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Omelia 31 ottobre 2010 – 2 Tessalonicesi 1,11 – 2,2 : Il ritardo della parusia

dal sito:

http://www.nicodemo.net/NN/ms_pop_vedi2.asp?ID_festa=252

2 Tessalonicesi 1,11 – 2,2

Il ritardo della parusia

La lettera si apre con un prescritto (2Ts 1,1-2) a cui fa seguito il ringraziamento tipico delle lettere paoline (2Ts 1,3-12). A questo punto si situa il brano centrale riguardante la venuta del Signore (2,1-12). Vengono poi alcune esortazioni (2,13 – 3,15) e il postscritto (3,16-18). Il brano liturgico abbraccia i due versetti finali del ringraziamento iniziale e i due iniziali del brano centrale.

Nel ringraziamento epistolare (1,3-12) l’autore esprime la sua soddisfazione perché i destinatari sopportano coraggiosamente persecuzioni e tribolazioni, nella certezza che un giorno, al momento della venuta del Signore, le posizioni si riverseranno: i giusti saranno premiati e gli empi duramente puniti. Il linguaggio è quello dell’apocalittica giudaica. In chiusura, nel testo ripreso dalla liturgia, appare il motivo della supplica: «Per questo preghiamo continuamente per voi, perché il nostro Dio vi renda degni della sua chiamata e, con la sua potenza, porti a compimento ogni proposito di bene e l’opera della vostra fede, perché sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù in voi, e voi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e del Signore Gesù Cristo» (1,11-12). Nella prospettiva della venuta di Cristo, giudice ultimo, si fa opportuna l’intercessione per i destinatari. Non basta la loro buona volontà, si richiede che Dio stesso li renda degni della sua chiamata e sostenga i loro sforzi, affinché possano attuare i desideri di bene a cui li spinge la loro fede. Il sostegno della grazia di Dio e di Cristo è necessario ai credenti perché il nome di Cristo, cioè Cristo stesso, sia glorificato in loro ed essi possano partecipare alla glorificazione del Signore Gesù Cristo.

Con 2,1 inizia il brano più importante della lettera, nel quale l’autore intende correggere le attese escatologiche della comunità: «Riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e al nostro radunarci con lui, vi preghiamo, fratelli, di non lasciarvi troppo presto confondere la mente e allarmare né da ispirazioni né da discorsi, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia già presente» (2,1-2). Lo scopo esortativo appare subito in apertura: «Vi preghiamo … ». Il tema di questa esortazione è quello della «venuta» (parousia) del Signore e della nostra riunione (episynagôgê) con lui (v. 1). I tessalonicesi non devono lasciarsi portare fuori strada da nessuna «ispirazione» (pneuma, spirito), «parola» (logos) o «lettera» (epistolê) fatte passare come sue, in base alle quali si afferma che il giorno del Signore, cioè cioè l’avvenimento glorioso della sua venuta finale, sia «imminente» (enestêken, ormai incombente) (v. 2). Di fronte all’entusiasmo sognatore di alcuni è urgente richiamare tutti alla realtà del presente e alle responsabilità concrete di ciascuno. Indirettamente però il brano corregge anche la prospettiva escatologica della Prima lettera ai Tessalonicesi che accentuava l’imminenza della venuta futura di Cristo. È interessante che al momento della stesura della lettera venivano fatti circolare detti e lettere attribuiti falsamente all’apostolo. Anche questa è probabilmente una lettera non scritta da Paolo, ma l’autore pensa di rappresentare il genuino pensiero dell’apostolo.

Termina qui il testo liturgico. Nel seguito del brano si afferma che prima della fine dovrà manifestarsi «l’uomo iniquo, il figlio della perdizione», il quale farà di tutto per mettersi al posto di Dio (2,3-4; cfr. Dn 11,36-39). Sebbene il mistero dell’iniquità sia già in atto, la manifestazione dell’uomo iniquo però è ancora lontana, perché è impedita da un misterioso ostacolo (2,6-8). Quando esso sarà tolto di mezzo l’uomo iniquo si manifesterà, ma sarà subito eliminato dal Signore Gesù nel momento stesso della sua venuta. Circa l’identità di questo ostacolo sono state fatte le ipotesi più diverse: alcuni vi hanno visto l’impero romano, altri la preghiera della Chiesa, altri ancora un decreto divino, oppure lo Spirito Santo, o l’arcangelo Michele oppure infine la predicazione del vangelo. Nessuna di tali ipotesi si è dimostrata pienamente soddisfacente: perciò si può supporre che l’ostacolo non sia altro che la volontà divina che governa le vicende di questo mondo.

Linee interpretative

Nel periodo successivo alla scomparsa di Paolo le comunità che si rifacevano alla sua predicazione hanno dovuto affrontar situazioni nuove, che l’apostolo non aveva personalmente preso in considerazione. Nel tentativo di trovare una soluzione la “scuola paolina” ha selezionando, tra i tanti tentativi di elaborare anche in forma di lettera il messaggio di Paolo, quelli che sembravano più coerenti con il suo insegnamento.

