SANTA MESSA, BENEDIZIONE E IMPOSIZIONE DELLE CENERI – 26 febbraio 2020 -OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

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SANTA MESSA, BENEDIZIONE E IMPOSIZIONE DELLE CENERI – 26 febbraio 2020 -OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica di Santa Sabina

Iniziamo la Quaresima ricevendo le ceneri: “Ricordati che sei polvere, e in polvere ritornerai” (cfr Gen 3,19). La polvere sul capo ci riporta a terra, ci ricorda che veniamo dalla terra e che in terra torneremo. Siamo cioè deboli, fragili, mortali. Nel corso dei secoli e dei millenni siamo di passaggio, davanti all’immensità delle galassie e dello spazio siamo minuscoli. Siamo polvere nell’universo. Ma siamo la polvere amata da Dio. Il Signore ha amato raccogliere la nostra polvere tra le mani e soffiarvi il suo alito di vita (cfr Gen 2,7). Così siamo polvere preziosa, destinata a vivere per sempre. Siamo la terra su cui Dio ha riversato il suo cielo, la polvere che contiene i suoi sogni. Siamo la speranza di Dio, il suo tesoro, la sua gloria.
La cenere ci ricorda così il percorso della nostra esistenza: dalla polvere alla vita. Siamo polvere, terra, argilla, ma se ci lasciamo plasmare dalle mani di Dio diventiamo una meraviglia. Eppure spesso, soprattutto nelle difficoltà e nella solitudine, vediamo solo la nostra polvere! Ma il Signore ci incoraggia: il poco che siamo ha un valore infinito ai suoi occhi. Coraggio, siamo nati per essere amati, siamo nati per essere figli di Dio.
Cari fratelli e sorelle, all’inizio della Quaresima rendiamoci conto di questo. Perché la Quaresima non è il tempo per riversare sulla gente inutili moralismi, ma per riconoscere che le nostre misere ceneri sono amate da Dio. È tempo di grazia, per accogliere lo sguardo d’amore di Dio su di noi e, così guardati, cambiare vita. Siamo al mondo per camminare dalla cenere alla vita. Allora, non polverizziamo la speranza, non inceneriamo il sogno che Dio ha su di noi. Non cediamo alla rassegnazione. E tu dici: “Come posso aver fiducia? Il mondo va male, la paura dilaga, c’è tanta cattiveria e la società si sta scristianizzando…”. Ma non credi che Dio può trasformare la nostra polvere in gloria?
La cenere che riceviamo sul capo scuote i pensieri che abbiamo in testa. Ci ricorda che noi, figli di Dio, non possiamo vivere per inseguire la polvere che svanisce. Una domanda può scenderci dalla testa al cuore: “Io, per che cosa vivo?”. Se vivo per le cose del mondo che passano, torno alla polvere, rinnego quello che Dio ha fatto in me. Se vivo solo per portare a casa un po’ di soldi e divertirmi, per cercare un po’ di prestigio, fare un po’ di carriera, vivo di polvere. Se giudico male la vita solo perché non sono tenuto in sufficiente considerazione o non ricevo dagli altri quello che credo di meritare, resto ancora a guardare la polvere.
Non siamo al mondo per questo. Valiamo molto di più, viviamo per molto di più: per realizzare il sogno di Dio, per amare. La cenere si posa sulle nostre teste perché nei cuori si accenda il fuoco dell’amore. Perché siamo cittadini del cielo e l’amore a Dio e al prossimo è il passaporto per il cielo, è il nostro passaporto. I beni terreni che possediamo non ci serviranno, sono polvere che svanisce, ma l’amore che doniamo – in famiglia, al lavoro, nella Chiesa, nel mondo – ci salverà, resterà per sempre.
La cenere che riceviamo ci ricorda un secondo percorso, quello contrario, quello che va dalla vita alla polvere. Ci guardiamo attorno e vediamo polveri di morte. Vite ridotte in cenere. Macerie, distruzione, guerra. Vite di piccoli innocenti non accolti, vite di poveri rifiutati, vite di anziani scartati. Continuiamo a distruggerci, a farci tornare in polvere. E quanta polvere c’è nelle nostre relazioni! Guardiamo in casa nostra, nelle famiglie: quanti litigi, quanta incapacità di disinnescare i conflitti, quanta fatica a chiedere scusa, a perdonare, a ricominciare, mentre con tanta facilità reclamiamo i nostri spazi e i nostri diritti! C’è tanta polvere che sporca l’amore e abbruttisce la vita. Anche nella Chiesa, la casa di Dio, abbiamo lasciato depositare tanta polvere, la polvere della mondanità.
E guardiamoci dentro, nel cuore: quante volte soffochiamo il fuoco di Dio con la cenere dell’ipocrisia! L’ipocrisia: è la sporcizia che Gesù chiede di rimuovere oggi nel Vangelo. Infatti, il Signore non dice solo di compiere opere di carità, di pregare e di digiunare, ma di fare tutto questo senza finzioni, senza doppiezze, senza ipocrisia (cfr Mt 6,2.5.16). Quante volte, invece, facciamo qualcosa solo per essere approvati, per il nostro ritorno di immagine, per il nostro ego! Quante volte ci proclamiamo cristiani e nel cuore cediamo senza problemi alle passioni che ci rendono schiavi! Quante volte predichiamo una cosa e ne facciamo un’altra! Quante volte ci mostriamo buoni fuori e coviamo rancori dentro! Quanta doppiezza abbiamo nel cuore… È polvere che sporca, cenere che soffoca il fuoco dell’amore.
Abbiamo bisogno di pulizia dalla polvere che si deposita sul cuore. Come fare? Ci aiuta il richiamo accorato di san Paolo nella seconda Lettura: «Lasciatevi riconciliare con Dio!». Paolo non lo chiede, lo supplica: «Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio». (2 Cor 5,20). Noi avremmo detto: “Riconciliatevi con Dio!”. Invece no, utilizza il passivo: lasciatevi riconciliare. Perché la santità non è attività nostra, è grazia! Perché da soli non siamo capaci di togliere la polvere che ci sporca il cuore. Perché solo Gesù, che conosce e ama il nostro cuore, può guarirlo. La Quaresima è tempo di guarigione.
Che cosa fare dunque? Nel cammino verso la Pasqua possiamo compiere due passaggi: il primo, dalla polvere alla vita, dalla nostra umanità fragile all’umanità di Gesù, che ci guarisce. Possiamo metterci davanti al Crocifisso, stare lì, guardare e ripetere: “Gesù, tu mi ami, trasformami… Gesù, tu mi ami, trasformami…”. E dopo aver accolto il suo amore, dopo aver pianto davanti a questo amore, il secondo passaggio, per non ricadere dalla vita alla polvere. Si va a ricevere il perdono di Dio, nella Confessione, perché lì il fuoco dell’amore di Dio consuma la cenere del nostro peccato. L’abbraccio del Padre nella Confessione ci rinnova dentro, ci pulisce il cuore. Lasciamoci riconciliare per vivere come figli amati, come peccatori perdonati, come malati risanati, come viandanti accompagnati. Lasciamoci amare per amare. Lasciamoci rialzare, per camminare verso la meta, la Pasqua. Avremo la gioia di scoprire che Dio ci risuscita dalle nostre ceneri.

