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GRANDE QUARESIMA
L’UFFICIO QUARESIMALE
A. Schmemann
2. La preghiera quaresimale di san Efrem Siro
Di tutti gli inni e preghiere quaresimali una breve preghiera può essere definita tipica della Quaresima. La Tradizione l’attribuisce ad uno dei grandi maestri della vita spirituale, sant’Efrem Siro. Eccone il testo:
Signore e padrone della mia vita,
tieni lontano da me lo spirito della pigrizia, della fiacchezza,
la brama di dominio ed i discorsi futili.
Ma concedi a me, tuo servo,
lo spirito della temperanza, dell’umiltà,
della sopportazione, dell’amore.
Sì, Signore e Re, fammi vedere i miei errori
e che non giudichi il mio fratello,
poiché sei benedetto nei secoli dei secoli. Amìn.
Questa preghiera è letta due volte alla fine di ogni ufficiatura quaresimale dal lunedì sino al venerdì (non il sabato né la domenica, poiché, come vedremo, l’ufficiatura di questi due giorni non segue il modello quaresimale). Alla prima lettura una prostrazione segue ad ogni domanda. Poi tutti ci chiniamo dodici volte dicendo: “Dio, purifica me peccatore”. Infine l’intera preghiera è ripetuta con una prostrazione finale. Perché questa breve e semplice preghiera occupa un posto così importante nell’intera ufficiatura quaresimale? La ragione è dovuta al fatto che essa enumera in un’unica maniera tutti gli elementi negativi e positivi della penitenza e costituisce, per così dire, una lista di controllo di tutto il nostro sforzo quaresimale. Esso ha per fine in primo luogo la nostra liberazione da alcuni fondamentali difetti spirituali che costituiscono la nostra vita e rendono praticamente impossibile per noi il ritornare a Dio. Il difetto fondamentale è la pigrizia. È quella strana pigrizia e passività del nostro io che sempre ci spinge in giù anziché all’insù, che costantemente ci convince che nessun mutamento è possibile e di conseguenza desiderabile. In realtà è una forma di cinismo che ha profonde radici, per cui ad ogni sollecitazione spirituale rispondiamo: “Che cosa?”. Esso rende la nostra vita spirituale un tremendo deserto ed è la radice di ogni peccato, poiché avvelena l’energia spirituale alla sua prima sorgente. Il risultato della pigrizia è la fiacchezza. Si tratta di uno stato di abbattimento che tutti i padri spirituali considerano il più grave pericolo per l’anima. L’abbattimento consiste nel non vedere alcunché di buono o di positivo: è la riduzione di tutto alla negazione ed al pessimismo. È veramente un potere demoniaco che è in noi, poiché il diavolo è fondamentalmente un mentitore. Egli mente all’uomo sia riguardo a Dio che al mondo; egli riempie la vita di tenebre e di negazioni. L’abbattimento è il suicidio dell’anima poiché, quando si è in suo possesso, si è del tutto incapaci di vedere la luce e di desiderarla.
La brama di dominio! Può sembrare strano, ma sono proprio la pigrizia e l’abbattimento che riempiono la nostra vita della brama di dominio. Viziando interamente il nostro atteggiamento nei confronti della vita e rendendola priva di significato e vuota, la pigrizia e l’abbattimento ci costringono a cercare un compenso in un atteggiamento radicalmente negativo nei riguardi delle altre persone. Se la mia vita non è orientata verso Dio né ha per fine i valori eterni, essa diventerà inevitabilmente egoistica e centrata su se stessa e ciò significa che tutti gli altri esseri si trasformeranno in mezzi della mia soddisfazione personale. Se Dio non è il Signore ed il Padrone della mia vita, ne consegue che sono io il signore ed il padrone, il centro assoluto del mio proprio mondo e comincio a valutare ogni cosa in termini dei miei bisogni, delle mie idee, dei miei desideri, dei miei giudizi. La brama di dominio è così una fondamentale depravazione nei miei rapporti con gli altri esseri, la ricerca di subordinarli a me. Essa non si esprime necessariamente nel reale impulso di comandare e di dominare sugli “altri”. Essa può pure esprimersi nell’indifferenza, nel disprezzo, nella mancanza di interesse, di considerazione e di rispetto. In realtà è la pigrizia e l’abbattimento che sono diretti verso gli altri. Essi completano il suicidio spirituale con l’assassinio spirituale.
Infine, i futili desideri. Di tutti gli esseri creati l’uomo solo è stato dotato del dono della parola. Tutti i Padri vedono in esso il vero “sigillo” dell’immagine divina nell’uomo, poiché Dio spesso s’è rivelato come Parola (Giovanni 1,1). Ma, pur essendo il dono supremo, esso è il simbolo del più grave pericolo. Pur essendo la vera espressione dell’uomo, il mezzo con cui perfeziona se stesso, per questa stessa ragione è lo strumento della sua caduta e della sua autodistruzione, del tradimento e del peccato. La parola salva ed uccide; la parola ispira ed avvelena. Essa è lo strumento della Verità e della Menzogna demoniaca. In quanto ha un definitivo potere positivo, essa ha per questa ragione un tremendo potere negativo. Essa realmente opera positivamente o negativamente. Se devia dalla sua divina origine e finalità, la parola diventa futile. Essa impone la pigrizia, la disperazione e la brama del potere e trasforma la vita in inferno. Diventa così l’autentico dominio del peccato.
