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GIOVANNI PAOLO II – ANGELUS 1980 – COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI

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GIOVANNI PAOLO II

ANGELUS – DOMENICA 2 NOVEMBRE 1980

COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI

1. Tutto il mondo davanti a te, come polvere sulla bilancia, / come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra. / Hai compassione di tutti, perché tutto tu puoi, / non guardi ai peccati degli uomini, in vista del pentimento. / Poiché tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato; / se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure creata. / Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi? / O conservarsi se tu non l’avessi chiamata all’esistenza? / Tu risparmi tutte le cose, / perché tutte sono tue, Signore, amante della vita, / poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose. / Per questo tu castighi poco alla volta i colpevoli / e li ammonisci ricordando loro i propri peccati, / perché, rinnegata la malvagità, credano in te, Signore” (Sap 11, 22-12,2).
la Chiesa celebra la “commemorazione di tutti i fedeli defunti”. Le sopracitate parole del libro della sapienza, desunte dalla prima lettura della domenica trentunesima “per annum”, possono aiutare molto ciascuno di noi a vivere questo incontro con l’eternità, che portano in sé i primi due giorni di novembre.
parole ci accompagnino durante la visita ai cimiteri, quando ci fermeremo presso le tombe dei nostri defunti, vicini o lontani, conosciuti o sconosciuti: “. . .poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose” (Sap 12, 1).
Che queste visite ai defunti, questi incontri con loro, siano avvalorati, nei nostri cuori, dalla speranza che “è piena di immortalità” (Sap 3, 4).. Ritorno, ancora una volta, al Sinodo dei Vescovi che, una settimana fa, ha terminato i suoi lavori dedicati ai compiti della famiglia nel mondo contemporaneo. Perché oggi voglio dire che la famiglia è un luogo particolare dell’uomo. In questo luogo, in questa comunità, viene salutata con gioia la sua nascita, la sua venuta al mondo; e in questo luogo, soprattutto, si risente la sua scomparsa, la sua morte. giorno dei defunti è un giorno particolare per le famiglie. Esse si dirigono, in questo giorno, nei luoghi dove riposano i loro defunti più vicini e più cari; si incontrano, nel silenzio, nella preghiera, nella meditazione, presso le loro tombe.
Rivivono ricordi gioiosi e dolorosi; a volte le lacrime cominciano a scorrere sul viso, così grande è il senso della vicinanza, nonostante la morte, così grande è la commozione!
Appartengono alla famiglia anche coloro che sono dipartiti, e tuttavia rimangono nei cuori, perché tanto profondamente ci ha legato ad essi il mistero della vita e dell’amore. Permangono nella vedovanza dei loro rispettivi mariti e mogli, rimasti in vita. Permangono nello stato di orfani dei loro figli.
3. In questo giorno vorrei ricordare tutti i morti di quest’anno, e in particolare le vittime di catastrofi naturali e dei numerosi, troppi episodi di violenza, di rapimenti, di terrorismo accaduti in diversi paesi del mondo.
Penso alle schiere di bambini innocenti – come agli alunni della scuola di Ortuella in Spagna -, a tante persone che, nei luoghi di lavoro, per le strade o nella propria casa, furono travolte, ignare, da atti di distruzione e di morte, di cui spesso neppure conobbero la causa.
Penso ad un piccolo paese, El Salvador, e ad altri paesi del mondo tormentati da un cronico prolungarsi di violenze e di uccisioni, che provocano lutti nelle famiglie e nella comunità ecclesiale.
Vorrei rinnovare, anche in nome della pietà per i morti, un appello accorato perché prevalga in tutte le parti responsabili il sentimento di riconciliazione dettato dalla coscienza cristiana e dall’amore per la propria patria.
Vorrei non dimenticare le vittime della guerra che da alcune settimane infuria tra l’Irak e l’Iran, con scontri sanguinosi tra gli eserciti e bombardamenti di città e di popolazioni indifese; purtroppo, la stessa opinione pubblica del mondo sembra abituarsi facilmente persino allo spettacolo di così terribili distruzioni.
Mentre la nostra preghiera vuole abbracciare la sorte anche di questi nostri fratelli, invochiamo Dio onnipotente e misericordioso perché faccia rinascere pensieri di pace, e in particolare risvegli il desiderio di risolvere i contrasti con la trattativa, nel rispetto dell’integrità dei diritti umani, nazionali e territoriali dei paesi coinvolti nel conflitto.
4. Nel giorno della commemorazione dei defunti oltrepassiamo, in un certo senso, i limiti della loro assenza, il cui segno è la tomba fredda, e ci uniamo con loro nella fede che ci conduce alla casa del Padre.
E insieme con l’autore del libro della Sapienza ripetiamo a quel Padre: “Signore, tutto tu puoi . . . e tu ami tutte le cose che hai creato . . .” (cf. Sap 11, 23-24). Tu ami l’uomo che hai creato a tua somiglianza e lo hai redento mediante il sangue del tuo Figlio. Tu ami l’uomo . . .

SAN GIOVANNI PAOLO II – (PER LA MEMORIA) SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO (2004)

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SOLENNITÀ DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO

OMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II
E OMELIA DEL PATRIARCA ECUMENICO BARTOLOMEO I

Martedì, 29 giugno 2004

Introduzione del Santo Padre all’omelia del Patriarca Ecumenico:
Carissimi Fratelli e Sorelle, il brano del Vangelo, che abbiamo appena ascoltato in latino e in greco, ci invita ad approfondire il significato dell’odierna Festa dei santi Apostoli Pietro e Paolo.
Desidero ora invitarvi ad ascoltare le riflessioni che il Patriarca ecumenico, Sua Santità Bartolomeo I, ci proporrà, tenendo presente che entrambe le nostre voci parlano di unità.