 

Publié dans : MERCOLEDI DELLE CENERI | le 17 février, 2021 |Pas de Commentaires »

Mc 1,29-39

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Publié dans : immagini sacre | le 5 février, 2021 |Pas de Commentaires »

V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) (07/02/2021)

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V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) (07/02/2021)

Un “oltre” cui affidare la nostra speranza
padre Ermes Ronchi

All’inizio della vita pubblica Gesù attraversa i luoghi dove più forte pulsa la vita: il lavoro (barche, reti, lago), la preghiera e le assemblee (la sinagoga), il luogo dei sentimenti e dell’affettività (la casa di Simone).
Gesù, liberato un uomo dal suo spirito malato, esce dalla sinagoga e “subito”, come incalzato da qualcosa, entra in casa di Simone e Andrea, dove “subito” (bella di nuovo l’urgenza, la pressione degli affetti) gli parlano della suocera con la febbre. Ospite inatteso, in una casa dove la responsabile dei servizi è malata, e l’ambiente non è pronto, non è stato preparato al meglio, probabilmente è in disordine. Grande maestro, Gesù, che non si preoccupa del disordine, di quanto di impreparato c’è in noi, di quel tanto di sporco, dell’aria un po’ chiusa delle nostre vite. E anche lei, donna ormai anziana, non si vergogna di farsi vedere da un estraneo, malata e febbricitante: lui è venuto proprio per i malati. Gesù la prende per mano, la rialza, la “risuscita” e quella casa dalla vita bloccata si rianima, e la donna, senza riservarsi un tempo, “subito”, senza dire «ho bisogno di un attimo, devo sistemarmi, riprendermi» (A. Guida) si mette a servire, con il verbo degli angeli nel deserto.
Noi siamo abituati a pensare la nostra vita spirituale come a un qualcosa che si svolge nel salotto buono, e noi ben vestiti e ordinati davanti a Dio. Crediamo che la realtà della vita nelle altre stanze, quella banale, quotidiana, accidentata, non sia adatta per Dio. E ci sbagliamo: Dio è innamorato di normalità. Cerca la nostra vita imperfetta per diventarvi lievito e sale e mano che solleva. Questo racconto di un miracolo dimesso, non vistoso, senza commenti da parte di Gesù, ci ispira a credere che il limite umano è lo spazio di Dio, il luogo dove atterra la sua potenza. Il seguito è energia: la casa si apre, anzi si espande, diventa grande al punto di poter accogliere, a sera, davanti alla soglia, tutti i malati di Cafarnao. La città intera è riunita sulla soglia tra la casa e la strada, tra la casa e la piazza. Gesù, polline di gesti e di parole, che ama porte aperte e tetti spalancati per dove entrano occhi e stelle, che ama il rischio del dolore, dell’amore, del vivere, lì guarisce.
Quando era ancora buio, uscì in segreto e pregava. Simone lo rincorre, lo cerca, lo trova: «cosa fai qui? Sfruttiamo il successo, Cafarnao è ai tuoi piedi». E Gesù comincia a destrutturare le attese di Pietro, le nostre illusioni: andiamo altrove! Un altrove che non sappiamo; soltanto so di non essere arrivato, di non potermi accomodare; un “oltre” che ogni giorno un po’ mi seduce e un po’ mi impaurisce, ma al quale torno ad affidare ogni giorno la speranza.

Publié dans : OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ | le 5 février, 2021 |Pas de Commentaires »

Una giornata a Cafarnao

paolo

Publié dans : immagini sacre | le 29 janvier, 2021 |Pas de Commentaires »

IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) (31/01/2021)

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IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) (31/01/2021)

Cristo docente delle sacre scritture nella sinagoga di Cafarnao
padre Antonio Rungi

