Archive pour la catégorie 'Lettera ai Tessalonicesi – prima'

Commento alla seconda lettura di domenica 6 novembre 2011: 1Tessalonicesi 6,12-16

dal sito:

http://www.bible-service.net/site/1261.html

1 Thessaloniciens 4,13-18
Les chrétiens de Thessalonique croyaient proche le retour du Christ. D’où impatience, déceptions et doutes atteignant la foi. Paul lui aussi, dans un premier temps, partageait cette attente. Le retour du Seigneur n’intervenant pas, les Thessaloniciens se posent des questions sur leurs frères morts. Manqueront-ils la venue du Seigneur ? – Non, dit Paul. Puisque le Christ est venu pour sauver tous les hommes, il y aura un moyen d’accueillir le Seigneur pour ceux qui sont déjà morts et un moyen pour les croyants qui seront encore en vie.
Tout est dans la mort-Résurrection du Christ. La puissance de cet événement entraîne tous les croyants dans le même mystère. S’ils sont morts, comme le Christ ils ressusciteront. Et ceux qui seront encore vivants passeront, aussi, par cette mort et résurrection. Comme toujours pour Paul, l’essentiel c’est le Christ et la vie avec lui.

1Tessalonicesi 4, 13-18
I cristiani di Tessalonica credevano molto vicino il ritorno di Cristo.  Di qui impazienza, delusioni e dubbi che raggiungono la fede. Paolo, lui stesso, in un primo tempo, condivideva quest’attesa. Il ritorno del Signore non arriva. I Tessalonicesi ssi pongono il problema dei loro fratelli morti. Mancheranno l’arrivo del Signore? – No, dice Paolo. Poiché Cristo è venuto a salvare tutti gli uomini, ci sarà un mezzo per accogliere il Signore per coloro che sono già morti (NOTA) ed un mezzo per i credenti che saranno ancora in vita. Tutto è nella morte-Resurrezione di Cristo. La potenza di quest’evento trascina tutti nello stesso mistero. Se sono morti, come Cristo risusciteranno. E coloro che saranno ancora vivi passeranno, così, per questa morte e resurrezione. Come sempre per Paolo, l’essenziale è Cristo e la vita con lui.

NOTA MIA:

ossia quelli che sono già morti in qualche modo avranno un mezzo « particolare » per accogliere Cristo, non l’avevo interpretata così, bello mi sembra;

6 NOVEMBRE – XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

6 NOVEMBRE – XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

MESSA DEL GIORNO LINK:

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MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura   1 Ts 4,13-18 forma breve 4, 3-14
Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi
[ Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza. Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti. ]
Sulla parola del Signore infatti vi diciamo questo: noi, che viviamo e che saremo ancora in vita alla venuta del Signore, non avremo alcuna precedenza su quelli che sono morti. Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, che viviamo e che saremo ancora in vita, verremo rapiti insieme con loro nelle nubi, per andare incontro al Signore in alto, e così per sempre saremo con il Signore.
Confortatevi dunque a vicenda con queste parole.

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dal libro del profeta Daniele 1, 1-21

La fedeltà dei giovani Israeliti nel palazzo del re di Babilonia
L’anno terzo del regno di Ioiakim re di Giuda, Nabucodonosor re di Babilonia marciò su Gerusalemme e la cinse di assedio. Il Signore diede Ioiakim re di Giuda nelle sue mani, insieme con una parte degli arredi del tempio di Dio, ed egli li trasportò in Sennaar e depositò gli arredi nel tesoro del tempio del suo dio.
Il re ordinò ad Asfenaz, capo dei suoi funzionari di corte, di condurgli giovani israeliti di stirpe reale o di famiglia nobile, senza difetti, di bell’aspetto, dotati di ogni scienza, educati, intelligenti e tali da poter stare nella reggia, per essere istruiti nella scrittura e nella lingua dei Caldei.
Il re assegnò loro una razione giornaliera di vivande e di vino della sua tavola; dovevano essere educati per tre anni, al termine dei quali sarebbero entrati al servizio del re. Fra di loro vi erano alcuni Giudei: Daniele, Anania, Misaele e Azaria; però il capo dei funzionari di corte chiamò Daniele Baltazzar; Anania Sadrach; Misaele Mesach e Azaria Abdenego.
Ma Daniele decise in cuor suo di non contaminarsi con le vivande del re e con il vino dei suoi banchetti e chiese al capo dei funzionari di non farlo contaminare.
Dio fece sì che Daniele incontrasse la benevolenza e la simpatia del capo dei funzionari. Però egli disse a Daniele: «Io temo che il re mio signore, che ha stabilito quello che dovete mangiare e bere, trovi le vostre facce più magre di quelle degli altri giovani della vostra età e così io mi renda colpevole davanti al re». Ma Daniele disse al custode, al quale il capo dei funzionari aveva affidato Daniele, Anania, Misaele e Azaria: «Mettici alla prova per dieci giorni, dandoci da mangiare legumi e da bere acqua, poi si confrontino, alla tua presenza, le nostre facce con quelle dei giovani che mangiano le vivande del re; quindi deciderai di fare con noi tuoi servi come avrai constatato». Egli acconsentì e fece la prova per dieci giorni; terminati questi, si vide che le loro facce erano più belle e più floride di quelle di tutti gli altri giovani che mangiavano le vivande del re. D’allora in poi il sovrintendente fece togliere l’assegnazione delle vivande e del vino e diede loro soltanto legumi.
Dio concesse a questi quattro giovani di conoscere e comprendere ogni scrittura e ogni sapienza e rese Daniele interprete di visioni e di sogni.  Terminato il tempo stabilito dal re entro il quale i giovani dovevano essergli presentati, il capo dei funzionari li portò a Nabucodonosor. Il re parlò con loro, ma fra tutti non si trovò nessuno pari a Daniele, Anania, Misaele e Azaria, i quali rimasero a servizio del re; in qualunque affare di sapienza e intelligenza su cui il re li interrogasse, li trovò dieci volte superiori a tutti i maghi e astrologi che c’erano in tutto il suo regno. Così Daniele vi rimase fino al primo anno del re Ciro.