Omelia di Sua Santità il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I
Santità,
con sentimenti di gioia e di tristezza, veniamo a Voi durante questo importante giorno della festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, per manifestare il nostro amore nei confronti della persona di Vostra Santità e verso tutti i membri della Chiesa sorella di Roma, che festeggia la sua festa patronale. Rallegrandoci con Voi che vi rallegrate, siamo però dispiaciuti perché manca ciò che avrebbe reso piena la gioia di entrambi, cioè il ristabilimento della piena comunione tra le nostre Chiese.
Oggi concentriamo la nostra attenzione sul lieto quarantesimo anniversario dell’incontro – nell’anno 1964 – dei nostri Predecessori di venerata memoria a Gerusalemme, incontro che ha messo fine al cammino del nostro reciproco allontanamento e ha costituito l’inizio di un nuovo cammino di avvicinamento delle nostre Chiese.
Durante questo nuovo cammino sono stati compiuti molti passi verso il reciproco avvicinamento. Sono stati avviati dialoghi, si sono realizzati incontri, sono state scambiate lettere; l’amore è cresciuto, ma non siamo ancora giunti al fine desiderato. Non è stato possibile eliminare in quarant’anni le contrapposizioni che si sono accumulate durante oltre novecento anni.
La speranza – che procede con la fede e con l’amore che sempre spera – è uno dei doni importanti di Dio. Anche noi speriamo che ciò che non è stato possibile fino ad oggi, sarà ottenuto in futuro e, ce lo auguriamo, in un futuro prossimo. Forse sarà un futuro lontano, ma la nostra attesa ed il nostro amore non sono costretti entro brevi limiti temporali. La nostra presenza oggi, qui, esprime in tutta evidenza il nostro sincero desiderio di rimuovere tutti gli ostacoli ecclesiali che non siano dogmatici o essenziali, affinché il nostro interesse si concentri sullo studio delle differenze essenziali e delle verità dogmatiche che fino ad oggi dividono le nostre Chiese, come pure sulla maniera di vivere la verità cristiana della Chiesa unita.
Lungi dal desiderio di ricollegare il nostro nome a traguardi che soltanto lo Spirito Santo può ottenere, non attribuiamo alle nostre azioni un’efficacia maggiore di quella che Dio si compiacerà di dare loro. Manifestando tuttavia il nostro desiderio, operiamo instancabilmente in vista di ciò per cui ogni giorno preghiamo: « l’unione di tutti ». Sapendo dalla preghiera sacerdotale di nostro Signore Gesù Cristo quanto sia necessaria la nostra unità – affinché il mondo creda che Egli viene da Dio – , collaboriamo con Voi affinché questa unità sia raggiunta, ed esortiamo tutti a pregare con fervore per il successo dei nostri comuni sforzi.
Carissimi cristiani,
l’unità delle Chiese – di cui parliamo e per la quale chiediamo le vostre preghiere – non è un’unione mondana, uguale alle unioni di Stati, alle corporazioni di persone e di strutture con le quali si crea una più alta unione organizzativa. Ciò è molto facile da raggiungere e tutte le Chiese hanno già costituito varie organizzazioni nel cui ambito esse collaborano in diversi settori.
L’unità alla quale le Chiese aspirano è una ricerca spirituale che mira a vivere insieme la comunione spirituale con la persona del nostro Signore Gesù Cristo. Essa potrà venire quando tutti noi avremo « la mente di Cristo », « l’amore di Cristo », « la fede di Cristo », « l’umiltà di Cristo », « la disposizione sacrificale di Cristo », e – in genere – quando vivremo tutto ciò che è di Cristo come egli lo ha vissuto, o almeno quando desideriamo sinceramente di vivere come egli vuole che viviamo.
In questo delicatissimo sforzo spirituale emergono difficoltà dovute al fatto che la maggior parte di noi uomini molto spesso presenta le proprie posizioni, opinioni e valutazioni come se esse fossero espressioni della mente, dell’amore ed in genere, dello spirito di Cristo. Poiché tali personali opinioni e valutazioni, e a volte anche gli stessi vissuti personali, non coincidono né tra loro né con il vissuto di Cristo, emergono le discordie. In buona fede, mediante i dialoghi interecclesiali cerchiamo di comprenderci a vicenda con sovrabbondanza d’amore; come anche cerchiamo di constatare in che cosa e perché si differenziano i nostri vissuti, che si esprimono con diverse formulazioni dogmatiche. Non facciamo discorsi astratti su questioni teoretiche sulle quali la nostra posizione non ha conseguenze per la vita. Cerchiamo tra tanti vissuti, che si esprimono con diverse formulazioni, quello che esprime rettamente, o almeno il più compiutamente possibile, lo spirito di Cristo.
Ricordate il comportamento dei due discepoli di Cristo quando egli non fu accettato da alcuni abitanti di una certa regione. I due discepoli si indignarono e chiesero a Cristo se potevano pregare Dio di scagliare fuoco dal cielo contro coloro che avevano rifiutato di accoglierlo. La risposta del Signore fu quella che è stata data a tanti cristiani durante i secoli : « Non sapete di quale spirito siete, poiché il Figlio dell’uomo non è venuto a perdere le anime degli uomini, ma a salvarle » (Lc 9, 55-56). Tante volte alcuni fedeli, durante i secoli, hanno chiesto a Cristo di approvare opere che non si accordavano con la sua mente. Ancor più, hanno attribuito a Cristo le proprie opinioni e insegnamenti, sostenendo che gli uni e gli altri di interpretare lo spirito di Cristo. Da ciò sono derivate discordie tra i fedeli, che, di conseguenza, si sono divisi in gruppi assumendo la forma odierna delle diverse Chiese.
Oggi gli sforzi comuni tendono a vivere lo spirito di Cristo, nel modo che egli approverebbe se gli fosse richiesto. Un tale vissuto presuppone purezza di cuore, scopi disinteressati, santa umiltà, in poche parole: santità di vita. Contrasti accumulati e interessi secolari non ci permettono di vedere chiaramente e ritardano la comune comprensione dello spirito di Cristo, a cui seguirà anche la tanto desiderata unità delle Chiese, quale loro unione in Cristo, nello stesso spirito, nello stesso Corpo e nel suo stesso Sangue. Naturalmente, dal punto di vista spirituale, non ha senso l’accettazione e la realizzazione di un’unione esteriore, quando permane la diversità riguardo allo spirito.
Così è comprensibile che non si cerchi il livellamento delle tradizioni, delle usanze e delle abitudini di tutti i fedeli, e che si cerchi soltanto di vivere in comune la persona dell’uno e unico e immutabile Gesù Cristo nello Spirito Santo, la comunione nel vissuto dell’evento dell’Incarnazione del Logos di Dio, e della discesa dello Spirito Santo nella Chiesa, come anche il vissuto comune dell’evento della Chiesa come Corpo di Cristo che ricapitola tutto in se stesso. Questo vissuto spirituale ricercato costituisce il supremo vissuto dell’uomo, costituisce la sua unione con Cristo, e di conseguenza il dialogo su questo punto è il più importante di tutti. Per questo abbiamo chiesto e chiediamo i cristiani di pregare fervidamente al nostro Signore Gesù Cristo affinché orienti i cuori al raggiungimento della meta di una tale aspirazione in modo che, una volta ottenuta, possiamo festeggiare insieme, a Dio piacendo, ogni celebrazione ecclesiale in piena comunione spirituale e gioia. Amen

OMELIA DEL SANTO PADRE
1. “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Interrogato dal Signore, Pietro, anche a nome degli altri Apostoli, fa la sua professione di fede.
In essa viene affermato il fondamento sicuro del nostro cammino verso la piena comunione. Se, infatti, vogliamo l’unità dei discepoli di Cristo, dobbiamo ripartire da Cristo. Come a Pietro, anche a noi è chiesto di confessare che Lui è la pietra angolare, il Capo della Chiesa. Ho scritto nella Lettera enciclica Ut unum sint: “Credere in Cristo significa volere l’unità; volere l’unità significa volere la Chiesa; volere la Chiesa significa volere la comunione di grazia che corrisponde al disegno del Padre da tutta l’eternità” (n. 9).
2. Ut unum sint! Ecco da dove scaturisce il nostro impegno di comunione, in risposta all’ardente desiderio di Cristo. Non si tratta di un vago rapporto di buon vicinato, ma del legame indissolubile della fede teologale per cui siamo destinati non alla separazione, ma alla comunione.
Ciò che, nell’evolversi della storia, ha infranto il nostro vincolo di unità in Cristo, lo viviamo oggi con dolore. In quest’ottica, il nostro incontro odierno non è solo un gesto di cortesia, ma una risposta al comando del Signore. Cristo è il Capo della Chiesa e noi vogliamo insieme continuare a fare quanto è umanamente possibile per colmare ciò che ancora ci divide e ci impedisce di comunicare allo stesso Corpo e Sangue del Signore.
3. Con questi sentimenti desidero esprimere viva riconoscenza a Lei, Santità, per la Sua presenza e per le riflessioni che ha voluto proporci. Sono anche lieto di celebrare insieme a Lei il ricordo dei Santi Pietro e Paolo, che quest’anno cade nel quarantesimo anniversario dell’incontro benedetto, avvenuto a Gerusalemme, il 5 e 6 gennaio 1964, tra il Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora I.
Santità, desidero ringraziarLa di cuore per aver accolto il mio invito a rendere visibile e riaffermare oggi, con questo nostro incontro, lo spirito che animava quei due singolari pellegrini, i quali diressero i loro passi l’uno verso l’altro, e scelsero di abbracciarsi per la prima volta proprio nel luogo dove nacque la Chiesa.
4. Quell’incontro non può essere soltanto un ricordo. E’ una sfida per noi! Ci indica il cammino della reciproca riscoperta e riconciliazione. Cammino certamente non facile, né privo di ostacoli. Nel gesto commovente dei nostri predecessori a Gerusalemme, possiamo trovare la forza di superare ogni malinteso e difficoltà, per consacrarci senza sosta a questo impegno di unità.
La Chiesa di Roma si è mossa con ferma volontà e con grande sincerità sulla via della piena riconciliazione, mediante iniziative che si sono rivelate, volta per volta, possibili e utili. Desidero oggi esprimere l’auspicio che tutti i cristiani intensifichino, ciascuno per la propria parte, gli sforzi, affinché si affretti il giorno in cui si realizzerà pienamente il desiderio del Signore: “Che siano una cosa sola” (Gv 17,11.21). Che la coscienza non ci rimproveri di aver omesso dei passi, di aver tralasciato delle opportunità, di non aver tentato tutte le strade!
5. Lo sappiamo bene: l’unità che ricerchiamo è anzitutto dono di Dio. Siamo consci, però, che l’affrettarsi dell’ora della sua piena realizzazione dipende anche da noi, dalla nostra preghiera, dalla nostra conversione a Cristo.
Santità, per quanto mi riguarda, mi preme confessare che sulla strada della ricerca dell’unità mi sono sempre lasciato guidare, come da sicura bussola, dall’insegnamento del Concilio Vaticano II. La Lettera enciclica Ut unum sint, resa pubblica pochi giorni prima della memorabile visita di Vostra Santità a Roma nel 1995, riaffermava proprio quanto il Concilio aveva enunciato nel Decreto sull’ecumenismo Unitatis redintegratio, del quale quest’anno ricorre il quarantesimo anniversario di promulgazione.
Più volte ho avuto modo di sottolineare, in circostanze solenni, e lo ribadisco anche oggi, che l’impegno assunto dalla Chiesa Cattolica con il Concilio Vaticano II è irrevocabile. Ad esso non si può rinunciare!
6. A completare la solennità e la gioia dell’odierna celebrazione, a renderla più ricca di contenuti spirituali ed ecclesiali, contribuisce il rito dell’imposizione dei Palli ai nuovi Metropoliti.
Venerati Fratelli, il Pallio, che oggi riceverete alla presenza del Patriarca Ecumenico, nostro Fratello in Cristo, è segno della comunione che vi unisce a titolo speciale alla testimonianza apostolica di Pietro e di Paolo. Vi lega al Vescovo di Roma, Successore di Pietro, chiamato a svolgere un peculiare servizio ecclesiale nei confronti dell’intero Collegio episcopale. Grazie per la vostra presenza ed auguri per il vostro ministero a favore di Chiese Metropolitane sparse in varie Nazioni. Vi accompagno volentieri con l’affetto e con la preghiera.
7. “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!”. Quante volte ritornano nella mia quotidiana preghiera queste parole, che costituiscono la professione di fede di Pietro! Nella preziosa icona donata dal Patriarca Atenagora I a Papa Paolo VI il 5 gennaio 1964, i due Santi Apostoli, Pietro il Corifeo e Andrea il Protóclito, si abbracciano, in un eloquente linguaggio d’amore, al di sotto del Cristo glorioso. Andrea è stato il primo a porsi nella sequela del Signore, Pietro è stato chiamato a confermare i suoi fratelli nella fede.
Il loro abbraccio sotto lo sguardo di Cristo è un invito a proseguire nel cammino intrapreso, verso quel traguardo di unità che insieme intendiamo raggiungere.
Nessuna difficoltà ci freni. Ma piuttosto andiamo avanti con speranza, sostenuti dall’intercessione degli Apostoli e dalla materna protezione di Maria, Madre di Cristo, Figlio del Dio vivente.

