nella preghiera della colletta di Pasqua: “O Padre, che in questo giorno, per mezzo del tuo unico Figlio hai vinto la morte e ci hai aperto il passaggio alla vita eterna, concedi a noi, che celebriamo la Pasqua di risurrezione, di essere rinnovati nel tuo Spirito, per rinascere nella luce del Signore risorto”.
Nel testo della sequenza che è la sintesi della teologia pasquale, espressa in canto e preghiera, noi eleviamo “alla vittima pasquale, il sacrificio di lode”, perché l’Agnello, mite ed umile, che è Cristo Signore, ha redento il suo gregge. Lui il vero Innocente di sempre e per sempre ha riconciliato noi peccatori col Padre.
Ecco il grande mistero della nostra Pasqua e il significato più vero della Pasqua di Cristo.
Nella lotta tra morte e vita, è prevalsa la vita, la vita di Cristo, in quanto il Signore della vita era morto; ma ora, vivo trionfa. Cristo, nostra speranza, è risorto e ci precede in tutte le Galilee di questo mondo, per annunciare a tutti, che Egli è davvero risorto e in Lui possiamo, sperare, amare e perdonarci, possiamo guardare alla vita con il sorriso di Dio e con la gioia pasquale, che è rinascita e risurrezione per tutti, anche quando il dolore e la prova sembra bloccare il nostro passo sul calvario ai piedi della croce e del Crocifisso.

Chiesa del Getsemani, Gerusalemme

paolo Chiesa del Getsemani gerusalemme

Publié dans:immagini sacre |on 29 mars, 2018 |Pas de commentaires »

7. LA CROCE, NOSTRA SOMMA GLORIA – CIRILLO DI GERUSALEMME, CATECHESI BATTESIMALI, 13,1-3 – (PAOLO)

http://www.clerus.org/clerus/dati/1999-03/16-2/LaCroceneiPadridellaChiesa.rtf.html

7. LA CROCE, NOSTRA SOMMA GLORIA – CIRILLO DI GERUSALEMME, CATECHESI BATTESIMALI, 13,1-3 – (anche Paolo)

0gni atto compiuto dal Cristo è una gloria della Chiesa cattolica: gloria delle glorie è, però, la croce. Questo, appunto, intendeva Paolo, nell’affermare: A me non avvenga mai di menar vanto, se non nella croce di Cristo (Gal. 6,14). Suscita la nostra ammirazione, certo, anche il miracolo in seguito al quale il cieco dalla nascita riacquistò, a Siloe, la vista (cf. Gv. 9, 7 ss.): ma cosa è un cieco di fronte ai ciechi di tutto il mondo? Straordinaria, e soprannaturale, la risurrezione di Lazzaro, morto già da quattro giorni (cf. Cv. 11, 39). Una grazia del genere, tuttavia, è toccata ad uno soltanto: che beneficio ne avrebbero tratto quanti, nel mondo intero, erano morti per i loro peccati? (cf. Ef. 2, 1). Strepitoso il fatto che cinque pani riuscirono a sfamare cinquemila persone (cf. Mt. 14,21): ma a che cosa sarebbe servito, se pensiamo a coloro che, su tutta la terra, erano tormentati dalla fame dell’ignoranza? (cf. Am. 8, 11). Stupefacente, ancora, la liberazione della donna, in preda a Satana da diciotto anni (cf. Lc. 13, 11 ss.): che importanza avrebbe avuto, però, per tutti noi, imprigionati dalle catene dei nostri peccati? (cf. Prov, 5 22).
La gloria della croce, invece, ha illuminato chi era accecato dall’ignoranza, liberando tutti coloro che erano prigionieri del peccato e portando la redenzione all’intera umanità.
Non devi meravigliarti, poi, del fatto che l’universo sia stato redento nella sua totalità: non era invero un uomo come tutti gli altri colui che morì per esso, ma si trattò del Figlio unigenito di Dio (benché fosse bastato il peccato di un solo uomo, Adamo, ad introdurre la morte nel mondo). Ebbene, dal momento che la morte ha preso a regnare sul mondo in seguito alla colpa d’uno solo (cf. Rom. 5,17), perché, a più forte ragione, non dovrebbe regnare la vita, in virtù della giustizia d’un’unica persona? E se allora, a causa del legno del quale si cibarono, vennero scacciati dal paradiso (cf. Gen. 3, 22-23), tanto più adesso, grazie al legno di Gesù, non vi faranno forse il loro ingresso i credenti? Se il primo uomo, che era fatto di terra, fu la causa della morte universale, colui che lo plasmò dalla terra (cf. Gen. 2, 7), essendo egli stesso la vita (cf . Gv. 14, 6), non potrà forse esser fonte di vita eterna? Se Finees, sospinto dal proprio zelo, placò l’ira divina uccidendo l’autore dell’atto oltraggioso (cf. Num. 25, 8-11); Gesù, senza uccidere nessun altro, ma offrendo se stesso come riscatto (cf. 1 Tim. 2, 6), non farà forse sparire la collera verso gli uomini?
Non vergogniamoci, dunque, della croce del Salvatore, ma, anzi, vantiamocene! Il linguaggio della croce, infatti, è scandalo per i giudei e follia per i gentili (1 Cor. 1, 18.23): per noi, invece, significa salvezza. E stoltezza per coloro che si perdono, per noi, al contrario, che ci salviamo, è potenza di Dio (1 Cor. 1, 18). Infatti, come abbiamo già detto, non toccava ad un uomo come gli altri di morire per noi, bensì al Figlio di Dio, Dio egli stesso fattosi uomo. Un tempo l’agnello ucciso per ordine di Mosè tenne lontano lo sterminatore (cf. Es. 12, 23); l’Agnello di Dio, che cancella i peccati del mondo (cf. Cv. 1, 29), non ha recato adesso, a più forte ragione, la liberazione dal peccato? Se, poi, il sangue di un agnello privo d’intelletto ha prodotto la salvezza, quanto più la procurerà il sangue dell’Unigenito?

