A Rublev-style Trinity forms the patron icon…
on the iconostas of Holy Trinity Ukrainian Orthodox Church, Canora, SK
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http://www.nicodemo.net/NN/ms_pop_omelia.asp?id_omelia=420
FESTA DELLA SS. TRINITÀ – IL DIO DEI CRISTIANI – COMMENTO BIBLICO
(Dt 4,32-34.39-40; Rm 8,14-17; Mt 28,16-20)
07/06/2009
Questa mattina, andando a votare (non c’è bisogno di sottolineare l’importanza di questo gesto), ho avuto una gradita sorpresa. Uno dei tre scrutatori era un ragazzo di origine egiziana. Un breve saluto, due parole, il ricordo delle bellezze dell’Egitto. I suoi occhi brillavano. Che bello! Un egiziano italiano. Piccolo segno di una società multietnica e multireligiosa. Per l’Italia è una novità assoluta. Per altri paesi è una realtà consolidata. Penso al bellissimo discorso che Obama ha pronunziato l’altro ieri proprio in Egitto. Al di là delle cose che ha detto, mi ha colpito la carta che egli ha giocato, quella di una multietnicità incorporata nella sua stessa persona. Ma mi è venuto subito un forte dubbio. Noi cristiani siamo preparati a metterci su questa strada? Che cosa ci dicono in proposito le letture di oggi, festa della Ss. Trinità?
Nella prima lettura troviamo il punto di vista ebraico. Dio è un Dio misterioso, che sta in cielo e parla dal fuoco, ma sta anche in terra e proprio quaggiù è andato a cercarsi un popolo liberandolo dalla schiavitù dell’Egitto. È questo il credo fondamentale della religione ebraica, sul quale convergono anche i cristiani, che lo leggono in funzione della Chiesa, popolo di Dio. Ma che cosa significa questa professione di fede? Purtroppo lungo i secoli è stata letta in chiave esclusivista: Dio sceglie un popolo «a preferenza», magari «a esclusione», degli altri. Ma in chiave biblica non è così. La Bibbia mette continuamente in luce che Dio è unico, quindi è il Dio di tutti, e la scelta di un popolo è una metafora per dire che ogni individuo e ogni popolo incontra Dio ed è da lui scelto nella misura in cui si sente coinvolto in un’esperienza di liberazione da proporre attivamente a tutti. Sia Israele che la Chiesa saranno veramente «popolo eletto» se e nella misura in cui lotteranno per la liberazione di tutti, palestinesi compresi.
Nel vangelo la riflessione si focalizza sulla Chiesa, che nasce da un mandato di Cristo: Andate, predicate, battezzate nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Anche queste parola hanno alle spalle una storia di interpretazioni esclusiviste, come se solo diventando cristiani cattolici si potesse ottenere la salvezza. Oggi, in clima multireligioso, capiamo meglio che cosa significano. Il punto centrale del mandato di Gesù, su cui gravitano tutti gli altri, consiste nelle parole: «…insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato». L’insegnamento di Gesù è quello condensato in un sermone fatto anch’esso su una montagna, il famoso Discorso della montagna, nel quale si mettono le basi di una convivenza basata sulla giustizia. Per Gesù ciò che conta, non è l’appartenenza a una religione istituzionale, ma la capacità di accogliere il suo insegnamento che è universale, in quanto indica a tutti l’essenza del cammino verso Dio. Se il battezzare è in funzione di questo, bene, se no diventa un rito magico, fonte di contrapposizioni, odi e violenze.
Nella seconda lettura Paolo fa un’affermazione molto forte: è solo la potenza dello Spirito che ci libera dalla paura e ci fa comprendere la paternità di Dio. Anche qui si può commettere l’errore, molto diffuso fra le persone religiose, di pensare che lo Spirito appartenga solo a noi cristiani. Ma la Bibbia mostra come questo Spirito, pur essendo presente in Israele e nella Chiesa, trasbordi continuamente i limiti di una confessione religiosa per operare in tutto il mondo e a favore di tutti gli esseri umani. È in forza della potenza dello Spirito che la figliolanza di Dio è messa a disposizione di tutti. E se noi cristiani ci riteniamo figli di Dio in modo speciale, ciò non è in funzione di un privilegio, ma di un impegno per far sì che tutti possano riscoprire la loro dignità di figli e vivere in conformità con essa.
