Archive pour mars, 2020

La resurrezione di Lazzaro

paolo

Publié dans:immagini sacre |on 27 mars, 2020 |Pas de commentaires »

V DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO A) (29/03/2020)

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V DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO A) (29/03/2020)

La risurrezione di Lazzaro, invito alla nostra rinascita spirituale
padre Antonio Rungi

La parola di Dio della Quinta domenica di Quaresima ci prepara più immediatamente alla Pasqua 2020, che come sappiamo non sarà una Pasqua come le altre, come non lo è stata la Quaresima e tutti questi giorni che hanno segnato la nostra storia personale, quella dell’Italia e del mondo, con l’epidemia da coronavirus, che ha portato dolore, morte, sofferenza, angoscia e prove di ogni genere.

Il Vangelo di Giovanni inserito nella liturgia della parola ci apre alla vita, alla speranza e alla risurrezione.
Ci racconta, infatti, della morte e della risurrezione di Lazzaro, amico di Gesù, il quale viene informato dalle sorelle che Lazzaro, loro fratello, è ammalato. Gesù era amico delle due sorelle e di Lazzaro.
Quando gli giunse la notizia Gesù rivolto ai discepoli disse «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato».
Poi l’Evangelista Giovanni annota il rapporto tra Gesù e la famiglia di Lazzaro con queste semplici parole: Gesù amava Marta, sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». Gesù quindi non è indifferente alla notizia del suo amico che stava male e tutto ci fa pensare che pregò per lui e appena gli fu possibile andò a Betania.
Però quando Gesù arrivò, era troppo tardi, in quanto Lazzaro era già morto e sepolto. Cosa che capita tante volte quando una persona muore improvvisamente e i cari non hanno avuto modo di poterla salutare.
Tornando al brano del vangelo, Gesù fu accolto da Marta, appena giunto a Betania nella loro casa. Marta si rivolse a lui con queste parole: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà».
E qui troviamo le espressioni di fiducia nel Signore, di fede che lui può tutto. Infatti Gesù non la scoraggia dicendo ormai è finito tutto, non c’è più nulla da fare, ma richiama l’essenza stessa della sua missione nel mondo, quella della vita e della risurrezione: «Tuo fratello risorgerà», dice subito per non rattristarla.
Marta che conosceva la parola di Dio risponde: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno».
La consapevolezza della risurrezione finale era chiara in certi ambienti religiosi anche prima della stessa risurrezione di Cristo.
Ma a quel punto il Signore va a confermare le convinzioni di Marta, Infatti Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?».
Gesù pone una domanda di fede, alla quale la donna risponde dal profondo del suo cuore: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».
Di fronte a queste parole toccanti, l’evangelista annota che Gesù si commosse profondamente e, molto turbato, domandò subito dove era stato sepolto Lazzaro.
Lo portarono nel luogo della sepoltura. Appena arrivato Gesù scoppiò in pianto. Gesù esprime, così, il suo dolore con il pianto, come facciamo noi tutte le volte che la sofferenza e la morte tocca la nostra vita.
Tutto questo avviene alla presenza di tante persone, al punto tale che i Giudei fecero subito notare: «Guarda come lo amava!».
E poi subito la critica, la provocazione per vedere la reazione di Gesù: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?».
Gesù incurante di quello che dicevano si avvicinò al sepolcro e notò che era una grotta e contro di essa era posta una pietra.
Stessa scena che Giovanni presenterà nel momento della risurrezione di Gesù. Disse allora Gesù: «Togliete la pietra!». Ma Marta, la sorella del morto, fece subito osservare: “Guarda Gesù che è lì da quattro giorni e quindi manda cattivo odore”.
Gesù ricorda a Marta: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?».
E’ richiesto un altro atto di fede da parte di Marta e dei presenti si procede nella direzione indicata da Gesù.
Allora tolsero subito la pietra e Gesù a quel punto, con gli occhi rivolti al cielo, prega con queste espressioni: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato».
Finita la preghiera gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». “Il morto uscì con i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario”.