La quarta domenica del tempo ordinario ci offre l’opportunità di riflettere su vari temi della vita cristiana: la profezia, la fedeltà alla propria vocazione alla santità, l’annuncio missionario, la liberazione dalle forze del male.
Partendo dalla prima lettura di oggi, tratta dal libro del Deuterònomio, vediamo come Dio è all’opera per suscitare in mezzo al suo popolo un profeta, capace di parlare veramente in nome di Dio, un vero e proprio portavoce del Signore, un ufficio comunicazioni divine che viene posto in essere attraverso la voce di colui che il Signore stesso indicherà e sceglierà: “Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò. Se qualcuno non ascolterà le parole che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto”. Un profeta, tuttavia, fedele a quanto comunicato da Dio, perché se tale profeta avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dèi, quel profeta dovrà morire ». Quindi assoluta coerenza e fedeltà alla parola del Signore, nessuna personale interpretazione del pensiero di Dio. Come si è a rischio, tutti, di fare dire a Dio ciò che non dice e di far dire al Vangelo o ai testi sacri in generale ciò che noi pensiamo, o interpretazioni, a modo nostro, senza un oggettivo riscontro il quello che affermiamo. Quel profeta non potrà reggere a lungo nel suo ruolo ed compito.
Di fedeltà e coerenza alla vocazione ricevuta parla anche san Paolo Apostolo nel brano della seconda lettura di questa domenica, tratto dalla prima lettera ai Corìnzi. La preoccupazione dell’Apostolo è quella di non far vivere in ansia e agitazione i cristiani di quella comunità particolarmente vivace e problematica. Scrive, infatti, che vorrebbe che fossero senza preoccupazioni: gli sposati si devono preoccupare della famiglia e non di altro; i non sposati devono avere cura della vita spirituale. Bisogna essere, in altri termini, essere fedeli alla propria scelta di vita e vocazione.
Molto importante ai fini della comprensione della parola di Dio è il vangelo di questa domenica. L’evangelista Marco ci presenta una giornata-tipica vissuta da Gesù e dai suoi discepoli: la cosiddetta “giornata di Cafarnao”.
Cafàrnao, esattamente Kefar Nahum, significa letteralmente villaggio di Nahum. E’ un’antica città della Galilea, situata sulle rive nord-occidentali del lago di Tiberiade, luogo di passaggio tra Palestina, Libano e Assiria, un importante centro commerciale, con gente composita.
Secondo i Vangeli, Gesù in questa piccola città, scelta come luogo per sostare con i suoi discepoli nei loro itinerari in Galilea e in Giudea, inizia la sua predicazione e vi compie numerosi miracoli, tra cui quello raccontato nel brano di oggi.
Durante una giornata normale, Gesù predicava e insegnava, incontrava delle persone liberandole dal male e curandole, pregava.
Vi erano poi certamente un tempo e uno spazio per mangiare con i suoi, per stare con la sua comunità e per insegnare a essa come occorreva vivere per accogliere il regno di Dio già presente in mezzo a loro.
La giornata descritta è di un sabato, giorno del Signore, durante il quale l’ebreo vive il comandamento di santificare il settimo giorno e va alla sinagoga per il culto.
Anche Gesù e i suoi discepoli si recano alla sinagoga di Cafarnao dove, dopo la lettura di un brano della Torah di Mosè e di una pericope dei Profeti, un uomo adulto poteva prendere la parola e commentare quanto era stato proclamato.
Gesù è un semplice credente del popolo di Israele, è un laico, non un sacerdote, ed esercita questo diritto.
Va all’ambone e fa la sua riflessione. Marco evidenzia il fatto che chi ascoltava Gesù rimaneva colpito dal suo insegnamento. Con questa sottolineatura l’evangelista vuole mettere risalto il fatto che gli ascoltatori erano presi da stupore all’ascoltarlo, restavano affascinati, al punto tale che commentavano dicendo che era uno che parlava con autorevolezza.