Responsorio    Cfr. Dn 1, 17. 20
R. Il Signore concesse a questi giovani intelligenza e sapienza; * Dio confermò il loro cuore con il dono del suo spirito.
V. In qualunque affare di sapienza e di intelligenza su cui il re li interrogasse, li trovò preparati.
R. Dio confermò il loro cuore con il dono del suo spirito.

Seconda Lettura
Dall’«Omelia» di un autore del secondo secolo
(Capp. 1, 1 – 2, 7; Funk, 1, 145-149)

Cristo volle salvare tutto ciò che andava in rovina
Fratelli, ravviviamo la nostra fede in Gesù Cristo, vero Dio, giudice dei vivi e dei morti, e rendiamoci consapevoli dell’estrema importanza della nostra salvezza. Se noi svalutiamo queste grandi realtà facciamo male e scandalizziamo quelli che ci sentono e mostriamo di non conoscere la nostra vocazione né chi ci abbia chiamati né per qual fine lo abbia fatto e neppure quante sofferenze Gesù Cristo abbia sostenuto per noi.
E quale contraccambio potremo noi dargli o quale frutto degno di quello che egli stesso diede a noi? E di quanti benefici non gli siamo noi debitori? Egli ci ha donato l’esistenza, ci ha chiamati figli proprio come un padre, ci ha salvati mentre andavamo in rovina. Quale lode dunque, quale contraccambio potremo dargli per ricompensarlo di quanto abbiamo ricevuto? Noi eravamo fuorviati di mente, adoravamo pietre e legno, oro, argento e rame lavorato dall’uomo. Tutta la nostra vita non era che morte! Ma mentre eravamo avvolti dalle tenebre, pur conservando in pieno il senso della vista, abbiamo riacquistato l’uso degli occhi, deponendo, per sua grazia, quel fitto velo che li ricopriva.
In realtà, scorgendo in noi non altro che errori e rovine e l’assenza di qualunque speranza di salvezza, se non di quella che veniva da lui, ebbe pietà di noi e, nella sua grande misericordia, ci donò la salvezza. Ci chiamò all’esistenza mentre non esistevamo, e volle che dal nulla cominciassimo ad essere.

Esulta, o sterile, tu che non hai partorito; prorompi in grida di giubilo, tu che non partorisci, perché più numerosi sono i figli dell’abbandonata dei figli di quella che ha marito (cfr. Is 54,1). Dicendo: Esulta, o sterile, tu che non hai partorito, sottolinea la gioia della Chiesa che prima era priva di figli e poi ha dato noi alla luce. Con le parole: Prorompi in grida di giubilo…, esorta noi ad elevare a Dio, sempre festosamente, le voci della nostra preghiera. Con l’espressione: Perché più numerosi sono i figli dell’abbandonata dei figli di quella che ha marito, vuol dire che il nostro popolo sembrava abbandonato e privo di Dio e che ora, però, mediante la fede, siamo divenuti più numerosi di coloro che erano guardati come adoratori di Dio.
Un altro passo della Scrittura dice: «Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,13). Dice così per farci capire che vuol salvare quelli che vanno in rovina. Importante e difficile è sostenere non ciò che sta bene in piedi, ma ciò che minaccia di cadere. Così anche Cristo volle salvare ciò che stava per cadere e salvò molti, quando venne a chiamare noi che già stavamo per perderci.

Responsorio    Cfr. 1 Ts 5, 9-10; Col 1, 13
R. Dio ci ha destinati alla salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, il quale è morto per noi, * perché viviamo insieme con lui.
V. Egli ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto,
R. perché viviamo insieme con lui.

23 OTTOBRE 2011 – XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

23 OTTOBRE 2011 – XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

MESSA DEL GIORNO LINK:

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MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura  1 Ts 2,7-9.13
Avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi
Fratelli, siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre che ha cura dei propri figli. Così, affezionati a voi, avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari.
Voi ricordate infatti, fratelli, il nostro duro lavoro e la nostra fatica: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi, vi abbiamo annunciato il vangelo di Dio.
Proprio per questo anche noi rendiamo continuamente grazie a Dio perché, ricevendo la parola di Dio che noi vi abbiamo fatto udire, l’avete accolta non come parola di uomini ma, qual è veramente, come parola di Dio, che opera in voi credenti.

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dalla Costituzione pastorale «Gaudium et spes» del Concilio ecumenico Vaticano II sulla Chiesa nel
mondo contemporaneo (Nn. 78)

Promuovere la pace
La pace non è semplicemente assenza di guerra, né si riduce solamente a rendere stabile l’equilibrio delle forze contrastanti e neppure nasce da un dominio dispotico, ma si definisce giustamente e propriamente «opera della giustizia» (Is 32,17). Essa è frutto dell’ordine impresso nella società umana dal suo fondatore. È un bene che deve essere attuato dagli uomini che anelano ad una giustizia sempre più perfetta.
Il bene comune del genere umano è regolato nella sua sostanza dalla legge eterna, ma, con il passare del tempo, è soggetto, per quanto riguarda le sue esigenze concrete, a continui cambiamenti. Perciò la pace non è mai acquisita una volta per tutte, ma la si deve costruire continuamente. E siccome per di più la volontà umana è labile e, oltre tutto, ferita dal peccato, l’acquisto della pace richiede il costante dominio delle passioni di ciascuno e la vigilanza della legittima autorità.
Tuttavia questo non basta ancora. Una pace così configurata non si può ottenere su questa terra se non viene assicurato il bene delle persone e se gli uomini non possono scambiarsi in tutta libertà e fiducia le ricchezze del loro animo e del loro ingegno. Per costruire la pace, poi, sono assolutamente necessarie la ferma volontà di rispettare gli altri uomini e gli altri popoli, l’impegno di ritener sacra la loro dignità e, infine, la pratica continua della fratellanza. Così la pace sarà frutto anche dell’amore, che va al di là di quanto la giustizia da sola può dare.
La pace terrena, poi, che nasce dall’amore del prossimo, è immagine ed effetto della pace di Cristo che promana da Dio Padre. Infatti lo stesso Figlio di Dio, fatto uomo, principe della pace, per mezzo della sua croce ha riconciliato tutti gli uomini con Dio e, ristabilendo l’unità di tutti in un solo popolo e in un solo corpo, ha distrutto nella sua carne l’odio (cfr. Ef 2,16; Col 1,20.22). Nella gloria della sua risurrezione ha diffuso nei cuori degli uomini lo Spirito di amore.
Perciò tutti i cristiani sono fortemente chiamati a vivere secondo la verità nella carità» (Ef 4,15) e a unirsi con gli uomini veramente amanti della pace per implorarla e tradurla in atto.
Mossi dal medesimo Spirito, non possiamo non lodare coloro che, rinunziando ad atti di violenza nel rivendicare i loro diritti, ricorrono a quei mezzi di difesa che sono del resto alla portata anche dei più deboli, purché questo si possa fare senza ledere i diritti e i doveri degli altri o della comunità
.