A quel punto Gesù dice ai presenti: «Liberàtelo e lasciàtelo andare». Lazzaro è così ritornato alla vita e ridonato agli affetti familiari.
Il miracolo della risurrezione di Lazzaro porta alla fede coloro che non credevano. Ci auguriamo che questo miracolo ricordato nel Vangelo di oggi possa portare alla rinascita interiore i credenti e alla conversione i non credenti.
Sullo stesso argomento si strutturano le due letture, la prima tratta dal Libro del profeta Ezechiele e la seconda, tratta dalla Lettera di San Paolo Apostolo ai Romani.
Esplicito il riferimento alla risurrezione finale che troviamo nel testo di Ezechiele: “Così dice il Signore Dio: «Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele”.
Dalla condizione di morte a quella della vita e della risurrezione. Anche se ci sono riferimenti alla rinascita anche storica e sociale di Israele, qui in realtà il profeta apre prospettive di fede che il buon israelita deve fare proprie: “Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio”. Rinnovamento sarà di ordine spirituale ed interiore e cambierà la vita dei singoli e del popolo: “Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nella vostra terra”. Il ritorno dall’esilio, dai luoghi cari agli israeliti e la prospettiva di vita e risurrezione per loro. Come dire, oggi, per noi che siamo provati dall’epidemia, ritornare alla vita normale, alla libertà, dopo questo esilio forzato nelle proprie case ed abitazioni per rispettare giustamente le leggi dello Stato e norme sanitarie. Dopo questa esperienza di rimpatrio, allora sapranno Dio è il Signore”. Una visione di speranza di rinascita è qui attestata con parole molto forti e toccanti.
Nella seconda Lettura tratta dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani viene sintetizzato il mistero della redenzione dell’umanità, mediante la morte e risurrezione di Cristo, alla quale fa riferimento esplicito Paolo, indicando anche il percorso morale di liberazione che i cristiani ha compiuto in Cristo o che dovrebbe compiere: “Fratelli, quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio”. E’ evidente che la condizione di peccato in cui spesso si trova l’uomo è dovuta al fatto che prevale nella vita la dimensione materiale di essa e non certamente quella spirituale. Per cui l’apostolo ci tiene a ricordare che noi non siamo sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in noi”. Tuttavia, cosa può capitare: “Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene”. E qui il riferimento al battesimo è chiaro. Peri battezzati il discorso è diverso. Infatti, con la conversione “se Cristo è in noi, il nostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia”. Il passaggio successivo è quello il riferimento alla Pasqua Cristo: “E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi”. Siamo quindi equiparati, mediante la risurrezione di Cristo, a Colui che è vita e risurrezione per tutti, cioè Gesù. Vivendo da risorti e con il Risorto, la nostra vita è vita, la nostra vita è gioia, la nostra vita è certezza che le tenebre faranno spazio alla luce, anche in questo momento buio e triste per l’Italia e il mondo intero, a causa dell’epidemia di coronavirus, che ci ha costretti a rinchiuderci nelle chiese e poter celebrare solo noi sacerdoti, senza la presenza fisica dei fedeli nei luoghi di culto. Ecco perché questa Pasqua sarà diversa dalle altre, ma sarà comunque Pasqua nel cuore e nella voglia di rinascere e di ricominciare quanto prima.
Sia questa la nostra preghiera: “Dio Padre, tu che hai manifestato la tua compassione nel pianto di Gesù per l’amico Lazzaro, guarda oggi ognuna di noi, penetra nel nostro profondo. Donaci di riconoscere le nostre malattie interiori, di saperli chiamare per nome. Svegliaci dalle nostre sensazioni di morte, dai nostri « dormiveglia spirituali ». Tu che sei il Dio della vita rendici creature nuove in Te. Amen.

Luca della Robbia, Cristo sul monte degli Ulivi

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Publié dans:immagini sacre |on 25 mars, 2020 |Pas de commentaires »

PAPA FRANCESCO – UDIENZA GENERALE – 18 marzo 2020

http://www.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2020/documents/papa-francesco_20200318_udienza-generale.html