Quindi ben diverso dal modo di parlare degli scribi, degli esperti delle sacre Scritture, Gesù toccava il cuore e soprattutto impegnava la vita dell’ascoltatore.
Egli simile a Mosè, dimostra di avere un’autorevolezza inedita e rara. In lui vi è una parola che viene dalle sue profondità, una parola che nasce da un silenzio vissuto, una parola detta con convinzione e passione, una parola proclamata da uno che non solo crede a quello che dice, ma lo vive.
È soprattutto la coerenza vissuta da Gesù a conferirgli questa autorevolezza che si impone ed coinvolge. Egli sa penetrare nel cuore di ciascuno dei suoi ascoltatori, i quali sono spinti a pensare che il suo è “un insegnamento nuovo”, sapienziale e profetico insieme, una parola che viene da Dio, che scuote, “ferisce” e convince.
L’autorevolezza di Gesù si mostra subito dopo con un atto di liberazione di un uomo posseduto dal male.
Nella sinagoga c’è un uomo tormentato da uno spirito impuro, un uomo in cui il demonio è all’opera.
In quest’uomo la forza del male aveva il sopravvento, nei confronti della forza del bene. Lo spirito impuro lo aveva soggiogato.
La presenza di Gesù nella sinagoga è una minaccia per questa forza demoniaca, ed ecco allora che la verità viene gridata: “Che c’è tra noi e te, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il Santo di Dio!”.
Significativamente questo spirito impuro parla di sé al plurale, presentandosi come una schiera di forze malefiche, demoniache; come una potenza che, messa alle strette, reagisce urlando con violenza. Ma nel gridare proclama una formula di fede vera: “Tu sei il Santo di Dio”. Ma Gesù che il bene assoluto intima a quella potenza malefica di stare zitta. Gli impedisce, cioè, di fare un’affermazione di fede senza adesione, senza sequela. Quindi libera l’uomo da quella presenza devastante e il segno della liberazione è un grande urlo dello spirito impuro, che dopo aver straziandolo quel povero uomo, gridando forte, uscì definitivamente da lui.
Rivelata la vera identità di Cristo, proprio da chi è opposto a Cristo, coloro che avevano assistito al miracolo e alla scena furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: ‘Che è mai questo?
Un insegnamento nuovo, dato con autorevolezza. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!’”.
Come il testo del vangelo di oggi inizia, così termina. Gesù, infatti, insegna come uno che ha l’autorità ed a ben ragione lo può fare, in quanto è i Figlio di Dio.
Possiamo concludere che grazie alla parola nuova ed efficace di Gesù, chi l’ascolta entra in un cammino di fede e di conversione.
Il regno di Dio si è veramente avvicinato all’uomo e Gesù è sempre più riconosciuto come una presenza attraverso la quale Dio stesso parla e agisce in tutta la comunità dei credenti e su tutta la terra.
La sua parola rimane in eterno ed è valida per tutti, credenti e non credenti. Mettersi in sintonia con tale parola è camminare nella luce e nella verità e raggiungere la liberazione da ogni schiavitù e possessione diabolica e mondana.
Lo comprendiamo bene noi religiosi, che il 2 febbraio di ogni anno, celebriamo la giornata mondiale della vita consacrata. Come religioso passionista e delegato arcivescovile per la vita consacrata dell’arcidiocesi di Gaeta, auguro a tutti i religiosi e le religiose del mondo che in questo anno segnato dalla pandemia possano riscoprire la gioia di vivere e di servire il Signore in letizia e semplicità di cuore.
La XXV giornata della vita consacrata vedrà la presenza di Papa Francesco nella Basilica di San Pietro, alle ore 17,30, il quale presiederà una celebrazione eucaristica, spoglia dei segni e dei volti gioiosi che la illuminavano negli anni precedenti, eppure sempre espressione di quella gratitudine feconda che caratterizza le nostre vite.