 

 

Ultima Cena

imm la mia e paolo - Copia

Publié dans:immagini sacre |on 28 mars, 2018 |Pas de commentaires »

OMELIA IN COENA DOMINI – di ENZO BIANCHI (2011)

https://alzogliocchiversoilcielo.blogspot.it/2011/04/giovedi-santo-omelia-di-enzo-bianchi.html

Bose, 21 aprile 2011

Giovanni 13,1-15
1Corinti 11,23-32

OMELIA IN COENA DOMINI – di ENZO BIANCHI (2011)

Carissimi,
questa sera siamo commensali alla tavola del Signore, la nostra comunità, le nostre sorelle di Cumiana, le sorelle della chiesa etiopica copta che sono con noi, e voi amici e ospiti. Siamo tutti invitati dal Signore per celebrare la Pasqua, la Pasqua in cui il Signore è passato da questo mondo al Padre (cf. Gv 13,1), la Pasqua in cui il Signore ha voluto riassumere tutta la sua vita, per quanto umanamente possibile, in due gesti accompagnati da pochissime parole.
Il gesto della lavanda dei piedi, che noi ricorderemo dopo questa omelia, come gesto che narra l’azione di Gesù, non l’azione di chi presiede, ma l’azione, l’atteggiamento di Gesù nei confronti dei suoi discepoli, dunque nei nostri confronti. Un gesto che è un invito a che noi ci laviamo i piedi gli uni gli altri, ma un gesto che trova il suo canone, la sua forma nel gesto di Gesù, di cui noi cerchiamo di narrare tutta la portata attraverso un segno.
Il gesto eucaristico, ringraziamento di Gesù al Padre, benedizione di Gesù verso tutta la creazione e tutta la storia, ma anche risposta agli eventi che incombevano su di lui nella sua vicenda, eventi che lo avrebbero portato alla fine, alla passione e alla morte.
Quest’anno la nostra meditazione sarà su questo secondo gesto di Gesù, dunque sull’eucaristia, la cui narrazione abbiamo ascoltato nelle parole dell’Apostolo Paolo, che riferisce alla comunità di Corinto una memoria viva, vissuta dalla chiesa di Antiochia (cf. 1Cor 11,23-32), una memoria che era ormai celebrata in tutte le comunità cristiane come memoria del gesto compiuto da Gesù alla vigilia della sua passione e anche come rivelazione della sua Pasqua. Cerchiamo dunque semplicemente di ascoltare le Scritture sante e di comprendere l’eucaristia attraverso di esse.

