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LETTERA A FILEMONE – COMMENTO DI S. TOMMASO D’AQUINO

pubblico solo questo studio di San Tommaso d’Aquino, perché è relativamente breve e, perché, giustamente, non potrei mettere tutto; ci sono di San Tommaso d’Aquino i commenti a tutte le lettere di San Paolo, metto il link alle lettere di San Paolo sotto link però, se da lì, ritornate sull’Home page, è tutto molto interessante, dal sito:

http://amicidisantommaso.googlepages.com/LETTERAAFILEMONE.doc

DON GIUSEPPE SALA
CUGGIONO

LETTERA A FILEMONE

COMMENTO DI S. TOMMASO D’AQUINO

QUADERNI DI CATECHESI BIBLICA

INTRODUZIONE

La Lettera racconta una vicenda.
Lo schiavo Onesimo era fuggito, dopo aver rubato qualcosa o aver causato un notevole danno al suo padrone Filemone.
Nella sua fuga arrivò a Roma, centro di attrazione di tutti i fuggiaschi e dei senza legge.
Paolo gli diede ospitalità e riuscì a convertirlo al cristianesimo.
Più tardi Paolo apprese che Onesimo era schiavo di Filemone.
Benché Paolo desiderasse trattenere con sé Onesimo perché era un utile collaboratore nella predicazione dei Vangelo, egli riconobbe il diritto di Filemone e decise così di rimandare Onesimo al suo padrone.
Paolo scrisse questa Lettera, pregando Filemone di accogliere con sentimenti di umanità lo schiavo fuggiasco: .
In pratica Paolo chiede a Filemone di non infliggergli le severe punizioni previste dalla legge.
Ma egli promette anche di risarcire personalmente il danno causato a Filemone da Onesimo ed esprime anzi il desiderio di riavere con sé Onesimo come suo collaboratore.

PROLOGO

Anche a questa Lettera, brevissima, San Tommaso premette un Prologo; egli parte da una espressione biblica, che, secondo lui, esprime il senso della Lettera che sta per commentare.
L’espressione biblica per questo Prologo è la seguente:
(Sir.33,31).
Il sapiente, cioè il Siracide, mostra tre cose che riguardano il padrone e lo schiavo:
1. ciò che si richiede da parte dello schiavo: si esige la fedeltà; dice: , perché la fedeltà esiste in pochi; (Pr.20,6);
2. quale deve essere l’affetto del padrone verso lo schiavo: un tale schiavo, fedele, deve essere trattato come un amico quanto all’affetto; perciò dice: ; con ciò si lascia intendere che tra schiavo e padrone esiste un consenso, poiché lo schiavo fedele si trasforma in amico;
3. quale deve essere l’uso che il padrone deve fare dello schiavo; l’uso dello schiavo da parte del padrone è che sia trattato come un fratello; e questo
a. sia per quanto concerne la generazione della natura, perché hanno entrambi lo stesso autore; (Ml.210);
b. sia per quanto concerne la generazione della grazia, che è la stessa in tutti; (Gal.3,27).

Ora le suddette parole del Siracide corrispondono alla materia di questa Lettera.
Infatti, l’Apostolo,
«  come in altre Lettere ha mostrato in che modo i prelati spirituali si devono comportare con i loro sudditi;
«  così qui egli fa vedere in che modo i devono comportare i padroni temporali con gli schiavi temporali, e in che modo si deve comportare lo schiavo fedele con il suo padrone.

CAPITOLO UNICO

LEZIONE 1 (1-9)
1. Paolo, prigioniero di Cristo Gesù, e il fratello Timoteo al nostro caro collaboratore Filemone,
2. alla sorella Appia, ad Archippo nostro compagno d’armi e alla comunità che si raduna nella tua casa:
3. grazia a voi e pace da Dio nostro Padre e dal Signore nostro Gesù Cristo.
4. Rendo sempre grazie a Dio ricordandomi di te nelle mie preghiere,
5. perché sento parlare della tua carità per gli altri e della fede che hai nel Signore Gesù e verso tutti i santi.
6. La tua partecipazione alla fede diventi efficace per la conoscenza di tutto il bene che si fa tra voi per Cristo.
7. La tua carità è stata per me motivo di grande gioia e consolazione, fratello, poiché il cuore dei credenti è stato confortato per opera tua.
8. Per questo, pur avendo in Cristo piena libertà di comandarti ciò che devi fare,
9. preferisco pregarti in nome della carità, così qual io sono, Paolo, vecchio, e ora anche prigioniero di Cristo Gesù;

Versetti 1-2.
L’occasione della Lettera proviene dal fatto che presso i Colossesi un cristiano di valore aveva uno schiavo, che di nascosto si era rifugiato a Roma ed era stato battezzato dall’Apostolo, e per il quale egli scrive.
Dice: , che è nome venerando per tutti i fedeli, , come dice in 2Tm.2,9: ; infatti  allora si trovava prigioniero a Roma; schiavo ma , dove si mostra la causa delle catene; è una cosa molto encomiabile essere prigioniero per Cristo; (1Pt.4,15).
; sono fratelli di fede; egli aggiunge a se stesso Timoteo, per comandare più facilmente, perché è impossibile non ascoltare le preghiere di più persone.

Poi presenta le persone salutate.
Viene presentata prima di tutti la persona principale: Filemone; e poi le persone aggiunte: Appia…
.
Lo chiama a motivo delle sue buone opere.
(Gv.13,34).
Lo chiama
, in quanto serviva i santi.
(Pr.18,19).
Viene presentata la persona aggiunta quando dice: , che era una persona influente a Colossi.
(Col.4,17).
Dice inoltre: , perché tutti i prelati sono come dei soldati spirituali della Chiesa.
(2Cor.10,4).
Aggiunge: ; allora non c’erano le chiese, i cristiani si riunivano nelle case.

Versetto 3.
L’Apostolo presenta le cose augurate, secondo la consuetudine: grazia e pace.

Versetto 4.
Viene iniziato il racconto epistolare; incomincia dal rendimento di grazie.
Dice: .
Come se dicesse: rendo grazie per il passato in modo tale da pregarvi per le cose future.
Perciò dice: .