Purtroppo proprio il dogma della Ss. Trinità, di cui oggi celebriamo la festa, ha diviso per secoli i cristiani da ebrei e mussulmani. Continueremo a servircene come una clava contro di loro o saremo capaci di riesprimere le nostre convinzioni non contro qualcuno, ma in favore di una convivenza pacifica fra popoli, culture e religioni? Io sono convinto che i testi biblici, letti nel loro vero contesto, ci offrano degli stimoli molto forti per allargare il discorso a tutti i nostri simili. Non dobbiamo lasciarci influenzare da persone che si servono del cristianesimo per difendere i loro privilegi. Nel mondo moderno il cristianesimo, e in modo speciale il cattolicesimo (che designa un cristianesimo universalista) avrà un futuro solo nella misura in cui proporrà a tutti, anzitutto mediante l’esempio, i valori fondamentali della giustizia e della pace portati da Gesù.
http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/34805.html
OMELIA (31-05-2015)
MONS. ROBERTO BRUNELLI
NON AVETE RICEVUTO UNO SPIRITO DA SCHIAVI
Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi, ma lo Spirito (Santo) che rende figli adottivi di Dio (Padre) e coeredi di Cristo. Così, riassumendo, ricorda l’apostolo Paolo (Romani 8,14-17). E Gesù: « A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo » (Vangelo secondo Matteo 28,16-20). Sono le ultime parole da lui pronunciate prima della sua ascensione al cielo, e come le parole dell’apostolo sono tra quelle che parlano del mistero al centro della festa odierna.
Nell’arco dell’anno liturgico, la festa della Santissima Trinità si colloca subito dopo il tempo pasquale, quasi invitando a uno sguardo retrospettivo sulla redenzione appena celebrata nei suoi momenti culminanti: la cruenta passione di Gesù, la sua morte e risurrezione, il suo ritorno al Padre e il dono dello Spirito Santo. La redenzione, opera congiunta di tutte e tre le divine Persone, costituisce la massima rivelazione che Dio ha fatto di sé agli uomini, con l’espressione del suo infinito amore per noi. Nel vangelo di oggi Gesù integra la rivelazione e l’amore, trovando il modo di rendere tutti partecipi della redenzione. Questo avviene con il battesimo, che annulla le distanze di tempo e di luogo e fa sì che i benefici di quanto si è compiuto a Gerusalemme duemila anni fa raggiungano « tutti i popoli ».
La festa di oggi invita dunque a riflettere sul battesimo. E non è superfluo perché, nei paesi di antica cristianità come l’Italia, salvo eccezioni tutti l’abbiamo ricevuto pochi giorni dopo la nascita, cioè quando non ne eravamo consapevoli, col rischio di dimenticarcene o di sottovalutarlo. Talora si sente proporre di eliminare il rischio, conferendo il sacramento non ai neonati ma, come usano alcune altre confessioni cristiane, a chi ha raggiunto l’età adulta; occorre però considerare che, così facendo, si priva per anni una persona degli incommensurabili benefici che il battesimo porta con sé. E’ bello invece pensare che i genitori, come si preoccupano di procurare al loro bambino il meglio per il corpo e la mente, così siano solleciti anche del suo bene spirituale.
E il bene che il battesimo porta con sé è davvero grande. Il semplice gesto di versare un po’ d’acqua sul capo, accompagnato dalle parole rituali che riflettono il comando di Gesù (« Io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo »), produce anzitutto l’effetto di rimettere i peccati (per un bambino sarà la semplice eredità del peccato di Adamo). Nasce allora una nuova creatura, che Dio adotta come figlio e ama come il migliore dei padri.