Questi quattro sono gli “oggetti” negativi della penitenza. Sono gli ostacoli che debbono essere allontanati. Ma Dio solo può allontanarli. Da ciò deriva la prima parte della preghiera quaresimale, questo grido dal fondo della disperazione umana. A questo punto la preghiera passa ai fini positivi della penitenza, che pure sono quattro.
La castità! Se uno non riduce questo termine, come spesso ed erroneamente accade, solo alle caratteristiche sessuali, esso è inteso come la controparte positiva della pigrizia. La traduzione esatta e completa del termine greco “sofrosyne” e del russo “tzelomudrije” dovrebbe essere “piena disposizione”. La pigrizia è, in primo luogo, dissipazione, interruzione della nostra visione ed energia, incapacità di vedere il tutto. Ad essa si oppone precisamente la “pienezza”. Se noi di solito intendiamo per castità la virtù opposta alla depravazione sessuale, ciò avviene perché il carattere frantumato della nostra esistenza non si manifesta meglio in alcun caso che nel piacere sessuale, la alienazione del corpo dalla vita e dal controllo dello spirito. Il Cristo ristabilisce la pienezza in noi restaurando in noi l’autentico criterio dei valori riconducendoci a Dio.
Il primo e meraviglioso frutto di questa pienezza è l’umiltà. Ne abbiamo già parlato. Essa consiste, al di sopra di ogni altra cosa, nella verità in noi, nell’eliminazione di ogni menzogna in cui di solito viviamo. L’umiltà sola è capace di generare la verità, di vedere ed accettare le cose come esse sono, di vedere la maestà di Dio, la sua divinità ed il suo amore in ogni cosa. Per questa ragione diciamo che Dio concede la grazia a chi è umile e resiste al superbo.
La castità e l’umiltà sono naturalmente seguite dalla sopportazione. L’uomo “naturale” o “caduto” è impaziente e, poiché è cieco nei propri confronti, è pronto a giudicare ed a condannare gli altri. Siccome ha una conoscenza incompleta e distorta di ogni cosa, egli misura tutto con i suoi gusti e con le sue idee. E poiché è indifferente a tutto tranne che a se stesso, desidera aver successo subito, qui ed ora. La sopportazione, tuttavia, è veramente una virtù divina. Dio è paziente, non perché egli è “indulgente”, ma perché vede nell’intimo di tutto ciò che esiste, poiché la realtà interiore delle cose, che la nostra cecità non vede, è aperta a lui. Quanto più ci avviciniamo a lui, diventiamo più pazienti e maggiormente riflettiamo l’infinito rispetto per tutti gli esseri il che è una qualità peculiare di Dio.
Finalmente, la corona ed il frutto di tutte le virtù, d’ogni crescita e sforzo è l’amore, quell’amore che, come s’è già detto, può essere dato solo da Dio, il dono che è l’obiettivo di ogni preparazione e pratica spirituale.
Tutto questo è sintetizzato nella domanda conclusiva della preghiera quaresimale, in cui chiediamo di farci vedere i nostri errori e di non giudicare il nostro fratello. Infatti sostanzialmente c’è un solo pericolo: la superbia. Essa è la fonte del male ed ogni male è superbia. Tuttavia non è sufficiente per me vedere i miei errori, poiché anche questa apparente virtù può trasformarsi in superbia. Gli scritti di carattere spirituale abbondano di moniti contro le forme sottili di pseudo-pietà, le quali, in realtà, sotto l’aspetto di umiltà e di auto-accusa, possono portare ad una autentica superbia demoniaca. Ma quando vediamo “i nostri propri errori” e “non giudichiamo i nostri fratelli”, quando, in altre parole, castità, umiltà, sopportazione ed amore costituiscono in noi un’unità, allora e solo allora sarà distrutto in noi il peggior nemico, la superbia.
Al termine di ogni domanda di questa preghiera ci prostriamo. Le prostrazioni non si limitano alla preghiera di san Efrem, ma costituiscono una caratteristica distintiva di tutta l’ufficiatura quaresimale. In questo caso, tuttavia, il loro significato è evidente. Nel lungo e difficile corso di recupero spirituale, la Chiesa non separa l’anima dal corpo. L’uomo intero è decaduto da Dio, per cui tutto l’uomo deve essere reintegrato in Dio, tutto l’uomo deve ritornare a lui. La catastrofe del peccato consiste precisamente nella vittoria della carne, dell’animale, dell’irrazionale, del piacere su ciò che è spirituale e divino. Ma il corpo è glorioso, esso è santo, tanto che Dio stesso “s’è fatto carne”. La salvezza e la penitenza quindi non sono disprezzate per il corpo o trascurate per esso, ma sono la reintegrazione del corpo nella sua funzione reale in quanto espressione e vita dello spirito, in quanto tempio dell’anima che non ha prezzo. L’ascesi cristiana è una lotta non contro, ma per il corpo. Per questo motivo tutto l’uomo – anima e corpo – si pente. Il corpo partecipa alla preghiera dell’anima proprio come l’anima prega attraverso e nel corpo. Le prostrazioni, il segno “psicosomatico” della penitenza e dell’umiltà, dell’adorazione e dell’obbedienza, sono in tal modo il rito quaresimale per eccellenza.