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10 Nov.: S. LEONE MAGNO, Papa e Dottore della Chiesa

dal sito:

http://www.donbosco-torino.it/ita/Kairos/Santo_del_mese/10-Novembre/San_Leone_Magno.html

10 Nov.: S. LEONE MAGNO, Papa e Dottore della Chiesa

SEGUIRE CRISTO,

SACRAMENTO ED ESEMPIO

Sono due i Papi della Chiesa Cattolica insigniti dalla Storia del titolo di Magno, cioè grande: Leone morto a Roma nel 461 e Gregorio, vissuto e morto a Roma qualche secolo dopo (fu chiamato anche “l’ultimo grande Romano”). C’è stato, per la verità, il tentativo di attribuire lo stesso titolo a Giovanni Paolo II, appena defunto. Qualche biografia parlava già di Karol il Grande… Nessuno nega il grande impatto che ebbe sulla Chiesa e sul corso della Storia (specialmente per il Paesi dell’Est oppressi dal comunismo, e segnatamente sulla sua Polonia). Forse, però, è opportuno lasciare decantare le emozioni e la troppa vicinanza agli avvenimenti. Aspettare quindi il filtro dei critici e biografi nonché il giudizio finale della Storia per attribuirgli tale titolo, così impegnativo e solenne.
Il nostro Leone (e anche Gregorio, di cui la “Maria Ausiliatrice” ha parlato nel settembre del 2000) questo titolo lo ha meritato ampiamente. Così ha decretato infatti la Storia.
È stato grande perché ha saputo reggere con forza ed equilibrio, con saggezza e lungimiranza la Chiesa cattolica, squassata dalle eresie (monofisismo, pelagianesimo, manicheismo) e dalla situazione politica difficile, creata dal progressivo sfaldamento del tessuto politico e sociale dell’Impero Romano in Occidente. Riuscì a lavorare per l’unità della Chiesa e arginare le forze di disgregazione già presenti e attive all’interno (eresie).
Seppe anche riaffermare con discrezione ma anche con argomenti solidi il Primato di Pietro e quindi del Vescovo di Roma. Non in quanto vescovo della grande capitale dell’Impero Romano, argomento politico anche parzialmente contestabile (Antiochia, Alessandria, Gerusalemme, Costantinopoli), ma in quanto successore di ben due apostoli, anzi super apostoli, quali Pietro e Paolo, morti martiri per Cristo proprio a Roma, e quindi simbolo di unità per tutta la Chiesa universale.
Leone fu anche un punto fermo nello sconquassamento generale, non solo per Roma ma anche per l’Italia, dovuto alle invasioni barbariche. In assenza dell’autorità politica costituita, fu lui ad adoperarsi per fermare Attila (“il flagello di Dio”) o per limitare i danni alla città di Roma (con Genserico). Questa sua attività politico-sociale per la popolazione del territorio attorno a Roma (come farà pure Gregorio Magno) fu in certo senso la base del cosiddetto Stato Pontificio e del dominio temporale dei Papi su alcune regioni dell’Italia Centrale che durerà poi per secoli.
Da diacono a vescovo di Roma
Leone è nato a Roma da genitori originari della Toscana. La sua istruzione, di ottimo livello e di tipo aristocratico, ebbe luogo nella stessa città, dove pure intraprese la carriera ecclesiastica, raggiungendo ben presto cariche di sicuro prestigio e responsabilità. Già verso gli anni 430 Leone, ormai diacono, era diventato uno dei personaggi più influenti, consultati e ascoltati del clero romano. È infatti del 431 la lettera del vescovo Cirillo di Alessandria al giovane diacono Leone, dove lo supplicava di intervenire presso il Papa contro le mire espansionistiche del patriarca di Gerusalemme, Giovenale, che voleva la supremazia su tutta la Palestina. In questi stessi anni Leone è già attivo nel sollecitare iniziative e prese di posizione contro eresie quali il nestorianesimo e contro il pelagianesimo.