Concludiamo la nostra riflessione con questa mia preghiera dedicata a Gesù Maestro.
A Te, Gesù Maestro,
ci rivolgiamo in questo giorno di festa,
dedicato all’ascolto della parola,
per comprendere quello che ci chiedi
da realizzare nella nostra vita
quali attenti e volenterosi ascoltatori
delle tue spiegazioni.
Come quel sabato,
nella sinagoga di Cafarnao,
affascina anche noi,
con il tuo insegnamento autorevole
capace di toccare
la nostra mente e il nostro cuore
per una sequela coraggiosa
sulle strade del tuo vangelo.
Ti chiediamo, o Gesù Maestro,
di liberarci da ogni connivenza con il male,
che spesso occupa
lo spazio della nostra esistenza
fatta di banalità e incongruenze.
Fa’, o Gesù,
che possiamo professare la nostra fede in Te,
Figlio di Dio, venuto a salvarci
dalla perdizione finale
e donaci la vera libertà spirituale. Amen.

Publié dans : OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ | le 29 janvier, 2021 |Pas de Commentaires »

dai Salmi (citazione libera mi sembra)

paolo

Publié dans : immagini sacre | le 28 janvier, 2021 |Pas de Commentaires »

PAPA FRANCESCO – UDIENZA GENERALE – 20 gennaio 2021 – La preghiera per l’unità dei cristiani

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PAPA FRANCESCO – UDIENZA GENERALE – 20 gennaio 2021 – La preghiera per l’unità dei cristiani