PAPA FRANCESCO – UDIENZA GENERALE – 18 marzo 2020

Biblioteca del Palazzo Apostolico

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Ci soffermiamo oggi sulla quinta beatitudine, che dice: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7). In questa beatitudine c’è una particolarità: è l’unica in cui la causa e il frutto della felicità coincidono, la misericordia. Coloro che esercitano la misericordia troveranno misericordia, saranno “misericordiati”.
Questo tema della reciprocità del perdono non è presente solo in questa beatitudine, ma è ricorrente nel Vangelo. E come potrebbe essere altrimenti? La misericordia è il cuore stesso di Dio! Gesù dice: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati» (Lc 6,37). Sempre la stessa reciprocità. E la Lettera di Giacomo afferma che «la misericordia ha sempre la meglio sul giudizio» (2,13).
Ma è soprattutto nel Padre Nostro che noi preghiamo: «Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12); e questa domanda è l’unica ripresa alla fine: «Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe» (Mt 6,14-15; cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 2838).
Ci sono due cose che non si possono separare: il perdono dato e il perdono ricevuto. Ma tante persone sono in difficoltà, non riescono a perdonare. Tante volte il male ricevuto è così grande che riuscire a perdonare sembra come scalare una montagna altissima: uno sforzo enorme; e uno pensa: non si può, questo non si può. Questo fatto della reciprocità della misericordia indica che abbiamo bisogno di rovesciare la prospettiva. Da soli non possiamo, ci vuole la grazia di Dio, dobbiamo chiederla. Infatti, se la quinta beatitudine promette di trovare misericordia e nel Padre Nostro chiediamo la remissione dei debiti, vuol dire che noi siamo essenzialmente dei debitori e abbiamo necessità di trovare misericordia!
Tutti siamo debitori. Tutti. Verso Dio, che è tanto generoso, e verso i fratelli. Ogni persona sa di non essere il padre o la madre che dovrebbe essere, lo sposo o la sposa, il fratello o la sorella che dovrebbe essere. Tutti siamo “in deficit”, nella vita. E abbiamo bisogno di misericordia. Sappiamo che anche noi abbiamo fatto il male, manca sempre qualcosa al bene che avremmo dovuto fare.
Ma proprio questa nostra povertà diventa la forza per perdonare! Siamo debitori e se, come abbiamo ascoltato all’inizio, saremo misurati con la misura con cui misuriamo gli altri (cfr Lc 6,38), allora ci conviene allargare la misura e rimettere i debiti, perdonare. Ognuno deve ricordare di avere bisogno di perdonare, di avere bisogno del perdono, di avere bisogno della pazienza; questo è il segreto della misericordia: perdonando si è perdonati. Perciò Dio ci precede e ci perdona Lui per primo (cf Rm 5,8). Ricevendo il suo perdono, diventiamo capaci a nostra volta di perdonare. Così la propria miseria e la propria carenza di giustizia diventano occasione per aprirsi al regno dei cieli, a una misura più grande, la misura di Dio, che è misericordia.
Da dove nasce la nostra misericordia? Gesù ci ha detto: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36). Quanto più si accoglie l’amore del Padre, tanto più si ama (cfr CCC, 2842). La misericordia non è una dimensione fra le altre, ma è il centro della vita cristiana: non c’è cristianesimo senza misericordia.[1] Se tutto il nostro cristianesimo non ci porta alla misericordia, abbiamo sbagliato strada, perché la misericordia è l’unica vera meta di ogni cammino spirituale. Essa è uno dei frutti più belli della carità (cf. CCC, 1829).
Ricordo che questo tema è stato scelto fin dal primo Angelus che ho dovuto dire come Papa: la misericordia. E questo è rimasto molto impresso in me, come un messaggio che come Papa io avrei dovuto dare sempre, un messaggio che dev’essere di tutti i giorni: la misericordia. Ricordo che quel giorno ho avuto anche l’atteggiamento un po’ “spudorato” di fare pubblicità a un libro sulla misericordia, appena pubblicato dal cardinale Kasper. E quel giorno ho sentito tanto forte che questo è il messaggio che devo dare, come Vescovo di Roma: misericordia, misericordia, per favore, perdono.
La misericordia di Dio è la nostra liberazione e la nostra felicità. Noi viviamo di misericordia e non ci possiamo permettere di stare senza misericordia: è l’aria da respirare. Siamo troppo poveri per porre le condizioni, abbiamo bisogno di perdonare, perché abbiamo bisogno di essere perdonati. Grazie!
[1] Cfr S. Giovanni Paolo II, Enc. Dives in misericordia (30 novembre 1980); Bolla Misericordae Vultus (11 aprile 2015); Lett. ap. Misericordia et misera (20 novembre 2016).