L’attesa impaziente della venuta imminente del Signore aveva provocato numerosi problemi nella vita delle comunità. Senza dubbio l’effetto più grave era quello di un disimpegno a tutti i livelli, soprattutto nella vita sociale, dove si manifestava un parassitismo sostenuto anche da tensioni tipiche della società di allora. In questo contesto era dunque necessario riprendere l’insegnamento di Paolo per mostrare che in esso non era contenuta la dimensione specifica di imminenza che tanti vi leggevano. La stesura in nome di Paolo di una lettera che portasse le sue indicazioni per risolvere il problema era lo strumento più facile da usare. Da questa preoccupazione ha origine la seconda lettera ai Tessalonicesi.

L’autore, che si presenta come l’apostolo Paolo, non entra in discussione sui temi specifici delle attese dei cristiani, ma afferma che le sofferenze e i disastri attuali non devono essere visti come segno di una fine imminente. Quando questo momento verrà, non sarà difficile rendersene conto. Per ora era importante affrontare la crisi senza fughe in avanti, senza dare spazio a illusioni che potevano tagliare le gambe alla comunità. Perciò l’autore, proprio dicendo qualcosa che non collima con l’insegnamento esplicito dell’apostolo, è sicuro di essere fedele al suo pensiero. Questo intervento mantiene in vigore l’attesa apocalittica, anzi la rinforza, mettendo in discussione solo l’aspetto di imminenza. Tuttavia concorre a far sì che la prospettiva escatologica venga meno, offuscando anche l’attesa del regno di Dio così fortemente inculcata da Gesù e con essa l’impegno per un mondo migliore.

DOMENICA 31 OTTOBRE 2010 – XXXI DEL TEMPO ORDINARIO

DOMENICA 31 OTTOBRE 2010 - XXXI DEL TEMPO ORDINARIO dans BIBLE SERVICE (sito francese)

Zaccheo

http://www.psgna.org/vangelo/arch0607/05Ord/31OrdC.htm

DOMENICA 31 OTTOBRE 2010 – XXXI DEL TEMPO ORDINARIO

MESSA DEL GIORNO LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/ordinC/C31page.htm

MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura  2 Ts 1,11 – 2,2
Sia glorificato il nome di Cristo in voi, e voi in lui.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi
Fratelli, preghiamo continuamente per voi, perché il nostro Dio vi renda degni della sua chiamata e, con la sua potenza, porti a compimento ogni proposito di bene e l’opera della vostra fede, perché sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù in voi, e voi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e del Signore Gesù Cristo.
Riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e al nostro radunarci con lui, vi preghiamo, fratelli, di non lasciarvi troppo presto confondere la mente e allarmare né da ispirazioni né da discorsi, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia già presente.

http://www.bible-service.net/site/377.html

2 Thessaloniciens 1,11 – 2,2
Ce texte se présente comme une charnière entre la prière de l’Apôtre pour la communauté et un appel exhortatif à ne pas se laisser alarmer. Paul débute toutes ses lettres par une action de grâce. Ici, elle est motivée par les progrès dans la foi et la charité vécus par les chrétiens de Thessalonique. Sa prière culmine dans une intercession, une prière continuelle pour les communautés qu’il a fondées. Le but devient la glorification du Christ comme celle des chrétiens. La vie de foi de la communauté fait resplendir la gloire du Christ, et en retour la communauté participe à la gloire du Christ. Mais cette glorification, si elle est déjà commencée, n’est pas encore manifesté ; les chrétiens n’ont rien à craindre de la venue du Seigneur, ils n’ont pas à se laisser troubler par de fausses révélations qui renaissent sans cesse à chaque époque de l’histoire. Ce jour du Seigneur est à attendre dans la foi, non dans l’agitation et la peur.
 
2 Tessalonicesi 1,11-2,2
Il testo suona come una cerniera tra la preghiera dell’Apostolo alla comunità e un invito esortativo per evitare di essere spaventati. Paolo inizia la sua lettera con una azione di grazie. Qui è motivata dai progressi nella fede e la carità vissuta dai cristiani di Tessalonica. La sua preghiera culmina con una intercessione, una preghiera continua per le comunità da lui fondate. Lo scopo è la glorificazione di Cristo, come i cristiani. La vita di fede della comunità fa brillare la gloria di Cristo, e in cambio la comunità partecipa alla gloria di Cristo. Ma questa glorificazione, se già iniziata, non è ancora manifestata; i cristiani non hanno nulla da temere dalla venuta del Signore, non devono essere turbati da false rivelazioni che continuano ad emergere in ogni tempo della storia. Il giorno del Signore si deve attendere con fede, non in in agitazione e paura.

