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Angelus II domenica di Avvento -Benedetto XVI: la vicinanza di Dio è una questione di amore (Fil; 1Ts)

dal sito:

http://www.zenit.org/article-16505?l=italian

Benedetto XVI: la vicinanza di Dio è una questione di amore

Discorso introduttivo alla preghiera dell’Angelus

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 14 dicembre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’intervento pronunciato questa domenica a mezzogiorno da Benedetto XVI in occasione della recita della preghiera mariana dell’Angelus insieme ai fedeli e ai pellegrini riuniti in Piazza San Pietro in Vaticano.

* * *

Cari fratelli e sorelle,

questa domenica, la terza del tempo di Avvento, è detta « Domenica gaudete », « siate lieti », perché l’antifona d’ingresso della Santa Messa riprende un’espressione di san Paolo nella Lettera ai Filippesi che così dice: « Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti ». E subito dopo aggiunge la motivazione: « Il Signore è vicino » (Fil 4,4-5). Ecco la ragione della gioia. Ma che cosa significa che « il Signore è vicino »? In che senso dobbiamo intendere questa « vicinanza » di Dio? L’apostolo Paolo, scrivendo ai cristiani di Filippi, pensa evidentemente al ritorno di Cristo, e li invita a rallegrarsi perché esso è sicuro. Tuttavia, lo stesso san Paolo, nella sua Lettera ai Tessalonicesi, avverte che nessuno può conoscere il momento della venuta del Signore (cfr 1 Ts 5,1-2) e mette in guardia da ogni allarmismo, quasi che il ritorno di Cristo fosse imminente (cfr 2 Ts 2,1-2). Così, già allora, la Chiesa, illuminata dallo Spirito Santo, comprendeva sempre meglio che la « vicinanza » di Dio non è una questione di spazio e di tempo, bensì una questione di amore: l’amore avvicina! Il prossimo Natale verrà a ricordarci questa verità fondamentale della nostra fede e, dinanzi al Presepe, potremo assaporare la letizia cristiana, contemplando nel neonato Gesù il volto del Dio che per amore si è fatto a noi vicino.

In questa luce, è per me un vero piacere rinnovare la bella tradizione della benedizione dei « Bambinelli », le statuette di Gesù Bambino da deporre nel presepe. Mi rivolgo in particolare a voi, cari ragazzi e ragazze di Roma, venuti stamattina con i vostri « Bambinelli », che ora benedico. Vi invito a unirvi a me seguendo attentamente questa preghiera:

Dio, nostro Padre,
tu hai tanto amato gli uomini
da mandare a noi il tuo unico Figlio Gesù,
nato dalla Vergine Maria,
per salvarci e ricondurci a te.

Ti preghiamo, perché con la tua benedizione
queste immagini di Gesù, che sta per venire tra noi,
siano, nelle nostre case,
segno della tua presenza e del tuo amore.

Padre buono,
dona la tua benedizione anche a noi,
ai nostri genitori, alle nostre famiglie e ai nostri amici.

Apri il nostro cuore,
affinché sappiamo ricevere Gesù nella gioia,
fare sempre ciò che egli chiede
e vederlo in tutti quelli
che hanno bisogno del nostro amore.

Te lo chiediamo nel nome di Gesù,
tuo amato Figlio, che viene per dare al mondo la pace.

Egli vive e regna nei secoli dei secoli.
Amen.

Ed ora recitiamo insieme la preghiera dell’Angelus Domini, invocando l’intercessione di Maria affinché Gesù, che nascendo porta agli uomini la benedizione di Dio, sia accolto con amore in tutte le case di Roma e del mondo.

1 Tessalonicesi 5, 16-24, la lettura del vangelo di oggi III domenica di Avvento, commento biblico (francese/italiano)

1Ts 5,16-24, la lettura di oggi, versione originale francese e traduzione (mia) dal sito: Bible Service:

http://www.bible-service.net/site/378.html

1 Thessaloniciens 5,16-24
 

Ces quelques versets sont la conclusion de la première lettre aux Thessaloniciens. Ce texte a été choisi à cause de l’exhortation à la joie, thème de ce troisième dimanche. On remarquera une note caractéristique : l’invitation au discernement. La joie, fondée sur la certitude du Jour du Seigneur qui vient, exige une double attitude : accueillir sans réserve le don de l’Esprit, mais ne pas être dupe des fausses bonnes nouvelles.

Paul utilise des mots forts : toujours… sans relâche… en toute circonstance. La joie, la prière, l’action de grâce ne sont pas, pour Paul, des sentiments de passage, des actes de circonstance. Tout cela doit habiter le chrétien, être comme sa respiration. Pour être toujours dans la joie, rendre grâce en toute circonstance, il faut une bonne dose de foi, surtout à certains moments de l’existence. Paul sait trouver les mots pour encourager :  » Il est fidèle, le Dieu qui vous a appelé « .

1 Tessalonicesi 5,16-24

Questi versetti sono la conclusione della prima lettera ai Tessalonicesi. Questo testo è stato scelto a causa della esortazione alla gioia, tema di questa terz domenica. Si deve rimarcare una nota carateristica: l’invito al discernimento. La gioia, fondata sulla certezza del « Giorno del Signore »" che viene, esige una doppia attitudine: accogliere senza riserve il dono dello Spirito, ma non essere vitime di false buone novelle.