23 OTTOBRE 2011 – XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

23 OTTOBRE 2011 -  XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

MESSA DEL GIORNO LINK:

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MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura  1 Ts 1,5c-10
Vi siete convertiti dagli idoli, per servire Dio e attendere il suo Figlio.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési
Fratelli, ben sapete come ci siamo comportati in mezzo a voi per il vostro bene.
E voi avete seguito il nostro esempio e quello del Signore, avendo accolto la Parola in mezzo a grandi prove, con la gioia dello Spirito Santo, così da diventare modello per tutti i credenti della Macedònia e dell’Acàia.
Infatti per mezzo vostro la parola del Signore risuona non soltanto in Macedònia e in Acàia, ma la vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, tanto che non abbiamo bisogno di parlarne.
Sono essi infatti a raccontare come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti dagli idoli a Dio, per servire il Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, il quale ci libera dall’ira che viene.

http://www.bible-service.net/site/377.html

1 Thessaloniciens 1,5-10
Paul parle de l’accueil de la Parole de Dieu et de l’effet de cet accueil.
Un des aspects les plus importants de cet effet, c’est que l’accueil se transforme immédiatement en envoi, voilà le « modèle pour tous les croyants », dit Paul : « À partir de chez vous la Parole du Seigneur a retenti. » C’est la contagion de la foi : témoignage de la grâce de Dieu, témoignage aussi de la conversion effective réalisée. La Parole accueillie « avec joie » même au milieu des épreuves, voire à cause des épreuves, est un thème qui revient souvent dans le Nouveau Testament.
L’attente de Jésus, « qui nous délivre de la colère qui vient », c’est-à-dire du jugement, était très forte en ces débuts de l’Église. Paul y reviendra plus loin dans sa lettre (4 – 5) et dans la seconde lettre.

1Tessalonicesi
Paolo parla dell’accoglienza della parola di Dio e dell’effetto di quest’accoglienza.
Uno degli aspetti più importanti di quest’effetto, è che l’accoglienza si trasforma immediatamente in missione, ecco “il modello per tutti i credenti„; dice Paolo “Infatti per mezzo vostro la parola del Signore risuona non soltanto in Macedonia e in Acaia, ma la vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, tanto che non abbiamo bisogno di parlarne.„ È il contagio della fede: prova della grazia di Dio, testimonianza anche della conversione effettiva realizzata. La parola accolta “con gioia„ anche in mezzo alle prove, o a causa delle prove, è un tema che ritorna spesso nel nuovo Testamento. L’attesa di Gesù, “che…„, cioè del giudizio, era molto forte in quest’inizi della Chiesa. Paolo vi ritornerà più avanti nella sua lettera (4 – 5) e nella seconda lettera.

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dal libro della Sapienza 1, 1-15

Elogio della sapienza di Dio
Amate la giustizia, voi che governate sulla terra,
rettamente pensate del Signore,
cercatelo con cuore semplice.
Egli infatti si lascia trovare da quanti non lo tentano,
si mostra a coloro che non ricusano di credere in lui.
I ragionamenti tortuosi allontanano da Dio;
l’onnipotenza, messa alla prova, caccia gli stolti.
La sapienza non entra in un’anima che opera il male
né abita in un corpo schiavo del peccato.
Il santo spirito, che ammaestra,
rifugge dalla finzione,
se ne sta lontano dai discorsi insensati,
è cacciato al sopraggiungere dell’ingiustizia.
La sapienza è uno spirito amico degli uomini;
ma non lascerà impunito chi insulta con le labbra,
perché Dio è testimone dei suoi sentimenti,
e osservatore verace del suo cuore
e ascolta le parole della sua bocca.
Difatti lo spirito del Signore riempie l’universo
abbracciando ogni cosa, conosce ogni voce.
Per questo non gli sfuggirà
chi proferisce cose ingiuste,
la giustizia vendicatrice non lo risparmierà.
Si indagherà infatti sui propositi dell’empio,
il suono delle sue parole giungerà fino al Signore
a condanna delle sue iniquità;
poiché un orecchio geloso ascolta ogni cosa,
perfino il sussurro delle mormorazioni
non gli resta segreto.
Guardatevi pertanto da un vano mormorare,
preservate la lingua dalla maldicenza,
perché neppure una parola segreta sarà senza effetto,
una bocca menzognera uccide l’anima.
Non provocate la morte con gli errori della vostra vita,
non attiratevi la rovina
con le opere delle vostre mani,
perché Dio non ha creato la morte
e non gode per la rovina dei viventi.
Egli infatti ha creato tutto per l’esistenza;
le creature del mondo sono sane,
in esse non c’è veleno di morte,
né gli inferi regnano sulla terra,
perché la giustizia è immortale.

