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L’ARCHITETTO DELLA SALVEZZA (LA VISIONE PAOLINA HA ISPIRATO TUTTI I GRANDI DELLA LETTERATURA)

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L’ARCHITETTO DELLA SALVEZZA (LA VISIONE PAOLINA HA ISPIRATO TUTTI I GRANDI DELLA LETTERATURA)

di Francesca D’Alessandro

Da Dante e Petrarca fino a Leopardi e Luzi, passando per Manzoni, la visione paolina ha ispirato tutti i grandi della letteratura. Ce ne parla una studiosa, che insegna all’Università Cattolica di Milano.

Questo Anno paolino ci offre l’occasione per tornare a riflettere su uno dei pilastri della civiltà, sul quale si sono fondati edifici di pensiero poderosi per vastità e durata, dove si ricompongono in equilibrio armonico le spinte e controspinte più disparate, concernenti discipline e ambiti di interesse assai diversi. Quanto di accomunante ci è parso di rilevare va colto alle radici dell’uomo e assume la forma della tensione verso una ipotesi di redenzione che non prescinda dall’agire nella storia, ma piuttosto ne riconosca il senso profondo, sostanziale, entro l’orizzonte della speranza, al quale anche Benedetto XVI ci ha invitato a guardare, con la sua enciclica («Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete il campo, l’edificio di Dio. Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un sapiente architetto io ho posto il fondamento», ICor 3,9-10). Tali sono i tratti di un umanesimo del quale l’Apostolo dei Gentili potrebbe dirsi uno dei tralicci portanti, nella misura in cui la sua voce di uomo nuovo sul cammino della salvezza non viene a determinare fratture, ma a compiere, alla luce della rivelazione, le conquiste che già furono della cultura classica, nel territorio metafisico e morale.
Sul versante letterario, crediamo sia imprescindibile rilevare la portata delle disseminazioni e degli affioramenti, impliciti ed espliciti, del magistero di san Paolo, almeno attraverso alcune voci della tradizione (un campionario senza pretesa di esaustività), tra le più alte di ogni tempo. Esse invitano a riconoscere nel superiore appello rivolto dal testo al lettore quelli che sono stati chiamati «i semi della nuova creazione», le tracce – più o meno consapevoli e dichiarate dall’autore – di temi, immagini e archetipi paolini di particolare intensità e significato. Non si tratta tanto e solo di inseguire nelle opere letterarie una vaga e non definita nostalgia del divino, né un’oscura tensione orfica e neppure una infondata astrazione metafisica. Ci si propone piuttosto di esplorare quei varchi verso le regioni ulteriori, aperti da una scrittura aderente al vero, fatta di cose e di eventi, nella convinzione che la sfida più appassionante in questo senso (alla luce del mistero dell’incarnazione) si giochi proprio sul terreno della storia, della società e persino della politica.
Di qui la preferenza – al di là di una più o meno esplicita confessione religiosa – per autori che hanno accolto o ripercorso la lezione di Paolo di Tarso, a partire da una tenace fedeltà alle proprie origini terrestri, che hanno nutrito e coltivato una pur avara speranza, con la ponderata e talvolta dolorosa presa di coscienza del proprio agire nel mondo, per sé e per gli altri, del proprio significativo essere parte della vicenda umana nel tempo. In loro, l’agire si configura come completamento del disegno divino, entro una solida e rinnovata dimensione progettuale, continuamente sorretta dall’architrave della ragionevolezza di ogni convinzione acquisita.
L’edificio della salvezza – ricostruito attraverso gli scrittori di ogni tempo – risulta così poggiare sulle fondamenta delle virtù teologali e di una professione di fede testimoniata nelle opere (Dante e Manzoni) e ardente di carità (Caterina da Siena e Vittoria Colonna). Tale edificio si rivela via via cadenzato dagli elementi architettonici dell’attesa e della gioia, con la sua forza inclusiva e trasfigurante (Petrarca e Sereni), su cui pure si proiettano le ombre dell’assenza e del dubbio, non prive di energia propositiva (Leopardi e Montale), destinate tuttavia a dissolversi nella potenza innovatrice del divino che salva (Péguy, Luzi e Betocchi).