Paolo utilizza delle parole forti: tutti i giorni… incessantemente…in tutte le circostanze. La gioia, la preghiera, l’azione di grazie, non sono per Paolo, dei sentimenti di passaggio, degli atti di circostanza. Tutto questo deve vivere (abitare in francese) il cristiano, essere come il suo respiro. Per essere sempre nella gioia, rendere grazie in tutte le circostanze, c’è bisogno di una buona dose di fede, soprattutto in certi momenti dell’esistenza. Paolo sa trovare le parole per incoraggiare: « Colui che vi chiama è fedele » (traduzione CEI)

Omelia del Papa per la conclusione del Sinodo dei Vescovi sulla Parola (ha commentato anche le letture della messa di oggi)

dal sito:

http://www.zenit.org/article-15916?l=italian

Omelia del Papa per la conclusione del Sinodo dei Vescovi sulla Parola

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 26 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l’omelia pronunciata da Benedetto XVI nel presiedere questa domenica nella Basilica vaticana la concelebrazione dell’Eucaristia con i Padri sinodali, in occasione della conclusione della XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che si è svolta nell’Aula del Sinodo in Vaticano, dal 5 al 26 ottobre 2008, sul tema: Verbum Domini in vita et missione Ecclesiæ (« La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa »).

* * *

Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,

cari fratelli e sorelle!

La Parola del Signore, risuonata poc’anzi nel Vangelo, ci ha ricordato che nell’amore si riassume tutta la Legge divina. L’Evangelista Matteo racconta che i farisei, dopo che Gesù ebbe risposto ai sadducei chiudendo loro la bocca, si riunirono per metterlo alla prova (cfr 22,34-35). Uno di questi, un dottore della legge, gli chiese: « Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento? » (v. 36). La domanda lascia trasparire la preoccupazione, presente nell’antica tradizione giudaica, di trovare un principio unificatore delle varie formulazioni della volontà di Dio. Era domanda non facile, considerato che nella Legge di Mosè sono contemplati ben 613 precetti e divieti. Come discernere, tra tutti questi, il più grande? Ma Gesù non ha nessuna esitazione, e risponde prontamente: « Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento » (vv. 37-38). Nella sua risposta, Gesù cita lo Shemà, la preghiera che il pio israelita recita più volte al giorno, soprattutto al mattino e alla sera (cfr Dt 6,4-9; 11,13-21; Nm 15,37-41): la proclamazione dell’amore integro e totale dovuto a Dio, come unico Signore. L’accento è posto sulla totalità di questa dedizione a Dio, elencando le tre facoltà che definiscono l’uomo nelle sue strutture psicologiche profonde: cuore, anima e mente. Il termine mente, diánoia, contiene l’elemento razionale. Dio non è soltanto oggetto dell’amore, dell’impegno, della volontà e del sentimento, ma anche dell’intelletto, che pertanto non va escluso da questo ambito. E’ anzi proprio il nostro pensiero a doversi conformare al pensiero di Dio. Poi, però, Gesù aggiunge qualcosa che, in verità, non era stato richiesto dal dottore della legge: « Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso » (v. 39). L’aspetto sorprendente della risposta di Gesù consiste nel fatto che egli stabilisce una relazione di somiglianza tra il primo e il secondo comandamento, definito anche questa volta con una formula biblica desunta dal codice levitico di santità (cfr Lv 19,18). Ed ecco quindi che nella conclusione del brano i due comandamenti vengono associati nel ruolo di principio cardine sul quale poggia l’intera Rivelazione biblica: « Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti » (v. 40).

La pagina evangelica sulla quale stiamo meditando pone in luce che essere discepoli di Cristo è mettere in pratica i suoi insegnamenti, che si riassumono nel primo e più grande comandamento della Legge divina, il comandamento dell’amore. Anche la prima Lettura, tratta dal libro dell’Esodo, insiste sul dovere dell’amore; un amore testimoniato concretamente nei rapporti tra le persone: devono essere rapporti di rispetto, di collaborazione, di aiuto generoso. Il prossimo da amare è anche il forestiero, l’orfano, la vedova e l’indigente, quei cittadini cioè che non hanno alcun « difensore ». L’autore sacro scende a dettagli particolareggiati, come nel caso dell’oggetto dato in pegno da uno di questi poveri (cfr Es 20,25-26). In tal caso è Dio stesso a farsi garante della situazione di questo prossimo.

Nella seconda Lettura possiamo vedere una concreta applicazione del sommo comandamento dell’amore in una delle prime comunità cristiane. San Paolo scrive ai Tessalonicesi, lasciando loro capire che, pur avendoli conosciuti da poco, li apprezza e li porta con affetto nel cuore. Per questo egli li addita come un « modello per tutti i credenti della Macedonia e dell’Acaia » (1 Ts 1,6-7). Non mancano certo debolezze e difficoltà in quella comunità fondata di recente, ma è l’amore che tutto supera, tutto rinnova, tutto vince: l’amore di chi, consapevole dei propri limiti, segue docilmente le parole di Cristo, divino Maestro, trasmesse attraverso un suo fedele discepolo. « Voi avete seguito il nostro esempio e quello del Signore – scrive san Paolo – avendo accolto la Parola in mezzo a grandi prove ». « Per mezzo vostro – prosegue l’Apostolo – la parola del Signore risuona non soltanto in Macedonia e in Acaia, ma la vostra fede si è diffusa dappertutto » (1 Ts 1,6.8). L’insegnamento che traiamo dall’esperienza dei Tessalonicesi, esperienza che in verità accomuna ogni autentica comunità cristiana, è che l’amore per il prossimo nasce dall’ascolto docile della Parola divina. E’ un amore che accetta anche dure prove per la verità della parola divina e proprio così il vero amore cresce e la verità risplende in tutto il suo fulgore. Quanto è importante allora ascoltare la Parola e incarnarla nell’esistenza personale e comunitaria!