Versetto 5.
L’Apostolo espone la materia del rendimento di grazia e della preghiera; egli mostra per che cosa intende pregare Filemone.
Ora la materia era necessaria e buona per Filemone, cioè la carità e la fede.
Senza la carità nessun’altra cosa vale.
(1Cor.13,1).
Ma in chi Filemone ha fede e carità?
.
(1Cor.16,22).
E questo è necessario perché dal Cristo amato più dolcemente procede l’amore alle membra; e non ama il capo chi non ama le membra.
(1Gv.4,20).
Perciò aggiunge: .
L’Apostolo parla della fede di Filemone.
La fede si basa sulla dottrina così come essa viene manifestata per mezzo di Cristo.

Versetto 6.
, dice l’Apostolo a Filemone, perché il bene che si cela nel tuo cuore si manifesti per mezzo delle opere buone.
Prosegue: , bene che si compie per mezzo di te.
E questo bene avviene , ossia a vantaggio di Gesù Cristo.
Ci può essere un’altra interpretazione:
nel mondo ci sono molte buone opere che però non sono buone rispetto a Dio, perché non sono fatte rettamente.
Le opere sono fatte rettamente quando sono fatte mediante una fede retta.

Versetto 7.
Viene presentato il motivo per cui l’Apostolo rende grazie: il motivo è la gioia e la consolazione.
Perciò dice: .
(3Gv.4).
Questa gioia alleggeriva le afflizione; perciò aggiunge: .
(Sal.93,19).
L’Apostolo assegna la ragione di ciò dicendo: , di Filemone.

Versetti 8-9.
L’Apostolo presenta con fiducia  una richiesta a Filemone; gli dice: , cioè poiché abbondi nella carità, , come se dicesse: non da me, ma dall’autorità di Cristo, nella cui fede ti ho generato; e perciò ti posso comandare quale padre, tuttavia .
(Pr.18,23).
Che cosa spinge Paolo a supplicare Filemone?
La sua condizione di vecchio e di sofferente per Cristo.
Perciò dice: .

LEZIONE 2 (10-25)
10. Ti prego dunque per il mio figlio, che ho generato in catene, Onesimo,
11. lui che un giorno ti fu inutile, ma ora è utile a te e a me.
12. Te l’ho rimandato, lui, il mio cuore.
13. Avrei voluto trattenerlo presso di me, perché mi servisse in vece tua nelle catene che porto per il Vangelo.
14. Ma non ho voluto far nulla senza il tuo parere, perché il bene che farai non sapesse di costrizione, ma fosse spontaneo.
15. Forse per questo è stato separato da te per un momento perché tu lo riavessi per sempre:
16. non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come un fratello carissimo in primo luogo a me, ma quanto più a te, sia come uomo sia come fratello nel Signore.
17. Se dunque tu mi consideri come amico, accoglilo come me stesso.
18. E se in qualcosa ti ha offeso o ti è debitore, metti tutto sul mio conto.
19. Lo scrivo di mio pugno, io, Paolo: pagherò io stesso. Per non dirti che anche tu mi sei debitore e proprio di te stesso!
20. Sì, fratello! Che io possa ottenere da te questo favore nel Signore; dà questo sollievo al mio cuore in Cristo!
21. Ti scrivo fiducioso nella tua docilità, sapendo che farai anche più di quanto ti chiedo.
22. Al tempo stesso preparami un alloggio, perché spero, grazie alle vostre preghiere, di esservi restituito.
23. Ti saluta Epafra, mio compagno di prigionia per Cristo Gesù,
24. con Marco, Aristarco, Dema e Luca, miei collaboratori.
25. La grazia del Signore Gesù Cristo sia con il vostro spirito.

Versetti 10-11.
Espressa la fiducia dell’Apostolo nella bontà di Filemone, l’Apostolo presenta qui la sua richiesta; e mostra la persona per la quale presenta la sua petizione, cioè Onesimo.
Dice: è davvero da esaudire la mia richiesta, perché essa contiene la pietà per il mio figlio Onesimo, di cui si occupa la mia presente premura.
L’Apostolo aveva generato Onesimo alla fede in prigione.
Per un secondo motivo Filemone deve esaudire la richiesta dell’Apostolo per Onesimo: per il cambiamento dei costumi.
Se infatti avesse perseverato nel peccato, non sarebbe stato degno del perdono.
L’Apostolo parla lievemente della colpa di Onesimo, dicendo , ossia dannoso portando via le tue cose; , che si è convertito dal male allo stato della virtù, è per il servizio di Dio e degli uomini.
(2Tm.2,21).
(Pr.25,4).

Versetto 12.
Dicendo: , invita Filemone a perdonarlo.

Versetto 13.
Qui l’Apostolo esprime il proposito di trattenere Onesimo, dicendo: .

Versetto 14.
L’Apostolo spiega il motivo per cui ha desistito da tale proposito, dicendo: .
Egli dice dunque a Filemone che, sebbene fosse una persona eminente, tuttavia era solito prestare servizi all’Apostolo.
(Mt.20,26).
Perciò, per questa fiducia, gli propone di tenerlo presso di sé, cioè presso l’Apostolo, cosicché gli presti servizio al suo posto.
Perciò dice: .
Un tale servizio era massimamente necessario all’Apostolo quando si trovava in prigione per Cristo.
Il motivo per cui egli rinunziò è che egli non voleva usare una cosa altrui, mentre il padrone non lo sapeva.
Perciò dice: ; come se dicesse: se l’avessi trattenuto senza il tuo parere, anzi senza che tu lo sapessi, avresti subìto una specie di costrizione; però non ho voluto fare così, ma ho voluto che venisse fatto volontariamente da te.

Versetti 15-22.
L’Apostolo indica il motivo per cui Filemone deve ricevere benevolmente Onesimo:
«  sia da parte di Dio,
«  sia da parte dell’Apostolo,
«  sia da parte dello stesso Filemone.
L’Apostolo dice il motivo per ricevere Onesimo da parte di Dio, perché la provvidenza divina spesso permette che accada ciò che sembra cattivo, perché poi ne segua il bene, come è evidente nel caso della vendita di Giuseppe, perché liberasse dall’Egitto la stessa famiglia del padre Giacobbe.
(Gen.45,5).
L’Apostolo dice: , perché (Rm.11,33).
E dice di accoglierlo .