Copyright 2004 – Libreria Editrice Vaticana

 

22 OTTOBRE – SAN GIOVANNI PAOLO II – DUE SCRITTI PER LA MEMORIA

http://www.gliscritti.it/approf/gpao2/pace_giust.htm

22 OTTOBRE SAN GIOVANNI PAOLO II – DUE SCRITTI PER LA MEMORIA

NON C’È PACE SENZA GIUSTIZIA E SENZA PERDONO

Dai messaggi per la Giornata mondiale della pace 2002 e 2003 di Giovanni Paolo II (tpfs*)

In questo momento di intensa preoccupazione e preghiera per la pace, vi proponiamo alcuni stralci degli ultimi messaggi del nostro Papa e Vescovo Giovanni Paolo II per la giornata mondiale della pace. Così si esprimeva il cardinale Sodano su Avvenire del 18/03/2003: « Più che pacifista, il Papa è pacificatore ». Possano le sue parole e le sue preghiere essere ascoltate.

La convinzione, a cui sono giunto ragionando e confrontandomi con la Rivelazione biblica, è che non si ristabilisce appieno l’ordine infranto, se non coniugando fra loro giustizia e perdono. I pilastri della vera pace sono la giustizia e quella particolare forma dell’amore che è il perdono. Ma come parlare, nelle circostanze attuali, di giustizia e insieme di perdono quali fonti e condizioni della pace? La mia risposta è che si può e si deve parlarne, nonostante la difficoltà che questo discorso comporta, anche perché si tende a pensare alla giustizia e al perdono in termini alternativi. Ma il perdono si oppone al rancore e alla vendetta, non alla giustizia. La vera pace, in realtà, è « opera della giustizia » (Is 32, 17). Come ha affermato il Concilio Vaticano II, la pace è « il frutto dell’ordine immesso nella società umana dal suo Fondatore e che deve essere attuato dagli uomini assetati di una giustizia sempre più perfetta » (Costituzione pastorale Gaudium et spes, 78). Da oltre quindici secoli, nella Chiesa cattolica risuona l’insegnamento di Agostino di Ippona, il quale ci ha ricordato che la pace, a cui mirare con l’apporto di tutti, consiste nella tranquillitas ordinis, nella tranquillità dell’ordine (cfr De civitate Dei, 19, 13). La vera pace, pertanto, è frutto della giustizia, virtù morale e garanzia legale che vigila sul pieno rispetto di diritti e doveri e sull’equa distribuzione di benefici e oneri. Ma poiché la giustizia umana è sempre fragile e imperfetta, esposta com’è ai limiti e agli egoismi personali e di gruppo, essa va esercitata e in certo senso completata con il perdono che risana le ferite e ristabilisce in profondità i rapporti umani turbati. Ciò vale tanto nelle tensioni che coinvolgono i singoli quanto in quelle di portata più generale ed anche internazionale. Il perdono non si contrappone in alcun modo alla giustizia, perché non consiste nel soprassedere alle legittime esigenze di riparazione dell’ordine leso. Il perdono mira piuttosto a quella pienezza di giustizia che conduce alla tranquillità dell’ordine, la quale è ben più che una fragile e temporanea cessazione delle ostilità, ma è risanamento in profondità delle ferite che sanguinano negli animi. Per un tale risanamento la giustizia e il perdono sono ambedue essenziali.
Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono: ecco ciò che voglio annunciare in questo Messaggio a credenti e non credenti, agli uomini e alle donne di buona volontà, che hanno a cuore il bene della famiglia umana e il suo futuro.
Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono: questo voglio ricordare a quanti detengono le sorti delle comunità umane, affinché si lascino sempre guidare, nelle loro scelte gravi e difficili, dalla luce del vero bene dell’uomo, nella prospettiva del bene comune.
Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono: questo monito non mi stancherò di ripetere a quanti, per una ragione o per l’altra, coltivano dentro di sé odio, desiderio di vendetta, bramosia di distruzione.

(GIOVANNI PAOLO II dal messaggio in occasione della Giornata Mondiale della Pace per l’anno 2002)

A voler guardare le cose a fondo, si deve riconoscere che la pace non è tanto questione di strutture, quanto di persone. Strutture e procedure di pace – giuridiche, politiche ed economiche – sono certamente necessarie e fortunatamente sono spesso presenti. Esse tuttavia non sono che il frutto della saggezza e dell’esperienza accumulata lungo la storia mediante innumerevoli gesti di pace, posti da uomini e donne che hanno saputo sperare senza cedere mai allo scoraggiamento. Gesti di pace nascono dalla vita di persone che coltivano nel proprio animo costanti atteggiamenti di pace. Sono frutto della mente e del cuore di « operatori di pace » (Mt 5, 9). Gesti di pace sono possibili quando la gente apprezza pienamente la dimensione comunitaria della vita, così da percepire il significato e le conseguenze che certi eventi hanno sulla propria comunità e sul mondo nel suo insieme. Gesti di pace creano una tradizione e una cultura di pace. La religione possiede un ruolo vitale nel suscitare gesti di pace e nel consolidare condizioni di pace. Essa può esercitare questo ruolo tanto più efficacemente, quanto più decisamente si concentra su ciò che le è proprio: l’apertura a Dio, l’insegnamento di una fratellanza universale e la promozione di una cultura di solidarietà.
La « Giornata di preghiera per la pace », che ho promosso ad Assisi il 24 gennaio 2002 coinvolgendo i rappresentanti di numerose religioni, aveva proprio questo scopo. Voleva esprimere il desiderio di educare alla pace attraverso la diffusione di una spiritualità e di una cultura di pace
E’ questo l’augurio che mi sale spontaneo dal profondo del cuore: che nell’animo di tutti possa sbocciare uno slancio di rinnovata adesione alla nobile missione che l’Enciclica Pacem in terris proponeva quarant’anni fa a tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Tale compito, che l’Enciclica qualificava come « immenso », era indicato nel « ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà ». Il Papa precisava poi di riferirsi ai « rapporti della convivenza tra i singoli esseri umani; fra i cittadini e le rispettive comunità politiche; fra le stesse comunità politiche; fra individui, famiglie, corpi intermedi e comunità politiche, da una parte, e, dall’altra, la comunità mondiale ». E concludeva ribadendo che l’impegno di « attuare la vera pace nell’ordine stabilito da Dio costituiva un ufficio nobilissimo » (Pacem in terris, V). Accompagno questi auspici con la preghiera a Dio Onnipotente, sorgente di ogni nostro bene. Egli, che dalle condizioni di oppressione e di conflitto ci chiama alla libertà e alla cooperazione per il bene di tutti, aiuti le persone in ogni angolo della terra a costruire un mondo di pace, sempre più saldamente fondato sui quattro pilastri che il beato Giovanni XXIII ha indicato a tutti nella sua storica Enciclica: verità, giustizia, amore e libertà.