Responsorio    Pro 3, 13. 15. 17; Gc 3, 17
R. Beato l’uomo che ha trovato la sapienza: è più preziosa delle perle; * le sue vie sono deliziose, e tutti i suoi sentieri conducono alla pace.
V. La sapienza che viene dall’alto è pura, pacifica, mite, arrendevole; piena di misericordia e di buoni frutti;
R. le sue vie sono deliziose, e tutti i suoi sentieri conducono alla pace.
 
Seconda Lettura
Dalla «Lettera ai Corinzi» di san Clemente I, papa
(Capp. 19, 2 – 20, 12; Funk, 1, 87-89)

Dio ordina il mondo con armonia e concordia e fa del bene a tutti
Fissiamo lo sguardo sul padre e creatore di tutto il mondo e immedesimiamoci intimamente con i suoi magnifici e incomparabili doni di pace e con i suoi benefici. Contempliamolo nella nostra mente e scrutiamo con gli occhi dell’anima il suo amore così longanime. Consideriamo quanto si dimostri benigno verso ogni sua creatura.
I cieli, che si muovono sotto il suo governo, gli sono sottomessi in pace; il giorno e la notte compiono il corso fissato da lui senza reciproco impedimento. Il sole, la luce e il coro degli astri percorrono le orbite prestabilite secondo la sua disposizione senza deviare dal loro corso, e in bell’armonia. La terra, feconda secondo il suo volere, produce a suo tempo cibo abbondante per gli uomini, le bestie e tutti gli esseri animati che vivono su di essa, senza discordanza e mutamento alcuno per rapporto a quanto egli ha stabilito. Gli stessi ordinamenti regolano gli abissi impenetrabili e le profondità della terra. Per suo ordine il mare immenso e sconfinato si raccolse nei suoi bacini e non oltrepassa i confini che gli furono imposti, ma si comporta così come Dio ha ordinato. Ha detto: «Fin qui giungerai e non oltre e qui si infrangerà l’orgoglio delle tue onde» (Gb 38, 11). L’oceano invalicabile per gli uomini e i mondi che si trovano al di là di esso sono retti dalle medesime disposizioni del Signore.
Le stagioni di primavera, d’estate, d’autunno e d’inverno si succedono regolarmente le une alle altre. Le masse dei venti adempiono il loro compito senza ritardi e nel tempo assegnato. Anche le sorgenti perenni, create per il nostro godimento e la nostra salute, offrono le loro acque ininterrottamente per sostentare la vita degli uomini. Persino gli animali più piccoli si stringono insieme nella pace e nella concordia. Tutto questo il grande creatore e Signore di ogni cosa ha comandato che si facesse in pace e concordia, sempre largo di benefici verso tutti, ma con maggiore abbondanza verso di noi che ricorriamo alla sua misericordia per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. A lui la gloria e l’onore nei secoli dei secoli. Amen
.

1 Tessalonicesi 1,1-5b – commento

dal sito:

http://www.nicodemo.net/NN/commenti_p.asp?commento=1%20Tessalonicesi%201,1-5b

1 Tessalonicesi 1,1-5b

1 Paolo, Silvano e Timoteo alla chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo: grazia a voi e pace!

2 Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente 3 memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo.
4 Noi ben sappiamo, fratelli amati da Dio, che siete stati eletti da lui. 5 Il nostro vangelo, infatti, non si è diffuso fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con potenza e con Spirito santo e con profonda convinzione.