In questa celebrazione eucaristica, che chiude i lavori sinodali, avvertiamo in maniera singolare il legame che esiste tra l’ascolto amorevole della Parola di Dio e il servizio disinteressato verso i fratelli. Quante volte, nei giorni scorsi, abbiamo sentito esperienze e riflessioni che evidenziano il bisogno oggi emergente di un ascolto più intimo di Dio, di una conoscenza più vera della sua parola di salvezza; di una condivisione più sincera della fede che alla mensa della parola divina si alimenta costantemente! Cari e venerati Fratelli, grazie per il contributo che ciascuno di voi ha offerto all’approfondimento del tema del Sinodo: « La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa ». Tutti vi saluto con affetto. Un saluto speciale rivolgo ai Signori Cardinali Presidenti delegati del Sinodo e al Segretario Generale, che ringrazio per la loro costante dedizione. Saluto voi, cari fratelli e sorelle, che siete venuti da ogni continente recando la vostra arricchente esperienza. Tornando a casa, trasmettete a tutti il saluto affettuoso del Vescovo di Roma. Saluto i Delegati Fraterni, gli Esperti, gli Uditori e gli Invitati speciali: i membri della Segreteria Generale del Sinodo, quanti si sono occupati dei rapporti con la stampa. Un pensiero speciale va ai Vescovi della Cina Continentale, che non hanno potuto essere rappresentati in questa assemblea sinodale. Desidero farmi qui interprete, e renderne grazie a Dio, del loro amore per Cristo, della loro comunione con la Chiesa universale e della loro fedeltà al Successore dell’Apostolo Pietro. Essi sono presenti nella nostra preghiera, insieme con tutti i fedeli che sono affidati alle loro cure pastorali. Chiediamo al «Pastore supremo del gregge» (1 Pt 5, 4) di dare ad essi gioia, forza e zelo apostolico per guidare con sapienza e con lungimiranza la comunità cattolica in Cina, a tutti noi così cara.

Noi tutti, che abbiamo preso parte ai lavori sinodali, portiamo con noi la rinnovata consapevolezza che compito prioritario della Chiesa, all’inizio di questo nuovo millennio, è innanzitutto nutrirsi della Parola di Dio, per rendere efficace l’impegno della nuova evangelizzazione, dell’annuncio nei nostri tempi. Occorre ora che questa esperienza ecclesiale sia recata in ogni comunità; è necessario che si comprenda la necessità di tradurre in gesti di amore la parola ascoltata, perché solo così diviene credibile l’annuncio del Vangelo, nonostante le umane fragilità che segnano le persone. Ciò richiede in primo luogo una conoscenza più intima di Cristo ed un ascolto sempre docile della sua parola.

In quest’Anno Paolino, facendo nostre le parole dell’Apostolo: « guai a me se non predicassi il Vangelo » (1 Cor 9,16), auspico di cuore che in ogni comunità si avverta con più salda convinzione quest’anelito di Paolo come vocazione al servizio del Vangelo per il mondo. Ricordavo all’inizio dei lavori sinodali l’appello di Gesù: « la messe è molta » (Mt 9,37), appello a cui non dobbiamo mai stancarci di rispondere malgrado le difficoltà che possiamo incontrare. Tanta gente è alla ricerca, talora persino senza rendersene conto, dell’incontro con Cristo e col suo Vangelo; tanti hanno bisogno di ritrovare in Lui il senso della loro vita. Dare chiara e condivisa testimonianza di una vita secondo la Parola di Dio, attestata da Gesù, diventa pertanto indispensabile criterio di verifica della missione della Chiesa. La letture che la liturgia offre oggi alla nostra meditazione ci ricordano che la pienezza della Legge, come di tutte le Scritture divine, è l’amore. Chi dunque crede di aver compreso le Scritture, o almeno una qualsiasi parte di esse, senza impegnarsi a costruire, mediante la loro intelligenza, il duplice amore di Dio e del prossimo, dimostra in realtà di essere ancora lontano dall’averne colto il senso profondo. Ma come mettere in pratica questo comandamento, come vivere l’amore di Dio e dei fratelli senza un contatto vivo e intenso con le Sacre Scritture? Il Concilio Vaticano II afferma essere « necessario che i fedeli abbiano largo accesso alla Sacra Scrittura » (Cost. Dei Verbum, 22), perché le persone, incontrando la verità, possano crescere nell’amore autentico. Si tratta di un requisito oggi indispensabile per l’evangelizzazione. E poiché non di rado l’incontro con la Scrittura rischia di non essere « un fatto » di Chiesa, ma esposto al soggettivismo e all’arbitrarietà, diventa indispensabile una promozione pastorale robusta e credibile della conoscenza della Sacra Scrittura, per annunciare, celebrare e vivere la Parola nella comunità cristiana, dialogando con le culture del nostro tempo, mettendosi al servizio della verità e non delle ideologie correnti e incrementando il dialogo che Dio vuole avere con tutti gli uomini (cfr ibid., 21). A questo scopo va curata in modo speciale la preparazione dei pastori, preposti poi alla necessaria azione di diffondere la pratica biblica con opportuni sussidi. Vanno incoraggiati gli sforzi in atto per suscitare il movimento biblico tra i laici, la formazione degli animatori dei gruppi, con particolare attenzione ai giovani. È da sostenere lo sforzo di far conoscere la fede attraverso la Parola di Dio anche a chi è « lontano » e specialmente a quanti sono in sincera ricerca del senso della vita. Molte altre riflessioni sarebbero da aggiungere, ma mi limito infine a sottolineare che il luogo privilegiato in cui risuona la Parola di Dio, che edifica la Chiesa, come è stato detto tante volte nel Sinodo, è senza dubbio la liturgia. In essa appare che la Bibbia è il libro di un popolo e per un popolo; un’eredità, un testamento consegnato a lettori, perché attualizzino nella loro vita la storia di salvezza testimoniata nello scritto. Vi è pertanto un rapporto di reciproca vitale appartenenza tra popolo e Libro: la Bibbia rimane un Libro vivo con il popolo, suo soggetto, che lo legge; il popolo non sussiste senza il Libro, perché in esso trova la sua ragion d’essere, la sua vocazione, la sua identità. Questa mutua appartenenza fra popolo e Sacra Scrittura è celebrata in ogni assemblea liturgica, la quale, grazie allo Spirito Santo, ascolta Cristo, poiché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la Scrittura e si accoglie l’alleanza che Dio rinnova con il suo popolo. Scrittura e liturgia convergono, dunque, nell’unico fine di portare il popolo al dialogo con il Signore e all’obbedienza alla volontà del Signore. La Parola uscita dalla bocca di Dio e testimoniata nelle Scritture torna a Lui in forma di risposta orante, di risposta vissuta, di risposta sgorgante dall’amore (cfr Is 55,10-11). Cari fratelli e sorelle, preghiamo perché dal rinnovato ascolto della Parola di Dio, sotto l’azione dello Spirito Santo, possa sgorgare un autentico rinnovamento nella Chiesa universale, ed in ogni comunità cristiana. Affidiamo i frutti di questa Assemblea sinodale alla materna intercessione della Vergine Maria. A Lei affido anche la II Assemblea Speciale del Sinodo per l’Africa, che si svolgerà a Roma nell’ottobre del prossimo anno. E’ mia intenzione recarmi nel marzo pro esimo in Camerun per consegnare ai rappresentanti delle Conferenze Episcopali dell’Africa l’Instrumentum laboris di tale Assemblea sinodale. Di lì proseguirò, a Dio piacendo, per l’Angola, per celebrare solennemente il 500° anniversario di evangelizzazione del Paese. Maria Santissima, che ha offerto la sua vita come « serva del Signore », perché tutto si compisse in conformità ai divini voleri (cfr Lc 1,38) e che ha esortato a fare tutto ciò che Gesù avrebbe detto (cfr Gv 2,5), ci insegni a riconoscere nella nostra vita il primato della Parola che sola ci può dare salvezza. E così sia!