Comincia così, tra l’uomo e Dio, un rapporto da vertigine: la misera creatura, che da sola non potrebbe neppure alzare gli occhi al creatore, col battesimo può accostarsi a lui, dialogare con lui, addirittura essere partecipe della natura divina. Ancora: il battesimo introduce nella Chiesa, mistico Corpo di Cristo. Chi riceve il sacramento vi entra a pieno titolo, con diritti e doveri dipendenti dalla posizione che vi occupa ma sempre con la dignità di ogni altro componente, dal papa all’ultimo neonato. Infatti la dignità del battezzato non dipende dalla sua posizione sociale o da altre considerazioni umane ma, come ricorda Paolo, dal suo essere diventato figlio di Dio. Infine – solo per concludere un discorso che potrebbe essere molto più ampio – il battesimo realizza già, nella misura minima ma fondamentale, l’auspicata unità fra tutti i cristiani; che siano cattolici, ortodossi, anglicani, luterani o di altra denominazione, se battezzati secondo il comando di Gesù, « nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo », tutti sono già uniti dentro l’umana famiglia di Dio. Non più schiavi (del male, dell’ignoranza, del peccato) ma figli, figli di Dio.
http://www.zenit.org/it/articles/leggere-secondo-il-metodo-di-san-paolo
LEGGERE SECONDO IL METODO DI SAN PAOLO
IL RAPPORTO CON LA PAROLA POETICA IN UN “CRITICO LETTERARIO” ATIPICO
16 FEBBRAIO 2009
ROMA, lunedì, 16 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito un articolo a firma di padre di Antonio Spadaro, SJ, Redattore letterario de “La Civiltà Cattolica” e docente di “Introduzione all’esperienza della letteratura” presso la Pontificia Università Gregoriana, apparso sull’ottavo numero della rivista « Paulus » (febbraio 2009), dedicato al tema della bellezza.
* * *
di Antonio Spadaro SJ
Il lettore di un testo letterario non è mai semplicemente il destinatario di un messaggio, quello cioè dello scrittore. Al contrario, è una persona attivamente coinvolta a inoltrarsi in un terreno poco stabile e definito, perché la letteratura, come giustamente ebbe a dire Carlo Bo, tende ad avere la stessa qualità della vita. Leggere non significa innanzitutto “interiorizzare” un testo, quanto piuttosto “interagire” con la pagina. L’atto della lettura è allora come un atto di “discernimento”, nel quale il lettore è implicato in prima persona come soggetto di lettura e, nello stesso tempo, oggetto di ciò che legge. Il lettore, leggendo un romanzo o un’opera poetica, in realtà vive l’esperienza di “essere letto” dalle parole che legge. Così il lettore è simile a un giocatore sul campo: egli fa il gioco, ma nello stesso tempo il gioco si fa attraverso di lui, nel senso che egli è totalmente preso dalla situazione che vive. È questa anche l’esperienza cristiana della letteratura che, a mio avviso, deve sempre avere come modello di riferimento la lettura della parola di Dio. Per i cristiani, tutte le parole umane vivono un’intrinseca nostalgia di Dio e tendono alla sua Parola. Lo ha scritto anni fa Karl Rahner: «La parola poetica invoca la parola di Dio».
Seguendo questo ragionamento, san Paolo diventa una guida praticamente imprescindibile. Basta ricordare gli Atti degli Apostoli, lì dove si parla della presenza di Paolo all’Areopago (At 17,16-34). In particolare Paolo, parlando di Dio, afferma: «In lui, infatti, viviamo, ci muoviamo ed esistiamo», come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto: «Poiché di lui stirpe noi siamo». In questo versetto sono presenti due citazioni: una indiretta nella prima parte, dove cita il poeta Epimenide (sec. VI a.C.), che riecheggia la triade platonica di vita-movimento-essere; e una diretta, dove cita i Fenomeni del poeta Arato di Soli (sec. III a.C.), che canta le costellazioni e i segni del buono e cattivo tempo.
Paolo, insomma, qui si rivela radicalmente “lettore” di poesia e lascia intuire il suo modo si accostarsi al testo letterario. Egli viene definito dagli ateniesi spermológos, cioè «cornacchia, chiacchierone, ciarlatano»… un vocabolo che però, alla lettera, significa «raccoglitore di semi». Quella che era certamente un’ingiuria sembra, paradossalmente, una verità profonda. Paolo, interagendo con quella manciata di versi letti chissà dove e chissà come, raccoglie i semi della poesia pagana e, uscendo da un precedente atteggiamento di profonda indignazione (At 17,16), giunge a riconoscere gli ateniesi come «religiosissimi» e vede in quelle pagine una vera e propria preparatio evangelica.