L’intera tradizione volgare sorge dall’orizzonte profetico della Commedia dantesca, una storia della salvezza in forma di poema che nasce sotto il segno paolino, al crocevia tra la civiltà classica e quella cristiana (Inferno II 31-35). Quale nuovo Enea e nuovo Paolo, Dante si vede assegnata la missione di riformatore del mondo, di edificatore della speranza e continuatore dell’opera divina, in un’età avvertita come tempo finale e tempo della grazia. Non a caso la raffigurazione del passaggio dalle tenebre alla luce viene declinata, sin da Purgatorio VII, in termini paolini (Rom 12,12), sin anche nel risoluto vigore del combattente, chiamato ad abbandonare le opere delle tenebre e a rivestirsi delle armi della luce, a indossare la corazza della fede e della carità, con l’elmo della speranza (come recita ITess 5,8). Di nuovo l’itinerario dantesco fa leva sulla dignità dell’agire delle creature, chiamate, nella speranza, a tendere al compimento di sé e alla piena edificazione del progetto divino. Una speranza che Dante si preoccupa di riallacciare (rendendo omaggio al «verace stilo» di san Paolo) alla gerarchia delle virtù teologali, nella professione di fede da lui pronunciata alla presenza di Pietro, quando è prossimo ormai il gaudio della visione beatifica, alla fine del viaggio (Paradiso XXIV, 51-52).
Una tinta paolina si imprime anche sulla parola del padre dell’Umanesimo e della nuova età, Francesco Petrarca, che dal proprio orizzonte terreno si accosta alle perfezioni invisibili del divino artefice, attraverso la bellezza della creazione, e si incammina a una contemplazione intellettuale, non priva di sussulti e di dubbi. Il problema della salvezza si pone per lui nei termini di una profonda lacerazione interiore, di una quotidiana battaglia fra volere e disvolere, fra uomo di terra e uomo celeste, nella piena consapevolezza che la felicità coincide con la libertà dell’animo e la speranza con la misericordia divina.
Nel medesimo terreno dantesco, in materia di fede, si radica il pensiero manzoniano, che inaugura le sue Osservazioni sulla morale cattolica con la cifra paolina della unità e razionalità del credo cristiano. Principia qui a dipanarsi il filo delle reminiscenze paoline, destinato a riaffiorare, quando la meditazione sulla fragilità della natura umana accosta la confessione di Socrate e di Ovidio a quella del Saulo («Il core e la mente mi danno opposti consigli: vedo il meglio, l’approvo; e vo dietro al peggio», Rom 7,19). Al punto di innesto della civiltà cristiana sulla classica, il lamento dell’uomo debole e sconfitto trova tuttavia il riscatto nella radice paolina della speranza, nata dalla «cognizione di mali umanamente irrimediabili», eppure solido legame alla «colonna e fondamento della verità» (ITimoteo 3,15). Sono ancora due elementi architettonici a ribadire il valore delle opere, della libertà e coerenza dell’agire dell’uomo, collaboratore di Dio, chiamato a porre le basi su cui posare l’edificio della salvezza.
Viene così a definirsi, con nitidezza folgorante, il disegno della speranza capace di incidere sulle vicende della storia, tesa fra l’evento iniziale e l’esito finale, all’incontro fra il protendersi progettuale dell’uomo e il volgersi premuroso dello Spirito. Il culmine lirico e meditativo di tale disegno viene raggiunto nella ipotesi estrema di salvezza, nel miracolo della misericordia divina verso Napoleone morente, che Manzoni rappresenta nel finale del Cinque maggio. Qui paiono intersecarsi i piani argomentativi e il vigore metaforico di alcuni snodi della prima lettera ai Corinzi, di quella ai Filippesi e delle