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La preghiera cristiana nelle sue tappe (Carlo Maria Martini)

io non sono molto brava, non faccio tutto questo, ma è un grande insegnamento, dal sito:

http://www.fondazionemondomigliore.org/uploads/succede/allegati/LECTIO%20DIVINA%20SETTE%20PASSI%20MARTINI.doc

LA PREGHIERA CRISTIANA NELLE SUE TAPPE

(Carlo Maria Martini)

Cerano nella comunità di Antiochia profeti e dottori: Barnaba, Simeone soprannominato Niger, Lucio di Cirène, Manaèn, compagno d`infanzia di Erode tetrarca, e Saulo. 2 Mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiunando, lo Spirito Santo disse: « Riservate per me Barnaba e Saulo per l`opera alla quale li ho chiamati ». 3 Allora, dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li accomiatarono (Atti 13,1-3)

In questo testo la comunità raggiunge la pienezza della consapevolezza apostolica mentre la comunità « stava celebrando il culto del Signore ». Su questa attività di preghiera e di ascolto della Parola vogliamo meditare per comprendere la sua relazione con la consapevolezza apostolica. Come premessa cercheremo di definire una certa concezione « semplicistica » della preghiera, per aprirci poi a una più dinamica: quella della preghiera verso il discernimento e verso la vita.

La preghiera cristiana nelle sue tappe

La concezione semplicistica della preghiera si esprime in questo modo: vorrei intraprendere un’azione, mi sembra importante un comportamento da assumere e prego per avere la grazia necessaria. La preghiera appare qui come un sostegno, un aiuto, un rinforzo di decisioni che già riteniamo ovvie ed evidenti. Questo tipo di preghiera può andare bene allorché alcune decisioni sono già chiaramente enucleate dal contesto: rivela invece la sua inadeguatezza quando si tratta di scelte qualificanti la vita, di scelte che dobbiamo operare per rispondere alla chiamata di Dio.

é allora importante riflettere sulla dinamica discrezionale della preghiera, sul rapporto tra preghiera e vita, sulle tappe mediante le quali la preghiera entra nella vita e ne diventa parte. Le tappe successive della preghiera sono conosciute e si possono esprimere con alcuni pochi gradini che, per maggiore utilità, io allargo a sette: lectio, meditatio, contemplatio, consolatio, discretio, deliberatio, actio. Nella loro successione, infatti, esprimono molto bene la dinamica discernimentale della preghiera.

a) La Lectio.

La lectio mette in relazione questa preghiera con la Sacra Scrittura perché è una lectio divina. Consiste nella lettura o nell’ascolto di un passo della Bibbia, cercando di metterne in rilievo gli elementi portanti. È un atteggiamento dinamico è lo sforzo di cogliere, nel testo, i rilievi in modo che da « pianura » diventi un panorama di montagna » con alcune parti in luce e altre in ombra. Sottolineando i verbi, i soggetti, gli oggetti, i vari elementi acquistano valore insospettato. La lectio nel quadro in cui noi la consideriamo, non è fine a se stessa ma si apre alla meditatio: va dunque fatta ogni volta per quel tanto che serve a passare oltre. Non così poco che la meditatio sia sterile e non così tanto da impedirne il dinamismo.

b) La Meditatio.

é la riflessione sui valori del testo soprattutto sui valori permanenti. é un secondo modo di accostare il brano: non più per considerazione analitica dei soggetti, degli oggetti, dei simboli dei movimenti interni ed esterni ma dei valori che il testo veicola e porta con sé.

La meditatio va fatta con la mente e anche con l’affetto perché spesso i valori sono ricchi di risonanze, di sentimenti. Comporta il superamento della quantità verso a qualità, il superamento delle forme esteriori, delle figure geometriche e sintattiche verso i loro contenuti, ed è quindi un passaggio importante. Quali valori esprime Gesù con questo modo di essere? E come posso fare per farli miei? Il mondo della meditatio è molto vario perché l’uomo si confronta dall’interno con la parola e ne fa modello, proposta, regola di vita. C’è tuttavia un rischio ed è quello di prolungare la meditatio all’infinito, compiacendosi di aver capito i valori del testo, di averli ordinati e collegati con la propria vita. Il rischio è di credere di vivere quei valori semplicemente perché si è riusciti a coglierli bene, bloccando così il processo dinamico della preghiera e cadendo nell’autocompiacimento che, in realtà, è l’opposto della religiosità evangelica, pur se si nutre di parole del Vangelo.