Giovanni Paolo II: Santità e rispetto del corpo nella dottrina di san Paolo (28 gennaio 1981) (1Ts)

dal sito: 

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/audiences/1981/documents/hf_jp-ii_aud_19810128_it.html

GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 28 gennaio 1981

Santità e rispetto del corpo nella dottrina di san Paolo

1. Scrive san Paolo nella I Lettera ai Tessalonicesi: « … questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dalla impudicizia, che ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto, non come oggetto di passioni libidinose, come i pagani che non conoscono Dio » (1Ts 4,3-5). E dopo qualche versetto, continua: « Dio non ci ha chiamati allimpurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza queste norme non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo Santo Spirito » (1Ts 4,7-8). A queste frasi dellApostolo abbiamo fatto riferimento durante il nostro incontro del 14 gennaio scorso. Tuttavia oggi le riprendiamo perché sono particolarmente importanti per il tema delle nostre meditazioni.

2. La purezza, di cui parla Paolo nella I Lettera ai Tessalonicesi (cf. 1Ts 4,3-5.7-8), si manifesta nel fatto che luomo « sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto, non come oggetto di passioni libidinose ». In questa formulazione ogni parola ha un significato particolare e merita pertanto un commento adeguato. In primo luogo, la purezza

è una « capacità« , ossia, nel tradizionale linguaggio dellantropologia e delletica: unattitudine. Ed in questo senso, è virtù. Se questa abilità, cioè virtù, porta ad astenersi « dalla impudicizia », ciò avviene perché luomo che la possiede sa « mantenere il proprio corpo con santità e rispetto e non come oggetto di passioni libidinose ». Si tratta qui di una capacità pratica, che rende l’uomo atto ad agire in un determinato modo e nello stesso tempo a non agire nel modo contrario. La purezza, per essere una tale capacità o attitudine, deve ovviamente essere radicata nella volontà, nel fondamento stesso del volere e dellagire cosciente delluomo. Tommaso dAquino, nella sua dottrina sulle virtù, vede in modo ancor più diretto loggetto della purezza nella facoltà del desiderio sensibile, che egli chiama « appetitus concupiscibilis ». Appunto questa facoltà deve essere particolarmente « dominata », ordinata e resa capace di agire in modo conforme alla virtù, affinché la « purezza » possa essere attribuita alluomo. Secondo tale concezione, la purezza consiste anzitutto nel contenere gli impulsi del desiderio sensibile, che ha come oggetto ciò che nelluomo è corporale e sessuale. La purezza è una variante della virtù della temperanza.

3. Il testo della I Lettera ai Tessalonicesi (cf. 1Ts 4,3-5) dimostra che la virtù della purezza, nella concezione di Paolo, consiste anche nel dominio e nel superamento di « passioni libidinose »; ciò vuol dire che alla sua natura appartiene necessariamente la capacità di contenere gli impulsi del desiderio sensibile, cioè la virtù della temperanza. Contemporaneamente, però, lo stesso testo paolino rivolge la nostra attenzione verso unaltra funzione della virtù della purezza, verso unaltra sua dimensione si potrebbe dire più positiva che negativa. Ecco, il compito della purezza, che l

Autore della lettera sembra porre soprattutto in risalto, è non solo (e non tanto) lastensione dalla « impudicizia » e da ciò che vi conduce, quindi lastensione da « passioni libidinose », ma, in pari tempo, il mantenimento del proprio corpo e, indirettamente anche di quello altrui in « santità e rispetto ».

Queste due funzioni, l« astensione » e il « mantenimento », sono strettamente connesse e reciprocamente dipendenti. Poiché, infatti, non si può « mantenere il corpo con santità e rispetto », se manchi quellastensione « dalla impudicizia » e da ciò a cui essa conduce, di conseguenza si può ammettere che il mantenimento del corpo (proprio e, indirettamente, altrui) « con santità e rispetto » conferisce adeguato significato e valore a quellastensione. Questa richiede di per sé il superamento di qualche cosa che è nelluomo e che nasce spontaneamente in lui come inclinazione, come attrattiva e anche come valore che agisce soprattutto nellambito dei sensi, ma molto spesso non senza ripercussioni sulle altre dimensioni della soggettività umana, e particolarmente sulla dimensione affettivo-emotiva. 4.

