SALMO 1 – LA VIA DEL GIUSTO (G. RAVASI)
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http://www.apostoline.it/riflessioni/salmi/Salmo1.htm
I SALMI CANTI SUI SENTIERI DI DIO
GIANFRANCO RAVASI
La via del giusto (Salmo 1)
Il nostro viaggio « sui sentieri di Dio » cantando i Salmi, « i canti del Signore », ha ora una svolta. Nei mesi che ci stanno di fronte selezioneremo alcuni salmi che presentano le grandi scelte della creatura umana, la sua vocazione, l’orientamento fondamentale della vita. Lo facciamo ora col Salmo 1, la cui prima parola in ebraico comincia con la prima lettera dell’alfabeto ebraico (‘alef), mentre l’ultima parola si chiude con l’ultima lettera dell’alfabeto (tau): il salmo, che fa da portale d’ingresso alla collezione delle preghiere bibliche, sintetizza in sé l’arco intero delle parole, cioè della vita. Il canto raccoglie al suo interno una beatitudine e una maledizione destinate a due vie, cioè a due destini, quello del giusto e quello dell’empio. Anche la sua struttura poetica è distribuita su un dittico che sviluppa due ritratti: i vv.1-3 contengono il disegno della fisionomia del giusto, mentre nei vv.4-6 appare la figura dell’empio. La brevità della composizione e la sua essenzialità sono però sostenute da una simbologia efficace e pittoresca.
Domina innanzitutto l’immagine delle due vie, un motivo classico nella Bibbia ove è sinonimo di scelta, di decisione vitale e morale: « La via dei giusti è come la luce dell’alba, che aumenta lo splendore fino al meriggio. La via degli empi è come oscurità » (Proverbi 4,18-19). Significativa è questa dichiarazione del Deuteronomio: « Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e la morte la benedizione e la maledizione: scegli dunque… » (30,15.19). le due strade sono poi dipinte a colori vivaci attraverso un’altra simbologia di tipo vegetale-agricolo.
In un panorama desertico e assolato come quello palestinese un albero verdeggiante e carico di frutti, posto lungo una corrente di acqua viva, diventa un simbolo parlante di gioia, di prosperità e, quindi, di giustizia premiata. L’immagine era già stata usata da Geremia: « Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. Egli è come un albero piantato lungo l’acqua, verso la corrente stende le sue radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi; nell’anno della siccità non intristisce, non smette di produrre i suoi frutti » (17,7-8). Alla solidità dell’albero, si oppone la vacuità della pula, arida, leggera e inconsistente. Una lunga tradizione biblica equipara l’empietà a questa realtà inutile e impalpabile. Come è noto, nei Vangeli l’immagine diventa l’annunzio del giudizio di Cristo fatto dal Battista: « Egli ha in mano il ventilabro per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula la brucerà con fuoco inestinguibile » (Luca 3,17).
Entriamo ora nel testo vero e proprio del carme. Nella prima tavola del dittico abbiamo il giusto e la sua via descritta negativamente e positivamente (vv.1-3). Scegliamo le battute principali.
Beato l’uomo che non segue il consiglio degli empi,
non indugia nella via dei peccatori
e non siede in compagnia degli stolti,
ma si compiace della legge del Signore,
la sua legge medita giorno e notte.
È interessante notare la progressione dei verbi del v.1, che traccia con finezza la psicologia della tentazione e della caduta. Il primo verbo è un semplice « seguire », è un « andare », ed esprime una curiosità ancora superficiale nei confronti del male. Ad esso succede il più duraturo « indugiare », un fermarsi in ascolto, e alla fine si giunge all’acquiescenza durevole, alla partecipazione totale, alla connivenza abituale, cioè al « sedere in compagnia degli stolti ». Il giusto è colui che sa vincere in pienezza questa tentazione in tutti i suoi gradi.
A questa descrizione in negativo si contrappone in positivo la « via » propria del giusto. Essa è fondata sull’adesione alla « legge » di Dio, che non è una cappa di piombo di norme, di precetti e di prescrizioni, ma è la rivelazione divina a cui deve rispondere l’adesione gioiosa dell’uomo. Il vocabolo « legge » è ripetuto due volte quasi a marcarne la centralità; è una celebrazione istintiva della parola di Dio, della Bibbia, quindi. La Bibbia diventa norma di vita ma con un atteggiamento gioioso non legalistico perché « la legge del Signore è perfetta, ristora l’anima, la testimonianza del Signore è verace, rende saggia la mente. Gli ordini del Signore sono giusti, fanno gioire il cuore, i comandi del Signore sono radiosi, dànno luce agli occhi » (Salmo 19,8-9).
Il ritratto dell’empio e della sua « via » occupa invece i vv.4-6 dei quali citiamo solo le battute principali.
Non reggeranno gli empi nel giudizio,
né i peccatori nell’assemblea dei giusti…
La via degli empi andrà in rovina.
L’elemento fondamentale è posto in quel verbo « reggere ». Il senso del termine è carico di allusioni processuali, militari ed anche fisiche. Gli empi non potranno ergersi sicuri nella stessa storia umana. Emerge da questa righe l’ottimismo caratteristico di un certi tipo di sapienza biblica convinta che già ora e qui Dio interviene raddrizzando e giudicando questa sghemba storia umana. Tuttavia l’immagine si apre anche su un futuro: gli empi non potranno « alzarsi a parlare » nel giudizio finale, non riusciranno a « reggere » di fronte alle accuse di Dio e perciò saranno esclusi per sempre dalla comunità dei giusti. Dio, infatti, è il fondamento della nostra sussistenza e chi si allontana da lui si allontana dalla vita.
Questa prefazione al Salterio si trasforma, allora, in un appello vigoroso per la scelta del bene, della verità e della giustizia. La figura del giusto nella tradizione cristiana si trasformerà invece in quella del Giusto per eccellenza, il Cristo, e l’albero simbolico, come insegna già Giustino, diverrà l’albero della croce, « legno di vita che fruttifica per noi con le acque del battesimo ». Ma per tutti gli uomini che cercano la verità e la giustizia con cuore sincero il salmo può trasformarsi in un invito a seguire le scelte genuine della coscienza con coerenza e fedeltà. Già nella stele egiziana di Amenofis I, conservata al Museo Egizio di Torino, leggiamo questa « beatitudine »: « Beato chi ti possiede nel cuore! Infelice chi ti combatte, o Signore! ».
GIANFRANCO RAVASI
(da SE VUOI)