La meditatio è dunque un grandissimo valore da imparare, e magari ci si mette anni per impararla, però deve essere superata, a un certo punto, verso la contemplatio. La meditatio infatti può essere fatta, in qualche maniera, anche da un non credente che si compiace dei valori profondi espressi dalla Scrittura.

c) La contemplatio

Con la contemplatio entriamo nella specifica preghiera cristiana che é « in spirito e verità ». é il passaggio dalla considerazione dei valori all’adorazione della persona di Gesù che riassume tutti i valori, li sintentizza, li esprime in sé e li rivela. é un momento orante per eccellenza in cui vengono dimenticate proprio le stesse cose che sono state molto utili per stimolare la coscienza. Si adora e si ama Gesù, ci si offre a lui, si chiede perdono, si loda la grandezza di Dio, si intercede per la propria povertà o per il mondo, per la gente, per la Chiesa. Il centro e il riferimento della contemplatio è sempre la persona di Gesù rivelatore del Padre.

Dal punto di vista più propriamente ontologico o di antropologia soprannaturale, la contemplatio è la disponibilità al dono infuso della carità. L’uomo cioè è nella situazione ideale per accogliere, coscientemente o almeno con piena disponibilità, il dono infuso di carità, a lasciare vibrare in sé lo Spirito di santità.

La contemplatio è, dunque, in parte esercizio attivo, adorante, amante e in parte esercizio passivo, spazio dato allo Spirito di Cristo perché in noi adori, lodi, glorifichi il Padre. Il dono infuso di carità è germinalmente presente, come sappiamo, in ogni battezzato. Molto spesso però non ha spazio espressivo, uno spazio cioè corporeo, mentale, strutturale: la contemplatio è esattamente il momento in cui si dà spazio corporeo allo Spirito Santo. Per questo possiamo anche chiamarla « conversione » dell’uomo che si rivolge totalmente a Dio, che lo sceglie costantemente, attratto da lui, che lo ama con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze elevate soprannaturalmente dallo Spirito.

È veramente il punto culminante delle varie tappe del dinamismo della preghiera ed è la norma, il riferimento delle tappe precedenti. In tanto la lectio è utile, la meditatio è importante, in quanto sfociano nella contemplatio che è vita in senso pieno: è la vita di Cristo che vive in colui che contempla. Da aggiungere, a questo punto del dinamismo della preghiera, ci sarebbe solo l’esperienza infusa mistica, la percezione cioè cosciente dell’agire di Dio: l’unione con Dio a livelli mistici non è però necessariamente parte dell’organismo ordinario della vita cristiana. Vorrei, invece, dire qualcosa sul dinamismo esplicativo della contemplatio ed è per questo che ho indicato altri quattro gradini, anche se non sono un passo avanti perché tutto è già avvenuto.

d) La Consolatio.

Noi facciamo fatica a determinare questo vocabolo mentre è realtà notissima al Nuovo Testamento. Paolo ne fa uso molto grande, sia come verbo – parakaléo – sia come sostantivo – paraklesi – e addirittura lo prevede come un ministero : « Chi ha il ministero della consolazione – parakalòn – attenda alla consolazione paraklései - » (Rm 12,8). Consolazione è un appellativo di Dio, il Dio della pazienza e della consolazione (cf Rm 15,4; 2 Cor 1,3) e il Nuovo Testamento la considera come realtà fondante l’esperienza cristiana. A noi sembra un sostegno aggiuntivo: il bisogno di essere consolati ci appare quasi un segno di debolezza, e questo è abbastanza strano se pensiamo che lo Spirito Santo è qualificato come il Paraclito, il Consolatore.

Che cosa possiamo dunque intendere per consolatio come sviluppo ordinario della contemplatio? Possiamo intendere la gioia profonda, intima che viene dall’unione con Dio, il riverbero luminoso, gaudioso della comunione con Lui. Pensiamo alla gioia che vediamo trasparire dagli occhi di persone particolarmente sante, quel non so che di pace, di serenità, di tranquillità anche nella sofferenza. È il gusto del culto di Dio, il rapporto con Dio vissuto con gaudio.

L’uomo giunto alla contemplazione sa che nessuna forza umana gli potrà strappare quella pace che è dono di Dio. Paolo esprime questa certezza gaudiosa quando esclama: « Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? … io sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né presente, né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù nostro Signore! » (Rm 8,35.38-39). La consolazione è la forza che sentiamo uscire, a distanza di duemila anni, dalle parole di Paolo. Ha molti altri nomi la consolatio: in certi periodi della storia della spiritualità è stata chiamata « fervore » oppure « devozione » (S. Francesco di Sales), cioè prontezza gaudiosa e spontanea con cui l’uomo si dona a Dio. Da S. Giovanni Eudes è stata chiamata « il regno di Gesù »: la vita è il regno di Gesù che si sviluppa in noi.

Non dobbiamo dunque trascurare la consolatio. A volte, una certa cultura pseudo-spirituale ci fa credere che ciò che conta è fare il proprio dovere, essere leali e giusti. Ma l’uomo leale e giusto non può non esprimere quella pienezza di sé che è la forza e l’entusiasmo della gioia interiore!