COMMENTO

1 Tessalonicesi 1,1-5b

L’elezione dei tessalonicesi
La lettera ai cristiani di Tessalonica è con ogni probabilità la più antica dell’epistolario paolino in quanto fu scritta da Paolo all’inizio degli anni Cinquanta, durante il suo secondo viaggio missionario, poco dopo aver lasciato la città. La missiva si apre con un breve prescritto (1,1) a cui fa seguito un lungo ringraziamento (1,2-3,13); vengono poi alcune raccomandazioni su temi specifici di vita cristiana (4,1-5,24) seguite dal postscritto (5,25,28). Il testo liturgico riporta il prescritto e l’inizio del ringraziamento.
Il prescritto della lettera è molto sintetico: «Paolo, Silvano e Timòteo alla Chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo: grazia a voi e pace! » (v. 1). Paolo si presenta con il suo nome greco, senza aggiungere nessuna delle sue qualifiche apostoliche. Questo semplice modo di presentarsi è indice di familiarità e al tempo stesso denota un’assenza di contestazione nei suoi confronti, quale apparirà invece nelle lettere successive. L’apostolo si associa due collaboratori, Silvano e Timoteo. Il primo è lo stesso personaggio, chiamato Sila, che secondo gli Atti egli ha scelto come compagno nel secondo viaggio missionario dopo essersi separato da Barnaba (cfr. At 15,40); di lui parlerà ancora in seguito nel corso della lettera (cfr. 1Ts 3,2). Timoteo invece è un cristiano di madre ebraica che l’apostolo ha preso con sé, sempre nel secondo viaggio, a Listra, dopo averlo fatto circoncidere (cfr. At 16,1-3). Sia l’uno che l’altro avevano partecipato attivamente all’evangelizzazione di Tessalonica (cfr. At 17,1). Paolo non dice che essi abbiano scritto la lettera con lui, ma li sente così vicini e partecipi della sua attività da parlare anche a nome loro.
Paolo scrive alla «chiesa dei tessalonicesi». Il termine «chiesa» (ekklesia) traduce l’ebraico qahal che indica nell’AT la comunità del popolo di Dio. Egli suppone dunque che il gruppetto di persone che in Tessalonica hanno aderito a Cristo sia la rappresentanza, in quella città, del popolo di Israele, ormai entrato nella fase finale della salvezza inaugurata da Cristo. Questa loro dignità proviene dal fatto di essere «in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo»: mediante Gesù di Nazareth, considerato da loro come Cristo, cioè il Messia, sono entrati in un rapporto strettissimo con Dio Padre. Il prescritto termina con l’usuale augurio di grazia e di pace. Il termine «pace» (eirêne, shalôm) rappresenta il saluto tipico del mondo ebraico e significa la pienezza di ogni bene,  spirituale e materiale, in un rapporto di comunione con l’unico Dio. Il termine «grazia» (charis) è un adattamento cristiano di chaire, salve, saluto tipico del mondo greco. Dall’unione dei due termini risulta l’idea di una pace che è dono di Dio e come tale deve essere ricercata e accolta da tutti i credenti in Cristo.
Una volta terminato il prescritto Paolo inizia il ringraziamento, che si prolungherà fino a 3,13. Egli ringrazia continuamente Dio per i cristiani di Tessalonica, ricordandoli sempre nelle sue preghiere (v. 2). Paolo si presenta qui come un uomo di preghiera, che porta nel cuore davanti a Dio i cristiani da lui convertiti. In questa preghiera è incluso il ricordo del loro impegno nella fede, della loro operosità nella carità e della loro costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo (v. 3). L’«impegno nella fede» (ergon tês pisteôs, l’opera della fede) indica quell’operare che ha origine dalla fede, cioè la fede che opera mediante l’amore (cfr. Gal 5,6). L’«operosità nella carità» (kopon tês agapês, fatica dell’amore), è quell’affaticarsi per gli altri che è espressione di amore. Infine la «costante speranza» (hypomonê tês elpidos, la pazienza della speranza) è la capacità di sopportare le tribolazioni della vita, continuamente alimentata dalla speranza nel compimento finale (cfr. Rm 8,18). Appaiono qui per la prima volta le tre virtù “teologali”, le quali indicano uno stretto rapporto con Dio che dà origine a un impegno d’amore e di servizio nei confronti dei fratelli (cfr. anche in seguito 1Ts 5,8).
L’intensità della vita cristiana dei tessalonicesi viene fatta risalire da Paolo a un dono speciale di Dio: perciò li chiama «fratelli amati da Dio» e si dice consapevole dell’elezione  che essi hanno ricevuto (v. 4). L’«elezione» (eklogê) era prerogativa del popolo di Israele (cfr. Dt 7,7); in forza dell’elezione ricevuta, i tessalonicesi sono diventati il popolo eletto degli ultimi tempi.
Infine Paolo mette in luce il motivo per cui si sente di fare affermazioni così elevate circa la vita cristiana dei tessalonicesi: il suo «vangelo» (euanghelion) si è diffuso fra loro «non soltanto per mezzo della parola (logos), ma anche con potenza (dynamis), con Spirito Santo e con profonda convinzione (plêrophoria, sicurezza)»: i tessalonicesi ne sono al corrente, perché sanno bene come egli (con i suoi collaboratori) sisono comportati in mezzo ad essi per il loro bene (v. 5ab). La potenza che ha accompagnato la parola da lui annunziata non consiste in opere miracolose, ma nella sua capacità di provocare quella fede vivace e spontanea che rivela l’azione dello Spirito.

Linee interpretative
La preghiera che Paolo rivolge a Dio per i cristiani di Tessalonica rivela tutta la stima e il rispetto che egli ha per questo gruppetto di credenti in Cristo. Egli non li considera come suoi seguaci, ma come persone che Dio ha amato e ha chiamato ad essere il suo popolo in forza della loro adesione a Cristo. Il fatto che essi siano entrati a far parte della chiesa non viene visto da Paolo come frutto della sua opera evangelizzatrice, ma come il risultato dell’azione potente di Dio che, mediante la sua parola e l’opera dello Spirito, ha conferito loro il dono della fede.
La vita dei membri della comunità di Tessalonica è totalmente illuminata e guidata dal nuovo rapporto con Dio a cui Cristo li ha iniziati. Essa si caratterizza per l’esercizio delle tre “virtù teologali” che sono la fede, la speranza e l’amore. Esse non consistono semplicemente in profondi sentimenti del cuore, ma portano inevitabilmente all’azione. All’origine di tutto c’è una fede impegnata, che si manifesta nelle opere spesso faticose suggerite dall’amore, il quale a sua volta è sostenuto da quella pazienza che è il risultato di una speranza incrollabile. L’agire del credente non è dunque frutto di un bisogno superficiale di autorealizzazione, ma deriva dal profondo del cuore in cui Dio opera per mezzo dello Spirito.
 

Publié dans:Lettera ai Tessalonicesi - prima |on 14 octobre, 2011 |Pas de commentaires »

DOMENICA 30 GENNAIO 2011 – IV DEL TEMPO ORDINARIO

DOMENICA 30 GENNAIO 2011 – IV DEL TEMPO ORDINARIO

MESSA DEL GIORNO LINK:

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MESSA DEL GIORNO:

Seconda Lettura  1 Cor 1, 26-31
Dio ha scelto ciò che è debole per il mondo 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Considerate la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili.
Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio.
Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto, chi si vanta, si vanti nel Signore.

http://www.bible-service.net/site/375.html
 
 Corinthiens 1,26-31

Ce texte vient juste après le passage sur la folie de la croix. Après avoir bien montré aux Corinthiens tout ce qu’il y a d’irrationnel dans la croix du Christ, Paul s’ attache à leur montrer comment leur propre appel est de l’ordre de la folie, du moins du point de vue de la sagesse humaine.
Paul commence par décrire la communauté de Corinthe : des gens simples pour la plupart. Et l’apôtre voit, dans cette présence des plus petits, la preuve de la toute puissance de Dieu. Pour confondre les sages, Dieu a choisi la croix et sa folie. Mais cette action, il l’a réalisée afin que personne ne puisse s’enorgueillir devant Dieu. En fait, la seule et vraie sagesse devant Dieu, c’est le Christ. Il convient de se comporter comme lui, c’est-à-dire de partager sa folie, la folie de la croix, pour se trouver sage devant Dieu.