(GIOVANNI PAOLO II dal messaggio in occasione della Giornata Mondiale della Pace per l’anno 2003)

 

Publié dans:PAPA GIOVANNI PAOLO II, SANTI |on 22 octobre, 2014 |Pas de commentaires »

NATIVITÀ DI MARIA, 8 SETTEMBRE – OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II (1985)

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/homilies/1985/documents/hf_jp-ii_hom_19850908_liechtenstein_it.html

VISITA PASTORALE NEL LIECHTENSTEIN

CELEBRAZIONE DELLA SANTA MESSA DELLA NATIVITÀ DI MARIA – 8 SETTEMBRE

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Eschen-Mauren (Liechtenstein)

Domenica, 8 settembre 1985

Cari fratelli e sorelle.

1. Come Chiesa di Cristo festosamente riunita celebriamo oggi la Natività della beata Vergine Maria. La liturgia ci invita a ringraziare la santissima Trinità per la nascita della Madre del nostro Salvatore, “la cui santa vita illumina l’intera Chiesa” (“Antifona di Terza”).La nascita di Maria porta luce e speranza per tutte le comunità di Cristo e oggi in particolare per la Chiesa nel Liechtenstein. Questo mistero forma la cornice spirituale per la visita pastorale del successore di Pietro alla vostra Chiesa locale. In essa io saluto una parte dell’antica diocesi di Coira, le cui radici arrivano fino alla provincia romana della Retia. Voi onorate tra i primi padri della vostra fede i santi Lucio e Gallo, e attraverso la loro opera missionaria voi siete, fin dagli albori del cristianesimo, Chiesa di Cristo nell’area delle Alpi e nei pressi del Reno che collega i popoli. In molti modi, nel passato e nel presente, avete testimoniato di riconoscere Maria anche come Madre della vostra Chiesa locale, e di venerarla come Patrona del vostro Paese, come esempio e speranza della vostra fede, e di emularla nella sua “santa vita”.
2. Le Scritture della liturgia odierna ci inducono a considerare il mistero di Maria contemporaneamente da due visuali diverse. Il profeta Michea lo considera dalla distanza dell’antica alleanza.
La sua predizione annuncia la nascita del Messia e Unto: “. . . che deve essere il dominatore di Israele. Le sue origini sono dall’antichità” (Mi 5, 1). Con ciò si intende la parola eterna di Dio, che è il Figlio della stessa natura del Padre. Egli sarà il nostro “pastore nella potenza del Signore”; con lui noi vivremo “in sicurezza”; perché lui sarà la nostra “pace”.
Allo stesso tempo il profeta parla della donna, “che deve partorire” (Mi 5, 2). Una creatura, una donna è prescelta per svolgere un ruolo decisivo nell’opera salvifica di Dio; sarà lei la prima per la quale si adempirà la “sicurezza” e la “pace” messianica in modo concreto. Ella sarà benedetta tra tutte le donne; ella sarà un dono per tutta l’umanità, perché partorirà il Salvatore.
3. Al contrario, molto da vicino l’evangelista Matteo osserva l’odierno mistero. Qui ci troviamo già al centro di quell’avvenimento che il profeta Michea aveva potuto solamente delineare da lontano.
Maria entra nella luce del pubblico come donna incinta. In un primo momento, gli uomini sono sconcertati; sembra che ci si vergogni di lei. Poi però Giuseppe, suo marito, viene a conoscere l’importanza di questo bambino che si attende: esso è voluto in modo unico da Dio; esso è “dello Spirito Santo”. Il suo nome sarà “Gesù”, nome che indica il suo compito futuro: “Egli salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Sì, egli sarà un autentico “Emmanuele”: in lui “Dio è con noi”: e Giuseppe prese con sé la sua sposa (cf. Mt 1, 18-24). Così egli si dichiara per Maria e per il frutto del suo corpo; coraggiosamente egli si pone al fianco della Madre del Salvatore e sostiene così la grande prova della sua vita.
4. In questo modo le letture odierne ci inducono a considerare da due diverse visuali il grande mistero della parola eterna che si è fatta uomo e contemporaneamente il mistero della maternità di Maria.
Noi meditiamo su questo stretto legame tra i due misteri ogni anno, in particolare tra Natale e Capodanno, tra il giorno della nascita di Cristo e il giorno della maternità di Maria; particolare evidenza deve essere però conferita a questo legame nel corso della preparazione dell’ormai non lontana celebrazione dei duemila anni della nascita umana del nostro Redentore.
Dio ha scelto Maria per diventare la Madre di Gesù Cristo. Secondo la fede della Chiesa, tutta la persona e l’esistenza di Maria sono improntate a questa chiamata eccezionale. Questo è il motivo per cui noi guardiamo al suo ingresso in questo mondo, alla sua nascita, con venerazione e con riconoscenza; e anche se la data esatta di questa nascita non ci è nota, essa cade inequivocabilmente negli anni immediatamente precedenti quella santa notte di Betlemme.
5. La liturgia, oggi, non parla però solamente di avvenimenti passati. La lettura della Lettera di San Paolo ai Romani ci rammenta l’eterno piano di salvezza di Dio con il suo significato sempre attuale anche per il nostro tempo. Questo piano nasce direttamente dal divenire uomo del Figlio di Dio, “il primogenito tra molti fratelli” (Rm 8, 29).
È volontà di Dio che noi diventiamo fratelli e sorelle di Gesù e che “prendiamo parte alla sostanza e alla forma di suo Figlio”; in Gesù egli ha “reso giusti” e “glorificato” già tutti coloro che ha chiamato alla sua sequela. Meravigliose parole dell’apostolo, in cui la Chiesa riconosce la parola di Dio stesso! Sì, grandi cose il Signore ha fatto rendendoci membri della sua Chiesa. Una gioia e una riconoscenza spontanee devono sgorgare dal nostro cuore; la nostra risposta deve essere quella di amare Dio con il corpo e con l’anima, con il cuore e con la ragione, con tutte le nostre forze. Solo allora anche su di noi si potrà adempiere quanto la lettera di San Paolo afferma grandiosamente all’inizio: “Noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (cf. Rm 8, 28-30). Come sono diventate vere queste parole per Gesù stesso, che attraverso il sacrificio della sua vita è divenuto il nostro Redentore; ma come sono diventate vere anche per Maria, la prima redenta, che per amore del Figlio è rimasta preservata dal peccato ed è quindi divenuta la Madre di tutti i redenti.
In questo modo Maria, attraverso la sua vocazione ad essere la Madre di Cristo, partecipa in misura particolare a quella chiamata comune, rivolta da Cristo a tutti gli uomini e che può essere realizzata in comunione con lui.
Se noi veneriamo il mistero della nascita di Maria con amore, ci renderemo conto sempre più chiaramente che mediante il suo “sì” e attraverso la sua maternità Dio è con noi. “Emmanuele” (Dio con noi): questo è il nome per il Figlio di Dio, che è venuto in questo mondo e che attraverso la sua presenza fraterna santifica ogni realtà umana e la apre a Dio.
6. Questo vale anche per quella primissima sorgente della comunità umana che noi chiamiamo famiglia. L’odierna festa della nascita di Maria e il mistero della nascita umana di Dio nel grembo della Sacra Famiglia guidano la nostra attenzione, nel corso di questa celebrazione eucaristica, proprio sulla famiglia.
Nel corso dell’udienza particolare per i pellegrini del Liechtenstein venuti a Roma due anni fa ebbi a dire, tra l’altro, riguardo alla famiglia e alla sua grande importanza per la vita naturale e soprannaturale del singolo e per la società: “La riconciliazione personale con Dio è la necessaria premessa perché la riconciliazione e la pace possano divenire realtà anche nella comunità umana. Ogni singolo è chiamato a portare il proprio contributo. Iniziate nello stretto ambito della famiglia! La Chiesa è convinta che il benessere della società e quello proprio siano strettamente legati al benessere della famiglia. Tutto quanto avviene per la guarigione e il rafforzamento della famiglia torna al vantaggio dell’intera comunità” (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VI/2 [1983] 767). Allora ho anche caldamente ammonito: “L’umanità di oggi ha urgente bisogno di riconciliazione cristiana. Istituiamola e doniamola lì dove siamo in grado di procurarla agli altri: nelle nostre famiglie, nei nostri posti di lavoro, nella comunità, nella comunità di tutto il popolo!” (Ivi).
Proprio nella stretta cerchia familiare o nel vicinato ci troviamo a sperimentare, talora, la durezza del litigio e dell’intransigenza tra gli uomini in modo molto doloroso. Come cristiani dobbiamo essere sempre pronti a pronunciare una parola conciliante e a tendere la mano alla riconciliazione.
