Mons. Gianfranco Ravasi : Inno alla carità (1Cor 13)
dal sito:
http://www.novena.it/ravasi/ravasi2000/articoli2000.htm
MONS. GIANFRANCO RAVASI
INNO ALLA CARITÀ
Nell’atmosfera luminosa e gioiosa della Pasqua e alle soglie del mese primaverile di maggio che è scelto da molti fidanzati per la celebrazione delle loro nozze abbiamo pensato di ricorrere a una pagina bellissima della Bibbia, al celebre canto dell’agape, cioè dell’amore cristiano che Paolo ha intessuto nel capitolo 13 della sua prima Lettera ai Corinzi: «Se pure parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi l’amore, sarei un bronzo echeggiante o un cembalo tintinnante…». Ci spiace di non poter citare integralmente questo inno meraviglioso; possiamo, però, invitare i nostri lettori a rileggerlo su una loro Bibbia.
Significativa è la scelta del vocabolo da parte dell’apostolo: i Greci per indicare l’amore usavano soltanto il termine eros; Paolo preferisce agape che esprime soprattutto la donazione, la totalità, la consacrazione di sé all’altro, mentre l’eros suppone ancora possesso, godimento e appagamento. L’apostolo ci ricorda che anche tre doni altissimi, come la profezia, la conoscenza e la fede, se privi dell’amore, sono uno zero. La stessa generosità eroica e il distacco dai beni, se non animati dall’amore, sono solo atti di autoglonficazione o gesti spettacolari.
Un profeta brasiliano contemporaneo, Paulo Suess, ha così ripreso la prima parte dell’inno paolino: «Anche se parlassi la lingua di tutte le tribù viventi / e persino dei popoli scomparsi dalla terra e dalla memoria, / se non ho l’amore, / sono un trombone di gelida latta, un computer trilingue. / Anche se distribuissi tutte le mie scarpe e i viveri / per soccorrere il popolo scarso e denutrito, se non ho l’amore, / sono una delle tante Cavie rivoluzionarie, / un cacciatore di farfalle o un poeta sognatore».
La seconda parte dell’inno – che per la precisione inizia nel v. 4 del capitolo 13 – è simile a un fiore i cui petali sono altrettante qualità dell’amore-agape: magnanimità, bontà, umiltà, disinteresse, generosità, rispetto, benignità, perdono, giustizia, verità, tolleranza, costanza… E il corteo delle virtù che accompagnano l’amore. Se l’amore si spegnesse, le virtù umane e religiose si eclisserebbero.
Il nostro scrittore Giovanni Teston (1923-1993) ha voluto tradurre nel 1991 la prima Lettera ai Corinzi in una forma quasi poetica e ha esaltato in modo sorprendente la forza dolce di questo canto profondamente evangelico.
Ma un altro scrittore, l’autore della famosa Fattoria degli animali, l’inglese George Orwell, in un suo romanzo Fiorirà l’aspidistra (1936) compirà un audace stravolgimento dell’inno paolino, una deformazione che è purtroppo reale nella storia dell’umanità. Egli, infatti, ha sostituito alla parola amore-agape quella quasi antitetica del “denaro”. Il canto si è, allora, trasformato in questa lode biasfema dell’idolo più venerato dagli uomini:
«Anche se parlassi tutte le lingue, se non ho denaro, divengo un bronzo risonante… Se non ho denaro, non sono nulla… Il denaro tutto crede, tutto spera, tutto sopporta…». Il poeta latino Ovidio nella sua Ars amatoria era convinto che «con l’oro ci si procura anche l’amore» (2,278). In realtà con l’oro si può acquistare il sesso ma non l’amore.