Gesù è salito a Gerusalemme con la sua comunità, i Dodici, e l’evangelista Luca ci dice che nella consapevolezza di quella Pasqua che incombeva su di lui, Gesù ha assunto un viso duro, una faccia dura e decisa (cf. Lc 9,51), quasi a dire che ormai le parole non erano più assolutamente necessarie e che bisognava tutto riassumere nella semplicità, con gesti elementari, con poche parole. Gesù sa – certo, con la sua coscienza umana, soltanto umana, ma vigilante, una coscienza non sonnolenta, una coscienza esercitata a comprendere la necessitas umana e le esigenze della volontà di Dio – che ormai si avvia verso la morte. L’ostilità nei suoi confronti è cresciuta, l’autorità religiosa legittima e istituzionale lo vuole far tacere e lo vuole eliminare, e i suoi discepoli mostrano sempre di più di non essere capaci né di comprendere né di reggere un coinvolgimento con la sua vita. Gesù sa che i più dormiranno, sa che addirittura colui che egli aveva chiamato Pietro, la roccia, preso da paura sarà più debole di una canna incrinata, e sa che tra i suoi, nella sua comunità c’è anche chi lo consegna per facilitare la sua fine. Ma Gesù legge tutto questo con una coscienza umana e come una necessità umana: Gesù sa che non c’è un destino che pesa su di sé, non c’è un fato, ma sa che c’è una necessità umana nella storia, perché le cose in questo mondo vanno così, seguono una logica ferrea per cui l’innocente il giusto, può solo essere rigettato, perseguitato e abbandonato ai suoi nemici (cf. Sap 1,16-2,20). La banalità del male di questo mondo – che non è umiltà del male, parola troppo nobile per essere applicata al male –, la banalità del male sta proprio in questo quotidiano avvenire delle cose.
Gesù però non conosce solo la necessità umana, conosce anche le attese di Dio; si potrebbe anche parlare di una necessitas divina, ma per comprendere bene e non lasciare posti a equivoci preferisco dire che Gesù conosce le attese di Dio. Gesù ha una grande assiduità con Dio, lo prega intensamente, in particolare nella notte, legge le Scritture per trovarvi come fare la sua volontà, ha soprattutto la parola del Signore nel suo intimo, come tante volte ha ripetuto pregando il Salmo 40: «La tua legge, Signore, è nel mio intimo» (Sal 40,9). C’è dunque di fronte a Gesù, in quei giorni di Pasqua, l’attesa di Dio suo Padre, e ci sono delle precise azioni, responsabilmente fatte dagli uomini. Gesù deve rispondere alle attese di Dio e alle azioni dell’uomo: e ciò che è straordinario, e che per questo sarà proprio il cuore di tutta la nostra fede e della nostra vita cristiana, è che Gesù risponde con l’eucaristia. Eucaristia è veramente la parola migliore per identificare i gesti di Gesù, perché è la parola che dice un ringraziamento: «eukaristésas» (Mc 14,23; Mt 26,27; Lc 22,17.19; 1Cor 11,24), ossia «avendo ringraziato, innalzando a Dio una lode, dicendo a Dio un “amen” convinto e un grazie», un ringraziamento che scaturiva dalla sua fede incrollabile e dal suo fedele amore del Padre.
Ma questo ringraziamento era anche una risposta ai suoi avversari, a Giuda e ai suoi discepoli, risposta che viene data Gesù da con quel gesto sul pane e sul vino, accompagnato da pochissime parole. È significativo, Gesù non fa lunghi discorsi quella sera: sappiamo che nel quarto vangelo i discorsi di addio (cf. Gv 14,1-16,33) sono la memoria di sue parole, ma parole rivelate da un Kýriosglorioso e risorto alla sua chiesa, non parole dette da Gesù prima della sua passione. Gesù fa semplicemente un gesto, dice solo che quel gesto, quella Pasqua tanto desiderata (cf. Lc 22,15), sarebbe stata l’ultima con i suoi, e dice che quel calice del frutto della vite, quel