7. Un matrimonio che sia entrato in crisi; un matrimonio che dal punto di vista umano è prossimo alla rovina; un matrimonio appesantito dal vicendevole estraniarsi dei partner può essere salvato dai coniugi solo a condizione che essi sappiano perdonarsi a vicenda e operino con perseveranza verso una riconciliazione. Quanto è valido per il rapporto tra i coniugi, vale anche per il rapporto dei genitori con i figli e dei figli con i genitori. Quando in una famiglia nascono conflitti tra giovani e anziani, tra padre o madre e figlio o figlia, questi devono essere risolti nella vicendevole comprensione e nel vicendevole perdono. Ragazzi e adolescenti, padri e madri, non siate mai troppo orgogliosi o troppo testardi, tanto da non essere in grado di tendervi la mano per la riconciliazione, quando ha avuto luogo una discussione! Non siate ostinati e non portate rancore quando si tratta di risolvere una lite! È però parte essenziale di tutto ciò la riconciliazione con Dio mediante una buona confessione personale, dato che ogni offesa recata al nostro prossimo è anche un’offesa recata a Dio, di cui siamo tutti creature amate. Quindi, non escludete Dio nella riconciliazione tra gli uomini e afferrate quel mezzo di salvezza che si chiama confessione e che dona la pace interiore, che solo il Signore può dare!
Matrimonio e famiglia possono rispondere alla loro altissima chiamata cristiana solamente quando la pratica regolare della conversione e confessione personale e della riconciliazione attraverso la confessione hanno il loro posto fisso nella vita dei coniugi e dei membri della famiglia.
La missione popolare del Liechtenstein, che avrà inizio tra breve, mancherebbe a un suo compito essenziale, direi addirittura che non potrebbe dare il via all’“incontro con la vita” in Cristo, qualora rinunciasse a condurre i fedeli anche a una buona Confessione. Prego quindi vivamente i predicatori della missione di riservare a questo argomento la loro viva attenzione; in particolare suggerisco la celebrazione comunitaria del sacramento della Penitenza con la successiva Confessione personale e l’assoluzione di ogni singola persona.
“Incontro alla vita” – questo il leit-motiv della missione – è in primo luogo una liberazione dal peccato e dalla colpa, dalla mancanza di libertà e dall’egocentrismo, dall’errore e dalla confusione e quindi un cammino verso la santità e la santificazione della vita comunitaria. Maria, che nacque e visse senza la macchia del peccato, si pone davanti ai nostri occhi come il grande esempio di tale santità. Il suo esempio sia per noi luce e forza!
8. La famiglia come cellula della società e pietra viva della comunità ecclesiale è contemporaneamente anche il primo luogo della preghiera. Il Concilio Vaticano II dice: “Quando i genitori, mediante il loro esempio e la loro preghiera comune iniziano il loro cammino, anche i figli e tutti coloro che vivono in quella comunità familiare, riusciranno più facilmente a trovare questa via dell’autentica umanità, della salvezza e della santità. I coniugi però debbono, nella loro dignità e nel loro incarico di padre e di madre, assolvere accuratamente al dovere dell’educazione, soprattutto di quella religiosa, che è in particolare di loro competenza” (Gaudium et spes, 48). Allo stesso modo è però anche vero che i figli, come membri della famiglia donati da Dio, contribuiscono a modo loro alla santificazione dei genitori.
In questa diocesi, e quindi anche nel vostro Paese del Liechtenstein, alcuni anni fa è iniziata l’azione “Chiesa familiare”, che vorrebbe servire alla preghiera comune nella famiglia. Portate avanti questo importante compito e promuovetelo secondo le vostre forze! La preghiera comune a tavola non dovrebbe mancare in nessuna famiglia cristiana. Sono cosciente del fatto che per alcuni comporti un grande sforzo ricominciare con questa usanza. Mettete da parte ogni falsa vergogna religiosa e pregate insieme! “Perché dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”, ci promette il Signore (Mt 18, 20).
A ragione possiamo pensare che la Madre del Signore sia nata in una famiglia religiosa e devota. Maria stessa prega molto. Nel Magnificat, famosa lode della potenza e gloria del Signore, essa ci insegna l’indirizzo principale di ogni preghiera: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore” (Lc 1, 46-47). Cantate anche voi questa lode a Dio! Mostrate a Dio, mediante la fedele partecipazione alle celebrazioni eucaristiche della domenica e dei giorni feriali, che lo amate e onorate sopra ogni cosa e contemporaneamente siete pronti a dare a quest’amore un’espressione concreta e comunitaria! Andate al Signore eucaristico nel tabernacolo e pregate lì il Dio misteriosamente presente per voi stessi, per la vostra famiglia, per le vostre famiglie della vostra patria, per la famiglia dell’umanità e per la famiglia di Dio nella Chiesa! Esorto voi tutti, bambini, ragazzi e adulti, laici e sacerdoti, religiosi e religiose, sani e malati, impediti e attempati: pregate! Sì, mantenetevi fedeli alla preghiera quotidiana! La preghiera è la forza che veramente cambia e libera la nostra vita; nella preghiera avviene l’autentico “incontro con la vita”.
9. La famiglia è quindi un fondamentale rifugio e luogo d’esercizio per i valori e le qualità fondamentali che caratterizzano la singola persona. La famiglia è il terreno da cui trae nutrimento la coscienza della dignità della persona umana. L’ordine morale del matrimonio e della famiglia, come Dio lo ha fissato nel piano di creazione, viene oggigiorno frequentemente disturbato dal comportamento incosciente di molti, e non raramente viene addirittura distrutto. Ideologie disgregatrici che si ritengono moderne vogliono farci credere che quest’ordine sia superato e addirittura nemico dell’uomo. Così avviene già che molti cristiani si vergognano di impegnarsi con convinzione per quei principi morali fondamentali. Un simile atteggiamento dell’uomo non può portare alcuna benedizione, né per il singolo né per la società, la quale a sua volta è, in forte misura, determinata dalla qualità morale e religiosa del singolo e della sua famiglia.
La Chiesa cattolica non si stancherà di ripetere integralmente e senza limiti e di sottolineare sempre nuovamente quei principi che riguardano il male della convivenza extraconiugale, dell’infedeltà coniugale, della pratica divorzista sempre in aumento, del cattivo uso del matrimonio e dell’aborto. I compiti della famiglia cristiana nel mondo di oggi sono molteplici e importanti.
Ogni famiglia religiosamente e moralmente sana è contemporaneamente un prezioso fermento per l’intera comunità dei popoli. L’autentica famiglia cristiana è una benedizione per il mondo. Vorrei incoraggiare tutte le famiglie tra di voi a divenire sempre più famiglie veramente cristiane e ad affrontare il compito a ciò connesso nel tempo odierno con grande coraggio. L’umanità ha bisogno di questa testimonianza di fede nell’ora storica in cui viviamo. Non lasciatevi deviare da nessun contraccolpo, insuccesso, delusione o insicurezza e formate la vostra vita coniugale e familiare nello spirito di Cristo e della sua Chiesa!
10. Il cristiano convinto non si arrende mai! Egli prosegue fiducioso e con tenacia perché sa che c’è qualcuno che lo accompagna, che dà forza e fiducia proprio nei momenti di angoscia della vita. Questo esempio ce lo ha dato Maria, l’aurora della salvezza che ci ha partorito Cristo, il sole della giustizia (cf. “Prefazio della Festa”).
Essa ha percorso la via con il suo Figlio divino fin sotto la croce. Grazie alla fedeltà sofferta, in cui ha vissuto la sua non facile vocazione di Madre di Cristo, essa ha potuto conoscere per sé stessa ciò che Paolo afferma oggi nella seconda lettura: “Noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8, 28). Possa la santa vita della Vergine Maria, la cui nascita la Chiesa celebra oggi in maniera così solenne nel principato del Liechtenstein con il successore di Pietro, diventare luce anche per la vostra vita di cristiani nelle vostre famiglie e nell’intera vostra comunità di popolo. Il suo esempio e il suo aiuto vi mettono in condizioni di vivere degnamente la vostra vocazione. Rimanete, soprattutto, una grande famiglia religiosamente e moralmente sana all’interno delle vostre frontiere, che si possono abbracciare con lo sguardo, di questo vostro bel Paese e vivete sempre nell’unione con la Chiesa universale e con il suo supremo pastore.
Dio vi benedica e vi protegga per l’intercessione di Nostra Signora del Liechtenstein, la Madre del nostro Redentore, che sotto la croce è divenuta anche la Madre di noi tutti. Amen.

