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IL TEMA DELLA FEDE NEL CAMMINO NEL DESERTO

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IL TEMA DELLA FEDE NEL CAMMINO NEL DESERTO

Il cammino nel deserto è il banco di prova della fede di Israele. Vedremo adesso quali caratteristiche ha avuto questa fede connessa all’esperienza esodale della liberazione. A partire dai primi interventi di Mosè ci sembra che la caratteristica più evidente della fede richiesta a Israele in vista della sua liberazione, sia l’accoglienza di una parola non confermata in modo immediato dalle circostanze. In sostanza, la parola della fede non può attendere alcuna dimostrazione a misura d’uomo per essere creduta. Essa merita fiducia in virtù di Colui che parla, non in base alle possibilità della sua dimostrazione. Nei Vangeli sinottici, come vedremo, questa caratteristica apparirà ancora più marcata nelle esigenze poste da Cristo ai suoi discepoli. Però, fin dall’esperienza esodale della liberazione, la fede appare come un atteggiamento che permette all’uomo di attraversare le contraddizioni della vita e le smentite delle promesse di bene, lasciando sempre un margine di attesa, in cui Dio possa intervenire a cambiare le cose, quando voglia e come voglia. Dio non interviene affatto nella vita della persona, quando essa, dinanzi alle delusioni della storia, sentenzia che il domani non porterà nulla di buono né di migliore. Questo atteggiamento preclude all’uomo qualunque esperienza autentica dell’azione di Dio. Tornando a Israele, dobbiamo registrare la stranezza delle circostanze concomitanti ai primi interventi di Mosè. Dopo il suo primo dialogo col Faraone e la richiesta di lasciar partire Israele (cfr. Es 5,1-5), vengono appesantite oltremodo le misure oppressive a scapito del popolo. Sembra proprio che l’intervento di Mosè abbia come primo risultato il peggioramento delle condizioni della schiavitù in cui versa la gente della sua stirpe (cfr. Es 5,6-14). Perfino Mosè si sente fortemente disorientato (cfr. Es 5,22-23). Il Signore lo invita ad attendere senza cadere nel pessimismo (cfr. Es 6,1). Qualcosa di simile accade qualche tempo dopo. Mosè si presenta di nuovo al Faraone; investito del potere carismatico, che Dio gli ha concesso per confermare la sua parola (cfr. Es 4,1-9), opera dei segni prodigiosi per dimostrare al Faraone di essere sostenuto dalla potenza di Dio. Pensa che la partita possa chiudersi lì, mentre invece i maghi d’Egitto, in un primo tempo, imitano alla perfezione, l’uno dopo l’altro, i segni che egli compie col suo bastone (cfr. Es 7,10ss). Vi sono però alcuni fenomeni che essi non possono riprodurre (cfr. Es 8,14). Ad ogni modo, la fede di Mosè deve misurarsi con l’indurimento del Faraone, in parte determinato dalle imitazioni dei maghi. Così, la promessa della liberazione sembra ancora una volta smentita dai fatti. Solo dopo la serie delle dieci piaghe, il Faraone li lascerà andare. Celebrano la Pasqua e partono nella notte. Dopo l’uscita dall’Egitto, si verifica un’altra situazione di grande significato teologico: l’esercito egiziano insegue il popolo e lo trova accampato presso il mare (cfr. Es 14,9). Qui la fede si rivela come la capacità di rischiare per il Signore, senza sapere in anticipo cosa Lui farà per noi, quando e come lo farà. Basta la certezza che Egli interverrà. Le nostre categorie umane, però, non sono in grado di prevedere in cosa consisterà il suo intervento. Israele è uscito dall’Egitto e si è inoltrato nel deserto. Dio, che a Mosè aveva talvolta svelato l’imminente futuro (cfr. Es 3,21-22; 4,21), non dice nulla su questo punto. Non gli anticipa alcunché sull’apertura del mare che salverà Israele da una sicura strage. Solo all’ultimo momento, Dio gli dice: « Alza il bastone, stendi la mano sul mare e dividilo » (Es 14,16). Il testo vuole dire che vi sono delle particolari guarigioni che hanno bisogno di una disponibilità a rischiare, pur senza sapere cosa Dio farà. In realtà il Signore, spesso ci libera sul campo mentre combattiamo, perché non è disposto a svelarci tutto in anteprima: ciò eliminerebbe lo spazio per la fede fiduciale, che a sua volta è parte integrante dell’esperienza di liberazione. Taluni non entrano nel campo di battaglia perché vogliono riposare su alcune garanzie; la fede esige tutt’altro comportamento. Dio non ci dice in anticipo che il mare si aprirà; ci chiede di fidarci di Lui nel compiere quelle cose impossibili che Lui stesso ci ha chiesto di fare. La necessità del coraggio, come parte integrante della fede che opera liberazioni e guarigioni, si vede anche nel libro di Daniele. La risposta dei tre giovani al re Nabucodonosor è molto eloquente a questo proposito: « Sappi che il nostro Dio può liberarci dalla fornace… ma anche se non ci liberasse, sappi, o re, che noi non serviremo mai i tuoi dèi » (Dn 3,17-18). Di fatto, il seguito della storia