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dalla Costituzione pastorale «Gaudium et spes» del Concilio ecumenico Vaticano II sulla Chiesa nel
mondo contemporaneo (Nn. 78)

Promuovere la pace
La pace non è semplicemente assenza di guerra, né si riduce solamente a rendere stabile l’equilibrio delle forze contrastanti e neppure nasce da un dominio dispotico, ma si definisce giustamente e propriamente «opera della giustizia» (Is 32,17). Essa è frutto dell’ordine impresso nella società umana dal suo fondatore. È un bene che deve essere attuato dagli uomini che anelano ad una giustizia sempre più perfetta.
Il bene comune del genere umano è regolato nella sua sostanza dalla legge eterna, ma, con il passare del tempo, è soggetto, per quanto riguarda le sue esigenze concrete, a continui cambiamenti. Perciò la pace non è mai acquisita una volta per tutte, ma la si deve costruire continuamente. E siccome per di più la volontà umana è labile e, oltre tutto, ferita dal peccato, l’acquisto della pace richiede il costante dominio delle passioni di ciascuno e la vigilanza della legittima autorità.
Tuttavia questo non basta ancora. Una pace così configurata non si può ottenere su questa terra se non viene assicurato il bene delle persone e se gli uomini non possono scambiarsi in tutta libertà e fiducia le ricchezze del loro animo e del loro ingegno. Per costruire la pace, poi, sono assolutamente necessarie la ferma volontà di rispettare gli altri uomini e gli altri popoli, l’impegno di ritener sacra la loro dignità e, infine, la pratica continua della fratellanza. Così la pace sarà frutto anche dell’amore, che va al di là di quanto la giustizia da sola può dare.
La pace terrena, poi, che nasce dall’amore del prossimo, è immagine ed effetto della pace di Cristo che promana da Dio Padre. Infatti lo stesso Figlio di Dio, fatto uomo, principe della pace, per mezzo della sua croce ha riconciliato tutti gli uomini con Dio e, ristabilendo l’unità di tutti in un solo popolo e in un solo corpo, ha distrutto nella sua carne l’odio (cfr. Ef 2,16; Col 1,20.22). Nella gloria della sua risurrezione ha diffuso nei cuori degli uomini lo Spirito di amore.
Perciò tutti i cristiani sono fortemente chiamati a vivere secondo la verità nella carità» (Ef 4,15) e a unirsi con gli uomini veramente amanti della pace per implorarla e tradurla in atto.
Mossi dal medesimo Spirito, non possiamo non lodare coloro che, rinunziando ad atti di violenza nel rivendicare i loro diritti, ricorrono a quei mezzi di difesa che sono del resto alla portata anche dei più deboli, purché questo si possa fare senza ledere i diritti e i doveri degli altri o della comunità.

« Predicazione e preghiera »: II Tessalonicesi 3,1-5

dal sito:

http://www.firenzevaldese.chiesavaldese.org/archivi/meditazioni/predicazione_e_preghiera.html

« Predicazione e preghiera »

(CHIESA VALDESE)

II Tessalonicesi 3,1-5

Se questo breve testo tratto dalla II Tess. fosse un frammento di una relazione morale significherebbe una valutazione assai positiva della comunità di Tessalonica. Basta vedere il primo capitolo della Seconda lettera ai Tessalonicesi. È una comunità di cui l’autore dello scritto si fida pienamente, un in cui l’azione di Dio si manifesta con costanza generando una vita di preghiera e di servizio. Insomma un auspicio per la nostra comunità di Firenze.

Dal punto di vista dell’esegesi neotestamentaria è però evidente l’evoluzione avvenuta nel seno di questa comunità. Lo vediamo chiaramente, paragonando le due epistole indirizzate ai Tessalonicesi. Nella prima vediamo una forte tensione escatologica, in altre parole la maggior parte dei credenti di Tessalonica è convinta che la fine del mondo sia eminente e quindi le fatiche ordinarie, il lavoro quotidiano incluso, non hanno più senso. Nella seconda non si vede più questa tensione: la comunità vive la sua fede in maniera serena; la data esatta della risurrezione universale, della piena manifestazione di Cristo non sembra essere la principale preoccupazione; il punto centrale dello scritto è la perseveranza durante le persecuzioni.

Questa differenza ha indotto diversi studiosi a considerare la II Tess. uno scritto post-paolino. La chiesa di Tessalonica sarebbe in tale prospettiva un esempio di un’evoluzione del comune sentire delle comunità cristiane delle origini. Il v. 5 costituisce in questo caso una sorta di programma: Il Signore diriga i vostri cuori all’amore di Dio e alla paziente attesa di Cristo. La versione della nostra Bibbia Nuova Riveduta è in questo caso già un’interpretazione teologica. Il testo greco parla della ‘hypomonê tou Christou’, in altre parole la pazienza, o meglio la perseveranza di Cristo.Non si tratta di imitare Gesù torturato dai suoi aguzzini. Questa perseveranza è piuttosto una qualità che Cristo Gesù conferisce a chi crede in lui.

Stamattina vorrei però concentrarmi sul primo versetto del nostro testo: Del resto, fratelli, pregate per noi, affinché la parola del Signore possa spandersi rapidamente e sia glorificata, come lo è fra voi. Ho detto già che questa frase denota uno stato di salute spirituale particolarmente buono: i Tessalonicesi sperimentano pienamente l’azione della Parola di Dio, sono profondamente radicati in essa – questo è il significato dell’espressione “la Parola di Dio glorificata”.