Si potrebbe dire allora che la parola veramente poetica partecipa analogicamente della parola di Dio, così come ce la presenta in maniera dirompente la Lettera agli Ebrei (4,12-13), probabilmente di un collaboratore di Paolo. Così dunque la parola poetica autentica «è vivente [zón: è viva, brulicante; è – come affermò lo scrittore statunitense H. D. Thoreau – così vera e forte da schiudersi come gemma a primavera] ed energica [energhés: non è “atto”, ma “potenza”, energia] e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; penetrante fino a dividere anima e spirito, articolazioni [cioè la spina dorsale] e midollo; capace di discernere [kriticós: la parola poetica è il vero “critico”! Se la parola è poetica essa stessa ha una funzione critica nei confronti della mia vita] sentimenti e pensieri. Non c’è creatura invisibile [aphanés: la parola poetica vede il mondo, vede tutto, non oscura, ma illumina anche il dettaglio più apparentemente trascurabile; il suo sguardo è aperto] davanti ad essa, ma tutto è nudo e vulnerabile ai suoi occhi». È tutta qui la capacità di penetrazione di un testo che muove la persona a un coinvolgimento pieno.
Come, allora, non avvertire in sintonia con la parola creativa della poesia la parafrasi di Baldovino di Canterbury (sec. XII): «Quando parla questa parola, le sue parole trapassano il cuore, come gli acuti dardi scagliati da un eroe. Entrano in profondità come chiodi battuti con forza e penetrano tanto dentro, da raggiungere le intimità segrete dell’anima». Del resto, Kafka, in una sua lettera all’amico Oscar Pollak, aveva scritto: «Se il libro che stiamo leggendo non ci sveglia con un pugno in testa, perché mai lo leggiamo? [...] un libro dev’essere un’ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi.
http://camcris.altervista.org/diomale.html
È DIO RESPONSABILE DEL MALE?
DI G. RACINE, DAL SITO DIO PARLA OGGI
Questa è una domanda solenne e merita una risposta.
Qual è l’essere umano che, durante la sua vita non sia stato almeno una volta, preoccupato da questo problema? Ecco, sono molti quelli che, nella loro follia e cecità, hanno risposto affermativamente. Cosa tragica, da quando l’uomo è in rivolta contro Dio, egli non ha mai cessato di accusare il suo Creatore.
Trovatemi, amici, un crimine, un’ignominia, un’ingiustizia, una guerra, un cataclisma di cui Dio non sia accusato di essere l’autore!
Nei tempi di prosperità, non si crede in Lui, non ci si cura di Lui, ma ci si beffa piuttosto. Coloro che credono ancora in un Essere supremo non pensano affatto a ricercarlo. La fede dei più è quasi spenta e se non se ne sono ancora completamente sbarazzati, nondimeno Dio è pressochè dimenticato.
Poichè gli sono state costruite delle cattedrali, dei templi, delle cappelle, si pensa di essere più ospitali dell’oste di Betlemme, il quale chiuse la sua porta a quel Dio che il mondo aspettava da tanto tempo.
Oggi, Egli, non è più sulle nostre strade! Credendo di poter trovare l’Iddio-Spirito negli edifici di pietra, folle di uomini e di donne pensano di adempiere il loro dovere verso di Lui, visitandolo quando ciò fa loro comodo… una volta l’anno o alla settimana, seguendo le loro abitudini o le disposizioni di un temperamento più o meno religioso… Però, praticamente, malgrado queste forme esteriori, Dio è dimenticato e non ha che un piccolo posto nel solo tempio che Egli desidera abitare e vuol occupare continuamente nel nostro cuore.
Ma nel sopraggiungere della malattia, del lutto o di un rovescio di fortuna, ecco che coloro i quali non avevano mai sentito il bisogno di ringraziarLo per i benefici che continuamente riceviamo da Lui Lo prendono di mira, e mormorano amaramente contro quel Dio che non ha ritenuto di risparmiarli sempre.
Sorgono le difficoltà materiali e la folla di coloro che non hanno mai reso grazie per un solo dei loro pasti, si leva per maledire quel Dio e bestemmiarlo, accusandolo di impotenza e di cattiveria per non aver assicurato il pane quotidiano.