Considerando tutto ciò, sembra che limmagine paolina della virtù della purezza immagine che emerge dal confronto molto eloquente della funzione dell« astensione » (cioè della temperanza) con quella del « mantenimento del corpo con santità e rispetto » sia profondamente giusta, completa e adeguata. Dobbiamo forse questa completezza non ad altro se non al fatto che Paolo considera la purezza non soltanto come capacità (cioè attitudine) delle facoltà soggettive delluomo, ma, nello stesso tempo, come una concreta manifestazione della vita « secondo lo Spirito », in cui la capacità umana viene interiormente fecondata ed arricchita da ciò che Paolo, nella Lettera ai Galati (Gal 5,22), chiama « frutto dello Spirito ». Il rispetto, che nasce nelluomo verso tutto ciò che è corporeo e sessuale, sia in lui sia in ogni altro uomo, maschio e femmina, si dimostra la forza più essenziale per mantenere il corpo « con santità« . Per comprendere la dottrina paolina sulla purezza, bisogna entrare a fondo nel significato del termine « rispetto », ovviamente qui inteso quale forza di ordine spirituale. È appunto questa forza interiore che conferisce piena dimensione alla purezza come virtù, cioè come capacità di agire in tutto quel campo in cui luomo scopre, nel proprio intimo, i molteplici impulsi di « passioni libidinose », e talvolta, per vari motivi, si arrende ad essi.

5. Per intendere meglio il pensiero dellAutore della prima Lettera ai Tessalonicesi sarà bene avere presente ancora un altro testo, che troviamo nella prima Lettera ai Corinzi. Paolo vi espone la sua grande dottrina ecclesiologica, secondo cui la Chiesa è Corpo di Cristo; egli coglie loccasione per formulare la seguente argomentazione circa il corpo umano: « … Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come egli ha voluto » (1Cor 12,18); e più oltre: « Anzi, quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie; e quelle parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggior decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre » (1Cor 12,22-25). 6.

Sebbene largomento proprio del testo in questione sia la teologia della Chiesa quale Corpo di Cristo, tuttavia in margine a questo passo si può dire che Paolo, mediante la sua grande analogia ecclesiologica (che ricorre in altre lettere, e che riprenderemo a suo tempo), contribuisce, al tempo stesso, ad approfondire la teologia del corpo. Mentre nella prima Lettera ai Tessalonicesi egli scrive circa il mantenimento del corpo « con santità e rispetto », nel passo ora citato dalla prima Lettera ai Corinzi vuole mostrare questo corpo umano come appunto degno di rispetto; si potrebbe anche dire che vuole insegnare ai destinatari della sua lettera la giusta concezione del corpo umano. Perciò questa descrizione paolina del corpo umano nella prima Lettera ai Corinzi sembra essere strettamente connessa alle raccomandazioni della prima Lettera ai Tessalonicesi: « Che ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto » (1Ts 4,4). Questo è un filo importante, forse quello essenziale, della dottrina paolina sulla purezza.

PRIMA LETTERA AI TESSALONICESI – INTRODUZIONE

PRIMA LETTERA AI TESSALONICESI – INTRODUZIONE

LETTERE DI SAN PAOLO – LETTERE AI TESSALONICESI     

stralcio dal libro: Lettere di San Paolo, Chantal Raynier – Michel Trimaille – Alòbert Vanhoye, Edizioni San Paolo Cinisello Balsamo (MI) 2000; 

di Michel Trimaille, pagg. 181. 183-184

INTRODUZIONE,pag 181

 

Paolo, Silvano e Timoteo sono stati costretti ad abbandonare Tessalonica a seguito dei conflitti con la sinagoga che riferiscono At 17,5-10 e ai quali allude 1 Tessalonicesi. Paolo racconta come, da Atene, abbia inviato Timoteo a Tessalonica, tanto era ansioso di avere notizie dei cristiani. Egli, con Silvano, si è diretto a Corinto, dove lo ha poi raggiunto. Timoteo con notizie rassicuranti nonostante il breve tempo che gli apostoli hanno potuto dedicare alla formazione dei membri della chiesa, la loro perseveranza nella fede e la loro carità sono esemplari. Paolo ne è profondamente commosso e incoraggiato nel suo compito; scrive loro una lettera calorosa, in qualche punto perfino entusiasta, mentre sviluppa alcuni punti di dottrina, a riguardo dei quali Timoteo ha avuto l’occasione di misurare i limiti e le deficienze della catechesi ricevuta.

Questa lettera è universalmente riconosciuta come autentica, ed è il primo scritto del Nuovo Testamento. Si vuol dire con questo che, quantunque le tradizioni dei vangeli avessero già ricevuto la loro formulazione e fossero divenute oggetto di trasmissione, 1Ts è il primo scritto completo che sia entrato nel canone del Nuovo Testamento. Inoltre le acquisizioni recenti, cu si è fatto cenno sopra a proposito della sequenza degli avvenimenti della vita di Paolo, permettono di situarla cronologicamente prima della riunione di Gerusalemme (At 15; Gal 2), dunque verso la fine degli anni 40, cioè una decina d’anni dopo la morte e risurrezione di Gesù.

(qui c’è la presentazione dello schema di 1 Tessalonicesi, proseguirei con al parte successiva: Importanza di 1 Tessalonicesi)

Importanza di 1 Tessalonicesi, pag 183-

Questa lettera è preziosa anzitutto perché è il primo scritto cristiano. Paolo fa il racconto dell’evangelizzazione di una grande città greca ed elabora, per spiegare il successo dell’azione missionaria, una teologia della parola di Dio che non apparirà mai più in maniera così nitida e precisa (1,5 e 2,13).

1Ts ci ha conservato due formule di professione di fede, l’una proveniente dall’ambiente giudaico-cristiano e che proclama Gesù morto e risuscitato 84,14), l’altra, da Paolo presa a prestito – nei suoi elementi essenziali – dalla catechesi sinagogale, che comincia con l’invitare i non giudei alla conversione verso il Dio vivo e vero (1,9-10) e infine nomina Gesù . Luca l’amplierà, in At 17, 22-31, donandole la forma del discorso ai filosofi di Atene.