Certo, si tratta di gioia spirituale nascosta nel profondo, spesso è velata e oscurata dalle prove, dall’aridità, dalle desolazioni, dalle tentazioni dalla derelizione, dalla croce, tuttavia non a questa l’uomo è chiamato. Lo stadio a cui è chiamato è la luminosità di Cristo risorto e la consolazione è luminosità del Cristo risorto diffusa nell’esperienza. Non è fenomeno accessorio, pur se va distinta dai puri stati di entusiasmo naturale.

e) La Discretio o discernimento.

La consolatio pone l’uomo in sintonia mirabile con i valori evangelici. è gusto interiore per Cristo, per l’essere con Lui, per la sua povertà, per coloro che sono simili a Gesù nella sofferenza, per la sequela generosa della croce insieme a Lui. Le grandi scelte di Cristo, il suo abbandono al Padre, il suo distacco, la sua dedizione all’uomo diventano valori connaturali nel momento della consolatio.

Il discernimento è la capacità di scegliere, per interiore connaturalità, secondo e come Cristo. La sua relazione con la meditatio è molto stretta perché la meditatio fa emergere i valori di Gesù e la discretio li fa scegliere. Francesco d’Assisi incontra il lebbroso vede in lui Cristo e, nell’impulso dello Spirito, lo bacia pieno di gioia, superando una fortissima ripugnanza naturale: è la discretio che gli ha fatto fare la stessa scelta di Gesù.

f) La Deliberatio

La deliberatio è l’atto interiore con cui l’uomo si decide per le scelte secondo Cristo e necessariamente sfocia nell’ actio.

g) L’actio

L’actio è, dunque, il modo di vivere e di agire secondo lo Spirito di Cristo, è l’accogliere totalmente dentro di noi la coscienza apostolica, è l’averla integrata in noi stessi, l’aver fatto di questa scelta non soltanto un atto di volontà a cui conformarsi a fatica ma una realtà entrata in noi attraverso il dinamismo della preghiera.

In tal modo la preghiera non è più soltanto un pregare in vista del compiere meglio qualcosa: la preghiera è il fare emergere la scelta, il formare la propria vita a partire dalle scelte evangeliche interiorizzate. La coscienza apostolica diventa così l’integrazione in noi dei valori evangelici secondo la chiamata divina.

L’importanza della contemplatio

Prima di concludere, è bene ribadire l’importanza della contemplatio senza la quale tutto diventa insipido, diventa esecuzione faticosa di precetti, volontarismo, moralismo. La mancanza di contemplazione ci impedisce di cogliere globalmente i vari aspetti dell’esperienza cristiana e di vivere realmente il « vieni e seguimi » di Gesù. Nella contemplatio l’uomo raggiunge il massimo di chiarezza e di forza, in essa il progetto-uomo si verifica e si va verificando progressivamente, mano a mano che si integra nelle azioni, nella cultura, nella espressione esteriore della persona.

Il passaggio dalla meditatio alla contemplatio è dunque il momento vitale e determinante dell’esperienza cristiana. Spesso la nostra esperienza cristiana è, al massimo, a livello meditativo, di riflessione, di bei pensieri ma ancora oscura su molti valori del dono di Dio fatto all’uomo. Tale è, spesso, l’esperienza degli apostoli nel Vangelo di Marco che vedono e non capiscono, che hanno occhi e non comprendono. Per questo ci si ritrova incerti, alle prese con continui ripensamenti e con desideri di evasione: perché non si ha come riferimento la contemplazione.

Le domande che possiamo porci, allora, devono essere su come pratichiamo la lectio e la meditatio ma soprattutto se ci apriamo alla contemplatio, se la consideriamo fondamentale per il nostro cammino di fede. lo credo che tutti noi abbiamo avuto dei momenti di vera contemplazione, nei quali abbiamo potuto discernere anche la consolazione di Dio. L’invito è riflettere su questi momenti e valorizzarli giustamente, secondo i disegni del Signore.

(Carlo Maria Martini, Uomini di pace e di riconciliazione, Borla 1985, pp. 33-40)

Memoria Dei (pregare sempre: Luca e Paolo)

 dal sito:

http://www.donboscoland.it/articoli/articolo.php?id=124004

Memoria Dei

Due testi biblici chiedono al cristiano di pregare «sempre», «senza interruzione». Nel Vangelo di Luca Gesù pronuncia una parabola sulla «necessità di pregare sempre, senza stancarsi», e Paolo comanda: «Pregate senza interruzione». Com’è possibile…?