Di questo prestigio e abilità nel campo dottrinale e della disciplina ecclesiastica riconosciutegli da tutti ne tenne conto anche la corte imperiale di Valentiniano III quando, per comporre l’increscioso e pericoloso dissidio scoppiato nella Gallia tra i due generali romani Ezio ed Albino, fu mandato proprio lui. E Leone riuscì nell’intento, evitando così una pericolosa guerra civile.
Ma proprio durante questa missione così delicata lo raggiunse la notizia che, morto Papa Sisto III, era stato eletto lui suo successore (440). E così Leone saliva sulla barca di Pietro, agitata dai venti delle eresie e dalle tempeste delle politiche imperiali. Era diventato timoniere e guida suprema della Chiesa Cattolica. Non potevano fare scelta migliore, visti i tempi difficili (le invasioni barbariche) nei quali ebbe ad esercitare il suo ministero di pastore supremo. Leone incarnò in sé le caratteristiche di moderazione e di equilibrio, derivanti dalla cultura romana aperta a tutti i popoli, e la spinta innovativa e per certi versi rivoluzionaria derivante dal cristianesimo.
La prima grana che ebbe ad affrontare in campo dottrinale fu l’eresia di un certo monaco, Eutiche, e cioè il monofisismo (un Cristo mutilato cioè portatore di una sola natura, quella divina). Una eresia sottile, perniciosa quanto dirompente per la fede cristiana. Eutiche addirittura si era appellato allo stesso Leone, perché era stato condannato dal vescovo Flaviano di Costantinopoli. Leone scrisse e mandò a quest’ultimo una importante Lettera in cui prendeva posizione netta a favore delle due nature, divina e umana, in una sola persona, il Cristo.
È la famosa opera Tomus ad Flavianum. Sembrava tutto risolto. Ma le cose si complicarono perché l’imperatore Teodosio aveva convocato un sinodo a Efeso (449) nel quale si riabilitava Eutiche e la sua dottrina. Leone da Roma rifiutò energicamente quell’assemblea, che egli riteneva scandalosa (un vero “latrocinium”) e scrisse all’imperatore ribadendo la sua posizione contro il monofisismo. Anzi passava lui stesso al contrattacco ed in maniera decisa convocando subito un Concilio Ecumenico a Calcedonia (451).
La morte di Teodosio (pro Eutiche) e il suo successore Marciano, insieme alla moglie Pulcheria (ambedue pro ortodossia cattolica) gli furono di notevole aiuto. Nel Concilio venne letto ed accolto in pieno il già citato e ormai famoso Tomo a Flaviano. Davanti a quel documento i padri conciliari riconobbero che “per bocca di Leone aveva parlato Pietro e gli apostoli avevano espresso la loro dottrina”.
Il faccia a faccia con Attila
Se sul piano strettamente dottrinale Leone aveva vinto pienamente, non così però nel campo politico-ecclesiale. C’era una questione di potere ecclesiastico, di supremazia, insomma. Il canone 28 elevava Costantinopoli al rango gerarchico numero due, dopo Roma (voleva diventare la “Seconda Roma”), solo perché era una capitale imperiale, e questo a spese di altre sedi patriarcali quali Antiochia ed Alessandria (che potevano risalire alla predicazione degli apostoli stessi). Leone, attraverso i suoi legati, rifiutò il canone ribadendo che doveva essere il legame con gli apostoli stessi (come Roma con Pietro e Paolo) e non il peso strettamente politico a dare preminenza e supremazia ad una Chiesa sulle altre.
Ma Leone non dovette solo combattere contro i nemici dell’ortodossia cattolica, armati di sillogismi, di filosofia e teologia (e di fantasia), ma anche contro nemici armati… di armi vere e proprie. Le invasioni barbariche.
Girava già un nome che incuteva terrore: Attila e i suoi Unni. Dove passava lui e le sue orde di guerrieri “non nasceva più erba” tanta era la distruzione che portavano. Questo era possibile ormai perché sembrava inarrestabile il lento declino di quella che era stata la Roma imperiale, sicura della forza delle proprie legioni, un tempo invincibili. Fu lo stesso imperatore Valentiniano III a pregare Leone di guidare lui l’ambasceria incontro ad Attila e ai suoi Unni.