due ai Tessalonicesi. Se dalle prime discende l’immagine del premio sperato (ICor 9,24 e Filippesi 3,13), alle seconde può essere ascritta la raffigurazione del Dio glorioso che «discende dal cielo» e rapisce «tra le nubi», «nell’aria», di un Dio che affligge e dà sollievo, a un tempo, in un contesto epico di vittoria della fede e della speranza, ottenuta per tutti, una volta per sempre, con l’obbrobrio della Croce. Come lascia intendere Manzoni, nel solco del dettato paolino, esse giungono a fondare una giustizia nuova e, in quanto primizie dello Spirito, riescono a riscattare l’uomo dalla legge, a liberarlo dall’ossequio alla gloria umana, ad assecondare i suoi desideri profondi, oltrepassandoli nel diluvio della grazia.
Più problematica, ma altrettanto feconda risulta l’indagine entro percorsi compositivi di autori che non hanno trovato la riposata quiete dell’approdo a una fede dichiarata (benché continuamente riconquistata). Per lo più essi appartengono alla contemporaneità e parrebbero germogliare dal ceppo penitenziale della visione leopardiana, prevalentemente incentrata sulle piaghe della creazione, ferita e segnata da un dolore apparentemente irredimibile. Per Leopardi, l’incontro con san Paolo avviene sul terreno della coscienza della contraddizione che dilacera l’uomo, tra desiderio insaziabile di felicità e impossibilità di raggiungerla. Entro il quadro della desolata condizione dei viventi, ricostruito con spietata lucidità, egli delinea la sua riflessione sulla capacità significativa della parola, attraverso la quale giunge a giudicare ragionevole l’ipotesi dell’oltre.
Tra gli eredi novecenteschi di Leopardi, Eugenio Montale colloca l’origine del proprio poetare entro le polarità contrapposte della necessità naturale e della libertà dell’uomo, sul confine tra il fenomeno e il mistero, che sta oltre. Sin dai primi Ossi di seppia (1925), egli accosta allo sgretolamento apocalittico di Clivo l’«avara speranza» d’oltrevita di Casa sul mare, offerta in dono per la salvezza dell’altro. L’infinitarsi, dapprima negato al poeta, diviene in qualche modo possibile già nei secondi Ossi (1928), dove il miracolo dell’Incontro con l’alterità opera una rinascita a rinnovata pienezza vitale: «E farsi mia / un’altra vita sento, ingombro d’una / forma che mi fu tolta». Inizia qui un cammino destinato a sfociare, sullo sfondo del tragico irrompere nella storia della violenza dissennata e del male, in prossimità della Seconda guerra mondiale, in una pur ardua ipotesi di redenzione. A renderla possibile è la donna amata, paolinamente continuatrice dell’opera del creatore, ritratta con colori danteschi, nelle Occasioni e nella Bufera. La sua apparizione viene raffigurata con un linguaggio cristologico, che fa di lei (ebrea e perseguitata dalle leggi razziali) una vera immagine di Cristo, di inarrivabile altezza morale: «Perché l’opera tua (che della Sua / è una forma) fiorisse in altre luci / Iri del Canaan ti dileguasti».
Affine sensibilità si riscontra in Vittorio Sereni, che accoglie nei suoi versi le folate di una speranza intesa come viaggio verso l’alba (la cui luce ferisce e salva a un tempo), come sete di verità dolorosa e insaziata, eppure pronta a sfociare nella gioia. La sua speranza si genera paolinamente da una sorta di fede (pur insicura e vacillante) e si sporge, recidiva – dalla fedeltà tenace alle proprie origini terrestri – a una ipotesi di persistenza di vita oltre la morte, da intendersi come trasformazione dalla deperibilità della materia all’incorruttibilità del movimento e della luce.
È la stessa luce albare invocata e intravista da Mario Luzi, nella quale sfocia – dopo un viaggio periglioso nel magma della storia, contrassegnato dapprima dal dono della carità, poi da quello della profezia – la speranza pasquale, immersa nell’onda viva della creazione, finalmente redenta e ricapitolata nell’unzione cristica finale.