Corinzi 1,26-31

Questo testo si trova appena dopo il passaggio sulla follia della croce. Dopo avere mostrato bene ai Corinzi tutto ciò che c’è di irrazionale nella croce del Cristo, Paolo si preoccupa di mostrar loro come la loro chiamata è dell’ordine della follia, almeno dal punto di vista della saggezza umana.
Paul comincia con descrivere la comunità di Corinto:  persone semplici per la maggior parte. E l’apostolo vede, in questa presenza dei più piccoli, la prova della potenza di Dio. Per confondere i saggi, Dio ha scelto la croce e la sua follia. Ma questa azione, l’ha realizzata affinché nessuno possa inorgoglirsi davanti a Dio. In effetti, l’unica e vera saggezza davanti a Dio è il Cristo. Conviene comportarsi come lui, ossia di dividere la sua follia, la follia della croce, per trovarsi saggio davanti a Dio.

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla prima lettera ai Tessalonicesi di san Paolo, apostolo 1, 1 – 2, 12

Sollecitudine di san Paolo per la chiesa di Tessalonica
Paolo, Silvano e Timòteo alla chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo: grazia a voi e pace! Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo. Noi ben sappiamo, fratelli amati da Dio, che siete stati eletti da lui. Il nostro vangelo, infatti, non si è diffuso fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con potenza e con Spirito Santo e con profonda convinzione, come ben sapete che siamo stati in mezzo a voi per il vostro bene.
E voi siete diventati imitatori nostri e del Signore, avendo accolto la parola con la gioia dello Spirito Santo anche in mezzo a grande tribolazione, così da diventare modello a tutti i credenti che sono nella Macedonia e nell’Acaia. Infatti la parola del Signore riecheggia per mezzo vostro non soltanto in Macedonia e nell’Acaia, ma la fama della vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, di modo che non abbiamo più bisogno di parlarne. Sono loro infatti a parlare di noi, dicendo come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti a Dio, allontanandovi dagli idoli, per servire al Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, che ci libera dall’ira ventura.
Voi stessi infatti, fratelli, sapete bene che la nostra venuta in mezzo a voi non è stata vana. Ma dopo avere prima sofferto e subìto oltraggi a Filippi, come ben sapete, abbiamo avuto il coraggio nel nostro Dio di annunziarvi il vangelo di Dio in mezzo a molte lotte. E il nostro appello non è stato mosso da volontà di inganno, né da torbidi motivi, né abbiamo usato frode alcuna; ma come Dio ci ha trovati degni di affidarci il vangelo così lo predichiamo, non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio, che prova i nostri cuori. Mai infatti abbiamo pronunziato parole di adulazione, come sapete, né avuto pensieri di cupidigia: Dio ne è testimone. E neppure abbiamo cercato la gloria umana, né da voi né da altri, pur potendo far valere la nostra autorità di apostoli di Cristo. Invece siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature. Così affezionati a voi, avremmo desiderato darvi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari.
Voi ricordate infatti, fratelli, la nostra fatica e il nostro travaglio: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno vi abbiamo annunziato il vangelo di Dio. Voi siete testimoni, e Dio stesso è testimone, come è stato santo, giusto, irreprensibile il nostro comportamento verso di voi credenti; e sapete anche che, come fa un padre verso i propri figli, abbiamo esortato ciascuno di voi, incoraggiandovi e scongiurandovi a comportarvi in maniera degna di quel Dio che vi chiama al suo regno e alla sua gloria.

Responsorio    Cfr. 1 Ts 1, 9; 3, 12. 13
R. Vi siete convertiti per servire al Dio vivo e attendere dai cieli il suo Figlio, risorto dai morti, * che ci libera dall’ira futura.
v. Dio vi faccia abbondare nell’amore, renda saldi e irreprensibili i vosti cuori nella santità,
R. che ci libera dall’ira futura.

Seconda Lettura
Dalla «Lettera ai cristiani di Smirne» di sant’Ignazio di Antiochia, vescovo e martire   (Intr.; Capp. 1, 1 -4, 1 Funk 1, 235-237)

Cristo ci ha chiamati al suo regno e alla sua gloria
Ignazio, detto anche Teoforo, si rivolge alla chiesa di Dio e del diletto Figlio suo Gesù Cristo. A questa chiesa, che si trova a Smirne in Asia, augura di godere ogni bene nella purezza dello spirito e nella parola di Dio: essa ha ottenuto per divina misericordia ogni grazia, è piena di fede e di carità e nessun dono le manca. E’ degna di Dio e feconda di santità.
Ringrazio Gesù Cristo Dio che vi ha resi così saggi. Ho visto infatti che siete fondati su una fede incrollabile, come se foste inchiodati, carne e spirito, alla croce del Signore Gesù Cristo, e che siete pieni di carità nel sangue di Cristo. Voi credete fermamente nel Signore nostro Gesù, credete che egli discende veramente «dalla stirpe» di Davide secondo la carne» (Rm 1, 3) ed è figlio di Dio secondo la volontà e la potenza di Dio; che nacque veramente da una vergine; che fu battezzato da Giovanni per adempiere ogni giustizia (cfr. Mt 3, 15); che fu veramente inchiodato in croce per noi nella carne sotto Ponzio Pilato e il tetrarca Erode. Noi siamo infatti il frutto della sua croce e della sua beata passione. Avete ferma fede inoltre che con la sua risurrezione ha innalzato nei secoli il suo vessillo per riunire i suoi santi e i suoi fedeli, sia Giudei che Gentili, nell’unico corpo della sua Chiesa.
Egli ha sofferto la sua passione per noi, perché fossimo salvi; e ha sofferto realmente, come realmente ha risuscitato se stesso.
Io so e credo fermamente che anche dopo la risurrezione egli è nella sua carne. E quando si mostrò a Pietro e ai suoi compagni, disse loro: Toccatemi, palpatemi e vedete che non sono uno spirito senza corpo (cfr. Lc 24, 39). E subito lo toccarono e credettero alla realtà della sua carne e del suo spirito. Per questo disprezzarono la morte e trionfarono di essa. Dopo la sua risurrezione, poi, Cristo mangiò e bevve con loro proprio come un uomo in carne ed ossa, sebbene spiritualmente fosse unito al Padre.
Vi ricordo queste cose, o carissimi, quantunque sappia bene che voi vi gloriate della stessa fede mia.