Due testi biblici chiedono al cristiano di pregare «sempre», «senza interruzione». Nel Vangelo di Luca Gesù pronuncia una parabola sulla «necessità di pregare sempre, senza stancarsi» (Luca 18,1), e Paolo comanda: «Pregate senza interruzione» (1 Tessalonicesi 5,17). Com’è possibile? E com’è possibile conciliare questo comando con l’altro che chiede di lavorare (2 Tessalonicesi 3,12) e con l’esempio di Paolo stesso che afferma di lavorare «notte e giorno» (2 Tessalonicesi 3,8)? E com’è possibile pregare mentre si dorme?
Questi interrogativi hanno traversato il cristianesimo antico, soprattutto il monachesimo, ricevendo diversi tentativi di risposta. Da quello radicale ed estremista dei «messaliani» (o «euchiti», «coloro che pregano») i quali, rifiutando assolutamente il lavoro, pretendevano di dedicarsi unicamente alla preghiera, a quello, altrettanto estremista e altrettanto votato all’impossibilità, degli «acemeti» («coloro che non si coricano»), che cercavano di ridurre il più possibile il tempo di sonno per consacrarsi solamente alla preghiera. Altre risposte, più estrinseche, e tipiche del monachesimo cenobita, hanno cercato di moltiplicare le ore di preghiera liturgica e di assicurare, mediante appropriati turni e rotazioni dei monaci del monastero, una continua preghiera liturgica, una laus perennis. Altre risposte hanno battuto la via dell’interiorità, della preghiera ritmata sul battito del cuore, sul ritmo del respiro, sulla ripetizione di un’invocazione rivolta a Dio, fino a giungere alla cosiddetta «preghiera monologica», che cioè ripete instancabilmente una sola parola, per esempio, il nome di Gesù.
Frutto di questa concentrazione dello spirito dell’uomo sul nome del suo Signore, di questa attenzione che vuota il cuore di ogni altro pensiero e lo fa inabitare solamente dal pensiero di Dio, è la cosiddetta mnéme theou, la memoria Dei, il «ricordo di Dio». Espresso soprattutto dall’insegnamento spirituale dello Pseudo-Macario, il ricordo di Dio è un atteggiamento spirituale profondo di unificazione del cuore davanti alla presenza di Dio interiorizzata. È ricordo nel senso di custodia nel cuore, cioè nella mente e nell’intimo della persona, della presenza di Dio così che alla luce di tale presenza venga unificata e integrata nella vita interiore anche la vita esteriore dell’uomo. È ricordo alla cui luce si vive e si ricomprende il presente giudicandolo nella fede. La memoria Dei diviene così la matrice del discernimento che forgia la sapienza spirituale e rende l’uomo capace di vivere ogni atto e ogni parola alla luce del terzo che il credente fa regnare in ogni relazione: Dio. L’uomo spirituale autorevole nasce da questa vivificante memoria.
È memoria che si associa ad amore, carità, zelo, ardore, compunzione, nei confronti di Dio stesso. Dice lo Pseudo-Macario: «Il cristiano deve sempre custodire il ricordo di Dio, perché non deve amare Dio solamente in chiesa ma anche camminando, parlando, mangiando». Questa memoria diviene presenza interiore, dunque preghiera, cioè vita davanti a Dio e nella coscienza di tale presenza. Il credente è così reso «dimora del Signore», come afferma l’apostolo Paolo. Ovvio allora che tale memoria non sia semplicemente un movimento psicologico: in effetti essa è azione dello Spirito santo. Il quarto Vangelo, per cui lo Spirito ha la funzione di «insegnare e ricordare» (Giovanni 14,26), afferma che lo Spirito insegnerà e ricorderà «tutto» ciò che Gesù ha detto e fatto. Lo Spirito appare dunque memoria di totalità. Ma questa totalità non è data dalla somma di gesti compiuti e di parole pronunciate e fissate nella Scrittura, bensì dalla presenza stessa di Gesù. È memoria delle parole e del silenzio di Gesù, del detto e del non detto, del compiuto e del non compiuto, del già e del non ancora, dunque anche di ciò che ancora non vi è stato. Opera dello Spirito, questa memoria è anche profezia. Essa guida a quella consonanza profonda con Cristo, con ciò che sta a monte del suo parlare e del suo agire, che infonde nel credente la capacità di obbedire creativamente all’Evangelo, guidato dallo Spirito che fa abitare in lui il Cristo. Questa memoria Dei cela in sé un’attitudine di riconoscenza e di ringraziamento, di fedeltà e di impegno, di dedizione e di speranza. È memoria che unifica il passato, dà luce e senso al presente e apre all’attesa e alla speranza per il futuro. Capiamo perché Gregorio Sinaita (XIV secolo) abbia potuto affermare che il comando «Ricordati del Signore tuo Dio in ogni tempo» è il più fondamentale di tutti i comandi. È grazie ad esso, infatti, che gli altri possono essere adempiuti.