Francesca D’Alessandro

L’Anno paolino, un anno di grazia ed evangelizzazione

dal sito:

http://www.zenit.org/article-25616?l=italian

L’Anno paolino, un anno di grazia ed evangelizzazione

Il bilancio delle celebrazioni per il bimillenario della nascita di san Paolo

di Chiara Santomiero

ROMA, giovedì, 17 febbraio 2011 (ZENIT.org).- “Un anno di grazia, anche al di là delle nostre aspettative”: è il bilancio tratto dal Cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, Arciprete emerito della Basilica papale di S. Paolo fuori le mura, a proposito dell’Anno paolino celebrato dal 28 giugno 2008 al 29 giugno 2009 in occasione della ricorrenza dei duemila anni dalla nascita dell’apostolo delle genti. Se ne è parlato nella conferenza stampa tenuta giovedì presso la Sala stampa della Santa sede.
“Un evento storico” lo ha definito anche il Cardinale Montezemolo, ricordando come per la prima volta nella storia della Chiesa sia stato celebrato un anno tematico dedicato a san Paolo che ha dato luogo non solo a numerosi pellegrinaggi alla basilica romana che custodisce la tomba dell’apostolo e ai luoghi paolini dell’area mediterranea, ma anche ad altrettanto numerose conferenze e concerti e ad una copiosa produzione di libri, opere musicali, film, programmi Internet che hanno coinvolto milioni di persone.
“Contro il rischio di dimenticare”, di quanto di più significativo è avvenuto a San Paolo fuori le mura e nelle chiese locali di tutti i continenti, “dà atto” il libro di oltre 500 pagine “L’Anno paolino” scritto da Graziano Motta, giornalista responsabile della comunicazione dell’Anno paolino, edito dalla Libreria Editrice Vaticana e presentato nel corso della conferenza stampa. Una sezione, esplora in particolare, il significato ecumenico dell’Anno paolino celebrato insieme da cattolici, ortodossi e protestanti.
“E’ stata l’occasione – ha ricordato il Cardinale Montezemolo – per stabilire tra le diverse confessioni un’atmosfera di cordialità non nuova ma intensificata”.
Un anno, quindi “strategico per la stessa vita della Chiesa”, come lo ha definito nel suo intervento alla conferenza stampa mons. Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. L’Anno paolino, infatti, “ha permesso di riportare alla luce non solo la multiforme ricchezza del pensiero dell’apostolo delle genti con una produzione teologica e bibliografica probabilmente mai raggiunta nel passato” ma soprattutto “ha evidenziato la sua attualità per la vita della Chiesa nella sua missione evangelizzatrice”.
Non a caso, proprio dalla Basilica di San Paolo, il 28 giugno 2010, in occasione dei Primi Vespri della solennità dei santi Pietro e Paolo, Papa Benedetto XVI manifestò la sua intenzione di istituire il Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione la cui nascita è stata formalizzata nell’ottobre successivo.
“Siamo convinti – ha affermato Fisichella – che questa basilica dovrà essere ancora di più nel futuro segno evidente della volontà della Chiesa nell’intraprendere il suo cammino di nuova evangelizzazione” e non è escluso che il nuovo dicastero non promuova delle iniziative in questo senso per il prossimo ottobre.
Intanto, ha dato notizia mons. Fisichella rispondendo alle domande dei giornalisti sulle attività del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, “proseguono gli incontri con le conferenze episcopali di vari paesi, europei e non, mentre sono già in programma per marzo prossimo una due giorni di studio sulla nuova evangelizzazione con degli specialisti e a maggio un incontro per la definizione di una nuova forma di evangelizzazione di ambiente”. Naturalmente tutta l’attività del dicastero “resta in attesa di quanto sarà proposto nel Sinodo sulla nuova evangelizzazione previsto per il 2012 e dalla successiva Esortazione post-sinodale”.
Il grande impulso dato alla conoscenza del pensiero paolino dall’anno celebrato in onore dell’apostolo delle genti non deve essere disperso, così come quello dato alla vitalità del complesso della basilica di San Paolo. Il Cardinale Francesco Merisi, attuale Arciprete di San Paolo, ha informato della pubblicazione di un libro sulla basilica che sarà presentato alla stampa il prossimo 10 marzo. A sua volta, padre Edmund Power, Abate del monastero benedettino presso la basilica, ha annunciato la volontà di creare nel complesso un centro di spiritualità e un centro ecumenico di studi paolini.

