Il Cuore misericordioso di Gesù in San Paolo
dal sito:
http://www.piaunionedeltransito.org/Sacro_Cuore_e_San_Paolo.html
Il Cuore misericordioso di Gesù in San Paolo
Pia Unione del Transito
Non è ovviamente possibile in poche righe parlare del Cuore di Cristo in San Paolo: tutta la sua riflessione è un’altissima meditazione sulla profondità del mistero racchiuso in Gesù, e una contemplazione di quel Nome che è al di sopra di ogni altro nome. In questo senso, vorrei solamente proporre alla vostra meditazione e alla vostra preghiera un’affermazione paolina che mi pare assolutamente centrale: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita che vivo nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me”(Gal 2, 20).
In questo troviamo il tema fondamentale della teologia di San Paolo: la “giustificazione”. Potremmo tradurla come “il giusto rapporto” con Dio, cioè l’essere fatti giusti da Lui; il giusto rapporto con Dio per Paolo non può essere dato dalle “opere”, cioè da quanto facciamo noi, perché quel che noi facciamo è sempre deficitario, è sempre troppo poco rispetto a quello che dovremmo fare. E del resto, tutti sperimentiamo non solo che non facciamo (tutto) quel che dovremmo, ma che disgraziatamente facciamo anche molte cose che non dovremmo (e forse neanche vorremmo) fare. Perciò secondo Paolo la “legge” (quella mosaica, ma il discorso vale per tutta la legge) non “giustifica”, ossia non mette nel giusto rapporto con Dio, e neanche può farlo: manifesta che siamo peccatori più che renderci giusti. La “giustizia”, ossia la giusta relazione con Dio, ci viene data dalla fede, ossia dalla fiducia personale in Gesù Cristo: come Giovanni, ma con parole sue, Paolo mostra che chi crede ha in sé il germe della vita nuova, cioè è passato dalla morte del peccato alla vita della grazia, compie cioè la Pasqua. E così capiamo l’affermazione che prima abbiamo riferito: “mi ha amato e ha dato se stesso per me”. La devozione al Cuore di Gesù è innanzi tutto questa dulcis Iesu memoria, questa dolce memoria di Gesù, e il segno del Suo cuore è per noi innalzato sulla croce: “Gesù confido in te”, ci fa ripetere suor Faustina, l’apostola della Divina Misericordia nel ventesimo secolo. La confidenza in Lui apre alla fiducia, scioglie l’angoscia, toglie la tristezza, trasforma il nostro modo di vedere noi stessi e anche gli altri, poiché ci rivela che tutti siamo stati amati e perdonati da Lui sulla croce, e quindi ci apre a ricevere questo amore, a testimoniarlo, e a vedere tutti come immersi in questo grande mistero. Così siamo liberati dai nostri rancori e dalle nostre divisioni, proprio perché Lui ha accolto tutti nel Suo cuore, nel colpo di lancia da Lui ricevuto: e se lui ci ha perdonato, impariamo così a perdonarci gli uni gli altri. E questo è il primo e principale frutto della devozione al cuore di Gesù.
Il secondo frutto, è la trasfigurazione di noi stessi nel cuore di Cristo, di modo che anche per noi diventi vita quel che di sé dice Paolo: “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”. Gesù sulla croce fa a noi dono del Suo Spirito, e lo Spirito desidera scendere in ognuno e fare di noi “altri Cristi”, uomini e donne rivestiti degli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, cioè di misericordia, umiltà, mansuetudine e pazienza. Di più, desidera condurre ognuno di noi alla medesima intimità che il Figlio ha con il Padre, alla medesima preghiera, alla medesima fiducia, al medesimo abbandono. E per questo ogni mattina diciamo al Cuore di Gesù: “ti offro le preghiere, le azioni, le gioie e le sofferenze”, non perché siano un dono degno di Lui, ma perché Lui le riempia di sé stesso, siano cioè azioni degne di Lui, cioè sia il Suo agire in noi per gloria del Padre. E così le preghiere nostre siano la Sua preghiera, le nostre sofferenze siano un prolungamento delle Sue, sofferte nel medesimo abbandono e nella medesima fiducia, e perfino le gioie siano corroborate ed esaltate dalla Sua stessa purissima gioia.
Di conseguenza, poiché finché viviamo vivremo nella “carne”, cioè nell’umana debolezza che si manifesta in molti modi, non stanchiamoci mai di guardare a Colui che “mi ha amato e ha dato se stesso per me”: Lui è come il serpente di bronzo che fu innalzato nel deserto, e che gli Israeliti guardandolo guarivano dai morsi velenosi dei serpenti.
Lui è la sorgente di acqua viva, cioè dello Spirito, che sgorga dal Suo cuore trafitto dalla lancia come dalla roccia colpita dalla verga di Mosè uscì l’acqua che dissetò il popolo nel deserto.
E quest’acqua, irrigando le profondità del nostro spirito, non solo ci renderà simili a Lui, ma dal nostro stesso seno sgorgherà acqua viva per dissetare molti, come Lui stesso ci ha preannunziato.