L’Apostolo dice il motivo di ricevere Onesimo da parte di sé, cioè da parte dello stesso Apostolo.
E qui dice tre cose:
In primo luogo adduce la sua amicizia con Filemone, sotto la copertura della quale egli chiede che Onesimo sia ricevuto da Filemone.
Dice: , perché Onesimo è legato a me.
(Mt.10,40).
In secondo luogo l’Apostolo garantisce Filemone per il danno; l’Apostolo obbliga se stesso per soddisfare Filemone del danno che Onesimo gli ha procurato.
Dice dunque: , abbandonando il tuo servizio, ; come se dicesse: ripagherò per ogni cosa.
(Gal.6,2).
Perciò dice: , come se dicesse: perché tu, Filemone, sia certo riguardo alla restituzione, .
E questo non avviene per necessità, perché , perché ti ho strappato dalla morte eterna.
Pertanto Filemone deve considerare l’Apostolo come suo liberatore.
In terzo luogo l’Apostolo mostra a Filemone il compito dell’accoglienza.
Dice: .
Come se dicesse: se mi vuoi avere come collega, accoglilo, così anch’io ti potrò trattare come un fratello; cioè se farai questo ricolmerai il mio volere di gioia.
Infatti godere è gioire dei frutti, e come l’usare sta all’utile, così il godere sta al frutto.
Ora il frutto implica la dolcezza.
(Ct.2,3).
L’Apostolo dice: , cioè che io goda di te nella gioia di Dio, godendo della bontà divina in te, perché il suo atto è amore, e il godimento ne è l’effetto.
Dice ancora l’Apostolo: .
Un uomo viene ristorato spiritualmente quando soddisfa i desideri della sua anima.
Come se dicesse: colma gli intimi desideri del mio cuore; e non nelle cose cattive, ma ; è quindi buono il compimento del desiderio.

L’Apostolo dice il motivo di ricevere Onesimo da parte dello stesso Filemone.
L’Apostolo mostra  in che modo egli riponga la propria fiducia nell’obbedienza di Filemone.
Dice: .
(2Cor.7,16).
L’Apostolo inoltre comanda a Filemone qualcosa di simile; poiché l’uomo ascolta più facilmente una persona, quando spera di rivederlo, dice: .
Infatti quando si trovava a Colossi, era suo costume essere ospitato nella sua casa.
L’Apostolo aggiunge: .

Obiezione
Poiché l’Apostolo non potè recarsi da Filemone, ma morì a Roma, ha ingannato la fiducia di Filemone?
Risposta
Bisogna dire che conoscere le cose future è proprio solamente di Dio e non della conoscenza umana, tranne quella profetica.
E nessun profeta seppe il futuro di se stesso, tranne il solo Cristo, che non possedeva lo Spirito in misura limitata.
Perciò non c’è da meravigliarsi se l’Apostolo non conosceva alcune cose.

Versetti 23-25.
L’Apostolo conclude la lettera con i saluti da parte degli altri prima che da parte sua.
Dice dunque: .
I suoi personali saluti li esprime con un augurio: .
Come si vede, il saluto dell’Apostolo non va solo a Filemone, ma si estende a tutti quelli che sono legati a Filemone.
Il saluto dell’Apostolo è simile a quello della seconda lettera a Timoteo: .

Obiezione
Com’è possibili che tra i saluti degli altri ci sia anche quello di Dema, dal momento che in 2Tm.4,10 l’Apostolo dice: ?
Risposta
La Lettera a Filemone aveva preceduto la seconda Lettera a Timoteo, perché qui dice: , e là annuncia la propria morte: (« Tm.4,6).
Pertanto è necessario affermate che Paolo fu a Roma per quasi nove anni e che questa Lettera a Filemone fu scritta all’inizio, mentre la seconda Lettera a Timoteo fu scritta verso la fine della sua vita, e allora Dema, indebolito dalla lunga prigionia, lasciò l’Apostolo.
D’altronde le Lettere di Paolo non sono ordinate in ordine cronologico, perché le Lettere ai Corinzi furono scritte prima della Lettera ai Romani, e questa fu scritta prima della seconda Lettera a Timoteo.

UN PO’ DI CATECHISMO
(Dal Compendio del Catechismo)

Qual è il disegno di Dio per l’uomo?
Dio, infinitamente perfetto e beato in se stesso, per un disegno di pura bontà ha liberamente creato l’uomo per renderlo partecipe della sua vita beata.
Nella pienezza dei tempi, Dio Padre ha mandato suo Figlio come redentore e salvatore degli uomini caduti nel peccato, convocandoli nella sua Chiesa e rendendoli figli adottivi per opera dello Spirito Santo ed eredi della sua eterna beatitudine.

Perché nell’uomo c’è il desiderio di Dio?
Dio stesso, creando l’uomo a propria immagine, ha scritto nel suo cuore il desiderio di vederlo.
Anche se tale desiderio è spesso ignorato, Dio non cessa di attirare l’uomo a sé, perché viva e trovi in lui quella pienezza di verità e di felicità, che cerca senza posa.
Per natura e per vocazione, l’uomo è pertanto un essere religioso, capace di entrare in comunione con Dio.
Questo intimo e vitale legame con Dio conferisce all’uomo la sua fondamentale dignità.

Come si può conoscere Dio con la sola luce della ragione?
Partendo dalla creazione, cioè dal mondo e dalla persona umana, l’uomo, con la sola ragione, può con certezza conoscere Dio come origine e fine dell’universo e come sommo bene, verità e bellezza infinita.

Basta la sola luce della ragione per conoscere il mistero di Dio?
L’uomo, nel conoscere Dio con la sola luce della ragione, incontra molte difficoltà.
Inoltre non può entrare da solo nell’intimità del mistero divino.
Per questo, Dio l’ha voluto illuminare con la sua Rivelazione non solo su verità che superano la comprensione umana, ma anche su verità religiose e morali, che, pur accessibili di per sé alla ragione, possono essere così conosciute da tutti senza difficoltà, con ferma certezza e senza mescolanza di errore.