(L’autore) Enzo Bianchi, Le parole della spiritualità – autore: Enzo Bianchi

Preghiera di S.Tommaso Riflessioni

dal sito:

http://www.predicazione.it/riflessioni/Preghiera_di_s_Tommaso.html

Preghiera di S.Tommaso  Riflessioni   

Concedimi, o Dio misericordioso,
di desiderare con ardore ciò che tu approvi,
di ricercarlo con prudenza,
di riconoscerlo secondo verità,
di compierlo in modo perfetto, a lode e gloria del tuo nome.
Metti ordine nella mia vita,
fammi conoscere ciò che vuoi che io faccia,
concedimi di compierlo come si deve
e come è utile alla salvezza della mia anima.
Che io cammini verso di te, Signore,
seguendo una strada sicura, diritta, praticabile
e capace di condurre alla meta,
una strada che non si smarrisca fra il benessere o fra le difficoltà.
Che io ti renda grazie quando le cose vanno bene,
e nelle avversità conservi la pazienza,
senza esaltarmi nella prosperità
e senza abbattermi nei momenti più duri.
Che io mi stanchi di ogni gioia in cui tu non sei presente,
che non desideri nulla all’infuori di te.
Ogni lavoro da compiere per te mi sia gradito, Signore,
e insopportabile senza di te ogni riposo.
Donami di rivolgere spesso il mio cuore a te,
e quando cedo alla debolezza,
fa’ che riconosca la mia colpa con dolore,
e col fermo proposito di correggermi.
Signore, mio Dio,
donami un cuore vigile, che nessun pensiero curioso trascini lontano da te;
un cuore nobile che nessun indegno attaccamento degradi;
un cuore retto che nessuna intenzione equivoca possa sviare;
un cuore fermo che resista ad ogni avversità;
un cuore libero che nessuna passione violenta possa soggiogare.
Concedimi, Signore mio Dio,
un’intelligenza che ti conosca,
uno zelo che ti cerchi,
una sapienza che ti trovi,
una vita che ti piaccia,
una perseveranza che ti attenda con fiducia,
e una fiducia che alla fine arrivi a possederti.

(S. Tommaso d’Aquino)

Publié dans:LA PREGHIERA ( AUTORI VARI) |on 28 janvier, 2011 |Pas de commentaires »

Prendimi (preghiera di Jean Galot)

 dal sito:

http://www.piccolifiglidellaluce.it/preghierecuore1.htm

PREGHIERA DI JEAN GALOT S.J.

Prendimi!

Prendimi, o Cuore di Cristo, in tutto ciò che sono;
Prendimi in tutto ciò che ho e che faccio, in tutto ciò che penso e tutto ciò che vivo!
Prendimi nel tuo spirito, perché aderisca a te;
Prendimi nel mio volere, perché voglia te;
Prendi tutto il mio cuore, perché ami solo te!
Prendimi, o Cuore di Cristo, nei miei desideri più nascosti,
Perché tu sia il mio sogno e il mio unico scopo,
Il mio grande amore e la mia perfetta felicità!
Prendimi con la tua bontà, per attirarmi a te;
Prendimi con la tua dolcezza, per accogliermi in te;
Prendimi col tuo amore, per unirmi a te!
Prendimi, o Cuore di Cristo, nella tua pena e nella tua gioia,
Nella tua vita e nella tua morte, nella notte della tua croce,
Nel giorno immortale della tua resurrezione!
Prendimi con la tua potenza, elevandomi a te;
Prendimi col tuo ardore, infiammandomi per te;
Prendimi con la tua grandezza, per farmi perdere in te!
Prendimi, o Cuore di Cristo, come tuo servo,
Tuo schiavo e al tempo stesso tuo indegno amico;
Prendi tutta la mia dedizione, fino in fondo, senza limiti!
Prendimi per il lavoro della tua grande missione,
Per il dono integrale alla salvezza del prossimo,
E per ogni sacrificio a servizio dei tuoi!
Prendimi, o Cuore di Cristo, senza limite e senza fine;
Prendi ciò che io non son riuscito a offrirti;
Non mi rendere mai più ciò di cui ti sei impossessato!
Prendi per l’eternità ciò che è in me,
Affinché un giorno possa, o divin Cuore, possederti,
Nell’amplesso del Cielo, prenderti e custodirti per sempre!
  

Publié dans:LA PREGHIERA ( AUTORI VARI) |on 15 janvier, 2011 |Pas de commentaires »

Preghiera ecumenica in memoria dei copti morti nell’attentato del primo Gennaio (Gerusalemme)

dal sito: 

http://www.custodia.org/Preghiera-ecumenica-in-memoria-dei.html

Preghiera ecumenica in memoria dei copti morti nell’attentato del primo Gennaio

Un’unica preghiera ha unito Martedì 4 gennaio nella chiesa del Patriarcato Copto ortodosso di Gerusalemme, le chiese di Terra Santa per piangere, per la seconda volta in tre mesi, i morti di un altro attacco contro i cristiani in Medio Oriente.