vino della convivialità, quel vino che rappresentava tutto il possibile amore vissuto da un uomo sulla terra, sarebbe stato l’ultimo della sua vita. Chiarito il momento, resi consapevoli dell’ora i discepoli – l’abbiamo ascoltato, lo ascoltiamo sempre al cuore della nostra eucaristia, del nostro ringraziamento fatto con lui – «Gesù prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo per voi”» (Lc 22,19; 1Cor 11,24). Poi allo stesso modo disse: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue» (Lc 22,20; 1Cor 11,25), oppure: «Questo è il mio sangue dell’alleanza versato per le moltitudini» (Mc 14,24; Mt 26,28). Il gesto è chiarissimo, vuole essere una prefigurazione di quello che Gesù sta per vivere, la sua passione, la sua morte; ma vuole anche essere una sintesi di tutto ciò che fino ad allora Gesù ha vissuto. Ecco la risposta al Padre, all’attesa di Dio, che può essere espressa veramente dalle parole del Salmo: «Ecco, Padre, io vengo per fare la tua volontà (cf. Sal 40,8-9), il corpo che tu mi hai preparato ora accetto che sia spezzato, che sia dato, è un corpo per i discepoli, è un corpo per la comunità, è un corpo per la chiesa; e il sangue versato attraverso una morte violenta, è versato per le moltitudini di tutti gli uomini, di tutte le epoche e di tutta la terra».
Perché corpo spezzato e sangue versato? Il Padre cosa attendeva da Gesù? Il Padre attendeva da Gesù quello che aveva atteso da tutti i giorni della sua vita terrena. Attendeva che Gesù, quale Figlio, non assumesse nessun atteggiamento contrario alla giustizia, che Gesù non assumesse nessun atteggiamento contraddicente l’amore, non conforme alla sua infinita misericordia. Gesù risponde al Padre ringraziando, e in quel ringraziamento c’è un ringraziamento per la vita che il Padre gli aveva dato, perché Gesù sapeva, e sapeva più di noi, che la sua vita, come la vita di ciascuno di noi, l’aveva voluta Dio in un disegno preciso e in un amore preciso. Gesù ringrazia il Padre per il dono di essere un uomo, per il dono di essere un uomo, per la grazia di essere stato terreno, mortale come noi; ringrazia il Padre per aver potuto amare questa terra; ringrazia il Padre perché gli è dato di avere del pane e di avere del vino, di muoversi in quella logica del bisogno e della gratuità, nella quale ogni uomo cerca ogni giorno di vivere e di fare vivere gli altri accanto a sé; ringrazia benedicendo il Padre, ma soprattutto la vera benedizione al Padre il vero ringraziamento è offrire la propria vita, offrire se stesso. Ecco la risposta di Gesù a Dio. Dio si attendeva solo questo, non si attendeva né la morte di Gesù, né la violenza che egli ha subito, ma si attendeva che Gesù restasse fino all’ultimo fedele ai suoi sentimenti, che Gesù sapesse narrare fino all’ultimo l’amore di Dio agli uomini. Se Gesù moriva, era per una necessità umana, non perché Dio lo voleva.
Ma attraverso l’eucaristia Gesù dà anche una risposta ai sacerdoti e agli scribi, che lo accusavano di bestemmiare Dio. Lasciando che i sacerdoti e gli scribi, che l’autorità legittima del suo popolo disponga di lui, che lo catturi, che lo dichiari maledetto, che lo consegni a una morte infame, proprio facendo questo e permettendo questo, egli mostra di poter davvero ringraziare Dio, perché Dio gli ha concesso di narrarlo in questo mondo e di narrarlo senza venire meno. Ecco perché Gesù non fa nulla per contrastare il piano degli avversari, ecco perché non risponde con le armi da loro usate. A un certo punto addirittura tacerà (cf. Mc 14,61; Mt 26,63): ha parlato, ha anche attaccato quei sacerdoti e quegli scribi, ha anche lanciato loro dei «guai» (cf. Mt 23,1-36), ma, giunto il momento, resta un agnello afono, non risponde (cf. Is 53,7). Quel pane spezzato e dato: ecco ciò che vuole essere Gesù; quel sangue versato: ecco ciò che suggella chi era Gesù, cosa veramente voleva e come non tenesse alla propria vita ma tenesse soprattutto a che Dio potesse essere narrato agli uomini e gli uomini potessero conoscere che cos’è l’amore.