La vita cristiana poggia sulle virtù che formano l struttura fondamentale di ogni discepolo di Cristo: fede, carità, speranza. A partire di lì, Paolo tratta, nei capitoli 4-5, alcuni punti di morale, articolati attorno ai temi classici della santificazione e dell’amore fraterno e illuminati dalla sua catechesi sulla parusia del Signore. Allo stesso tempo ci mostra come il comportamento dei primi cristiani fosse caratterizzato dall’attesa della venuta prossima di Gesù risorto, alla quale Paolo contava di essere presente. A La speranza che anima la chiesa mira, dunque, a un compimento che si situa al di là della medesima e di questo mondo. Infine questa lettera ci insegna molte cose riguardo all’anima dell’apostolo, a quello che chiamerà in seguito , l’angoscia, la gioia semplice che gli capita di provare, la tenerezza che confessa e che rettifica felicemente il ritratto che ci si fa di lui quando non lo si conosce a sufficienza.

LETTERE DI SAN PAOLO AI TESSALONICESI – NOTA INTRODUTTIVA DEL PROF. TRIMAILLE

LETTERE DI SAN PAOLO – LETTERE AI TESSALONICESI     

stralcio dal libro: Lettere di San Paolo, Chantal Raynier – Michel Trimaille – Alòbert Vanhoye, Edizioni San Paolo Cinisello Balsamo (MI) 2000; 

di Michel Trimaille, pagg. 179-180; 

NOTA INTRODUTTIVA

Tessalonica e la sua evangelizzazione 

Seconda città in ordine d’importanza della Grecia moderna con il nome di Salonicco, Tessalonica era la capitale della provincia romana della Macedonia: Aveva ricevuto  il nome di Thessaloniké (‘vittoria in Tessaglia), sorellastra di Alessandro il Grande. All’epoca di Paolo, è una città fiorente, ben ubicata nel cuore del Golfo Termaico, collegata da due arterie romane importanti, la via Egnazia, che univa Roma a Bisanzio, e la via che risaliva dall’Acaia verso il Nord, fino al Danubio. Tale situazione aveva favorito lo sviluppo commerciale e la fioritura di ogni genere di scambi. 

La sua popolazione risultava alquanto eterogenea: la colonizzazione romana vi aveva condotto gli italici; gli orientali vi affluivano nella speranza di farvi fortuna, e Paolo vi troverà una sinagoga, testimonianza di una solida comunità giudaica. Da allora, peraltro, gli ebrei hanno sempre considerato Tessalonica come una città accogliente, nella quale hanno trovato rifugio in molte occasioni DELLA LORO STORIA DOLOROSA. Le diverse etnie avevano reato con sé un rigoglioso pantheon di divinità e di culti, almeno venti secondo le scritte rinvenute. Pare che colà, come in altre città ellenistiche, il giudaismo attirasse numerosi cittadini alla ricerca di una fede solidamente strutturata e di un codice morale dai contorni ben definiti. 

Tessalonica venne evangelizzata da Paolo, Silvano e Timoteo (1Ts1,1 e At 17, 1-9). Le circostanze sono note: nel corso del cosiddetto secondo viaggio missionario, Paolo e i suoi collaboratori, partiti a piedi da Antiochia e attraversata l’attuale Turchia centrale, s’imbarcarono a Troade e navigarono alla volta della Macedonia: Lì fondarono comunità cristiane, prima a Filippi, poi a Tessalonica e a Berea. Li ritroviamo in seguito in Acaia, ad Atene e a Corinto. Le peripezie di questo viaggio sono narrate in At 15,40 – 18,22. 

Si leggeranno, in Lettere di Paolo, I (Lettera ai Galati) – questo non l’ho messo, vuol dire che Padre J.P. Lémonon… – a sostegno dell’ipotesi che colloca questo viaggio, nel corso della vita di Paolo, in modo conforme alla cronologia delle lettere, prima della riunione a Gerusalemme narrata in Gal 2, e non dopo, come fa Luca negli Atti degli Apostoli per ragioni ecclesiologiche (At 15,1 – 18,22). Esiste dunque oggi un consenso abbastanza vasto sull’ipotesi che questo viaggio risalga alla fine dei quattordici anni che Paolo stesso calcola tra la sua prima venuta a Gerusalemme – dopo la conversione – e la seconda, quella nel corso della quale egli ottenne da Cefa, Giacomo e Giovanni l’approvazione della sua missione presso i non giudei (Gal 2,1). Ciò obbliga ad anticipare un po’ la data dell’evangelizzazione di Tessalonica, non più allinizio degli anni 50, ma verso il 48. 

Chantal Raynier – Michel Trimaille – Alòbert Vanhoye, Edizioni San Paolo Cinisello Balsamo (MI) 2000;

LETTERE DI SAN PAOLO 

di Michel Trimaille, pagg. 179-…: 

LETTERE AI TESSALONICESI 

NOTA INTRODUTTUTIva 

Tessalonica e la sua evangelizzazione 

Seconda città in ordine d’importanza della Grecia moderna con il nome di Salonicco, Tessalonica era la capitale della provincia romana della Macedonia: Aveva ricevuto  il nome di Thessaloniké (‘vittoria in Tessaglia), sorellastra di Alessandro il Grande. All’epoca di Paolo, è una città fiorente, ben ubicata nel cuore del Golfo Termaico, collegata da due arterie romane importanti, la via Egnazia, che univa Roma a Bisanzio, e la via che risaliva dall’Acaia verso il Nord, fino al Danubio. Tale situazione aveva favorito lo sviluppo commerciale e la fioritura di ogni genere di scambi. 