Erano presenti o rappresentati da altri, la maggior parte dei capi di chiesa, e tutti hanno preso la parola per denunciare le condizioni di certi attacchi indiscriminati, come quello avvenuto alla vigilia della festa mentre i fedeli stavano pregando. Il Gran Mufti di Gerusalemme ha fatto pervenire un messaggio che è stato letto, mentre un rappresentante di Fatah ha espresso alcune parole. Anche il rappresentante dell’Autorità palestinese Mr. Zyad Bendak ha letto un messaggio del Presidente Mahmoud Abbas così come diverse personalità importanti musulmane della città che ci tenevano a partecipare e presentare le loro condoglianze. Tra il pubblico si notava anche la presenza di ebrei Israeliani desiderosi di dialogo con le altre religioni monoteiste del paese. È stato l’arcivescovo dei copti ortodossi di Terra Santa, mons. Anba Abraham, a concludere con un discorso l’incontro prolungato, secondo la tradizione orientale, dalla presentazione di cordoglio davanti a un caffè. In un’intervista rilasciata al Franciscan Media Centre, mons. Anba Abraham, ha detto citando Tertulliano: « Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani. Questa prova può rafforzare la fede dei nostri fedeli, che saranno sempre più numerosi nelle nostre chiese. Avvolte Dio permette che certi eventi si verifichino perché il martirio è una testimonianza per il mondo intero, una testimonianza che dovrebbe rafforzare la nostra fede e renderci più vicini al Signore, e farci credere più profondamente nel nostro Salvatore Gesù Cristo ». Eppure la comunità cristiana araba in Terra Santa, anche quando si ritrova a vivere nel paese più sicuro della regione, ritiene che questi attacchi riflettano la stretta di una morsa inesorabile. Secondo l’arcivescovo Antonio Franco, Nunzio e Delegato apostolico, « il rischio è che essa si faccia prendere dal panico ». Il parere unanime è che sia necessario invertire la tendenza, fare la pace dove c’è guerra. Una soluzione semplice ma possibile solo per vie molte tortuose e ancora più lunghe!

+++ Dal Cantico di San Sergio di Radonez, Patrono della Russia, 1314-1392 (sul Padre nostro, stralcio)

è uno stralcio del commento al Padre nostro di alcuni santi, è bella, potete andare al sito per leggere tutto, dal sito:

http://www.umilta.net/padrenostro.html

+++ Dal Cantico di San Sergio di Radonez, Patrono della Russia, 1314-1392

Sergio di Radonez, russo, fu coevo di Giuliana di Norwich. Nessuno scritto di San Sergio è giunto a noi, nel 1945 la cantica è stata rivelata in sogno a Don Divo Barsotti, C.F.D. E’ dallo studio che gli deriva una profonda conoscenza di Giuliana di Norwich, ed egli vede ciascuno di noi come il trono di Dio, il trono in cui il Regno di Dio prende dimora, proprio nel senso inteso da Giuliana di Norwich.

IV. Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra.
Questi versetti del Padre nostro riecheggiano le parole della Vergine al momento dell’Annunciazione (Luca 1.38). Riecheggiano le parole  di Cristo nel Getsemani (Luca 23.42). Riecheggiano anche le parole che Gesù pronunciò in precedenza (Matteo 12.46-502, Marco 3.31-35, Luca 8.19-21): ‘Chiunque fa la volontà di Dio, egli è mio fratello, mia sorella e mia madre’. Giuliana aggiunge, ‘Questa è la volontà di nostro Signore, che la nostra preghiera e la nostra fede siano ugualmente grandi’. Nel Norwich Castle Manuscript questa richiesta è la misura contro l’Invidia; la volontà di Dio nella carità e non la mia sia fatta, poiché Dio è amore.
Simone Weil attribuisce questo anelito al desiderio di eternità che va oltre quello del tempo: un anelito analogo al desiderio di colui che  che muore di sete, ma deve astenersi dal soddisfarlo, se contro la volontà di Dio. Evelyn Underhill riferisce le parole di Niccolò Cusano: ‘Ho appreso che il luogo ove Tu sei svelato è circonfuso dalla coincidentia oppositorum’.