La questione teologica che emerge da questo breve versetto è invece il rapporto tra predicazione e preghiera. Nel versetto che stiamo esaminando l’autore dello scritto chiede di essere sostenuto con le preghiere dei Tessalonicesi. All’inizio dello scritto (1,11) vediamo però che l’apostolo prega per la comunità dei Tessalonicesi. Si tratta dunque di un movimento bidirezionale. In parole semplici posso affermare che la predicazione non esiste senza la preghiera. Chi predica deve pregare – questo è ovvio.

Dietrich Bonhoeffer scrive a questo proposito parole stupende: «Il lavoro concernete la predicazione inizia con la preghiera prima dello studio del testo. La predicazione non è una conferenza in cui sviluppo le mie idee; non si tratta della mia parola ma della parola che è proprietà di Dio. Perciò invoco lo Spirito santo perché sia lui a parlare. Vieni, Signore, ed abbi cura degli esseri umani per mezzo della tua parola che vuoi annunciare con la mia bocca! Questa preghiera fa parte dell’ordine costitutivo del lavoro e non di un aspetto edificante».

È un po’ meno ovvio che ogni membro di chiesa dovrebbe pregare affinché la parola di Dio si spanda. Visitando le persone anziane e malate avverto spesso il dolore generato dall’impossibilità di partecipare al culto domenicale. Credo tuttavia che queste persone hanno all’interno di una chiesa una loro vocazione particolare: quella di pregare, di intercedere affinché la chiesa tutta quanta renda testimonianza fedele alla Parola di Dio.

Predicazione del pastore Pawel Gajewski, Domenica 22 Giugno Chiesa Evangelica Valdese di Firenze

DOMENICA 31 GENNAIO 2010 – IV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

DOMENICA 31 GENNAIO 2010 - IV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C dans Lettera ai Corinti - prima 17%20NAGEL%20CAMBRAI%20ST%20PAUL

Saint Paul Description : vers 1600 Auteur : Nagel Jan (vers 1550/1560-1616 ?)

(l’immagine è dedicata per la seconda lettura)

http://www.artbible.net/2NT/PORTRAITS%20OF%20%20PAUL/index7.html

DOMENICA 31 GENNAIO 2010 – IV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

MESSA DEL GIORNO LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/ordinC/C04page.htm

MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura    1 Cor 12,31-13,13 forma breve  13, 4-13
Rimangono la fede, la speranza, la carità; ma la più grande di tutte è la carità.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi  
Fratelli, desiderate intensamente i carismi più grandi. E allora, vi mostro la via più sublime.
Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita.
E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo, per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe.
[ La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino.
Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità! ]

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla prima lettera ai Tessalonicesi di san Paolo, apostolo 1, 1 – 2, 12

Sollecitudine di san Paolo per la chiesa di Tessalonica
Paolo, Silvano e Timòteo alla chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo: grazia a voi e pace! Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo. Noi ben sappiamo, fratelli amati da Dio, che siete stati eletti da lui. Il nostro vangelo, infatti, non si è diffuso fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con potenza e con Spirito Santo e con profonda convinzione, come ben sapete che siamo stati in mezzo a voi per il vostro bene.
E voi siete diventati imitatori nostri e del Signore, avendo accolto la parola con la gioia dello Spirito Santo anche in mezzo a grande tribolazione, così da diventare modello a tutti i credenti che sono nella Macedonia e nell’Acaia. Infatti la parola del Signore riecheggia per mezzo vostro non soltanto in Macedonia e nell’Acaia, ma la fama della vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, di modo che non abbiamo più bisogno di parlarne. Sono loro infatti a parlare di noi, dicendo come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti a Dio, allontanandovi dagli idoli, per servire al Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, che ci libera dall’ira ventura.
Voi stessi infatti, fratelli, sapete bene che la nostra venuta in mezzo a voi non è stata vana. Ma dopo avere prima sofferto e subìto oltraggi a Filippi, come ben sapete, abbiamo avuto il coraggio nel nostro Dio di annunziarvi il vangelo di Dio in mezzo a molte lotte. E il nostro appello non è stato mosso da volontà di inganno, né da torbidi motivi, né abbiamo usato frode alcuna; ma come Dio ci ha trovati degni di affidarci il vangelo così lo predichiamo, non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio, che prova i nostri cuori. Mai infatti abbiamo pronunziato parole di adulazione, come sapete, né avuto pensieri di cupidigia: Dio ne è testimone. E neppure abbiamo cercato la gloria umana, né da voi né da altri, pur potendo far valere la nostra autorità di apostoli di Cristo. Invece siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature. Così affezionati a voi, avremmo desiderato darvi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari.
Voi ricordate infatti, fratelli, la nostra fatica e il nostro travaglio: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno vi abbiamo annunziato il vangelo di Dio. Voi siete testimoni, e Dio stesso è testimone, come è stato santo, giusto, irreprensibile il nostro comportamento verso di voi credenti; e sapete anche che, come fa un padre verso i propri figli, abbiamo esortato ciascuno di voi, incoraggiandovi e scongiurandovi a comportarvi in maniera degna di quel Dio che vi chiama al suo regno e alla sua gloria.