Publié dans:PAPA FRANCESCO UDIENZE |on 25 mars, 2020 |Pas de commentaires »

Re David

paolo

Publié dans:immagini sacre |on 23 mars, 2020 |Pas de commentaires »

GIOVANNI PAOLO II – SECONDA CATECHESI DI SS. GIOVANNI PAOLO II SU I SALMI E I CANTICI DELLE LODI

http://www.ansdt.it/Testi/Liturgia/Papa/index.html#1

GIOVANNI PAOLO II – SECONDA CATECHESI DI SS. GIOVANNI PAOLO II SU I SALMI E I CANTICI DELLE LODI

(mercoledì 4 aprile 2001)

Prima di intraprendere il commento dei singoli Salmi e Cantici delle Lodi, completiamo quest’oggi la riflessione introduttiva iniziata nella scorsa catechesi. E lo facciamo prendendo le mosse da un aspetto molto caro alla tradizione spirituale: cantando i Salmi, il cristiano sperimenta una sorta di sintonia fra lo Spirito presente nelle Scritture e lo Spirito dimorante in lui per la grazia battesimale. Più che pregare con proprie parole, egli si fa eco di quei «gemiti inesprimibili» di cui parla san Paolo (cfr Rm 8, 26), con i quali lo Spirito del Signore spinge i credenti ad unirsi all’invo-cazione caratteristica di Gesù: « Abbà, Padre! » (Rm 8, 15; Gal 4, 6).
Gli antichi monaci erano talmente sicuri di questa verità, che non si preoccupavano di cantare i Salmi nella propria lingua materna, bastando loro la consapevolezza di essere, in qualche modo, « organi » dello Spirito Santo. Erano convinti che la loro fede permettesse ai versetti dei Salmi di sprigionare una particolare « energia » dello Spirito Santo. La stessa convinzione si manifesta nella caratteristica utilizzazione dei Salmi, che fu chiamata « preghiera giaculatoria »- dalla parola latina « iaculum » cioè dardo – per indicare brevissime espressioni salmodiche che potevano essere « lanciate », quasi come punte infuocate, ad esempio contro le tentazioni, Giovanni Cassiano, uno scrittore vissuto fra il IV e il V secolo, ricorda che alcuni monaci avevano scoperto l’efficacia straordinaria del brevissimo incipit del Salmo 69: « O Dio vieni a salvarmi; Signore vieni presto in mio aiuto », che da allora divenne come il portale d’ingresso della Liturgia delle Ore (cfr Collationes, 10, 10: CPL 5I2, 298 ss).
2. Accanto alla presenza dello Spirito Santo, un’altra dimensione importante è quella dell’azione sacerdotale che Cristo svolge in questa preghiera associando a sé la Chiesa sua sposa. A tal proposito, proprio riferendosi alla Liturgia delle Ore, il Concilio Vaticano II insegna: « Il Sommo Sacerdote della nuova ed eterna Alleanza, Cristo Gesù, unisce a sé tutta la comunità degli uomini,e se l’associa nell’elevare questo divino canto di lode. Infatti Cristo continua questo ufficio sacerdotale per mezzo della sua stessa Chiesa, che loda il Signore incessantemente e intercede per la salvezza del mondo intero non solo con la celebrazione dell’Eucaristia, ma anche in altri modi, specialmente con la recita dell’Ufficio divino » (Sacrosanctum Concilium, 83).
Anche la Liturgia delle Ore, dunque, ha il carattere di preghiera pubblica, nella quale la Chiesa è particolarmente coinvolta. È illuminante allora riscoprire come la Chiesa abbia progressivamente definito questo suo specifico impegno di preghiera scandita sulle varie fasi del giorno. Occorre per questo risalire ai primi tempi della comunità apostolica, quando ancora vigeva uno stretto legame fra la preghiera cristiana e le cosiddette « preghiere legali » – prescritte cioè dalla Legge mosaica – che si svolgevano in determinate ore del giorno nel Tempio di Gerusalemme. Dal libro degli Atti sappiamo che gli Apostoli « tutti insieme frequentavano il Tempio » (2, 46), oppure che « salivano al Tempio per la preghiera dell’ora nona » (3, 1). E d’altra parte sappiamo anche che le « preghiere legali » per eccellenza erano appunto quelle del mattino e della sera.