V. Dacci oggi il nostro pane quotidiano.
Gesù si guadagnava il pane quotidiano con il lavoro di falegname, Pietro, Giacomo e Giovanni erano pescatori, Paolo fabbricava tende. Matteo, esattore delle tasse e colpevole di deprivare gli altri del pane, abbandona il banco della gabella per seguire la semplicità di Cristo.
Il Norwich Castle Manuscript afferma che non possiamo dire secondo giustizia ‘il nostro pane’ se conosciamo qualcun altro a cui il pane manca e a lui lo neghiamo. Questo significa che dobbiamo lavorare per il bene comune dei Cristiani nostri pari, donando, insegnando, aiutando, confortando. Significa che noi siamo mendicanti – parola ripresa nel più tardo Lambeth Manuscript – e di giorno in giorno umilmente chiediamo il pane a Dio; coloro i quali non lavorano con il sudore della fronte recitano indegnamente questa preghiera. Il manoscritto aggiunge che non dovrebbero esistere interdizioni o scomuniche, dal momento che nessuno, uomo o donna che sia, deve essere separato dal corpo di Cristo, avendo Cristo offerto il sacramento persino a Giuda. Bisogna, tuttavia, ammaestrare sulla necessità di ricevere il sacramento essendone degni. Il manoscritto aggiunge che questa domanda è l’antidoto contro l’Accidia. La preghiera di ringraziamento latino americana è strettamente connessa a questo: ‘Preghiamo che coloro ai quali manca il pane lo abbiano, e che coloro i quali hanno il pane sentano fame e sete di giustizia per quelli a cui il pane manca’. Gesù – rimarca il Norwich Castle Manuscript – disse: ‘Il mio cibo è fare la volontà del Padre mio’ (Giovanni 4.34), in tal modo legando le due invocazioni.
Evelyn Underhill cita una preghiera spagnola: ‘Tu una volta nutristi i tuoi poveri abbondantemente con il pane del cielo’, e in un Vangelo irlandese leggiamo: ‘Dacci oggi come pane quotidiano la Parola di Dio dal Cielo’. Simone Weil afferma che Cristo è il nostro pane. E aggiunge che così come la manna non può essere conservato. Qui il paradosso è che il Norwich Castle Manuscript, manoscritto medievale, è più marxista-cristiano di quanto non lo sia Simone Weil nel XX secolo.

Publié dans:LA PREGHIERA ( AUTORI VARI) |on 3 janvier, 2011 |Pas de commentaires »

LA PREGHIERA E LA LEGGE

dal sito:

http://parrocchiadivergiate.wordpress.com/documenti/la-preghiera-e-la-legge/

LA PREGHIERA E LA LEGGE

Mercoledì 26 marzo 2003  prof. Don Pierantonio Tremolada

La preghiera e la legge

Mc12, 28-34

Allora gli si accostò uno degli scribi che li aveva uditi discutere, e, visto come aveva loro ben risposto, gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua  mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento più importante di questi». Allora lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità che Egli è unico e non v’è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore e con tutta la mente e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso val più di tutti gli olocausti e i sacrifici». Gesù, vedendo che aveva risposto saggiamente gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.
Meditiamo la legge del Signore e del suo rapporto con la preghiera. Lo facciamo a partire dal dialogo tra uno scriba e Gesù. Lo scriba chiede: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». Il comandamento è la legge. Se fosse rivolta a noi la domanda che risponderemmo? Forse non uccidere, non rubare; a quei tempi forse avrebbero risposto di osservare il sabato. Invece Gesù dice che sono due e sono inseparabili i comandamenti importanti e sono collegati da un’unica parola, dal verbo amare. Amerai il Signore ed amerai il tuo prossimo. Così come sono, nessuno dei due comandamenti fa parte dei dieci comandamenti. E come se il Signore ne aggiungesse altri due. Noi sappiamo che i comandamenti più importanti sono tutti in negativo: «non uccidere, non rubare, non desiderare…» Gesù ne formula uno in positivo. E come se Dio dicesse che se tu volessi sapere che cosa Egli fondamentalmente più desidera, questo è che tu lo ami con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutta la tua forza. Il cuore sono gli affetti ed anche qualcosa di più; la mente è l’intelligenza; la forza  sono le energie. E poi il prossimo come te stesso. Nel discorso della montagna Gesù svilupperà meglio questo aspetto: tutto quello che desiderate che gli altri facciano a voi, fatelo voi a loro. Questo significa amare, non soltanto in negativo, ma in positivo.
Il primo insegnamento è che la sostanza di tutti i comandamenti sta nella capacità di amare Dio ed il Prossimo. Tutti i comandamenti si fondono sulla capacità di amare.
Una seconda riflessione: questa capacità di amare Dio ed il prossimo è preceduta dalla capacità di ascoltare. Gesù dice: «Ascolta Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore. Tu dunque amerai il Signore». Prima c’è questo “Ascolta”. Per arrivare ad amare Dio bisogna ascoltarlo perché è l’unico modo per conoscerlo. Non si ama una persona sconosciuta. Nella misura invece che si conosce una persona che è buona, in quella misura la si amerà. Per osservare la legge di Dio che si riassume nel comandamento dell’amore, bisogna riconoscere che questa legge viene da Dio ed è espressione del suo amore; è Dio che ci parla. Nell’A.T. quando si presenta il decalogo vengono fornite le circostanza in cui Dio l’ha donato a Mosé. Alcuni particolari ci aiutano a capire: il Signore Dio parla a Mosé dicendo che è suo desiderio stringere un patto, legarsi con i figli di Israele; è suo desiderio che ci sia un legame profondo con loro; Lui non li abbandonerà mai e chiede a loro di non abbandonarlo mai, di aver fiducia in Lui. La legge risponde a tutto questo. Proprio perché il Signore ama i figli di Israele, dà loro la legge che permette loro di sentire la parola di quel Dio che li ama.
Una concezione sbagliata della legge ci porta a rifiutarla, soprattutto oggi. Se noi avessimo solo la legge in quanto tale senza sapere il rapporto tra la legge e Dio, d’istinto, la rifiuteremmo. Quando obblighiamo qualcuno a fare una cosa, tendenzialmente lui fa il contrario. Questa riflessione è sviluppata bene da San Paolo nella lettera ai Romani. L’assoluto è Dio, non la legge. Bisogna intuire questo straordinario rapporto tra la legge che Dio ci ha dato e la sua voce; allora si che accoglieremmo la sua legge.
Attraverso la legge Dio manifesta la sua bontà per noi. Dio non ci ordina nei comandamenti per il gusto di farsi obbedire e sentirsi più grande di noi, ma perché ci ama. Non bisogna obbedire per forza ai suoi comandi, altrimenti saremmo dei servi e non degli amati.
Nel Deuteronomio si parla di due strade: la strada della benedizione e la strada della maledizione. Dio che conosce il segreto della vita ci ha dato la legge per aiutarci a camminare sulla via che porta alla vita e ci ha messo in guardia da tutto quello che ci rovinerebbe.
Certo io posso decidere di uccidere, commettere adulterio, rubare, disonorare padre e madre, ma quando faccio questo io mi distruggo. La verità è che l’amore di Dio per me fa si che Egli desidera tutto quello che mi fa il bene e non quello che mi distrugge. I comandamenti vanno intesi come un’accorata raccomandazione: “mi raccomando, non uccidere; mi raccomando, non rubare; mi raccomando, non desiderare. Questi comandi diventano per noi autorevoli se non crediamo nella sua bontà. Il tono dei comandamenti è quello della persona che ama. Si può rispondergli: “che cosa ne sai tu?” pensando di conoscere dov’è la vita e dov’è la morte. Ciò appare nella Genesi dove i nostri progenitori vollero mangiare del frutto della conoscenza del bene e del male. E’ un modo simbolico per dire che pretesero in quella circostanza di sapere loro stessi che cosa fosse il bene e che cosa il male.
Dio solo sa che cosa è la vita; Lui ce la data. La scrittura dice che l’uomo deve essere sapiente, deve lasciarsi ammaestrare. Il dono della legge fa parte di questo ammaestramento. Occorre fidarsi di Lui. Intravedere dietro quei comandamenti il volto di Dio.
Alcuni farisei del tempo di Gesù invece adoravano la legge in quanto tale, per cui il sabato doveva essere rispettato e per cui di sabato non si poteva nemmeno fare del bene alle persone.
Terza osservazione; san Paolo, nella lettera ai Romani afferma che se uno ama veramente il prossimo, non ruba, non uccide, non dirà mai falsa testimonianza, ecc… Al contrario uno potrebbe dire: “io non fatto nulla di male”; gli si potrebbe però obiettare: “ma ami veramente il prossimo? Che cosa stai facendo per lui?”. Questi comandamenti sono il minimo richiesto ai fedeli. Amare il prossimo è molto di più del minimo; è perdonare settanta volte sette il prossimo. Questo è espresso non nella forma di un comandamento, ma di una esortazione: “ama il prossimo, prega per chi ti fa del male, benedici chi ti maledice, dona a chi ti chiede” Questa è l’esortazione di Dio. Non può la perfezione dell’amore diventare una legge. Gesù afferma: «Siate perfetti come è perfetto il Padre mio».
Gesù ci ha dato l’esempio più alto dell’amore; ha amato Dio ed il prossimo. Lo scriba del brano è vicino a questo modo di vivere a cui siamo chiamati.
Per noi cristiani la legge divina, oltre al volto di Dio, lascia intravedere anche il volto di Cristo crocifisso. Il comandamento più grande è la testimonianza di Gesù: perdona chi gli fa del male e gli apre la strada per la vita eterna. L’aggettivo divino è sinonimo di perfetto nell’amore. Tutto questo è impensabile per le nostre possibilità, ma è possibile per il torrente di grazie scaturito dalla passione e morte del Signore Gesù.

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