LETTERA A FILEMONE (presentazione, introduzione)

ho trovato una buona…bella, presentazione della lettera a Filemone (il biglietto), posto la presentazione e l’introduzione, c’è anche la lettura del capitolo I, ossia l’unico ed una conclusione, se volete leggere anche queste due ultime potete andare sul sito dove trovate tutto:

http://www.movimentoapostolico.it/filemone/testi/indicePage.htm

MOVIMENTO APOSTOLICO
CATECHESI

LETTERA A FILEMONE

CATANZARO 2003

PRESENTAZIONE

Il cuore di Paolo, l’immensità del suo amore per Cristo, è tutto rivelato, manifestato in questa Lettera. Paolo è il prigioniero di Cristo, prigioniero del suo amore, ma anche prigioniero a causa del suo amore.
Il suo cuore è prigioniero dell’amore di Cristo, è tutto di Cristo, vive ogni suo respiro per Cristo.
Il suo corpo è prigioniero a causa dell’amore di Cristo, che in lui è divenuto annunzio, evangelizzazione, predicazione del mistero di Cristo Gesù, invito ad ogni uomo a lasciare le vanità e le falsità della sua vita per lasciarsi anche lui rinnovare e santificare dall’amore di Cristo Gesù e dalla sua verità.
Paolo e il suo amore per Cristo Gesù sono una cosa sola. Per amare Cristo vive, in questo amore si consuma, si annienta; per questo amore si rinnega, fino a sopportare ogni cosa. Dall’amore di Cristo egli è stato fatto, nell’amore di Cristo egli ogni giorno si fa.
L’amore che lo fa, lo fa consumandolo, perché da questa consumazione nasca in Paolo un amore che, andando altre il tempo e la storia, diviene amore eterno, immersione totale del suo essere nell’essere di Cristo, in cui i veli della carne non esistono più, perché anche il corpo alla fine parteciperà della spiritualità, diverrà spirito, come spirito è attualmente il corpo del Signore.
Questo amore totalizzante la sua vita per Cristo è la chiave di lettura di ogni evento della sua esistenza terrena. Questo amore deve divenire la chiave di lettura di ogni vita, di quella dei cristiani, perché si annullino anche loro nell’amore di Cristo e da esso si lascino abbracciare e consumare; di quella dei non cristiani, ai quali si annunzia il Vangelo dell’amore, perché anche loro si lascino conquistare dall’amore di Cristo e diventino in Lui, con Lui, per Lui un solo amore, un solo sacrificio, una sola oblazione santa e pura per il nostro Dio e Signore.
È questa la forza travolgente dell’amore di Cristo: la sua capacità di trasformare ogni situazione in cui l’uomo vive, perché la conduce tutta nell’amore crocifisso di Gesù Signore. D’altronde Cristo stesso non è stato colui che ha trasformato il suo strumento di supplizio, cioè la croce, nel più grande “strumento” o sacramento del suo amore di redenzione, di giustificazione, di perdono, di effusione dello Spirito Santo?
Ora se Cristo ha trasformato la croce in un segno di salvezza, se la salvezza del mondo è scaturita dalla croce, perché Lui è stato capace di renderla sacramento di redenzione per il mondo intero, può esserci una “croce” sulla terra che non possa essere trasformato in strumento di amore, di redenzione, di perdono, di preghiera, di santità, di consumazione, anche di sacrificio vicario per la conversione e la giustificazione del mondo intero?
Ci può essere una sola condizione umana che non possa divenire strumento o “sacramento” in Cristo per un amore universale, cosmico, che abbraccia insieme il cielo e la terrà?
La forza travolgente del cristianesimo è proprio questa: trasformare ogni croce in una via di amore, di salvezza, di redenzione, di giustificazione, di donazione e di offerta di se stessi a Dio perché il mondo sia redento, giustificato, salvato, santificato, portato nel Paradiso.
È il fallimento del cristianesimo quando non si trasforma la croce in redenzione, in salvezza. Non ha ragion d’esistere quel cristianesimo che non lavora per trasformare ogni croce in sacramento di verità e di amore per tutto il genere umano.
La sapienza di Paolo, la sua saggezza, l’intelligenza che lui attinge sempre viva nello Spirito Santo ha questa “abilità” santa: risolvere ogni problema partendo proprio dal mistero della croce e cosa è il mistero della croce se non la perdita della propria vita per amore?
Ma se uno è chiamato in Cristo a perdere la propria vita per amore, ci sono cose sulla terra superiori alla propria vita che possano essere conservate, non esposte cioè alla loro perdita, o alla loro rinunzia per amore. Ci può essere un bene terreno che il cristiano può conservare gelosamente per sé dal momento che la sua vocazione è proprio quella di perdere interamente la vita per amore? La perdita della vita di necessità comporta la perdita di ogni altro bene materiale e anche spirituale. Tutto deve essere donato all’amore, per amore.
La forza travolgente del cristianesimo non è solo trasformare ogni croce in “sacramento” di amore e di redenzione, ma anche quella di lasciarsi interamente annullare dall’amore, perché ogni croce di peccato, di ingiustizia sia abolita dalla nostra terra.
In parole assai povere la Lettera a Filemone offre questo insegnamento, indica questa via. Essa la può indicare perché Paolo vive interamente sia la croce come strumento di un amore più grande e universale, ma anche è il prigioniero dell’amore di Cristo, perché l’amore di Cristo diventi la via della vera vita per ogni uomo, per tutti indistintamente.
La Vergine Maria, Madre della Redenzione, ci introduca in questo amore, il solo che sa fare di ogni croce uno strumento di salvezza e dello stesso amore uno strumento perché le croci di peccato siano abolite dalla nostra terra.