THE PAULINE YEAR – (IN INGLESE)

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UN SITO DEDICATO ALL’ANNO PAOLINO, DIVERSI SCRITTI IN INGLESE, ANCORA QUESTA BELLA IMMAGINE SUI VIAGGI DI SAN PAOLO

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Vespro ecumenico a San Paolo triduo in preparazione dell’Anno Paolino

dal sito della radio vaticana:

http://www.oecumene.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=21486727/06/2008

Iniziato con la celebrazione del « Vespro ecumenico » il Triduo di preparazione all’apertura dell’Anno Paolino. La figura dell’Apostolo nel pensiero di p. Cesare Atuire

Il Triduo di preghiere nella Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura, che sarà concluso dalla solenne apertura che Benedetto XVI farà sabato prossimo dell’Anno Paolino, ha avuto inizio ieri pomeriggio con la celebrazione di un “Vespro ecumenico”. Presieduto dall’Abate benedettino, padre Edmund Power, il rito ha riunito dinanzi al Sepolcro dell’Apostolo autorità ecclesiali e fedeli cattolici, ortodossi e protestanti. Ce ne parla Alessandro De Carolis:

Nel rivolgere ai presenti un caloroso saluto, il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, ha detto: “Quest’ Anno Paolino è un invito e una sfida a leggere e a meditare di nuovo le Lettere dell’Apostolo, ad approfondire la nostra conoscenza e il nostro amore per Cristo, a diventare come Paolo coraggiosi testimoni di Cristo, a diventare una fiaccola che dà luce e orientamento al mondo e un legame di unità fra i cristiani divisi, affinché siano segno e strumento di pace nel mondo e diventino una sola cosa perché il mondo creda. In questo senso, vi auguro un benedetto Anno Paolino che deve essere anche un anno ecumenico”. In precedenza, dopo aver ricordato che domenica scorsa aveva avuto la gioia di inaugurare l’Anno Paolino a Tarso – città dove San Paolo è nato duemila anni fa – il cardinale Kasper ha affermato: “Paolo era di casa nel mondo ebraico e greco, ha fatto il passo dall’Oriente all’Occidente, da Gerusalemme a Roma e come testimone di Cristo è il testimone dell’universalità di Cristo che trascende le culture e costituisce, fino ad oggi, un legame che unisce tutte le Chiese e tutta la cristianità. Lui è l’apostolo dell’unità di tutti i battezzati. Di più, fervido ebreo, Paolo ha dato testimonianza che ebrei e cristiani fanno parte dell’una ed unica alleanza di Dio e sono l’uno ed unico popolo di Dio. Lui è maestro dell’abbondante grazia di Dio per tutti gli uomini e intanto testimone dell’uguale dignità di ogni persona”.


Riflessioni condivise, nell’Omelia dei Vespri, dal metropolita Gennadios, arcivescovo ortodosso d’Italia e Malta, Esarca per l’Europa meridionale del Patriarcato ecumenico, che ha esaltato San Paolo come “predicatore della verità, angelo dell’amore, difensore dell’unità dei cristiani e fondatore del monachesimo” e ricordato che “ci ha lasciato lo spirito di amore, di libertà e di ecumenicità perché Cristo si formi in noi”. In particolare, ha parlato di “una visione ecumenica che abbia San Paolo come base e fondamento”, perché “la Chiesa non si fermi su discussioni accademiche ma giunga a sostanziali risultati”.


I Vespri sono stati animati dai Monaci benedettini dell’Abbazia, dalle comunità greco ortodossa, metodista valdese, episcopaliana, e da quella cattolica di San’Egidio. Antifone, salmi, intercessioni sono stati cantati in latino, greco, italiano. Un canto in onore dei Santi Pietro e Paolo è stato eseguito secondo la tradizione ortodossa eritrea in lingua giiz. Dopo la recita del “Padre Nostro”, il padre abate e i rappresentanti delle altre comunità cristiane, fra i quali il vescovo ortodosso bulgaro Tichon, si sono recati in processione dinanzi alla Tomba di San Paolo per la Confessio Paulina: ognuno di ha letto l’ »Inno alla Carità », il celebre brano paolino della prima Lettera ai Corinzi.

La Basilica di S. Paolo Fuori le Mura ma anche gli altri luoghi della presenza dell’Apostolo a Roma – come l’Abbazia delle Tre Fontane, che sorge sul luogo del martirio di San Paolo – si preparano ad accogliere le folle di pellegrini attese per questo anno giubilare. Al microfono di Luca Collodi, l’amministratore delegato dell’Opera romana pellegrinaggi, padre Cesare Atuire, si sofferma sui tratti salienti della complessa figura dell’Apostolo delle genti:

R. – Paolo è un entusiasta della fede. E’ una persona che, come noi, non ha conosciuto Gesù quando viveva sulla terra. Paolo ha incontrato il Risorto e sopratutto ha fatto un’esperienza molto particolare. Ha cominciato a perseguitare i cristiani e Gesù gli ha detto: « Perchè mi perseguiti? ». Vuol dire che la presenza di Gesù continua nei cristiani e, pertanto, Paolo dopo questa esperienza ha sentito una forza liberatrice ed è diventato un grande comunicatore di questa esperienza credo soprattutto in Occidente, dove abbiamo bisogno di riscoprire l’entusiasmo e la giovinezza della fede.