Ma Gesù dà anche una risposta a Giuda. Giuda è terribilmente presente in questi racconti: lo abbiamo sentito nel quarto vangelo, ma Giuda è presente anche nei sinottici, e sappiamo dell’annuncio che Gesù, parlando di Giuda, ha dato in stretto legame con l’eucaristia (cf. Mc 14,17-21 e par.). Giuda è uno dei Dodici, che lo consegna e lo tradisce, e Gesù dà il boccone eucaristico anche a lui, dà il suo corpo e il suo sangue anche a Giuda. Lo scandalo va assunto nella comunità cristiana: i vangeli non stanno ad analizzare le cause psicologiche per cui Giuda ha tradito, non lo scusano e lasciano lo scandalo intatto, scandalo, inciampo per tutti. Se ci sono ragioni in Giuda per essere giunto fino alla consegna, quelle ragioni le sa solo Dio, non dobbiamo essere noi a investigarle, perché, quando lo facciamo, in realtà cerchiamo solo delle attenuanti per noi stessi. Ciò che veramente va preso in considerazione è lo scandalo del tradimento, ma anche la risposta di Gesù con l’eucaristia: «Giuda» – dice Gesù – «ecco il mio corpo, te lo do». E significativamente al momento della consegna, al Getsemani, il saluto che Gesù gli rivolge è: «Amico» – amico, perché questo era il rapporto che Gesù aveva instaurato con Giuda – «per questo sei qui!» (Mt 26,50). Non solo, Gesù ha accettato anche il bacio da Giuda (cf. Mt 26,49), lo ha accettato senza rifiutarlo, senza vendicarsi, senza difendersi e senza condannare un bacio (tutti noi sappiamo che il bacio è l’atto più essenziale all’amore, e forse solo quelli che lo danno unicamente al vangelo o all’altare sanno che cos’è il bacio nella carne di un uomo…).
Infine, Gesù con l’eucaristia risponde ai suoi discepoli, a Pietro e agli altri, a chi è pieno di paura e si mostra una canna incrinata, e agli altri che dormono e non sanno vegliare. Anche qui Gesù «non spezza la canna incrinata, non spegne lo stoppino dalla fiamma smorta», come annunciava il primo canto del Servo di Isaia (cf. Is 42,3; Mt 12,20); dice addirittura ai discepoli: «Dormite pure!» (cf. Mc 14,41 e par.). Ma a tutti questi suoi discepoli – che siamo noi, perché i discepoli di Gesù non erano differenti dalla comunità cristiana di oggi, e da ciascuno di noi, paurosi come «la roccia» o sonnolenti come gli altri dieci –, Gesù ha dato il suo corpo e il suo sangue, così come li dà a noi.
L’eucaristia è la sola e definitiva risposta di Gesù a Dio e all’umanità intera, e ogni volta che la celebriamo dovremmo essere presi davvero da timore – il vero timor Domini, l’unico principio di una sapienza umana (cf. Sal 111,10; Pr 1,7) –, nell’accogliere nelle nostre mani e nell’accogliere in noi la vita di Gesù, la vita di Gesù raccolta in un gesto, il corpo del Signore per noi, il sangue per la moltitudine degli uomini. Ciò che celebriamo con il gesto del pane e del vino, ora lo celebriamo in memoria di Gesù anche con il gesto della lavanda. Sono due memorie di Gesù in cui non è possibile nessun protagonismo né di chi presiede, né del presbitero che presiede l’azione eucaristica: è il Signore che ci lava i piedi, è il Signore che ci dà il suo corpo e il suo sangue.
ENZO BIANCHI, priore di Bose
Fonte: monasterodibose

Deposizione

paolo imm gesù deposto dalla croce.jpg 2

Publié dans:immagini sacre |on 27 mars, 2018 |Pas de commentaires »
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