Responsorio    Cfr. 1 Ts 1, 9; 3, 12. 13
R. Vi siete convertiti per servire al Dio vivo e attendere dai cieli il suo Figlio, risorto dai morti, * che ci libera dall’ira futura.
v. Dio vi faccia abbondare nell’amore, renda saldi e irreprensibili i vosti cuori nella santità,
R. che ci libera dall’ira futura.

Seconda Lettura
Dalla «Lettera ai cristiani di Smirne» di sant’Ignazio di Antiochia, vescovo e martire   (Intr.; Capp. 1, 1 -4, 1 Funk 1, 235-237)

Cristo ci ha chiamati al suo regno e alla sua gloria
Ignazio, detto anche Teoforo, si rivolge alla chiesa di Dio e del diletto Figlio suo Gesù Cristo. A questa chiesa, che si trova a Smirne in Asia, augura di godere ogni bene nella purezza dello spirito e nella parola di Dio: essa ha ottenuto per divina misericordia ogni grazia, è piena di fede e di carità e nessun dono le manca. E’ degna di Dio e feconda di santità.
Ringrazio Gesù Cristo Dio che vi ha resi così saggi. Ho visto infatti che siete fondati su una fede incrollabile, come se foste inchiodati, carne e spirito, alla croce del Signore Gesù Cristo, e che siete pieni di carità nel sangue di Cristo. Voi credete fermamente nel Signore nostro Gesù, credete che egli discende veramente «dalla stirpe» di Davide secondo la carne» (Rm 1, 3) ed è figlio di Dio secondo la volontà e la potenza di Dio; che nacque veramente da una vergine; che fu battezzato da Giovanni per adempiere ogni giustizia (cfr. Mt 3, 15); che fu veramente inchiodato in croce per noi nella carne sotto Ponzio Pilato e il tetrarca Erode. Noi siamo infatti il frutto della sua croce e della sua beata passione. Avete ferma fede inoltre che con la sua risurrezione ha innalzato nei secoli il suo vessillo per riunire i suoi santi e i suoi fedeli, sia Giudei che Gentili, nell’unico corpo della sua Chiesa.
Egli ha sofferto la sua passione per noi, perché fossimo salvi; e ha sofferto realmente, come realmente ha risuscitato se stesso.
Io so e credo fermamente che anche dopo la risurrezione egli è nella sua carne. E quando si mostrò a Pietro e ai suoi compagni, disse loro: Toccatemi, palpatemi e vedete che non sono uno spirito senza corpo (cfr. Lc 24, 39). E subito lo toccarono e credettero alla realtà della sua carne e del suo spirito. Per questo disprezzarono la morte e trionfarono di essa. Dopo la sua risurrezione, poi, Cristo mangiò e bevve con loro proprio come un uomo in carne ed ossa, sebbene spiritualmente fosse unito al Padre.
Vi ricordo queste cose, o carissimi, quantunque sappia bene che voi vi gloriate della stessa fede mia.

Responsorio    Cfr. Gal 2, 19-20
R. Sono morto alla legge, e vivo per Dio. Vivo questa mia vita terrena nella fede del Figlio di Dio, * che mi ha amato e ha dato se stesso per me.
V. Con Cristo sono crocifisso: non sono più io che vivo, ma vive in me Cristo,
R. che mi ha amato e ha dato se stesso per me.

SECONDI VESPRI

Lettura Breve   Eb 12, 22-24
Voi vi siete accostati al monte di Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti portati alla perfezione, al Mediatore della Nuova Alleanza e al sangue dell’aspersione dalla voce più eloquente di quello di Abele

LA SECONDA LETTERA DI SAN PAOLO AI TESSALONICESI (PROF. BUSCEMI)

LA SECONDA LETTERA DI SAN PAOLO AI TESSALONICESI

 

qualche considerazione preliminare:

la 2 Lettera di San Paolo ai Tessalonicesi è una di quelle sulle quali si dubita della autenticità;

se è di Paolo dovrebbe essere scritta nel 50/51, se non è di Paolo nell’80/90; queste sono le datazione proposte da Buscemi;

ho studiato, sia pure nei limiti consentiti dall’enorme materiale scritto in proposito, sul problema dell’autenticità in vista di una presentazione preliminare della lettera; devo dire che i pareri sono divergenti e che non mi sembra che ce ne sia uno definitivo; ho considerato i problemi posti da un biblista – stavo quasi per proporre quella lettura – ma poi non mi sono sembrati definitivi e, direi, forse, neppure del tutto coerenti; ho ripreso in mano il testo del Prof Buscemi, l’introduzione al Nuovo Testamento già utilizzata di Wikenhauser A. – Schmid J, e l’introduzione delle lettere della Bibbia Cei;

I motivi per i quali il testo del Wikenhauser-Schmid propendo per la non autenticià sono fondamentalmente:

1. Paolo non fa riferimento alla prima lettera se vuole integrarla;

2. Nella prima lettera Paolo usa i termine Dio dove nella seconda utilizza il termine « Signore »;

3. Accanto alla teologia paolina che un autore successivo poteva conoscere, vi sono contenuti teologici « scoloriti » dal linguaggio didascalico;

4. utilizzo della teologia apocalittica (Buscemi e CEI ed Harnack – affermano che l’apocalittica era già nell’A,T. di qui un’apocalittica di colore vetero-testamentario); anche per quello che capisco io – certo poco – l’apocalittica è presente ampiamente nell’Antico Testamento, nella scrittura che Paolo doveva consoce più che bene (io però sono un po’ di parte, seguo Buscemi)

Il Prof Buscemi propende per l’autenticità della lettera e, quindi, propongo la sua presentazione, non molto lunga, con le sue motivazioni; io devo dire che, non essendo una biblista, devo appoggiarmi a qualcosa: preferisco dare credito al mio ex professore Buscemi e alla introduzione della CEI;

aggiungo qualcosa: molti testi su San Paolo sono strettamente esegetici, naturalmente lavori importantissimi, tuttavia San Paolo per me va « compreso » come persona, so che non è facile, io credo che l’amore per l’apostolo possa far superare mote difficoltà; io in genere scelgo quei testi che mi sembrano scritti con competenza, certo, ma anche con amore; a volte trovo delle interpretazioni che mi sembrano – a me personalmente – come sezioni di una cavia da laboratorio, queste io non le metto; accolgo quindi tutto quello che è autorevole, ma anche scritto con la passione per la persona di Paolo, perché, a me sembra che non si possa leggere o studiare a lungo l’apostolo – come anche altri santi – senza alla fine innamorarsene;

metto tutte le note escluse quelle che rimandano ad altri studi; sono infatti troppi; forse con l’aiuto del professore mi sarà possibile fare una breve bibliografia di quanto può essere veramente utile;

 

stralcio dal libro: Buscemi A. M., San Paolo, vita opera messaggio, Franciscan Printing Press, Jerusalem 1996, capitolo VII, pagg. 146-148

4. Seconda Lettera ai Tessalonicesi

 

La seconda lettera ai Tessalonicesi NOTA 1, scritta alcuni mesi dopo NOTA 2., non differisce molto dalla prima; anzi va considerata come una postilla esplicativa della lettera precedente circa il problema della Parusia. Infatti, qualche membro della Chiesa di Tessalonica della lettera precedente circa il problema della Parusia. Infatti, qualche membro della Chiesa di Tessalonica molto probabilmente aveva portato notizie della comunità: le persecuzioni continuavano a minacciare la giovane Chiesa, ma i Tessalonicesi resistevano saldi nella fede, nella speranza e nell’amore fraterno (1,3-10); i soliti falsi profeti apocalittici non solo continuavano ad annunziare imminente la parusia, ma speculavano anche su certe affermazioni di Paolo (2,1-3); infine, il disfattismo e l’ipercriticismo degli oziosi seguitava a gettare discredito sul buon nome della comunità e a turbare la pace (3,11).

L’apostolo di nuovo rispose con prontezza, mettendo in risalto la costanza e pazienza dei Tessalonicesi: « Dobbiamo ringraziare continuamente Iddio per voi, fratelli, come è doveroso. La vostra fede infatti cresce e abbonda la carità di ognuno di voi tutti verso gli altri, di modo che noi stessi ci gloriamo di voi nelle Chiesa di Dio, per la vostra pazienza e fede in tutte le persecuzioni e tribolazioni da voi sopportate » (1,3-4). La loro « pazienza » è un buon inizio che li rende degni del Regno di Dio e nello stesso tempo manifesta Dio come giusto Giudice contro coloro che continuano a tribolarli con la persecuzione: essi subiranno come pena una rovina eterna (1,5-10)NOTA 3.

Dopo ciò Paolo invita i Tessalonicesi a non vivere con timore l’attesa del Signore e a non dar credito a quei fanatici che, servendosi dei carismi della profezia e della glossolalia NOTA 4 o di false lettere attribuite a Paolo, vanno predicando l’imminenza della venuta del Signore. Oltre al fatto che « il giorno del Signore viene come un ladro » (cfr 1Ts 5,2), i tessalonicesi devono tener conto dei « segni premonitori ». La parusia, infatti, sarà preceduta dall’ « apostasia » e dall’uomo del peccato, il « figlio della perdizione », « colui che avversa e si innalza sopra ogni essere che viene chiamato Dio, o che è culto, fino a sedersi lui stesso nel tempio di Dio, volendo mostrare se stesso come fosse Dio (2,3-4). Non si tratta di due « segni », ma di un solo segno premonitore, dato che l’ « apostasia » o la definizione religiosa generale sarà prodotta dalle seduzioni dell’ « uomo dell’iniquità », dall’ « Anticristo », come spesso viene chiamato NOTA 4.

i Tessalonicesi conoscono per esperienza il suo « potere seducente ». Quando egli sarà tolto di mezzo, allora ci sarà prima la « manifestazione dell’iniquo », dopo la Parusia del Signore Gesù che ucciderà l’iniquo ed eliminerà le sue seduzioni. I cristiani non debbono temere, ma perseverare, stare saldi nelle tradizioni ricevute e nella chiamata alla santità per acquistare la gloria del Signore nostro Gesù Cristo (2,1-17).