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GIOVANNI PAOLO II: BEATIFICAZIONE DI MADRE TERESA DI CALCUTTA – (m. 5 SETTEMBRE)

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/homilies/2003/documents/hf_jp-ii_hom_20031019_mother-theresa_it.html

BEATIFICAZIONE DI MADRE TERESA DI CALCUTTA – (m. 5 SETTEMBRE)

OMELIA DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II

Giornata Missionaria Mondiale

Domenica 19 ottobre 2003

1. “Chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti” (Mc 10,44). Queste parole di Gesù ai discepoli, risuonate poc’anzi in questa Piazza, indicano quale sia il cammino che conduce alla “grandezza” evangelica. E’ la strada che Cristo stesso ha percorso fino alla Croce; un itinerario di amore e di servizio, che capovolge ogni logica umana. Essere il servo di tutti!
Da questa logica si è lasciata guidare Madre Teresa di Calcutta, Fondatrice dei Missionari e delle Missionarie della Carità, che oggi ho la gioia di iscrivere nell’Albo dei Beati. Sono personalmente grato a questa donna coraggiosa, che ho sempre sentito accanto a me. Icona del Buon Samaritano, essa si recava ovunque per servire Cristo nei più poveri fra i poveri. Nemmeno i conflitti e le guerre riuscivano a fermarla.
Ogni tanto veniva a parlarmi delle sue esperienze a servizio dei valori evangelici. Ricordo, ad esempio, i suoi interventi a favore della vita e contro l’aborto, anche in occasione del conferimento del Premio Nobel per la pace (Oslo, 10 dicembre 1979). Soleva dire: “Se sentite che qualche donna non vuole tenere il suo bambino e desidera abortire, cercate di convincerla a portarmi quel bimbo. Io lo amerò, vedendo in lui il segno dell’amore di Dio”.
2. Non è forse significativo che la sua beatificazione avvenga proprio nel giorno in cui la Chiesa celebra la Giornata Missionaria Mondiale? Con la testimonianza della sua vita Madre Teresa ricorda a tutti che la missione evangelizzatrice della Chiesa passa attraverso la carità, alimentata nella preghiera e nell’ascolto della parola di Dio. Emblematica di questo stile missionario è l’immagine che ritrae la nuova Beata mentre stringe, con una mano, quella di un bambino e, con l’altra, fa scorrere la corona del Rosario.
Contemplazione e azione, evangelizzazione e promozione umana: Madre Teresa proclama il Vangelo con la sua vita tutta donata ai poveri, ma, al tempo stesso, avvolta dalla preghiera.
3. “Whoever wants to be great among you must be your servant” (Mk 10: 43). With particular emotion we remember today Mother Teresa, a great servant of the poor, of the Church and of the whole world. Her life is a testimony to the dignity and the privilege of humble service. She had chosen to be not just the least but to be the servant of the least. As a real mother to the poor, she bent down to those suffering various forms of poverty. Her greatness lies in her ability to give without counting the cost, to give “until it hurts”. Her life was a radical living and a bold proclamation of the Gospel.
The cry of Jesus on the cross, “I thirst” (Jn 19:28), expressing the depth of God’s longing for man, penetrated Mother Teresa’s soul and found fertile soil in her heart. Satiating Jesus’ thirst for love and for souls in union with Mary, the mother of Jesus, had become the sole aim of Mother Teresa’s existence and the inner force that drew her out of herself and made her “run in haste” across the globe to labour for the salvation and the sanctification of the poorest of the poor.
4. “As you did to one of the least of these my brethren, you did it to me” (Mt 25:40). This Gospel passage, so crucial in understanding Mother Teresa’s service to the poor, was the basis of her faith-filled conviction that in touching the broken bodies of the poor she was touching the body of Christ. It was to Jesus himself, hidden under the distressing disguise of the poorest of the poor, that her service was directed. Mother Teresa highlights the deepest meaning of service – an act of love done to the hungry, thirsty, strangers, naked, sick, prisoners (cf. Mt 25:34-36) is done to Jesus himself.
Recognizing him, she ministered to him with wholehearted devotion, expressing the delicacy of her spousal love. Thus in total gift of herself to God and neighbour, Mother Teresa found her greatest fulfillment and lived the noblest qualities of her femininity. She wanted to be a sign of “God’s love, God’s presence, God’s compassion” and so remind all of the value and dignity of each of God’s children, “created to love and be loved”. Thus was Mother Teresa “bringing souls to God and God to souls” and satiating Christ’s thirst, especially for those most in need, those whose vision of God had been dimmed by suffering and pain.
Traduzione italiana della parte di omelia pronunciata in lingua inglese:
[3. « Chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore » (Mc 10, 43). È con particolare emozione che oggi ricordiamo Madre Teresa, grande serva dei poveri, della Chiesa e del Mondo intero. La sua vita è una testimonianza della dignità e del privilegio del servizio umile. Ella aveva scelto di non essere solo la più piccola, ma la serva dei più piccoli. Come madre autentica per i poveri, si è chinata verso coloro che soffrivano diverse forme di povertà. La sua grandezza risiede nella sua abilità di dare senza calcolare i costi, di dare « fino a quando fa male ». La sua vita è stata un vivere radicale e una proclamazione audace del Vangelo.
Il grido di Gesù sulla croce, « Ho sete » (Gv 19, 28), che esprime la profondità del desiderio di Dio dell’uomo, è penetrato nell’anima di Madre Teresa e ha trovato terreno fertile nel suo cuore. Placare la sete di amore e di anime di Gesù in unione con Maria, Madre di Gesù, era divenuto il solo scopo dell’esistenza di Madre Teresa, e la forza interiore che le faceva superare sé stessa e « andare di fretta » da una parte all’altra del mondo al fine di adoperarsi per la salvezza e la santificazione dei più poveri tra i poveri.
4. « Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me » (Mt 25, 40). Questo passo del Vangelo, così fondamentale per comprendere il servizio di Madre Teresa ai poveri, era alla base della sua convinzione, piena di fede, che nel toccare i corpi deperiti dei poveri toccava il corpo di Cristo. Era a Gesù stesso, nascosto sotto le vesti angoscianti dei più poveri tra i poveri, che era diretto il suo servizio. Madre Teresa pone in rilievo il significato più profondo del servizio: un atto d’amore fatto agli affamati, agli assetati, agli stranieri, a chi è nudo, malato, prigioniero (cfr Mt 25, 34-36), viene fatto a Gesù stesso.
Riconoscendolo, lo serviva con totale devozione, esprimendo la delicatezza del suo amore sponsale. Così, nel dono totale di sé a Dio e al prossimo, Madre Teresa ha trovato il suo più alto appagamento e ha vissuto le qualità più nobili della sua femminilità. Desiderava essere un « segno dell’amore di Dio, della presenza di Dio, della compassione di Dio » e, in tal modo, ricordare a tutti il valore e la dignità di ogni figlio di Dio, « creato per amare ed essere amato ». Era così che Madre Teresa « portava le anime a Dio e Dio alle anime », placando la sete di Cristo, soprattutto delle persone più bisognose, la cui visione di Dio era stata offuscata dalla sofferenza e dal dolore ».]
5. “Il Figlio dell’uomo è venuto per dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45). Madre Teresa ha condiviso la passione del Crocifisso, in modo speciale durante lunghi anni di “buio interiore”. E’ stata, quella, una prova a tratti lancinante, accolta come un singolare “dono e privilegio”.
Nelle ore più buie ella s’aggrappava con più tenacia alla preghiera davanti al Santissimo Sacramento. Questo duro travaglio spirituale l’ha portata ad identificarsi sempre più con coloro che ogni giorno serviva, sperimentandone la pena e talora persino il rigetto. Amava ripetere che la più grande povertà è quella di essere indesiderati, di non avere nessuno che si prenda cura di te.
6. “Donaci, Signore, la tua grazia, in Te speriamo!”. Quante volte, come il Salmista, anche Madre Teresa nei momenti di desolazione interiore ha ripetuto al suo Signore: “In Te, in Te spero, mio Dio!”.
Rendiamo lode a questa piccola donna innamorata di Dio, umile messaggera del Vangelo e infaticabile benefattrice dell’umanità. Onoriamo in lei una delle personalità più rilevanti della nostra epoca. Accogliamone il messaggio e seguiamone l’esempio.
Vergine Maria, Regina di tutti i Santi, aiutaci ad essere miti e umili di cuore come questa intrepida messaggera dell’Amore. Aiutaci a servire con la gioia e il sorriso ogni persona che incontriamo. Aiutaci ad essere missionari di Cristo, nostra pace e nostra speranza. Amen!

