Omelia 31 ottobre 2010 – 2 Tessalonicesi 1,11 – 2,2 : Il ritardo della parusia
dal sito:
http://www.nicodemo.net/NN/ms_pop_vedi2.asp?ID_festa=252
2 Tessalonicesi 1,11 – 2,2
Il ritardo della parusia
La lettera si apre con un prescritto (2Ts 1,1-2) a cui fa seguito il ringraziamento tipico delle lettere paoline (2Ts 1,3-12). A questo punto si situa il brano centrale riguardante la venuta del Signore (2,1-12). Vengono poi alcune esortazioni (2,13 – 3,15) e il postscritto (3,16-18). Il brano liturgico abbraccia i due versetti finali del ringraziamento iniziale e i due iniziali del brano centrale.
Nel ringraziamento epistolare (1,3-12) l’autore esprime la sua soddisfazione perché i destinatari sopportano coraggiosamente persecuzioni e tribolazioni, nella certezza che un giorno, al momento della venuta del Signore, le posizioni si riverseranno: i giusti saranno premiati e gli empi duramente puniti. Il linguaggio è quello dell’apocalittica giudaica. In chiusura, nel testo ripreso dalla liturgia, appare il motivo della supplica: «Per questo preghiamo continuamente per voi, perché il nostro Dio vi renda degni della sua chiamata e, con la sua potenza, porti a compimento ogni proposito di bene e l’opera della vostra fede, perché sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù in voi, e voi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e del Signore Gesù Cristo» (1,11-12). Nella prospettiva della venuta di Cristo, giudice ultimo, si fa opportuna l’intercessione per i destinatari. Non basta la loro buona volontà, si richiede che Dio stesso li renda degni della sua chiamata e sostenga i loro sforzi, affinché possano attuare i desideri di bene a cui li spinge la loro fede. Il sostegno della grazia di Dio e di Cristo è necessario ai credenti perché il nome di Cristo, cioè Cristo stesso, sia glorificato in loro ed essi possano partecipare alla glorificazione del Signore Gesù Cristo.
Con 2,1 inizia il brano più importante della lettera, nel quale l’autore intende correggere le attese escatologiche della comunità: «Riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e al nostro radunarci con lui, vi preghiamo, fratelli, di non lasciarvi troppo presto confondere la mente e allarmare né da ispirazioni né da discorsi, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia già presente» (2,1-2). Lo scopo esortativo appare subito in apertura: «Vi preghiamo … ». Il tema di questa esortazione è quello della «venuta» (parousia) del Signore e della nostra riunione (episynagôgê) con lui (v. 1). I tessalonicesi non devono lasciarsi portare fuori strada da nessuna «ispirazione» (pneuma, spirito), «parola» (logos) o «lettera» (epistolê) fatte passare come sue, in base alle quali si afferma che il giorno del Signore, cioè cioè l’avvenimento glorioso della sua venuta finale, sia «imminente» (enestêken, ormai incombente) (v. 2). Di fronte all’entusiasmo sognatore di alcuni è urgente richiamare tutti alla realtà del presente e alle responsabilità concrete di ciascuno. Indirettamente però il brano corregge anche la prospettiva escatologica della Prima lettera ai Tessalonicesi che accentuava l’imminenza della venuta futura di Cristo. È interessante che al momento della stesura della lettera venivano fatti circolare detti e lettere attribuiti falsamente all’apostolo. Anche questa è probabilmente una lettera non scritta da Paolo, ma l’autore pensa di rappresentare il genuino pensiero dell’apostolo.
Termina qui il testo liturgico. Nel seguito del brano si afferma che prima della fine dovrà manifestarsi «l’uomo iniquo, il figlio della perdizione», il quale farà di tutto per mettersi al posto di Dio (2,3-4; cfr. Dn 11,36-39). Sebbene il mistero dell’iniquità sia già in atto, la manifestazione dell’uomo iniquo però è ancora lontana, perché è impedita da un misterioso ostacolo (2,6-8). Quando esso sarà tolto di mezzo l’uomo iniquo si manifesterà, ma sarà subito eliminato dal Signore Gesù nel momento stesso della sua venuta. Circa l’identità di questo ostacolo sono state fatte le ipotesi più diverse: alcuni vi hanno visto l’impero romano, altri la preghiera della Chiesa, altri ancora un decreto divino, oppure lo Spirito Santo, o l’arcangelo Michele oppure infine la predicazione del vangelo. Nessuna di tali ipotesi si è dimostrata pienamente soddisfacente: perciò si può supporre che l’ostacolo non sia altro che la volontà divina che governa le vicende di questo mondo.
Linee interpretative
Nel periodo successivo alla scomparsa di Paolo le comunità che si rifacevano alla sua predicazione hanno dovuto affrontar situazioni nuove, che l’apostolo non aveva personalmente preso in considerazione. Nel tentativo di trovare una soluzione la “scuola paolina” ha selezionando, tra i tanti tentativi di elaborare anche in forma di lettera il messaggio di Paolo, quelli che sembravano più coerenti con il suo insegnamento.
L’attesa impaziente della venuta imminente del Signore aveva provocato numerosi problemi nella vita delle comunità. Senza dubbio l’effetto più grave era quello di un disimpegno a tutti i livelli, soprattutto nella vita sociale, dove si manifestava un parassitismo sostenuto anche da tensioni tipiche della società di allora. In questo contesto era dunque necessario riprendere l’insegnamento di Paolo per mostrare che in esso non era contenuta la dimensione specifica di imminenza che tanti vi leggevano. La stesura in nome di Paolo di una lettera che portasse le sue indicazioni per risolvere il problema era lo strumento più facile da usare. Da questa preoccupazione ha origine la seconda lettera ai Tessalonicesi.
L’autore, che si presenta come l’apostolo Paolo, non entra in discussione sui temi specifici delle attese dei cristiani, ma afferma che le sofferenze e i disastri attuali non devono essere visti come segno di una fine imminente. Quando questo momento verrà, non sarà difficile rendersene conto. Per ora era importante affrontare la crisi senza fughe in avanti, senza dare spazio a illusioni che potevano tagliare le gambe alla comunità. Perciò l’autore, proprio dicendo qualcosa che non collima con l’insegnamento esplicito dell’apostolo, è sicuro di essere fedele al suo pensiero. Questo intervento mantiene in vigore l’attesa apocalittica, anzi la rinforza, mettendo in discussione solo l’aspetto di imminenza. Tuttavia concorre a far sì che la prospettiva escatologica venga meno, offuscando anche l’attesa del regno di Dio così fortemente inculcata da Gesù e con essa l’impegno per un mondo migliore.