La sua popolazione risultava alquanto eterogenea: la colonizzazione romana vi aveva condotto gli italici; gli orientali vi affluivano nella speranza di farvi fortuna, e Paolo vi troverà una sinagoga, testimonianza di una solida comunità giudaica. Da allora, peraltro, gli ebrei hanno sempre considerato Tessalonica come una città accogliente, nella quale hanno trovato rifugio in molte occasioni DELLA LORO STORIA DOLOROSA. Le diverse etnie avevano reato con sé un rigoglioso pantheon di divinità e di culti, almeno venti secondo le scritte rinvenute. Pare che colà, come in altre città ellenistiche, il giudaismo attirasse numerosi cittadini alla ricerca di una fede solidamente strutturata e di un codice morale dai contorni ben definiti. 

Tessalonica venne evangelizzata da Paolo, Silvano e Timoteo (1Ts1,1 e At 17, 1-9). Le circostanze sono note: nel corso del cosiddetto secondo viaggio missionario, Paolo e i suoi collaboratori, partiti a piedi da Antiochia e attraversata l’attuale Turchia centrale, s’imbarcarono a Troade e navigarono alla volta della Macedonia: Lì fondarono comunità cristiane, prima a Filippi, poi a Tessalonica e a Berea. Li ritroviamo in seguito in Acaia, ad Atene e a Corinto. Le peripezie di questo viaggio sono narrate in At 15,40 – 18,22. 

Si leggeranno, in Lettere di Paolo, I (Lettera ai Galati) – questo non l’ho messo, vuol dire che Padre J.P. Lémonon… – a sostegno dell’ipotesi che colloca questo viaggio, nel corso della vita di Paolo, in modo conforme alla cronologia delle lettere, prima della riunione a Gerusalemme narrata in Gal 2, e non dopo, come fa Luca negli Atti degli Apostoli per ragioni ecclesiologiche (At 15,1 – 18,22). Esiste dunque oggi un consenso abbastanza vasto sull’ipotesi che questo viaggio risalga alla fine dei quattordici anni che Paolo stesso calcola tra la sua prima venuta a Gerusalemme – dopo la conversione – e la seconda, quella nel corso della quale egli ottenne da Cefa, Giacomo e Giovanni l’approvazione della sua missione presso i non giudei (Gal 2,1). Ciò obbliga ad anticipare un po’ la data dell’evangelizzazione di Tessalonica, non più allinizio degli anni 50, ma verso il 48.

Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani: San Paolo e l’ecumenismo – Prima Lettera ai Tessalonicesi

dal sito:

http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/chrstuni/weeks-prayer-doc/rc_pc_chrstuni_doc_20080117_fortino-ecumenismo_it.html

PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITÀ DEI CRISTIANI

RIFLESSIONE DI MONS. ELEUTERIO F. FORTINO*

Prima lettera ai Tessalonicesi
San Paolo e l’ecumenismo

L’attualità dell’iniziativa di padre Paul Wattson e
i fondamenti teologici nel Concilio Vaticano II

« Ancora e ancora preghiamo il Signore ». Quest’invito del diacono, spesso ripetuto nel corso delle celebrazioni bizantine, sembra fare eco al tema scelto per la Settimana di preghiera per l’unità di quest’anno. A cento anni dall’inizio della prassi organizzata di una preghiera per l’unità dei cristiani, viene rivolto l’invito a « pregare continuamente », incessantemente, « senza interruzione » (1 Tessalonicesi 5, 17).

1. Il Decreto del Concilio Vaticano II sull’ecumenismo si chiude con l’affermazione che « questo santo proposito di riconciliare tutti i Cristiani nell’unica Chiesa di Cristo, una e unica, supera le forze e le doti umane », e « perciò » il Concilio « ripone tutta la sua speranza nell’orazione di Cristo per la Chiesa » (UR, 24). Quando il Decreto tratta l’esercizio dell’ecumenismo, chiede di situare le preghiere private e pubbliche in quel nucleo centrale che indica come « l’anima di tutto il movimento ecumenico », sottolineando che « queste preghiere in comune sono senza dubbio un mezzo molto efficace per impetrare la grazia dell’unità » (UR, 8). 2. In quest’anno 2008 ricorre il centenario dell’inizio della prassi di pregare regolarmente per l’unit

à dei cristiani per opera di padre Paul Wattson, un ministro episcopaliano (anglicano degli Stati Uniti), co-fondatore della Society of the Atonement (Comunità dei frati e delle suore dell’Atonement) a Graymoor (Garrison, New York), che in seguito aderì alla Chiesa cattolica; la sua iniziativa continua fino ai nostri giorni. A Roma la Congregazione dei Frati francescani dell’Atonement è presente e impegnata nella promozione della ricerca dell’unità dei cristiani attraverso il « Centro Pro Unione ».

Proprio per commemorare questo avvenimento, il Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani ha chiesto alla Comunità dell’Atonement di Graymoor di ospitare il Comitato misto per la preghiera composto da rappresentanti del Consiglio ecumenico delle Chiese e della Chiesa cattolica che annualmente prepara i sussidi che vengono poi divulgati nel mondo intero. Dal 1908 la prassi della preghiera per l’unità ha avuto una lenta, ma graduale evoluzione, nella sua impostazione e nella diffusione nel mondo. La Settimana di preghiera per l’unit

à dei cristiani nel 2008 celebra il centenario dell’istituzione dell’Ottavario per l’unità della Chiesa. Questo titolo scelto da padre Wattson è stato trasformato in Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani in seguito all’impostazione data dall’abbé Paul Couturier (1936). Il cambiamento di terminologia rispecchia lo sviluppo della storia della preghiera per l’unità. Per la Chiesa cattolica, il Decreto del Concilio Vaticano II ha dato un’impostazione teologicamente fondata ed ecumenicamente aperta tanto da rendere possibile un’ampia partecipazione degli altri cristiani alla preghiera comune. Dal 1968 si è instaurata una feconda collaborazione con il Consiglio ecumenico delle Chiese, elaborando e divulgando insieme i sussidi su un tema concordato, diverso di anno in anno.