Anzi se i Tessalonicesi intendono manifestare concretamente la loro fede nella venuta del Signore, debbono comportarsi disciplinatamente e laboriosamente. Lavorare in pace, oltre che eliminare l’ozio e la detrazione, è un andare incontro al Signore con la lampada accesa e ben fornita dall’olio della carità (3,1-15). In questo atteggiamento di sana laboriosità, il Signore li confermerà nella fede, li custodirà dal Maligno (3,3) e dirigerà i loro cuori nell’amore e nella pazienza del Cristo (3,5).

———————————

NOTE:

1. (195 del testo) Se l’autenticità della 1Tess è accettata da tutti quella di 2 Tess è negata da molti esegeti che la considerano pseudonima o come un doppione per correggere certe idee sulla parusia. Ma né l’una né l’altra ipotesi può essere dimostrata. In realtà, non vi è una vera contraddizione tra l’escatologia della 1Tess e quella della 2Tess. Anche la cronologia delle due lettere è contestata: alcuni pensano che Paolo prima abbia scritto la 2Tess, perché in essa la dottrina sulla parusia è appena abbozzata, mentre nella 1 Tess è più sviluppata. Ma può essere vero anche il contrario: la 2Tess non intende svolgere tutta la problematica della parusia, ma solo chiarire un dettaglio sulla parusia. Io credo che fondamentalmente si può mantenere l’ordine cronologico tradizionale delle due lettere (cfr soprattutto Spinetoli Lettere ai Tessalonicesi, Roma 1971). (segue la nota proponendo dei testi)

2. (196 del testo) Fra le due lettere non si può ammettere una lunga distanza temporale: l massimo 2-3 mesi di differenza (cfr Cipriani, Lettere, 85).

3. (197 del testo) Sulla fede della comunità di Tessalonica come punto di partenza pe comprendere il resto della catechesi paolina sulla parusia cfr. Giblin, The Threat to Faith, 111-152.

4. (202 del testo) L’identificazione di questi eventi e personaggi escatologici è molto complessa e quindi rimandiamo ai commentari ed opere specifiche (testi…il docente nomina di nuovo Giblin e il libro citato nella nota precedente) Dopo aver presentato le diverse soluzioni (Giblin) date al problema: storico-politica e simbolica, egli crede che la migliore via sia quella apostolica. 2Tess 2 sarebbe una catechesi sulla fede, per mezzo della quale Paolo mette in guardia i fedeli di Tessalonica dal lasciarsi « afferrare » da correnti apocalittiche-carismatiche che tentano di turbarli e di traviare la loro attesa del Signore Gesù che viene (cfr. altri testi).

LETTERE DI SAN PAOLO AI TESSALONICESI – NOTA INTRODUTTIVA DEL PROF. TRIMAILLE

LETTERE DI SAN PAOLO – LETTERE AI TESSALONICESI     

stralcio dal libro: Lettere di San Paolo, Chantal Raynier – Michel Trimaille – Alòbert Vanhoye, Edizioni San Paolo Cinisello Balsamo (MI) 2000; 

di Michel Trimaille, pagg. 179-180; 

NOTA INTRODUTTIVA

Tessalonica e la sua evangelizzazione 

Seconda città in ordine d’importanza della Grecia moderna con il nome di Salonicco, Tessalonica era la capitale della provincia romana della Macedonia: Aveva ricevuto  il nome di Thessaloniké (‘vittoria in Tessaglia), sorellastra di Alessandro il Grande. All’epoca di Paolo, è una città fiorente, ben ubicata nel cuore del Golfo Termaico, collegata da due arterie romane importanti, la via Egnazia, che univa Roma a Bisanzio, e la via che risaliva dall’Acaia verso il Nord, fino al Danubio. Tale situazione aveva favorito lo sviluppo commerciale e la fioritura di ogni genere di scambi. 

La sua popolazione risultava alquanto eterogenea: la colonizzazione romana vi aveva condotto gli italici; gli orientali vi affluivano nella speranza di farvi fortuna, e Paolo vi troverà una sinagoga, testimonianza di una solida comunità giudaica. Da allora, peraltro, gli ebrei hanno sempre considerato Tessalonica come una città accogliente, nella quale hanno trovato rifugio in molte occasioni DELLA LORO STORIA DOLOROSA. Le diverse etnie avevano reato con sé un rigoglioso pantheon di divinità e di culti, almeno venti secondo le scritte rinvenute. Pare che colà, come in altre città ellenistiche, il giudaismo attirasse numerosi cittadini alla ricerca di una fede solidamente strutturata e di un codice morale dai contorni ben definiti. 