 

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GIOVANNI PAOLO II, I MIRACOLI DI GESÙ COME APPELLO ALLA FEDE, 16 DICEMBRE 1987

http://www.disf.org/Documentazione/05-5-871216_miracoli.asp

GIOVANNI PAOLO II, I MIRACOLI DI GESÙ COME APPELLO ALLA FEDE, 16 DICEMBRE 1987

1. La fede, condizione e frutto del miracolo. 2. «Beata colei che ha creduto». 3. «Tutto è possibile a chi crede». 4. «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». 5. «La tua fede ti ha guarita». 6. «Anche i cagnolini si cibano delle briciole». 7. Il cuore di Gesù proteso a guarire. 8. Chiamata dell’uomo alla fede.

1. I «miracoli e segni» che Gesù faceva per confermare la sua missione messianica e la venuta del regno di Dio, sono ordinati e legati strettamente alla chiamata alla fede. Questa chiamata in relazione al miracolo ha due forme: la fede precede il miracolo, anzi è condizione perché esso si realizzi; la fede costituisce un effetto del miracolo, perché provocata da esso nell’anima di coloro che lo hanno ricevuto, oppure ne sono stati i testimoni.
E’ noto che la fede è una risposta dell’uomo alla parola della rivelazione divina. Il miracolo avviene in legame organico con questa parola di Dio rivelante. E’ un «segno» della sua presenza e del suo operare, un segno, si può dire, particolarmente intenso. Tutto ciò spiega in modo sufficiente il particolare legame che esiste tra i «miracoli-segni» di Cristo e la fede: legame delineato così chiaramente nei Vangeli.
2. Vi è infatti nei Vangeli una lunga serie di testi, nei quali la chiamata alla fede appare come un coefficiente indispensabile e sistematico dei miracoli di Cristo. All’inizio di questa serie bisogna nominare le pagine concernenti la madre di Cristo nel suo comportamento a Cana di Galilea, e prima ancora – e soprattutto – nel momento dell’annunciazione. Si potrebbe dire che proprio qui si trova il punto culminante della sua adesione alla fede, che troverà la sua conferma nelle parole di Elisabetta durante la visitazione: «E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore» (Lc 1,45). Sì, Maria ha creduto come nessun altro, essendo convinta che «nulla è impossibile a Dio» (cf. Lc 1,37).
E a Cana di Galilea la sua fede ha anticipato, in un certo senso, l’ora del rivelarsi di Cristo. Per la sua intercessione si è compiuto quel primo miracolo-segno, grazie al quale i discepoli di Gesù «credettero in lui» (Gv 2,11). Se il Concilio Vaticano II insegna che Maria precede costantemente il popolo di Dio sulle vie della fede (cf. «Lumen gentium», 58.63; «Redemptoris Mater», 5-6), possiamo dire che il primo fondamento di tale asserzione si trova già nel Vangelo che riferisce i «miracoli-segni» in Maria e per Maria in ordine alla chiamata alla fede.
3. Questa chiamata si ripete molte volte… Al capo della sinagoga, Giairo, venuto a chiedere il ritorno alla vita di sua figlia Gesù dice: «Non temere, continua solo ad avere fede!» (e dice «non temere» perché alcuni sconsigliavano Giairo dal rivolgersi a Gesù (Mc 5,36). Quando il padre dell’epilettico chiede la guarigione del figlio dicendo: «Ma se tu puoi qualcosa… aiutaci», Gesù risponde: «Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede». Si ha allora il bell’atto di fede in Cristo di quest’uomo provato: «Credo, aiutami nella mia incredulità!» (cf. Mc 9,22-24).
Ricordiamo infine il colloquio ben noto di Gesù con Marta prima della risurrezione di Lazzaro: «Io sono la risurrezione e la vita… Credi tu questo?… Sì, o Signore, io credo…» (cf. Gv 11,25-27).
4. Lo stesso legame tra il «miracolo-segno» e la fede è confermato per opposto da altri fatti di segno negativo. Ricordiamone alcuni. Nel Vangelo di Marco leggiamo che Gesù a Nazaret «non poté operare alcun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità» (Mc 6,5-6).
Conosciamo il delicato rimprovero che Gesù rivolse una volta a Pietro: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Ciò avvenne quando Pietro, che all’inizio andava coraggiosamente sulle onde verso Gesù, poi per la violenza del vento, s’impaurì e cominciò ad affondare» (cf. Mt 14,29-31).
5. Gesù sottolinea più di una volta che il miracolo da lui compiuto è legato alla fede. «La tua fede ti ha guarita», dice alla donna che soffriva d’emorragia da dodici anni e che, accostatasi alle sue spalle, gli aveva toccato il lembo del mantello ed era stata risanata (cf. Mt 9,20-22 e par.).
Parole simili Gesù pronunzia mentre guarisce il cieco Bartimeo, che all’uscita da Gerico con insistenza chiedeva il suo aiuto gridando: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!» (cf. Mc 10,46-52). Secondo Marco: «Va’, la tua fede ti ha salvato», gli risponde Gesù. E Luca precisa la risposta: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato» (Lc 18,42).
Un’identica dichiarazione fa al samaritano guarito dalla lebbra (Lc 17,19). Mentre ad altri due ciechi che invocano il riacquisto della vista, Gesù chiede: «Credete voi che io possa fare questo?». «Sì, o Signore!»… «Sia fatto a voi, secondo la vostra fede» (Mt 9,28-29).
6. Particolarmente toccante è l’episodio della donna cananea, che non cessava di chiedere l’aiuto di Gesù per sua figlia «crudelmente tormentata da un demonio». Quando la cananea si prostrò dinanzi a Gesù per chiedergli aiuto, egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini» (era un richiamo alla diversità etnica tra israeliti e cananei, che Gesù figlio di Davide, non poteva ignorare nel suo comportamento pratico, ma alla quale accennava in funzione metodologica per provocare la fede). Ed ecco la donna pervenire d’intuito a un atto insolito di fede e di umiltà. Dice: «E’ vero, Signore… ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Dinanzi a questa parola così umile, garbata e fiduciosa, Gesù replica: «Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri» (cf. Mt 15,21-28).
E’ un avvenimento difficile da dimenticare, soprattutto se si pensa agli innumerevoli «cananei» di ogni tempo, paese, colore e condizione sociale, che tendono la mano per chiedere comprensione e aiuto nelle loro necessità!
7. Si noti come nella narrazione evangelica è messo continuamente in rilievo il fatto che Gesù, quando «vede la fede», compie il miracolo. Ciò è detto chiaramente nel caso del paralitico calato ai suoi piedi attraverso l’apertura praticata nel tetto (cf. Mc 2,5; Mt 9,2; Lc 5,20). Ma l’osservazione si può fare in tanti altri casi registrati dagli evangelisti. Il fattore fede è indispensabile; ma appena si verifica, il cuore di Gesù è proteso a esaudire le richieste dei bisognosi che si rivolgono a lui perché li soccorra col suo potere divino.
8. Ancora una volta constatiamo che, come abbiamo detto all’inizio, il miracolo è un «segno» della potenza e dell’amore di Dio che salvano l’uomo in Cristo. Ma, proprio per questo, è nello stesso tempo una chiamata dell’uomo alla fede. Deve portare a credere sia chi viene miracolato, sia i testimoni del miracolo.
Ciò vale per gli stessi apostoli, fin dal primo «segno» fatto da Gesù a Cana di Galilea: fu allora che essi «credettero in lui» (Gv 2,11). Quando poi avvenne la moltiplicazione miracolosa dei pani nei pressi di Cafarnao, con la quale è collegato il preannunzio dell’Eucaristia, l’evangelista nota che «da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andarono più con lui», non essendo in grado di accogliere un linguaggio sembrato loro troppo «duro». Allora Gesù domandò ai Dodici: «Forse anche voi volete andarvene?». Rispose Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole ai vita eterna, noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (cf. Gv 6,66-69). Il principio della fede è dunque fondamentale nel rapporto con Cristo, sia come condizione per ottenere il miracolo, sia come scopo per il quale esso è compiuto.
Ciò è ben chiarito alla fine del Vangelo di Giovanni, dove leggiamo: «Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (Gv 20,30-31).