In relazione a questo centenario, il Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani ha chiesto alla Commissione ecumenica dei vescovi degli Stati Uniti di scegliere e di proporre un primo progetto per i sussidi dell’anno 2008. È stato scelto il tema « Pregate continuamente », indicando come testo base una breve pericope della Lettera di san Paolo ai primi cristiani di Tessalonica (1 Ts 5, 12a.13b-18), una delle più antiche lettere di Paolo. La prima comunità cristiana di Tessalonica era stata fondata da Paolo; in seguito egli aveva sentito che serie difficoltà, provenienti dall’esterno, ma anche da divisioni interne, agitavano quella comunità provocando divisioni e opposizioni. Informato, Paolo si indirizzò a quella comunità con due lettere. 3. Il breve ma denso testo biblico contiene una serie di consigli, esortazioni, ordini paterni emananti dall’amore che Paolo nutriva per questa comunit

à sorta dalla sua predicazione. Egli si rivolge ai Tessalonicesi con « Vi prego … vivete in pace tra voi » (1 Ts 5, 13b). I cristiani riconciliati in Cristo devono dare testimonianza della redenzione ricevuta e della comunione ristabilita con Dio. Il tema della riconciliazione e della pace tra i discepoli di Cristo è dominante nell’insegnamento di Paolo.

Anche ai primi cristiani di Efeso egli ricorda questo tema fondamentale e lo collega direttamente a quello della vocazione cristiana. « Vi scongiuro di tenere una condotta degna della vocazione a cui siete stati chiamati … studiandovi di conservare l’unità di spirito nel vincolo della pace » (Ef 4, 3). E ripresenta loro il fondamento teologico: « Non c’è che un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo » (Ef 4, 5). La pace è un dono di Dio che i discepoli ricevono e che sono chiamati a tradurre nelle espressioni concrete della vita personale e comunitaria. 4. Nel corpo del testo scelto, Paolo d

à alcune « indicazioni per risolvere le tensioni » della comunità di Tessalonica, indicazioni che vengono proposte come utili anche per la situazione attuale dei cristiani per la ricerca della loro riconciliazione e della loro piena unità. La divisione, e spesso le contrapposizioni polemiche tra i cristiani nel nostro tempo, vanno risolte per mezzo del dialogo teologico, ma vi è un grande spazio di relazioni fraterne da istituire e realizzare per creare nuove condizioni di vita fraterna e pacifica.

Il brano si conclude con l’affermazione che « questa è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi », verso i discepoli: fare il bene reciprocamente, evitare le ritorsioni al male ricevuto, sostenere i deboli, esercitare la pazienza con tutti, vivere nella letizia, rendere grazie a Dio in ogni cosa. Il testo paolino dà altre indicazioni valide pure come metodo per l’ecumenismo e come apertura al futuro: « Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie, esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono » (1 Ts 5, 19). Quest’ultima indicazione favorisce un atteggiamento positivo verso il patrimonio delle altre Chiese e Comunità ecclesiali con cui si può avere uno scambio di beni per la crescita cristiana e quindi ecumenica comune. Un tale processo nella storia dell’ecumenismo recente è stato indicato come « dialogo della carità« , essenziale per ristabilire il clima di fraternità, necessario per una cooperazione di tutti verso l’unità. Paolo non presenta questo orientamento come semplice strumento utilitaristico di politica ecclesiastica, ma lo riconduce a Dio stesso. Questa è la volontà di Dio in Cristo verso l’insieme dei discepoli. In questa prospettiva Paolo auspica che « il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione » (1 Ts 5, 23). 5. Tra le indicazioni date da san Paolo vi

è il consiglio che è stato proposto come titolo del tema della preghiera per l’unità di quest’anno: « Pregate continuamente » (1 Ts 5, 17), pregate di continuo, « senza interruzione » (adialèiptos), « incessantemente », « senza intermissione », secondo altre traduzioni. In « ogni tempo e luogo », come richiede la preghiera delle ore nella Chiesa bizantina. Il paradossale consiglio di san Paolo – pregare senza interruzione – ha fatto molto riflettere gli uomini spirituali. I Racconti di un pellegrino russo hanno inizio proprio con questo problema: « Come è possibile pregare senza interruzione? ». Eppure il consiglio di san Paolo si riferisce a tutti i discepoli di Cristo. Il Comitato misto che ha proposto il tema applica il consiglio della preghiera ininterrotta anche alla promozione dell’unità di tutti i cristiani. La proposta della preghiera non è limitata ad « una » settimana, ma si estende all’intero anno.

In un’indicazione sull’uso dei sussidi, il Comitato misto, che ha preparato i testi, afferma: « Incoraggiamo i fedeli a considerare il materiale presentato in questa sede come un invito a trovare opportunità in tutto l’arco dell’anno per esprimere il grado di comunione già raggiunto tra le Chiese e per pregare insieme per il raggiungimento della piena unità che è il volere di Cristo stesso. Il testo viene proposto nella convinzione che, ove possibile, venga adattato agli usi locali, con particolare attenzione alle pratiche liturgiche nel loro contesto socio-culturale e alla dimensione ecumenica ». Cento anni or sono ha avuto inizio la pratica della preghiera per l’unit

à. Quest’anno si celebra quell’inizio per una nuova sollecitazione. Si incoraggia a continuare la preghiera per l’unità e a farla « senza interruzione ». Il pellegrinaggio verso la piena unità ha bisogno assoluto del viatico della grazia di Dio da invocare ogni giorno. La piena unità è dono di Dio.

6. La prassi della preghiera per l’unità offre l’opportunità a tutti i battezzati di partecipare al movimento ecumenico e non si limita a coloro che vivono in contesti interconfessionali, ma a tutti coloro che professano la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica.

Nell’enciclica sull’ecumenismo (UUS, 22) il servo di Dio Giovanni Paolo II ha sottolineato l’importanza della preghiera comune e continua: « Sulla via ecumenica verso l’unità, il primato spetta senz’altro alla preghiera comune, all’unione orante di coloro che si stringono insieme attorno a Cristo stesso ».

* Sottosegretario del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani

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