dimostra che Dio li ha preservati dal fuoco della fornace, ma essi non avevano la certezza che Egli sarebbe intervenuto; l’unica certezza che avevano era che Dio ha il potere di liberare i suoi servi, se vuole. Se poi interverrà, e come interverrà, è un affare che al discepolo non importa, né è affatto necessario averne una cognizione anticipata. Si potrebbe ancora citare il caso di Davide che va incontro a Golia con l’unica arma della sua fionda in un duello sproporzionato, senza avere avuto direttamente o indirettamente alcuna garanzia dell’aiuto di Dio. La sua serenità di coscienza consiste nella consapevolezza di non essere alla ricerca della gloria personale e di voler difendere un onore non suo: « Chi è mai questo filisteo incirconciso per insultare le schiere del Dio vivente? » (1 Sam 17,26). E a Golia dice: « Tu vieni a me con la spada… io vengo a te nel nome del Signore degli eserciti, che tu hai insultato » (1 Sam 17,45). Ma torniamo al cammino nel deserto. Qui la fede si presenta non soltanto come un atteggiamento di fiducia verso Dio, ma anche verso l’uomo di Dio, ossia la mediazione umana usata da Dio come strumento di salvezza. Questo concetto è di grande rilevanza teologica, perché è ciò che sta alla base della struttura sacramentale della Chiesa. Fa parte integrante del simbolo niceno-costantinopolitano l’articolo: « Credo la Chiesa » di seguito a quelli che esprimono la fede in Dio. In sostanza, l’atto di fede completo ha come oggetto Dio in quanto Dio e, inseparabilmente, anche gli strumenti umani che Egli si compiace di associare a Sé nella realizzazione del disegno di Salvezza. Tutto questo sembra già chiaramente anticipato nella fede richiesta a Israele lungo il cammino nel deserto. Il Signore non accetta che il popolo assuma un atteggiamento di sfiducia nei confronti di Mosè; anzi, considera un’offesa fatta a Se Stesso ogni atto di ostilità che colpisce il suo servo. Basta rammentare qualche esempio tra i tanti. Nel libro dei Numeri vi è un episodio in cui perfino Aronne e Maria dubitano della mediazione di Mosè: « Il Signore ha forse parlato solo per mezzo di Mosè? Non ha parlato anche per mezzo nostro? » (Nm 12,2). L’idea di fondo, senz’altro vera, è che lo Spirito di Dio non parla solo mediante un canale, ma mediante molti canali possibili. Il punto di osservazione che però falsifica una cosa vera consiste nella negazione che Mosè sia la guida accreditata da Dio fino alla Terra Promessa. I profeti e i veggenti possono essere molti, ma la decisione ultima spetta alla guida accreditata da Dio. Il Signore, infatti, si esprime in risposta alle parole di Aronne e Maria, dicendo che Mosè è « l’uomo di fiducia » (Nm 12,7) in tutta la sua casa. Nella vita della Chiesa tutto ciò si trasferisce nel ministero apostolico che si avvale anche, talvolta, di profeti e veggenti, ma la « parola » che guida il popolo cristiano sulle vie della storia non è quella dei carismatici, bensì quella del Magistero e della predicazione apostolica. Aronne e Maria hanno evidentemente confuso questi ruoli che sono diversi e sono utili finché ciascuno rimane nel posto che Dio gli ha assegnato.Qualcosa di simile accade in occasione della rivolta di Core, Datan e Abiram: anche qui l’autenticità della guida di Mosè viene messa in discussione e, come nell’episodio precedente, Mosè non fa nulla per difendersi; infatti è Dio che prende le sue difese manifestando la propria gloria.Un altro aspetto della fede del deserto, che anticipa ampiamente le esigenze del NT, è la fede che crede contro l’evidenza. La fede non può basarsi su ciò che si vede o su ciò che si dimostra; altrimenti la fede si assimilerebbe alla conoscenza umana. La fede è un genere di conoscenza che differisce sostanzialmente da tutte le altre conoscenze, appunto perché non solo non si appoggia sulla ragione, ma anche perché non cessa di essere valida quando sembra smentita dai fatti. L’episodio a questo riguardo significativo del cammino nel deserto è rappresentato dalle reazioni del popolo alla relazione degli esploratori che hanno fatto un giro di ricognizione nella Terra Promessa. La Terra appare ai loro occhi come straordinariamente ricca e fertile, ma i suoi abitanti sono alti come giganti. Chi potrà sconfiggerli? A questo punto la comunità di Israele viene afferrata dalla tentazione dello scoraggiamento e piange tutta la notte (cfr. Nm 14,1). Il Signore svela a Mosè di sentirsi umiliato da questa sfiducia: « Fino a quando mi disprezzerà questo popolo? Fino a quando non avranno fede in Me, dopo tutti i miracoli che ho fatto in mezzo a loro? » (Nm 14,11). Sono parole senza dubbio molto dure: la sfiducia verso Dio è un peccato di grandi proporzioni, al punto da equivalere all’atteggiamento del disprezzo.

Publié dans:CAMMINO DELLA FEDE (IL), DESERTO |on 20 octobre, 2015 |Pas de commentaires »

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