SAN GIOVANNI PAOLO II E IL SUO LEGAME CON I CARMELITANI

http://ocarm.org/it/content/ocarm/san-giovanni-paolo-ii-e-il-suo-legame-i-carmelitani

SAN GIOVANNI PAOLO II E IL SUO LEGAME CON I CARMELITANI

Studente di Giovanni della Croce: il suo pontificato riflette l’influenza carmelitana

Sono venute milioni di persone per il canonizzazione del Papa Giovanni Paolo II. Molti nelle piazze e nelle Chiese, avevano storie di incontri personali con il Papa. Qualche volta questi incontri avvenivano nella folla, ma per la persona era un momento davvero personale con il Papa.
Anche i carmelitani hanno molte storie di incontri personali da raccontare. In ventisei anni Giovanni Paolo II ha visitato molte Chiese e ospitato parecchi gruppi. Tra questi alcuni erano gruppi carmelitani. Ha scritto una « biblioteca » di documenti, e diversi indirizzati ai carmelitani.
Come ben documentato, questo Papa ha una profonda devozione per Maria e in particolare per la B. Vergine Maria del Monte Carmelo. Era forte il suo amore allo Scapolare carmelitano (vedere la storia allegata). Spesso per i suoi scritti utilizzava esempi tratti dalla vita e dagli scritti di santi carmelitani. Conosceva bene la vita del mistico carmelitano Giovanni della Croce vissuto nel XVI secolo. È stato oggetto della tesi di dottorato: Doctrina de fide apud Sanctum Ioannem a Cruce.
Tra i vescovi che ha consacrato diversi sono stati carmelitani, presenti in varie diocesi del mondo. Durante il suo Pontificato sono stati eretti diciotto monasteri di monache di clausura.
Il Papa ha mostrato di essere a conoscenza dei Carmelitani di oggi e dei nostri ministeri nella Chiesa in tutto il mondo. Nella lettera al Priore Generale, Joseph Chalmers, in occasione del Capitolo Generale 2001, il Papa Giovanni Paolo II ha ricordato il 2001 come 750° anniversario dello Scapolare, il 7° centenario della nascita del santo vescovo carmelitano Andrea Corsini, come anche il Terzo Millennio nel quale egli aveva introdotto la Chiesa. Ha descritto Elia e Maria come simboli dell’Ordine e ha parlato circa il « viaggio » intrapreso dall’Ordine. Significative le sue parole: « Voi siete chiamati a rileggere il ricco patrimonio della vostra famiglia alla luce delle sfide di oggi così che le gioie, le speranze, le tristezze e l’angoscia dell’umanità, del povero, e soprattutto di quelle sofferenze che sono la gioia e la speranza, la tristezza e l’angoscia dei discepoli di Cristo (Gaudium et Spes 1) e, in modo speciale, di ogni carmelitano ».
Lo Scapolare carmelitano
Quando si avvicinava la festa della Madonna del Monte Carmelo, il Papa spesso parlava dello Scapolare carmelitano nel contesto del suo valore oggi. In una udienza del 16 luglio 1988, con un gruppo di alpini, ramo dell’esercito italiano, Giovanni Paolo II ha ricordato l’esortazione del suo predecessore Pio XII a scegliere lo Scapolare tra le molte espressioni di devozione a Maria. Qualche giorno dopo nella residenza estiva di Castel Gandolfo, il Papa definiva lo Scapolare « una grazia particolare di Maria ». Così il cuore cresce in comunione e familiarità con la B. Vergine Maria. E lo Scapolare infatti è « un nuovo modo di vivere per Dio e di perpetuare in terra l’amore di Gesù Cristo, il Figlio, per sua Madre, Maria ».
Nel 1989 in un discorso ai giovani della Parrocchia Carmelitana di Santa Maria in Traspontina il Papa disse di essere stato nella sua giovinezza debitore allo Scapolare carmelitano e paragonò il modo con cui Maria ci veste del suo Scapolare a una madre che gode nel vedere i suoi figli vestiti come si deve: « Maria del Monte Carmelo ci veste in senso spirituale. Lei ci veste con la grazia di Dio e ci aiuta sempre… »
Maria – Signora del Monte Carmelo
La profonda devozione del Papa Giovanni Paolo II verso Maria nei suoi titoli è stata largamente approfondita nei ventisei anni del suo Pontificato. Già alla folla riunita in San Pietro per la sua prima benedizione Urbi et Orbi disse che accettava l’elezione « nello spirito di obbedienza al Signore e nella fiducia totale a sua Madre, Maria Santissima ». Il suo essersi salvato dall’attentato del 13 maggio 1981 lo attribuì alla Madonna di Fatima di cui quel giorno ricorreva la memoria.
La sua dedizione a Maria è stata manifesta durante gli anni del Pontificato. Nell’udienza generale del 13 luglio 1988 il Papa esortava i giovani a riflettere sul loro rapporto con Maria e suggerì loro di guardare alla Madonna del Monte Carmelo. Nella stessa udienza agli ammalati disse: « La Madonna del Carmelo versa luce sulla bellezza del mistero della sofferenza ». Invitò anche gli sposi novelli presenti in piazza « a mettere il loro amore sotto la protezione della Madonna del Carmelo » e li rassicurò: « la sua preghiera e la sua intercessione proteggerà il vostro amore da ogni pericolo e lo renderà sempre più fedele e ricco ».
All’Angelus celebrato a Castel Gandolfo il 24 luglio 1988 il Papa ricordava che due dei mistici carmelitani avevano sperimentato Dio nella loro vita come « via della perfezione » e « salita al Monte Carmelo » sempre alla presenza di Maria come Madre, Patrona e Sorella. E disse che per quanti fanno parte della famiglia carmelitana e per ogni anima profondamente carmelitana una vita di intensa comunione e vicinanza alla vergine Maria è vita feconda.
Quando Giovanni Paolo II visitò la Parrocchia carmelitana di Traspontina nel gennaio 1989 ricordò ai giovani di aver ricevuto un grande aiuto, quando lui era giovane, dalla Madonna del Carmelo: « Io non so esattamente quanto ma penso che mi abbia aiutato enormemente. È stata lei ad aiutarmi nel trovare la grazia della mia vocazione »
Durante l’Angelus domenicale del 16 luglio 2000, mentre era in vacanza ad Aosta, il Papa parlò ancora dei Carmelitani: vedendo tutto intorno le montagne il suo pensiero andò al Monte Carmelo in Palestina. E pensando al Carmelo come simbolo di totale adesione alla volontà divina e alla nostra salvezza eterna, disse: « Siamo chiamati a scalare questo monte spirituale con coraggio e senza fermarci. Camminando insieme con Maria, modello di totale fedeltà a Dio, non dovremmo aver paura degli ostacoli e delle difficoltà. Sostenuti dalla sua materna intercessione, come Elia noi saremo in grado di vivere in pienezza la nostra vocazione di autentici « profeti » del vangelo nel nostro tempo ». E si rivolse a Maria dicendo: « Che la B. Vergine del Monte Carmelo… ci aiuti a salire instancabilmente verso la vetta del monte della santità e a non avere niente di più caro che Cristo che rivela al mondo il mistero dell’amore divino e la vera dignità dell’uomo ».
Possa la sua preghiera diventare realtà nella nostra vita.

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