Questi avevano ormai già iniziato la devastazione del Nord Italia e puntavano, naturalmente, su Roma. L’incontro ed il faccia a faccia Leone-Attila avvenne vicino a Mantova. E fu positivo. Leone aveva risparmiato Roma da un altro saccheggio (dopo quello del 410 dei Visigoti di Alarico). Gli storici ci dicono che non furono solamente le forti parole e il prestigio politico di Leone a fermare Attila e a fargli invertire la rotta. C’erano anche considerazioni politico-militari. Un’altra versione (immortalata da un quadro di Raffaello) afferma che Attila vide in visione, dietro Leone a difenderlo gli apostoli Pietro e Paolo, armati… di armi vere e proprie!
Minore successo ebbe tre anni dopo con Genserico alla guida dei suoi Vandali. Insediatisi questi a Roma, il Papa Leone ottenne almeno che non ci fossero torture, uccisioni sommarie e incendio della città, ma non riuscì ad impedire il saccheggio (455) e la deportazione di tanti prigionieri. Da notare che ormai il potere politico e militare a Roma era completamente assente, essendo stati uccisi l’imperatore Valentiniano e il generale Ezio.
Ogni giorno è un “dies salutis” per tutti
Non dimentichiamo che Leone non solo è stato un grande vescovo di Roma, ma che è anche Dottore della Chiesa, cioè maestro di vita spirituale per tutta la Chiesa. Fu infatti autore di 97 Sermoni (o Trattati) e di 143 Lettere, oltre al già citato Tomo a Flaviano, e altri scritti minori. Dai suoi scritti si evince la preoccupazione del pastore di anime di istruire, ammonire, esortare i suoi fedeli (e noi) a vivere la propria fede cristiana.
La sua predicazione aveva una doppia funzione: la prima di catechesi vera e propria, istruire e preparare alla ricezione delle verità di fede. La seconda funzione era mistagogica, cioè con i suoi interventi (omelie varie, esortazioni ai fedeli) egli intendeva aiutare nella graduale scoperta del mistero salvifico che professavano, scoprire le meraviglie della grazia e l’incessante opera di Dio, anche per vie misteriose, a beneficio dei fedeli.
Punto di partenza per Leone è la fede nel mistero dell’Incarnazione e cioè il Cristo che opera la nostra salvezza: egli è lo strumento, il segno efficace (sacramento) della volontà salvifica del Padre per ciascuno di noi, specialmente con la sua Passione e Morte. Cristo quindi è il vero “sacramentum et exemplum” di salvezza per il cristiano. Ogni festa (ma possiamo dire ogni giorno) che celebriamo è un vero “dies salutis” o giorno di salvezza, una vera occasione per ripensare e interiorizzare le grandi certezze salvifiche. Celebre è rimasta la sua omelia per il Natale in cui esorta il singolo fedele a svegliarsi dal sonno e dalla pigrizia spirituale, e ripensare con intensità al mistero di un Dio che si fa uomo per noi (Sermone 21,3).
Leone ci invita anche alla vita ascetica. Se non si vuole fallire nella “sequela Christi” bisogna darsi anche una disciplina, fatta di preghiera, di digiuno e di elemosina, un modo questo per educare la nostra natura umana (assunta da Cristo) ad essere più ricettiva delle esigenze della sua salvezza. Questa ascesi quotidiana è mirata al rafforzamento della nostra fede, che illumina la nostra speranza e irrobustisce la nostra carità.
Leone parla proprio di lotta per la santità, parla di superamento del nemico invisibile e di superamento di tutti gli ostacoli che lui ci pone nel nostro cammino verso Dio. Egli usa spesso nei suoi sermoni queste immagini di lotta continua e dura contro il male e contro il Maligno. E questo addentrarsi sempre più nel mistero della salvezza, con l’aiuto della grazia, produrrà nell’anima il “gaudium” cioè la gioia. Essa sarà come il segno di questa lotta per la sequela di Cristo, che rimane sempre “sacramento ed esempio” per ogni cristiano.