INTRODUZIONE

L’episodio che muove Paolo a scrivere questa Lettera è uno dei tanti eventi della vita del tempo. Uno schiavo fugge dal suo padrone e si rifugia presso Paolo. Paolo glielo rimanda indietro, annunziando al padrone, che è un cristiano, la vera via dell’amore, che dovrà percorrere se veramente desidera essere un buon discepolo del Crocifisso e un testimone della forza travolgente che ha in sé la croce di Cristo Gesù.
Anche se la Lettera è cortissima, molti sono gli insegnamenti in essa contenuti. Ne accenniamo alcuni, rimandando alla trattazione teologica.
In sintesi, in questa Lettera, Paolo esprime delle verità di intensissimo valore teologico che dovranno accompagnare la storia del cristianesimo sino alla fine. Eccone alcune di queste verità:
La carità del singolo si fa Vangelo. Gesù lo aveva detto: “da questo vi riconosceranno che siete miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi voi gli uni gli altri”.
Il cristiano è chiamato, per vocazione eterna, a farsi vittima di amore per i fratelli, imitando in tutto e per tutto Cristo Gesù che si fece vittima di espiazione per i peccati del mondo intero.
Il cristiano che vive in Cristo, lo stesso amore di Cristo, diviene Vangelo vivente, perenne annunzio della verità che Cristo è venuto non solo a portare, ma anche a fare e Gesù fa la verità, trasformando un uomo in un olocausto di amore e di carità a favore dei suoi fratelli.
Come in Cristo, è necessario che il cristiano viva l’amore per rendere testimonianza alla verità che Cristo ha operato e opera nel suo cuore. In tal senso diviene Vangelo.
La carità è Vangelo quando non solo è perfetta imitazione di Cristo in ogni manifestazione del proprio essere, ma è anche testimonianza a Cristo e la testimonianza è una sola: posso amare, amo perché Cristo mi ha creato, mi crea ogni giorno una natura d’amore. È Cristo la fonte perenne del mio amore, perché solo Lui è la salvezza, solo in Lui si può vivere da salvati, solo per Lui, per rendere testimonianza alla sua verità, si può continuare a vivere da salvati, raggiungendo la perfezione nella salvezza.
Quando la carità non è imitazione dell’amore di Cristo, non la si attinge in Cristo, non si rende testimonianza alla verità di Cristo, questa verità non è Vangelo. Che non sia Vangelo lo attesta il fatto che chi la riceve non si apre all’amore di Cristo e non si lascia fare da Cristo vittima di carità per il mondo intero.
Su questo principio di fede è giusto che si abbia la più sicura delle certezze e la più sicura è questa: solo Cristo è la fonte della carità, perché solo Lui è la fonte della nostra verità. Si diviene veri in Cristo, si vive la sua carità in Lui, per Lui, con Lui, per manifestare Lui, perché ogni uomo aderisca a Lui, si faccia fare vero da Lui, in Lui e inizi in Lui a vivere per Lui, per manifestare al mondo che solo Lui e solo in Lui è la salvezza; solo per Lui è possibile vivere da salvati.
La salvezza è una acquisizione quotidiana e quotidianamente si attinge in Cristo Gesù. È questa la carità che diviene Vangelo, perché è la carità che nasce dalla fede, ma anche è la carità che conduce a Cristo e alla sua verità.
La carità del singolo diviene motivo di speranza per i fratelli. Quando un uomo vede che un suo fratello è capace di vera carità, perché è capace di autentica gratuità, misericordia, compassione, pietà, il suo cuore si apre alla speranza.
Non c’è cosa più triste per un uomo che sentirsi abbandonato dai suoi fratelli. Questo abbandono a volte lo può condurre anche alla disperazione, che nasce dal non sapere più a chi rivolgersi per avere sostegno, aiuto, sollievo nei suoi giorni tristi. La visione della vera carità dona pace, conforto, gioia. Questa visione apre il cuore alla speranza. C’è una possibilità di salvezza. Anch’io posso essere salvo, posso continuare a vivere. C’è qualcuno che si prende cura della mia vita.
Questo però non basta perché si entri nella speranza cristiana. La speranza cristiana avviene quando si opera il passaggio dall’uomo a Cristo. Se questo passaggio si compie si esce dalla speranza umana e si entra nella vera speranza, che è solo quella cristiana; se questo passaggio non viene operato, si rimane in una speranza umana, ma questa è sempre effimera, passeggera, di un attimo.
Perché vi sia questo passaggio, è necessario che alla visione della carità segua anche l’annunzio di Cristo e del suo Vangelo. Questo annunzio deve essere operato da chi sta vivendo la carità. Se questo annunzio non viene operato, la salvezza non si compie, perché non sarà mai un gesto di carità, un dono d’amore all’altro che potrà salvarlo.
Se questo fosse possibile, Cristo non sarebbe più Il Salvatore e la salvezza non sarebbe in Lui, con Lui, per Lui, nel suo Corpo che è la Chiesa. Sarebbe un fatto da uomo ad uomo, sarebbe un evento della terra e non più del Cielo.
È cosa giusta allora che chi opera la carità in nome di Cristo, doni Cristo carità dell’uomo, sua speranza eterna di salvezza, suo bene infinito, eterno, nel quale è ogni tesoro di grazia, di verità, di misericordia, di pietà, di compassione, di sollievo sulla terra e nel cielo.
È nel non compimento di questo passaggio il segno che chi opera la carità non vive di Cristo, per Cristo, con Cristo, nel suo Corpo che è la Chiesa. Non vivendo lui, non può portare altri.
È questo il più grande naufragio della fede ed è sempre naufragio della fede quando l’opera di carità non apre il cuore a Cristo e alla sua verità eterna di unico e solo Salvatore di ogni uomo. La carità da donare all’uomo è Cristo, perché Cristo è la carità di Dio per ogni uomo.
Chiedere in nome della libertà che nasce dalla potestà? Paolo è Apostolo di Cristo Gesù. Ha la potestà di chiedere a quanti sono cristiani, rivolgendosi loro nel nome di Cristo, servendosi dell’autorità che Cristo ha conferito loro nel discernere il bene da compiere e nel chiedere che il vero bene sia sempre operato. Questa potestà nel discernimento deve essere sempre vissuta. L’Apostolo del Signore deve operare in ogni istante il discernimento sul bene, sul meglio, su ciò che è in quell’evento verità di Cristo e di Dio, con la sapienza, la saggezza, l’intelligenza dello Spirito Santo che agisce in lui.
Operato il discernimento nel nome e con la potestà di Cristo Gesù, può al singolo chiedere di agire conformemente al discernimento offerto? Lo può e lo deve in materia di fede. La verità della fede obbliga sempre. Alla verità della fede si è sempre obbligati.
La verità della fede ci fa essere del Vangelo. Chi è del Vangelo è anche di Cristo Gesù. Chi non è della verità della fede, non è del Vangelo, non è di Cristo Gesù. Chi è fuori della verità della fede si pone anche fuori della comunione con i fratelli di fede. Per questo l’Apostolo è obbligato a chiedere in nome di Cristo e con la sua autorità che si rientri nella verità, la si abbracci in ogni sua parte, la si professi integralmente, santamente, dinanzi al mondo intero.
Quando non si è dinanzi alla verità della fede, ma di fronte ad un’opera di carità da fare, quando la carità si poggia su dei debiti di giustizia, cosa deve fare l’apostolo?
O chiedere in nome della carità che lascia libera la volontà del fratello? Paolo afferma il principio che anche in questo caso si può chiedere in nome di Cristo e con la sua autorità che si faccia, o non si faccia l’opera di carità, che nel discernimento è stata vista come giusta, santa, lodevole.
Assieme a questo principio, lui ne possiede un altro. Quando si tratta di opera di carità, lui preferisce che si lasci libera la volontà dell’altro, in modo che sia l’altro a volere l’opera e non lui ad imporla.
L’Apostolo deve però indicare i motivi della bontà e della verità dell’opera. Al singolo la libertà di eseguirla, non eseguirla, compierla in un modo, anziché in un altro.
Paolo – lo sappiamo – agisce sempre con la saggezza e l’intelligenza dello Spirito Santo che aleggia su di lui. Perché opta per la libertà della persona e non per l’imposizione dell’opera?
È facile rispondere a questa domanda, è difficile comprenderla in tutto il suo significato di verità evangelica.
Paolo si comporta in tutto e per tutto come si comporta Dio Padre. Questi diede il comando all’uomo, spiego i motivi del comando, lasciò libera la volontà di osservarlo, di non osservarlo.
Nel rapporto dell’uomo con Dio mai si può abolire la relazione di volontà. Dio manifesta la sua volontà all’uomo, all’uomo la libertà di accoglierla, di non accoglierla.
Questo non significa che sia ininfluente accoglierla, o non accoglierla. Se si accoglie si entra nella vita, si progredisce nella vita, si avanza verso la vita eterna. Se non la si accoglie, si esce dalla pienezza della vita, si può anche cadere nell’egoismo e quindi nella morte, si può alla fine precipitare nella dannazione eterna.