Responsorio    Cfr. Gal 2, 19-20
R. Sono morto alla legge, e vivo per Dio. Vivo questa mia vita terrena nella fede del Figlio di Dio, * che mi ha amato e ha dato se stesso per me.
V. Con Cristo sono crocifisso: non sono più io che vivo, ma vive in me Cristo,
R. che mi ha amato e ha dato se stesso per me.

DALL’ABBASSAMENTO ALL’ESALTAZIONE IL PROFILO DI UN’IDENTITÀ (anche Fil 2, 6-11)

dal sito:

http://www.zenit.org/article-15549?l=italian

DALL’ABBASSAMENTO ALL’ESALTAZIONE IL PROFILO DI UN’IDENTITÀ (anche Fil 2, 6-11)

ROMA, sabato, 27 settembre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito ampi stralci della relazione pronunciata dell’Arcivescovo Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, monsignor Angelo Amato, in occasione del convegno diocesano su “Il Volto di Cristo: verità, via, vita”, tenutosi a Marina di Sibari (Cosenza), nei giorni 26 e 27 settembre.
 
* * *

L’identità di Gesù è professata apertamente nelle conclusioni della preghiera liturgica: «Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo figlio, che è Dio». La celebrazione liturgica della fede trinitaria riafferma la signoria di Cristo, sull’umanità, sulla storia, sul cosmo. Gesù è il Signore. Egli è l’essenza del cristianesimo. Non si tratta di una novità, né di una tradizione sorpassata. È semplicemente l’espressione eterna della fede ecclesiale in Gesù, il Signore.
Forse è utile dare uno sguardo fugace al contenuto biblico del termine «Signore», che non è, come nel nostro linguaggio ordinario, una semplice indicazione di gentilezza — «signor Presidente» o «signor Rossi» — ma implica, invece, una indicazione precisa dello statuto umano-divino di Gesù Cristo. L’appellativo «Signore» nella Sacra Scrittura in lingua greca viene espresso da due vocaboli: despòtes e kyrios.
Il termine despòtes indica colui che detiene il potere e l’autorità sia nella sfera familiare che in quella pubblica. Il despòtes è il padrone di casa e il proprietario dei suoi servi. Questo vocabolo viene usato raramente: nella traduzione greca dell’Antico Testamento circa sessanta volte e solo dieci nel Nuovo Testamento. Due volte despòtes a diretto riferimento a Gesù. Nella seconda lettera di Pietro, quando l’apostolo parla dei falsi profeti e dei falsi maestri, «che introdurranno eresie perniciose, rinnegando il Signore (despòtes) che li ha riscattati e attirandosi una pronta rovina» (2 Pietro, 2, 1). Una seconda volta il vocabolo appare nella lettera di Giuda, il quale mette in guardia i fedeli dalle infiltrazioni di individui empi, che rinnegano «il nostro unico padrone (despòtes) e signore (kyrios) Gesù Cristo» (Giuda, 4). Come si vede, il contesto è quello delle eresie cristologiche, e sembra che sia la lettera di Giuda la fonte del richiamo di san Pietro. Nei due casi, despòtes indicherebbe l’altissima sovranità di Gesù, il Signore, che non merita di essere contestato o rinnegato dai suoi fedeli, da lui sommamente beneficati e salvati. Per questo, bisogna evitare i traviamenti dottrinali dei cattivi maestri.
Il secondo vocabolo, kyrios, indica il signore che ha ed esercita un’autorità legittima e può disporre di sé e degli altri. Tale voce fu anche usata dagli imperatori romani (cfr. Atti degli apostoli, 25, 26). Di per sé il titolo non implicava l’affermazione della divinità dell’imperatore, che, tuttavia, esigeva onori divini. Per questo i cristiani si ribellavano a questa concezione. Nella traduzione greca dell’Antico Testamento, kyrios è frequentissimo — è attestato circa novemila volte — e nella maggior parte dei casi traduce il nome ebraico di Dio. Kyrios esprime l’elezione del popolo da parte di Dio e la sua liberazione dalla schiavitù egiziana. Il popolo è sua proprietà e Dio, oltre che creatore del mondo, è anche il legittimo Signore di Israele. Anche nel Nuovo Testamento kyrios è una voce che si trova spessissimo. Essa è presente in settecentodiciotto passi, la maggior parte dei quali in Luca (duecentodieci) e in Paolo (duecentosettantacinque).
Si possono ridurre a tre i significati di kyrios. Anzitutto c’è un uso profano, a indicare, ad esempio, il padrone, il proprietario di uno schiavo, il datore di lavoro, il marito. Un secondo uso riferisce kyrios a Dio, soprattutto nei richiami all’Antico Testamento. Dio è il signore, il creatore del mondo, il dominatore dell’universo e della storia. Un terzo uso, quello più frequente, fa riferimento a Gesù Cristo, sia al Gesù prepasquale sia al Cristo risorto e glorioso. In questo titolo è contenuto il riconoscimento della sua divinità e della sua signoria. Ad esempio, Gesù, in quanto kyrios del sabato (Matteo, 12, 8), dispone del giorno sacro a Dio. L’apostolo Paolo fa riferimento all’autorità delle parole di Gesù per risolvere definitivamente alcune questioni sorte nella comunità dei fedeli di Corinto: «Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito» (1 Corinzi, 7, 10). Ancora Paolo ricorda la tradizione concernente l’eucaristia, istituita dal Signore Gesù: «Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane (…)» (1 Corinzi, 11, 23). Importantissima è la formula liturgica prepaolina «Signore Gesù Cristo — Kyrios Iesoùs Christòs» (Filippesi, 2, 11). Si tratta verosimilmente della confessione di fede più antica della chiesa, che in tal modo celebra e supplica il Signore risorto, sottomettendosi a lui. È una invocazione che rivela una cristologia completa, tanto più stupefacente quanto più si consideri il fatto che, essendo una invocazione liturgica prepaolina, essa è presente pochissimi anni dopo la risurrezione di Gesù.
Rileggiamola così come ce la tramanda san Paolo, che, indirizzandosi ai cristiani di Filippi nella Macedonia greca, li esorta ad avere gli stessi sentimenti di umiltà che furono in Cristo Gesù:

«il quale, pur essendo
di natura divina,
non considerò un tesoro geloso
la sua uguaglianza con Dio;
ma spogliò se stesso, assumendo
la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini;
apparso in forma umana,
umiliò se stesso facendosi
obbediente fino alla morte
e alla morte di croce.
Per questo Dio l’ha esaltato
e gli ha dato il nome
che è al di sopra di ogni
altro nome;
perché nel nome
di Gesù ogni
ginocchio si pieghi
nei cieli,
sulla terra
e sotto terra;
e ogni lingua
proclami
che Gesù Cristo
è il Signore,
a gloria
di Dio Padre»
(Filippesi, 2, 6-11).

Si tratta della prima testimonianza esplicita della cosiddetta cristologia sviluppata o a quattro stadi, quella cristologia, cioè, che parla apertamente della preesistenza divina del Figlio, della sua incarnazione, della sua passione e morte e, infine, della sua risurrezione e glorificazione. Qui, la visione completa della realtà divina e umana di Gesù Cristo la si ha, anzi la si celebra liturgicamente, con un lessico inequivocabile, subito dopo la risurrezione.
La confessione cristologica della prima comunità cristiana è quindi chiara e completa sin dall’inizio e non è affatto frutto della sua tardiva riflessione credente. Pertanto, la cristologia sviluppata di san Giovanni, alla fine del primo secolo, non è altro che una tematizzazione articolata — condotta secondo il genere biografico «vangelo» — dell’inno liturgico prepaolino.
Insomma, l’affermazione «ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre» (Filippesi, 2, 11) è la prima e piena professione di fede cristologica della comunità cristiana. L’invocazione «Gesù Signore» esprime l’identità cristiana nel suo nucleo più intimo ed essenziale, è il suo Dna. Gesù è il Signore, un nome che è al di sopra di ogni altro nome (Filippesi, 2, 9). Egli è il Signore dei vivi e dei morti (Romani, 14, 9). È il principe dei re della terra (Apocalisse, 1, 5). Egli è il Signore dei signori e il Re dei re (Apocalisse, 17, 14; 19, 16). Gesù, cioè, riceve gli stessi titoli di Dio, «beato e unico Sovrano, il Re dei regnanti e Signore dei signori, il solo che possiede l’immortalità, che abita una luce inaccessibile; che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere» (1 Timoteo, 6, 15-16). La confessione dell’apostolo Tommaso nel quarto Vangelo — «mio Signore e mio Dio» (Giovanni, 20, 28) — continuò a risuonare completa e chiara anche sulla bocca e nei cuori dei fedeli della prima ora.
L’apostolo Paolo è solito cominciare e terminare le sue lettere con il richiamo al Signore Gesù Cristo. Si veda, ad esempio, il saluto iniziale della lettera ai Romani e delle due lettere ai Corinzi: «Grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo» (Romani 1,7; 1 Corinzi, 1, 3; 2 Corinzi, 1, 2). Il richiamo al Signore Gesù Cristo si ha anche negli incipit delle lettere ai Galati (1, 3), ai Filippesi (1, 2), ai Tessalonicesi (1 Tessalonicesi, 1, 1; 2 Tessalonicesi, 1, 1-2), a Timoteo (1 Timoteo, 1, 1; 2 Timoteo, 1, 1), a Filemone (3). Nella seconda lettera ai Tessalonicesi l’apostolo lo ripete con insistenza nei primi due versetti: «Paolo, Silvano e Timoteo alla chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre nostro e nel Signore Gesù Cristo: grazia a voi e pace da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo» (2 Tessalonicesi, 1-1). Lo stesso si dica per i saluti finali: «La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con voi» (1 Tessalonicesi, 5, 28).
I primi cristiani proclamavano apertamente la fede nel Signore Gesù Cristo, il quale ha autorità sulla Chiesa, la fa crescere e conferisce autorità ai suoi pastori (cfr. 1 Tessalonicesi, 3, 22; 2 Corinzi, 10, 8; 13, 10). Egli è il Signore che dona la pace, la misericordia, l’intelligenza delle cose (2 Tessalonicesi, 3, 16; 2 Timoteo, 2, 7-16). Inoltre, la formula paolina «nel Signore» equivale a «nel Signore Gesù Cristo». È in lui che il cristiano vive, cammina, lavora, serve, muore, viene salvato. La vita cristiana è sostenuta dall’ancoraggio al Signore Gesù Cristo, alla sua presenza e alla sua opera salvifica. E la parusia, il giorno del Signore (1 Corinzi, 1, 8; 5, 5), non sarà altro che l’incontro col Signore Gesù, giudice e salvatore (2 Tessalonicesi, 1, 9; 2, 8; Filippesi, 3, 20): «Il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi, noi, i vivi, i superstiti, saremo rapiti insieme con loro tra le nuvole, per andare incontro al Signore nell’aria, e così saremo sempre con il Signore» (1 Tessalonicesi, 4, 16-17).
Il titolo «Signore», attribuito a Gesù, indica in modo chiaro la sua divinità, che è quindi dato scritturistico fontale e non frutto di decisioni conciliari tardive. È Gesù il Signore, il Figlio divino del Padre celeste, il Verbo incarnato per la salvezza dell’umanità. È lui la parola definitiva del Padre, il maestro unico, il rivelatore universale.

[L'OSSERVATORE ROMANO - Edizione quotidiana - del 28 settembre 2008]

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