Biblioteca del Palazzo Apostolico

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

In questa catechesi mi soffermerò sulla preghiera per l’unità dei cristiani. Infatti, la settimana che va dal 18 al 25 gennaio è dedicata in particolare a questo, a invocare da Dio il dono dell’unità per superare lo scandalo delle divisioni tra i credenti in Gesù. Egli, dopo l’Ultima Cena, ha pregato per i suoi, «perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21). È la sua preghiera prima della Passione, potremmo dire il suo testamento spirituale. Notiamo, però, che il Signore non ha comandato ai discepoli l’unità. Nemmeno ha tenuto loro un discorso per motivarne l’esigenza. No, ha pregato il Padre per noi, perché fossimo una cosa sola. Ciò significa che non bastiamo noi, con le nostre forze, a realizzare l’unità. L’unità è anzitutto un dono, è una grazia da chiedere con la preghiera.
Ciascuno di noi ne ha bisogno. Infatti, ci accorgiamo che non siamo capaci di custodire l’unità neppure in noi stessi. Anche l’apostolo Paolo sentiva dentro di sé un conflitto lacerante: volere il bene ed essere inclinato al male (cfr Rm 7,19). Aveva così colto che la radice di tante divisioni che ci sono attorno a noi – tra le persone, in famiglia, nella società, tra i popoli e pure tra i credenti – è dentro di noi. Il Concilio Vaticano II afferma che «gli squilibri di cui soffre il mondo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo. È proprio all’interno dell’uomo che molti elementi si combattono a vicenda. […] Per cui soffre in se stesso una divisione, dalla quale provengono anche tante e così gravi discordie nella società» (Gaudium et spes, 10). Dunque, la soluzione alle divisioni non è opporsi a qualcuno, perché la discordia genera altra discordia. Il vero rimedio comincia dal chiedere a Dio la pace, la riconciliazione, l’unità.
Questo vale prima di tutto per i cristiani: l’unità può giungere solo come frutto della preghiera. Gli sforzi diplomatici e i dialoghi accademici non bastano. Gesù lo sapeva e ci ha aperto la via, pregando. La nostra preghiera per l’unità è così un’umile ma fiduciosa partecipazione alla preghiera del Signore, il quale ha promesso che ogni preghiera fatta nel suo nome sarà ascoltata dal Padre (cfr Gv 15,7). A questo punto possiamo chiederci: “Io prego per l’unità?”. È la volontà di Gesù ma, se passiamo in rassegna le intenzioni per cui preghiamo, probabilmente ci accorgeremo di aver pregato poco, forse mai, per l’unità dei cristiani. Eppure da essa dipende la fede nel mondo; il Signore infatti ha chiesto l’unità tra noi «perché il mondo creda» (Gv 17,21). Il mondo non crederà perché lo convinceremo con buoni argomenti, ma se avremo testimoniato l’amore che ci unisce e ci fa vicini a tutti.
In questo tempo di gravi disagi è ancora più necessaria la preghiera perché l’unità prevalga sui conflitti. È urgente accantonare i particolarismi per favorire il bene comune, e per questo è fondamentale il nostro buon esempio: è essenziale che i cristiani proseguano il cammino verso l’unità piena, visibile. Negli ultimi decenni, grazie a Dio, sono stati fatti molti passi in avanti, ma occorre perseverare nell’amore e nella preghiera, senza sfiducia e senza stancarsi. È un percorso che lo Spirito Santo ha suscitato nella Chiesa, nei cristiani e in tutti noi, e dal quale non torneremo più indietro. Sempre avanti!
Pregare significa lottare per l’unità. Sì, lottare, perché il nostro nemico, il diavolo, come dice la parola stessa, è il divisore. Gesù chiede l’unità nello Spirito Santo, a fare unità. Il diavolo sempre divide, perché è conveniente per lui dividere. Lui insinua la divisione, ovunque e in tutti i modi, mentre lo Spirito Santo fa sempre convergere in unità. Il diavolo, in genere, non ci tenta sull’alta teologia, ma sulle debolezze dei fratelli. È astuto: ingigantisce gli sbagli e i difetti altrui, semina discordia, provoca la critica e crea fazioni. La via di Dio è un’altra: ci prende come siamo, ci ama tanto, ma ci ama come siamo e ci prende come siamo; ci prende differenti, ci prende peccatori, e sempre ci spinge all’unità. Possiamo fare una verifica su noi stessi e chiederci se, nei luoghi in cui viviamo, alimentiamo la conflittualità o lottiamo per far crescere l’unità con gli strumenti che Dio ci ha dato: la preghiera e l’amore. Invece alimentare la conflittualità si fa con il chiacchiericcio, sempre, sparlando degli altri. Il chiacchiericcio è l’arma più alla mano che ha il diavolo per dividere la comunità cristiana, per dividere la famiglia, per dividere gli amici, per dividere sempre. Lo Spirito Santo ci ispira sempre l’unità.
Il tema di questa Settimana di preghiera riguarda proprio l’amore: “Rimanete nel mio amore: produrrete molto frutto” (cfr Gv 15,5-9). La radice della comunione è l’amore di Cristo, che ci fa superare i pregiudizi per vedere nell’altro un fratello e una sorella da amare sempre. Allora scopriamo che i cristiani di altre confessioni, con le loro tradizioni, con la loro storia, sono doni di Dio, sono doni presenti nei territori delle nostre comunità diocesane e parrocchiali. Cominciamo a pregare per loro e, quando possibile, con loro. Così impareremo ad amarli e ad apprezzarli. La preghiera, ricorda il Concilio, è l’anima di tutto il movimento ecumenico (cfr Unitatis redintegratio, 8). Sia pertanto, la preghiera, il punto di partenza per aiutare Gesù a realizzare il suo sogno: che tutti siano una cosa sola.

Publié dans : PAPA FRANCESCO UDIENZE | le 28 janvier, 2021 |Pas de Commentaires »
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