Che una siccità o un uragano annienti o comprometta i raccolti ed ecco tutti quelli che non hanno mai benedetto Dio per la pioggia e per le fertili stagioni accusare senza vergogna il Signore degli elementi, di voler la loro miseria e di compiacersi nel vederli nell’afflizione…
Che una guerra infine si scateni e voi vedrete la moltitudine che non ha mai lodato Dio per gli anni di pace, levare il pugno contro il cielo, rendendo Dio responsabile di tutte le atrocità che gli uomini commettono contro i loro fratelli.
Mescolando il dubbio alle loro accuse, essi esclamano: « Se Dio esiste, perchè permette tali cose? ». Troppo orgogliosi e troppo negligenti per riconoscere le conseguenze dei propri falli, gli uomini preferiscono lavarsi le mani nell’innocenza e rendere responsabile l’Autore della loro vita. Se essi lo conoscessero, se essi lo interrogassero, invece di parlare senza comprendere le meraviglie che li superano e che essi non conoscono, metterebbero la mano sulla bocca e si pentirebbero nella polvere e nella cenere.
Se volessero ascoltare, anzichè discutere, riceverebbero le risposte dell’Onnipotente e, lungi dal maledire, lo glorificherebbero. Imparerebbero così, nel libro in cui Dio parla, che il Creatore non ha fatto l’uomo per l’infelicità e l’insuccesso, ma per la felicità e la gloria. Confusi, riconoscerebbero che la libertà che Dio aveva loro data creandoli a Sua immagine, l’impiegarono per separarsi da Lui e per opporsi alla Sua Volontà Sovrana, privandosi così della gloria di Dio.
Alla luce delle Sacre Scritture e degli avvenimenti, confesserebbero che sul cammino della scienza, nel quale si sono impegnati, camminano verso la rovina e la morte, incapaci di impiegare la loro conoscenza per fare il bene, disposti a servirsene per fare il male, seminando così la desolazione e la distruzione sulle loro vie. E siccome si sono volontariamente privati della sorgente della vita, si venderebbero perduti per la loro propria colpa.
Allora, Dio potrebbe rivelare loro il fatto più sconvolgente che esista: L’Iddio Santo, l’Iddio Giusto, l’offeso non ha voluto imputare agli uomini i loro falli. Colui che non deve nulla ad alcuno, ma al quale tutte le creature devono tutto, ha accettato, nel suo amore, di prendere su di Sè la responsabilità del peccato. Egli, l’Essere senza macchia, ha voluto salvare così l’umanità colpevole…
Lungi dal lasciare la sua creatura separata da Lui e portare da solo il peso del proprio peccato, in un atto di amore più grande di quello della creazione, Dio ha compiuto la redenzione dell’uomo.
Mistero insondabile dell’amore divino! Incarnandosi in Gesù Cristo, Dio stesso discese fra gli uomini, si caricò di tutte le loro sofferenze, prese su di sè tutti i delitti di cui lo si accusava, tutte le iniquità che gli uomini commettono e li espiò sulla croce del Golgota, sotto gli occhi dei veri colpevoli. Così Dio non ritiene l’uomo responsabile del suo peccato, ma bensì del rifiuto della sua grazia, della ripulsa del Suo amore, rivelato in questa grande salvezza che Egli ha compiuto per la sua creatura, mediante il sacrificio della croce. In tal modo Dio è giustificato di tutte le accuse che le sue creature osano lanciare contro di Lui.
Amico, io ti supplico di non parlare alla leggera contro quel Dio, che non solo ti ha dato tutto ma ha dato se stesso per salvarti dalla morte eterna. Evita, ti prego, le facili ma vane conclusioni dell’incredulità e cerca nella Bibbia la risposta al tuo problema.
Non ascoltare coloro che sprezzano le Sacre Scritture con la pretesa di conoscerle, quando invece ben sovente non le hanno mai lette. Non lasciarti convincere da coloro i quali, avendole lette, ti dicono di non averle mai comprese. Ricordati che questo Libro rimane chiuso allo spirito profano ed ai cuori orgogliosi.
Non imitare, sopratutto, coloro che, leggendo la Bibbia, vi scoprono delle verità, ma non vogliono sottomettervisi, preferendo crearsi una propria filosofia che non offre nulla agli altri che illude loro stessi.
Leggi con uno spirito di preghiera, di perseveranza e di fede.
Ciò che ieri faceva ribellare perchè non lo capivi, oggi sarà per te motivo di adorazione e di lode.