MARIO SCUDU sdb

Riconosci, o cristiano, la tua dignità
Il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato: rallegriamoci! Non c’è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne.
Nessuno è escluso da questa felicità: la causa della gioia è comune a tutti perché il nostro Signore, vincitore del peccato e della morte, non avendo trovato nessuno libero dalla colpa, è venuto per la liberazione di tutti, Esulti il santo, perché si avvicina il premio; gioisca il peccatore, perché gli è offerto il perdono; riprenda coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita…ù
Deponiamo dunque “l’uomo vecchio con la concupiscenza di prima” (Ef 4,22) e, poiché siamo partecipi della generazione di Cristo, rinunciamo alle opere della carne. Riconosci, cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all’abiezione di un tempo con una condotta indegna…
Ricorda che il prezzo pagato per il tuo riscatto è il sangue di Cristo (Discorso 1 per il Natale).

IMMAGINI:
1 San Leone Magno in un affresco dell’VIII secolo nella chiesa di Santa Maria Antiqua a Roma.
2 Carta delle invasioni barbariche
3  Affresco di Raffaello (1483-1520) nella Stanza di Eliodoro in Vaticano. / San Leone Magno, con l’aiuto dei Santi Pietro e Paolo, ferma Attila sulla riva del Mincio.
4  Domenico Theotokòpulos, detto El Greco (1590-1600), olio su tela, Museo della Catalogna, Barcellona. / I Santi Pietro e Paolo: la docilità dei volti e il dialogo delle mani esprimono il realismo e l’umiltà di questi due grandi campioni della fede cristiana.
5 Grotte Vaticane: Cristo fra gli Apostoli Pietro e Paolo.

23 OTTOBRE 2011 – XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

23 OTTOBRE 2011 -  XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

MESSA DEL GIORNO LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/ordinA/A30page.htm

MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura  1 Ts 1,5c-10
Vi siete convertiti dagli idoli, per servire Dio e attendere il suo Figlio.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési
Fratelli, ben sapete come ci siamo comportati in mezzo a voi per il vostro bene.
E voi avete seguito il nostro esempio e quello del Signore, avendo accolto la Parola in mezzo a grandi prove, con la gioia dello Spirito Santo, così da diventare modello per tutti i credenti della Macedònia e dell’Acàia.
Infatti per mezzo vostro la parola del Signore risuona non soltanto in Macedònia e in Acàia, ma la vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, tanto che non abbiamo bisogno di parlarne.
Sono essi infatti a raccontare come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti dagli idoli a Dio, per servire il Dio vivo e vero e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, il quale ci libera dall’ira che viene.

http://www.bible-service.net/site/377.html

1 Thessaloniciens 1,5-10
Paul parle de l’accueil de la Parole de Dieu et de l’effet de cet accueil.
Un des aspects les plus importants de cet effet, c’est que l’accueil se transforme immédiatement en envoi, voilà le « modèle pour tous les croyants », dit Paul : « À partir de chez vous la Parole du Seigneur a retenti. » C’est la contagion de la foi : témoignage de la grâce de Dieu, témoignage aussi de la conversion effective réalisée. La Parole accueillie « avec joie » même au milieu des épreuves, voire à cause des épreuves, est un thème qui revient souvent dans le Nouveau Testament.
L’attente de Jésus, « qui nous délivre de la colère qui vient », c’est-à-dire du jugement, était très forte en ces débuts de l’Église. Paul y reviendra plus loin dans sa lettre (4 – 5) et dans la seconde lettre.