Un‘opera di carità imposta, ma non accolta con il cuore, non fatta propria, non è opera evangelica, carità di Cristo in noi, amore misericordioso e compassionevole verso gli altri. È come se l’opera non fosse stata mai fatta.
Paolo vuole che ogni uomo sia sempre trattato da uomo nella sua più pura essenzialità che è quella della libertà. Questa è la via della vera vita, questa è la via più vera e più santa della vita, in quest’opera è il compimento del tuo essere e della tua vocazione: se vuoi, operala. È tua la libertà. È tua la volontà. Mia è la verità e il discernimento.
L’apostolo di Cristo Gesù è obbligato ad annunziare sempre la verità; è chiamato, però, solo a proporre alla coscienza la via migliore di tutte per operare secondo la carità di Cristo. Egli deve trattare sempre l’uomo da uomo. Dio opera così. Cristo ha operato così: se vuoi essere perfetto, se vuoi vivere la tua carità, il tuo amore sino in fondo, va’ vendi quello che hai, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi.
Dinanzi alla libertà quest’uomo si è perduto. Fu ingannato dai suoi molti beni. Fu tradito dal suo amore per le cose della terra.
La generazione spirituale. La generazione secondo la carne è il dono della vita, della propria vita, che a sua volta diventa vita personale, autonoma.  Vita da vita, ma che diviene vita di un’altra persona, distinta e separata da chi l’ha posta in essere. La generazione secondo lo Spirito Santo, o generazione spirituale, avviene mediante il dono del Vangelo, della fede. Si annunzia la Parola di Cristo, si crede in essa, ci si lascia battezzare e da acqua e da Spirito Santo siamo generati a figli di Dio. Colui che dona la Parola, comunica la fede, annunzia il Vangelo in certo qual modo partecipa anche lui di questa generazione spirituale e in tal senso è detto anche “Padre nella fede”. La Parola, il Vangelo, la fede generalmente è sempre donata da una persona e questa persona che dona la fede è in certo senso “padre” di colui che è stato generato alla fede. “Padre ministeriale, strumentale”. Paolo crede molto in questa paternità. Ne fa anche un motivo di vanto. Per lui molti possono essere i pedagoghi della fede, ma uno solo è il padre nella fede ed è colui che è all’inizio della predicazione e dell’annunzio del Vangelo. Questa generazione spirituale, anche se strumentale, crea un legame vitale forte tra chi genera e colui che è stato generato. Questo legame è indistruttibile, come indistruttibile è il legame che crea la generazione secondo la carne. Questo legame vuole che il padre consideri vero figlio spirituale colui che ha generato e chi è stato generato veda colui che lo ha generato come un vero padre del suo spirito, della sua nuova creazione, sempre però restando nell’ordine della strumentalità. Da questo legame nasce il rispetto, l’onore, l’ascolto, la devozione, l’aiuto, l’assistenza spirituale perché la fede che è stata generata possa raggiungere la sua più perfetta santificazione. Su questo principio della generazione spirituale ci sarebbe tutta una trattazione da fare. Lo esige la crescita della fede e il suo cammino di maturazione.
L’altro diviene il proprio cuore. Nella fede cristiana si realizza e si vive il mistero della comunione. La comunione ha il suo fondamento nell’unità che si è venuta a creare in Cristo Gesù. In Lui siamo tutti i battezzati un solo corpo. Il solo corpo è dalle molte membra. Ogni membro riceve e dona l’energia vitale; la riceve dagli altri, la fruttifica e la dona come frutti di verità e di grazia, dopo averla rivestita del suo particolare carisma. Questa comunione è così perfetta, così reale, da essere non solo comunione, ma unità, una cosa sola, una sola realtà in Cristo. Questa comunione e questa unità ci fa essere una cosa sola con l’altro, l’altro è noi stessi e noi stessi siamo l’altro. Paolo raggiunge il sommo della manifestazione di questa unità quando dice che l’altro, il servo Onesimo, è il suo proprio cuore. C’è unità, c’è comunione, c’è identificazione. L’altro è il mio cuore. Accettando l’altro si accetta il proprio cuore, si tratta l’altro come se uno ricevesse in dono il cuore dell’apostolo. Ciò significa semplicemente che tutto ciò che si fa all’apostolo, deve essere fatto al proprio cuore. Senza alcuna differenza, o distinzione. È questo il sommo della carità cristiana. È in questa identificazione, per nuova natura, per unità di natura, l’essenza e la specificità del cristianesimo.
Il bene spontaneo, libero. Il bene si propone. Lo si fonda. Lo si lascia alla spontaneità, o libertà del fratello. Lo si è già detto. Questo serve perché sia rispettato l’uomo nella sua essenza più santa e più vera. Il sì al bene è dell’uomo e nessun sì potrà essere proferito, se la volontà non è libera.
L’altro diviene il proprio fratello. La fratellanza cristiana non è solamente di nome. Essa è più forte della stessa fratellanza secondo la carne. Si è fratelli secondo la carne perché si è ricevuta la vita dagli stessi genitori. Ciò che i genitori hanno dato è solo il corpo. L’anima viene da Dio. È Lui che la crea ed è Lui che la infonde. Siamo già fratelli secondo la carne in ragione dell’anima, che è da un unico Creatore e Signore. Questa è la fratellanza universale: perché veniamo all’origine dallo stesso padre e dalla stessa madre, perché il Signore crea la nostra anima al momento del concepimento. Ma c’è un’altra fratellanza, tutta cristiana. Siamo fratelli in ragione della nostra unica nascita da acqua e da Spirito Santo. Siamo fratelli perché il Signore ci ha generati come suoi figli nel suo Figlio Gesù Cristo. Questa parentela spirituale, è vera parentela ed ha un legame più forte che gli stessi vincoli del sangue. Anche questa verità è fortemente vissuta da Paolo.
L’altro diviene se stesso. Paolo ha già detto qual è l’identità che c’è tra lui e Onesimo. Ora dice l’identità che esiste tra Filemone e Onesimo: quella di fratelli in Cristo. Se sono veri fratelli in Cristo, da veri fratelli devono trattarsi. Nessun fratello può tenere in schiavitù un altro fratello, metterebbe in schiavitù il proprio sangue. Questa legge vale anche per la fratellanza spirituale. Un padrone che dovesse tenere sotto di sé degli schiavi cristiani, è il suo stesso “sangue spirituale” che tiene schiavo. La schiavitù è da abolire per molteplici motivi: perché il Signore ha creato l’uomo libero, non asservibile, né schiavizzabile da nessun altro uomo; perché ogni uomo è fratello per creazione di ogni altro uomo; per il cristiano c’è una ragione in più: perché Cristo è morto per l’altro come è morto per me. In Cristo ognuno è chiamato a dare la vita per l’altro.
Per l’altro si paga ogni debito. Se l’altro diviene se stesso, per l’altro si paga ogni debito. Onesimo è divenuto il cuore di Paolo, Paolo per il suo cuore paga il debito, paga cioè il debito di Onesimo. Se lo paga Paolo, può pagarlo anche Filemone, condonandolo, perché anche per lui Onesimo è il suo cuore, è la sua vita. In questa semplice affermazione di Paolo c’è tutta la potenza di verità e di carità di Cristo Gesù, capace di rinnovare il mondo. Questa affermazione è la negazione di ogni egoismo.
La fiducia nella docilità. Agli altri si manifesta la verità, si chiede la carità, la carità anche si fonda nella verità della fede. Degli altri bisogna anche aver fiducia. Se noi fondiamo bene, santamente, secondo verità, la carità che si chiede, nessuno se è nelle condizioni di farlo, si  tirerà indietro. Avere fiducia nella docilità dell’altro all’ascolto della preghiera che gli viene rivolta, anche questa deve essere struttura e forma di vita del cristiano.
Prigioniero di Cristo. Prigioniero per Cristo. Questa duplice verità merita una ulteriore puntualizzazione. La prigionia di Cristo è prigionia di croce per amore. Cristo ha racchiuso la sua vita tutta nell’amore del Padre. Anche il cristiano deve racchiudere tutta la sua vita nell’amore del Padre. Cristo trasformò l’amore del Padre in amore verso l’uomo, perché il Padre ama l’uomo. Per il Padre si lasciò inchiodare sulla croce. Per amore si rese prigioniero degli uomini. Questo secondo passaggio mai potrà essere fatto secondo verità, se non si vive in pienezza di carità la prima prigionia, quella cioè di essere prigionieri del Padre e del suo amore eterno.
Dal cuore di Paolo. La struttura argomentativa di Paolo è assai semplice. Il principio rimane sempre lo stesso. Egli guarda il cuore di Cristo, lo prende, lo mette tutto nel suo e da cuore di Cristo che è diventato il suo cuore egli annunzia le regole della verità che devono portare il cristiano al sommo grado di vivere la carità del Padre e di Cristo nello Spirito Santo. È questo un processo di assimilazione che ognuno di noi deve realizzare, se vuole trovare l’unica soluzione al problema della carità. Non c’è vera carità se non si vive secondo il cuore di Cristo.
La Vergine Maria, Madre della Redenzione, metta il cuore di Suo Figlio Gesù nel nostro, perché vi sia un solo cuore ad amare, il suo nel nostro.