Tessalonica venne evangelizzata da Paolo, Silvano e Timoteo (1Ts1,1 e At 17, 1-9). Le circostanze sono note: nel corso del cosiddetto secondo viaggio missionario, Paolo e i suoi collaboratori, partiti a piedi da Antiochia e attraversata l’attuale Turchia centrale, s’imbarcarono a Troade e navigarono alla volta della Macedonia: Lì fondarono comunità cristiane, prima a Filippi, poi a Tessalonica e a Berea. Li ritroviamo in seguito in Acaia, ad Atene e a Corinto. Le peripezie di questo viaggio sono narrate in At 15,40 – 18,22. 

Si leggeranno, in Lettere di Paolo, I (Lettera ai Galati) – questo non l’ho messo, vuol dire che Padre J.P. Lémonon… – a sostegno dell’ipotesi che colloca questo viaggio, nel corso della vita di Paolo, in modo conforme alla cronologia delle lettere, prima della riunione a Gerusalemme narrata in Gal 2, e non dopo, come fa Luca negli Atti degli Apostoli per ragioni ecclesiologiche (At 15,1 – 18,22). Esiste dunque oggi un consenso abbastanza vasto sull’ipotesi che questo viaggio risalga alla fine dei quattordici anni che Paolo stesso calcola tra la sua prima venuta a Gerusalemme – dopo la conversione – e la seconda, quella nel corso della quale egli ottenne da Cefa, Giacomo e Giovanni l’approvazione della sua missione presso i non giudei (Gal 2,1). Ciò obbliga ad anticipare un po’ la data dell’evangelizzazione di Tessalonica, non più allinizio degli anni 50, ma verso il 48. 

Chantal Raynier – Michel Trimaille – Alòbert Vanhoye, Edizioni San Paolo Cinisello Balsamo (MI) 2000;

LETTERE DI SAN PAOLO 

di Michel Trimaille, pagg. 179-…: 

LETTERE AI TESSALONICESI 

NOTA INTRODUTTUTIva 

Tessalonica e la sua evangelizzazione 

Seconda città in ordine d’importanza della Grecia moderna con il nome di Salonicco, Tessalonica era la capitale della provincia romana della Macedonia: Aveva ricevuto  il nome di Thessaloniké (‘vittoria in Tessaglia), sorellastra di Alessandro il Grande. All’epoca di Paolo, è una città fiorente, ben ubicata nel cuore del Golfo Termaico, collegata da due arterie romane importanti, la via Egnazia, che univa Roma a Bisanzio, e la via che risaliva dall’Acaia verso il Nord, fino al Danubio. Tale situazione aveva favorito lo sviluppo commerciale e la fioritura di ogni genere di scambi. 

La sua popolazione risultava alquanto eterogenea: la colonizzazione romana vi aveva condotto gli italici; gli orientali vi affluivano nella speranza di farvi fortuna, e Paolo vi troverà una sinagoga, testimonianza di una solida comunità giudaica. Da allora, peraltro, gli ebrei hanno sempre considerato Tessalonica come una città accogliente, nella quale hanno trovato rifugio in molte occasioni DELLA LORO STORIA DOLOROSA. Le diverse etnie avevano reato con sé un rigoglioso pantheon di divinità e di culti, almeno venti secondo le scritte rinvenute. Pare che colà, come in altre città ellenistiche, il giudaismo attirasse numerosi cittadini alla ricerca di una fede solidamente strutturata e di un codice morale dai contorni ben definiti. 

Tessalonica venne evangelizzata da Paolo, Silvano e Timoteo (1Ts1,1 e At 17, 1-9). Le circostanze sono note: nel corso del cosiddetto secondo viaggio missionario, Paolo e i suoi collaboratori, partiti a piedi da Antiochia e attraversata l’attuale Turchia centrale, s’imbarcarono a Troade e navigarono alla volta della Macedonia: Lì fondarono comunità cristiane, prima a Filippi, poi a Tessalonica e a Berea. Li ritroviamo in seguito in Acaia, ad Atene e a Corinto. Le peripezie di questo viaggio sono narrate in At 15,40 – 18,22. 

Si leggeranno, in Lettere di Paolo, I (Lettera ai Galati) – questo non l’ho messo, vuol dire che Padre J.P. Lémonon… – a sostegno dell’ipotesi che colloca questo viaggio, nel corso della vita di Paolo, in modo conforme alla cronologia delle lettere, prima della riunione a Gerusalemme narrata in Gal 2, e non dopo, come fa Luca negli Atti degli Apostoli per ragioni ecclesiologiche (At 15,1 – 18,22). Esiste dunque oggi un consenso abbastanza vasto sull’ipotesi che questo viaggio risalga alla fine dei quattordici anni che Paolo stesso calcola tra la sua prima venuta a Gerusalemme – dopo la conversione – e la seconda, quella nel corso della quale egli ottenne da Cefa, Giacomo e Giovanni l’approvazione della sua missione presso i non giudei (Gal 2,1). Ciò obbliga ad anticipare un po’ la data dell’evangelizzazione di Tessalonica, non più allinizio degli anni 50, ma verso il 48.

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