D. – Periodicamente, si torna a parlare della questione che Paolo sia il secondo « fondatore » del cristianesimo. Cosa ne pensa lei, padre Cesare?


R. – Paolo è stato il grande missionario della fede, perchè uno che ha macinato più di 14 mila chilometri in quel tempo è stato certamente una persona grande. Che Paolo sia stato il fondatore del cristianesimo non regge, perchè Paolo stesso nella Lettera ai Corinzi insiste quando parla delle esperienze dell’Eucarestia dicendo: « Io vi trasmetto quello che a mia volta ho ricevuto ». Non c’è poi evidenza che Paolo abbia creato una gerarchia. Per introdurre delle novità all’interno della fede – nella vicenda dei « gentili », i pagani convertiti – Paolo si è rivolto agli altri Apostoli per chiedere consiglio e ciò vuol dire che Paolo guardava al collegio apostolico per prendere le sue decisioni.


D. – Secondo lei, il pensiero di Paolo era già definito nella sua prima Lettera, che è abbastanza recente dopo la conversione?


R. – C’è un pensiero definito, ma anche in Paolo si coglie una evoluzione. Se uno prende le sue ultime Lettere, vede un Paolo molto più maturo, anche meno aggressivo nelle espressioni, vede uno che elabora molto. C’è da dire che l’esperienza di base di Paolo è la Risurrezione. Paolo prende da dove i Vangeli si sono fermati. Loro hanno raccontato dall’inizio della missione di Gesù fino alla morte e alla Risurrezione. Paolo prende la vita di Gesù ma soprattutto riflette attorno alla Risurrezione, e sulla Chiesa che nasce grazie alla Risurrezione e alla venuta dello Spirito Santo.

L’Anno Paolino, momento di grazia per la Chiesa in America Latina

dal sito: 

http://www.zenit.org/article-14823?l=italian

L’Anno Paolino, momento di grazia per la Chiesa in America Latina

Secondo un Arcivescovo brasiliano incoraggerà lo “stato di missione”

di Alexandre Ribeiro

BELÉM, giovedì, 26 giugno 2008 (ZENIT.org).- L’Anno Paolino porterà molti frutti alla Chiesa in America Latina, che cerca sempre più di porsi in stato di missione sulla via indicata dalla Conferenza di Aparecida, ha indicato un Arcivescovo brasiliano.

Alla vigilia dell’inizio dell’anno che commemora il bimillenario della nascita dell’apostolo Paolo, monsignor Orani João Tempesta, Arcivescovo di Belém (Pará), sottolinea in un messaggio inviato a ZENIT il momento di grazia e di grandi possibilità d’animazione che rappresenterà l’evento convocato dal Papa.

Instancabile nelle sue peregrinazioni, San Paolo è per noi oggi un grande segno affinché in questo nostro difficile secolo non abbiamo paura di affrontare i nuovi areopaghi che compaiono ogni giorno davanti ai nostri occhi e ci pongono sempre sulla via di nuovi dialoghi e nuove scoperte, ha affermato.

Apostolo accettato e rifiutato, festeggiato e lapidato, accolto e non ricevuto, si solleva sempre con nuove energie e con nuovo coraggio e continua la sua peregrinazione e la sua testimonianza.

Secondo l’Arcivescovo, è l’esperienza dell’incontro con Cristo che Paolo ripeterà sempre come motivazione principale della sua trasformazione.Monsignor Tempesta ha osservato che l’anno commemorativo sar

à un’occasione per studiare in modo più approfondito gli scritti e il lavoro di Paolo, chiedendo a Dio che ci aiuti ad avere lo stesso coraggio che ha guidato la sua vita e la disposizione a essere con lui in costante stato di missione.Il prossimo sabato, a Belém, ci si riunirà alle 18.00 nella chiesa di San Francesco d’Assisi (Cappuccini), da dove partirà la processione per la chiesa della parrocchia di San Pietro e San Paolo.