Publié dans:Lettera a Filemone |on 3 mai, 2009 |Pas de commentaires »

15 febbraio – Sant’ Onesimo Martire (Lettera a Filemone)

dal sito:

http://santiebeati.it/dettaglio/41200

Sant’ Onesimo Martire

(Lettera a Filemone – Richiesta in favore di Onesimo)

15 febbraio
 
Frigia (Asia Minore), Primo secolo dopo Cristo

Di lui non si hanno quasi notizie. Fu un giovane schiavo che viveva a Colosse e che, derubato il padrone Filemone, scappò a Roma. Qui, incontrò s. Paolo, prigioniero, che lo convertì e battezzò. Abbiamo queste notizie proprio da s. Paolo, che scrisse una lettera a Filemone, offrendosi di restituire quanto rubato e chiedendo il perdono e la liberazione per lo schiavo. Il “Martirologio Romano” parla del suo martirio, raccogliendo una tradizione per cui Onesimo, consacrato vescovo da S. Paolo che lo lasciò ad Efeso come sostituto di Timoteo, sarebbe morto a Roma lapidato, sembra sotto Domiziano.

Emblema: Palma

Martirologio Romano: Commemorazione del beato Onesimo, che san Paolo Apostolo accolse quale schiavo fuggiasco e generò in catene come figlio nella fede di Cristo, come egli stesso scrisse al suo padrone Filémone.
 