3. Gradualmente i discepoli di Gesù individuarono alcuni Salmi particolarmente appropriati a determinati momenti della giornata, della settimana o dell’anno, cogliendovi un senso profondo in rapporto al mistero cristiano. È autorevole testimone di questo processo san Cipriano, che così scrive nella prima metà del terzo secolo: « Bisogna infatti pregare all’inizio del giorno per celebrare nella preghiera del mattino la risurrezione del Signore. Ciò corrisponde a quello che una volta lo Spirito Santo indicava nei Salmi con queste parole: «Tu sei il mio re, il mio Signore, ed io innalzerò a te, o Signore, di mattino la preghiera: ascolterai la mia supplica; di mattino mi presenterò a te e ti contemplerò» (Sal 5,3-4). […] Quando poi il sole tramonta e viene meno il giorno, bisogna mettersi di nuovo a pregare. Infatti, poiché il Cristo è il vero sole e il vero giorno, nel momento in cui il sole e il giorno del mondo vengono meno, chiedendo attraverso la preghiera che sopra di noi ritorni la luce, invochiamo che Cristo ritorni a portarci la grazia della luce eterna » (De oratione dominica, 35; PL 39, 655).
4. La tradizione cristiana non si limitò a perpetuare quella ebraica, ma innovò alcune cose che finirono col caratterizzare diversamente l’intera esperienza di preghiera vissuta dai discepoli di Gesù. Oltre infatti a recitare, al mattino e alla sera, il Padre nostro, i cristiani scelsero con libertà i Salmi con i quali celebrare la loro preghiera quotidiana. Lungo la storia, questo processo suggerì l’utilizzazione di determinati Salmi per alcuni momenti di fede particolarmente significativi. Fra questi teneva il primo posto la preghiera vigiliare, che preparava al Giorno dei Signore, la Domenica, in cui si celebrava la Pasqua di Risurrezione.
na caratteristica tipicamente cristiana è stata poi 1′aggiunta alla fine di ogni Salmo e Cantico, della dossologia trinitaria, « Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo ». Così ogni Salmo e Cantico viene illuminato dalla pienezza di Dio.
5. La preghiera cristiana nasce, si nutre e si sviluppa intorno all’evento per eccellenza della fede, il Mistero pasquale di Cristo. Così, al mattino e alla sera, al sorgere e al tramonto del sole, si ricordava la Pasqua, il passaggio del Signore dalla morte alla vita. Il simbolo di Cristo « luce del mondo » appare nella lampada durante la preghiera del Vespro, chiamata per questo anche lucernario. Le ore del giorno richiamano a loro volta il racconto della passione del Signore, e l’ora terza anche la discesa dello Spirito Santo a Pentecoste. La preghiera della notte infine ha carattere escatologico, evocando la veglia raccomandata da Gesù nell’attesa del suo ritorno (cfr Mc 13, 35-37).
Cadenzando in questo modo la loro preghiera, i cristiani risposero al comando del Signore di « pregare incessantemente »(cfr Lc 18, 1; 21, 36; 1 Ts 5, 17; Ef 6, 18), ma senza dimenticare che tutta la vita deve in qualche modo diventare preghiera. Scrive a tal proposito Origene: « Prega senza posa colui che unisce la preghiera alle opere e le opere alla preghiera » (Sulla preghiera, XII, 2: PG 11, 452 C).
Questo orizzonte nel suo insieme costituisce l’habitat naturale della recita dei Salmi. Se essi vengono sentiti e vissuti così, la dossologia trinitaria che corona ogni Salmo diventa, per ciascun credente in Cristo, un continuo rituffarsi, sull’onda dello Spirito e in comunione con l’intero popolo di Dio, nell’oceano di vita e di pace in cui è stato immerso col Battesimo, ossia nel mistero del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

(da L’Osservatore Romano di giovedì 5 aprile 2001)

Publié dans:PAPA GIOVANNI PAOLO II |on 23 mars, 2020 |Pas de commentaires »

IL cieco nato

paolo

Publié dans:immagini sacre |on 20 mars, 2020 |Pas de commentaires »
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