Alle 19.00 verranno celebrate l’apertura e la proclamazione dell’anno giubilare nell’Arcidiocesi e saranno annunciati i principali orari ed eventi del calendario annuale.

Un’immagine di San Paolo percorrerà per tutto l’anno le parrocchie dell’Arcidiocesi. Monsignor Tempesta invita i fedeli a partecipare all’apertura dell’anno giubilare per iniziare insieme, con grande ardore, l’Anno Paolino nella nostra Arcidiocesi.

10.5.08 – Il Papa concede l’indulgenza plenaria per l’Anno Paolino

dal sito della Radio Vaticana:

http://www.oecumene.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=204571

10/05/2008 Il Papa concede l’indulgenza plenaria per l’Anno Paolino
Benedetto XVI concede lindulgenza plenaria in occasione dellAnno Paolino indetto per celebrare i duemila anni dalla nascita di San Paolo. La Penitenzieria Apostolica ha pubblicato oggi il relativo Decreto che copre il periodo che va dal 28 giugno prossimo, ovvero dai Primi Vespri della prossima Solennità dei Santi Pietro e Paolo, fino al 29 giugno 2009.

Si può ottenere lindulgenza plenaria visitando in forma di pellegrinaggio la Basilica papale di San Paolo fuori le Mura a Roma. Sono necessarie le solite condizioni: la confessione, la comunione e la preghiera secondo le intenzioni del Papa, praticate con lanimo veramente pentito e distaccato da qualsiasi peccato, anche veniale. « L’indulgenza plenaria – precisa il Decreto – potrà essere lucrata dai fedeli cristiani sia per loro stessi, sia per i defunti, tante volte quanto verranno compiute le opere ingiunte; ferma restando tuttavia la norma secondo la quale si può ottenere l’indulgenza plenaria soltanto una volta al giorno ».E stabilito inoltre che i fedeli, oltre ad elevare le proprie suppliche davanti allaltare del Santissimo Sacramento, ognuno secondo la sua pietà, si dovranno portare allaltare della Confessione e devotamente recitare il Padre nostro e il Credo, aggiungendo pie invocazioni in onore della Beata Vergine Maria e di San Paolo. E tale devozione si aggiunge – sia sempre strettamente unita alla memoria del Principe degli Apostoli San Pietro

.

Possono ottenere lindulgenza plenaria anche i fedeli delle varie Chiese locali che, adempiute le consuete condizioni, parteciperanno devotamente ad una sacra funzione o ad un pio esercizio pubblicamente svolti in onore dellApostolo delle Genti nei giorni della solenne apertura e chiusura dellAnno Paolino, in tutti i luoghi sacri, e in altri giorni determinati dallOrdinario del luogo, nei luoghi sacri intitolati a San Paolo e, per lutilità dei fedeli, in altri designati dallo stesso Ordinario.Lindulgenza plenaria è concessa anche a quei fedeli che, impediti da malattia o da altra legittima e rilevante causa e col proposito di adempiere alle consuete condizioni non appena sarà possibile, si uniscono spiritualmente ad una celebrazione giubilare in onore di San Paolo, offrendo a Dio le loro preghiere e sofferenze per lunità

dei Cristiani.

Il Decreto invita infine i sacerdoti ad essere disponibili con generosità ad accogliere le richieste dei fedeli per lascolto delle Confessioni.

Ricordiamo, con il Catechismo della Chiesa Cattolica, che l’indulgenza plenaria è la remissione totale dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa. Infatti ogni peccato, anche veniale, provoca un attaccamento malsano alle creature, che ha bisogno di purificazione. La pena temporale è dunque quanto rimane da purificare del peccato: cosa che avviene in questa vita con la preghiera, con atti di penitenza e di fervente carità, o in Purgatorio. Lindulgenza libera dalle pene temporali attingendo al cosiddetto Tesoro della Chiesa, costituito dai beni spirituali della comunione dei santi che attraverso i meriti di Cristo acquistano un infinito ed inesauribile valore presso il Padre. (A cura di Sergio Centofanti)

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