Onesimo, in greco, significa “utile”, “giovevole”. L’uomo così chiamato viveva in Frigia (Asia Minore) come schiavo del cristiano Filemone, amico di Paolo apostolo. Ma poi è fuggito (forse ha pure derubato il padrone) e guai a lui, se lo prendono: può finire per sempre ai lavori forzati, con la lettera “F” (Fugitivus) impressa a fuoco sulla fronte. Giorni e giorni di cammino, di nascondigli, di terrore.
Infine, eccolo cercare scampo presso Paolo a Roma. L’apostolo è in prigionia sotto custodia militaris in una casa, quasi sempre legato con la catena a un soldato, ma libero di ricevere visite. Qui Onesimo trova pronto rifugio, cerca di rendersi utile nelle occorrenze quotidiane, ascolta i colloqui di Paolo con tanta gente; l’uomo in catene chiama tutti a entrare « nella libertà della gloria dei figli di Dio ».
E chiama anche Onesimo, naturalmente, che un giorno si ritrova cristiano, tenuto da Paolo come un figlio « generato nelle catene ». Poi l’apostolo lo rimanda al vecchio padrone Filemone. A costui Paolo scrive di suo pugno una lettera stringata e vivace, chiarendo un punto capitale: Onesimo, fuggito come schiavo, ora ritorna come un « fratello carissimo in primo luogo a me, ma quanto più a te, sia come uomo, sia come fratello nel Signore ». Altri pensino ad abrogare la schiavitù con le leggi; Paolo la cancella dal cuore dell’uomo nel nome di Cristo. E se l’ex schiavo aveva derubato Filemone, pronto l’apostolo garantisce: « Pagherò io! ».
Parte Onesimo con Tichico, fedelissimo collaboratore di Paolo, che porta sue lettere ai cristiani di Efeso e di Colossi. E così Paolo lo presenta ai Colossesi suoi compaesani: « Con Tichico verrà anche Onesimo, il fedele e caro fratello, che è dei vostri. Essi vi informeranno su tutte le cose di qui ». Così l’ex schiavo è già diventato collaboratore dell’evangelizzazione. Poi ha trovato di certo Filemone, consegnandogli la lettera, che ha potuto giungere fino a noi perché chissà quanti l’avranno via via letta dopo il destinatario, copiandola e divulgandola.
La Chiesa lo ricorda tra i suoi santi, ma non trovano conferma antichi accenni a un Onesimo vescovo di Antiochia o di Berea (Siria?). Così come non è sicura una tradizione che lo vorrebbe martire a Roma o a Pozzuoli.

Autore: Domenico Agasso  

LETTERA A FILEMONE – INTRODUZIONE

LETTERA A FILEMONE

INTRODUZIONE

stralcio da: Reynier C., Trimaille M., Vanhoye A., Lettere di Paolo, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2000; Trimaille M., Lettera a Filemone, pagg.383-385;

 

« Tra tutte le lettere di Paolo che ci sono state conservate, è la più corta e l’unica indirizzata a una persona privata, per parlare di un problema personale. Ma se è diventata Sacra Scrittura nella Chiesa, è perché supera infinitamente la persona del destinatario; e il lettore di oggi non deve lasciarsi fuorviare dalle apparenze. Non sono stati trovati argomenti per mettere in dubbio la sua autenticità. Paolo ci informa di essere in prigione. Tradizionalmente, si è pensato alla detenzione a Roma, durante il periodo, di almeno due anni [61-62], in cui Paolo, secondo gli Atti degli Apostoli, è in residenza sorvegliata. È difficile tuttavia mantenere questa localizzazione a causa del tragitto che la lettera tra la capitale dell’Impero e una campagna sperduta della lontana provincia dell’Asia minore. Oggi si preferisce pensare a una possibile prigionia di Paolo a Efeso, e, per questo, anticipare l’invio di questa lettera agli anni 56-57, ipotesi che rende più verosimili i viaggi che avrebbe richiesti.

Le circostanze della lettera

Lo schiavo Onesimo è fuggito, mettendosi così contro la legge e danneggiando il padrone. Era forse al corrente dei legami che esistevano tra Filemone e Paolo? In ogni caso, nel suo vagare è andato da Paolo che era in prigione, gli ha reso numerosi servizi, ed è diventato cristiano. Al termine di un periodo non precisato, Paolo rimanda Onesimo dal Padrone, riconoscendo in questo modo i diritti di Filemone. Ma lo esorta a rinunciare al potere che ha di punire il colpevole, propone di rimborsarlo per il danno subìto e lascia capire che la osa migliore da fare sarebbe quella di lasciare Onesimo al suo servizio.

Interesse della lettera

Il commento metterà in luce la delicatezza dei sentimenti di Paolo e la pazienza pedagogica con la quale suscita il discernimento evangelico dell’amico. Questa lettera è soprattutto l’esempio tipico del modo in cui i cristiani delle origini potevano affrontare un problema socio-politico come quello della schiavitù, tenendo conto del vangelo di Cristo, del loro statuto di all’interno della comunità e del contenuto sociale nel quale vivevano, valutando in modo realistico i margini di azione a loro disposizione. Paolo non inserisce nel suo programma apostolico l’estirpazione della schiavitù della società greco-romana; si sforza piuttosto di trasformare l’immagine che gli schiavi hanno di loro stessi, inducendoli a prendere coscienza della dignità di e attribuendo contemporaneamente lo statuto di agli uomini liberi diventati cristiani (1Cor 7, 17-24). Nel nostro caso insiste perché sia riconosciuto a Onesimo lo statuto di di cui godevano tutti i membri della comunità, e anche perché e anche perché ne siano tratte tutte le conseguenze (vedi i codici domestici e la coppia schiavi/padroni in Col, Ef, 1Pt, 1Tm e Tt). Paolo dunque, dal suo punto di vista, pone i principi che, nel corso dei secoli, influenzeranno le coscienze e porteranno a considerare la schiavitù come una pratica disumana da estirpare completamente. A coloro che si scandalizzano dell’inazione pubblica di Paolo e della sua scarsa incisività, sarebbe bene ricordare che la schiavitù esiste ancora e che essi stessi potrebbero forse darsi da fare maggiormente per liberarne il pianeta. »

Publié dans:Lettera a Filemone |on 8 mai, 2008 |Pas de commentaires »
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