1Tessalonicesi
Paolo parla dell’accoglienza della parola di Dio e dell’effetto di quest’accoglienza.
Uno degli aspetti più importanti di quest’effetto, è che l’accoglienza si trasforma immediatamente in missione, ecco “il modello per tutti i credenti„; dice Paolo “Infatti per mezzo vostro la parola del Signore risuona non soltanto in Macedonia e in Acaia, ma la vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, tanto che non abbiamo bisogno di parlarne.„ È il contagio della fede: prova della grazia di Dio, testimonianza anche della conversione effettiva realizzata. La parola accolta “con gioia„ anche in mezzo alle prove, o a causa delle prove, è un tema che ritorna spesso nel nuovo Testamento. L’attesa di Gesù, “che…„, cioè del giudizio, era molto forte in quest’inizi della Chiesa. Paolo vi ritornerà più avanti nella sua lettera (4 – 5) e nella seconda lettera.

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dal libro della Sapienza 1, 1-15

Elogio della sapienza di Dio
Amate la giustizia, voi che governate sulla terra,
rettamente pensate del Signore,
cercatelo con cuore semplice.
Egli infatti si lascia trovare da quanti non lo tentano,
si mostra a coloro che non ricusano di credere in lui.
I ragionamenti tortuosi allontanano da Dio;
l’onnipotenza, messa alla prova, caccia gli stolti.
La sapienza non entra in un’anima che opera il male
né abita in un corpo schiavo del peccato.
Il santo spirito, che ammaestra,
rifugge dalla finzione,
se ne sta lontano dai discorsi insensati,
è cacciato al sopraggiungere dell’ingiustizia.
La sapienza è uno spirito amico degli uomini;
ma non lascerà impunito chi insulta con le labbra,
perché Dio è testimone dei suoi sentimenti,
e osservatore verace del suo cuore
e ascolta le parole della sua bocca.
Difatti lo spirito del Signore riempie l’universo
abbracciando ogni cosa, conosce ogni voce.
Per questo non gli sfuggirà
chi proferisce cose ingiuste,
la giustizia vendicatrice non lo risparmierà.
Si indagherà infatti sui propositi dell’empio,
il suono delle sue parole giungerà fino al Signore
a condanna delle sue iniquità;
poiché un orecchio geloso ascolta ogni cosa,
perfino il sussurro delle mormorazioni
non gli resta segreto.
Guardatevi pertanto da un vano mormorare,
preservate la lingua dalla maldicenza,
perché neppure una parola segreta sarà senza effetto,
una bocca menzognera uccide l’anima.
Non provocate la morte con gli errori della vostra vita,
non attiratevi la rovina
con le opere delle vostre mani,
perché Dio non ha creato la morte
e non gode per la rovina dei viventi.
Egli infatti ha creato tutto per l’esistenza;
le creature del mondo sono sane,
in esse non c’è veleno di morte,
né gli inferi regnano sulla terra,
perché la giustizia è immortale.

Responsorio    Pro 3, 13. 15. 17; Gc 3, 17
R. Beato l’uomo che ha trovato la sapienza: è più preziosa delle perle; * le sue vie sono deliziose, e tutti i suoi sentieri conducono alla pace.
V. La sapienza che viene dall’alto è pura, pacifica, mite, arrendevole; piena di misericordia e di buoni frutti;
R. le sue vie sono deliziose, e tutti i suoi sentieri conducono alla pace.
 
Seconda Lettura
Dalla «Lettera ai Corinzi» di san Clemente I, papa
(Capp. 19, 2 – 20, 12; Funk, 1, 87-89)

Dio ordina il mondo con armonia e concordia e fa del bene a tutti
Fissiamo lo sguardo sul padre e creatore di tutto il mondo e immedesimiamoci intimamente con i suoi magnifici e incomparabili doni di pace e con i suoi benefici. Contempliamolo nella nostra mente e scrutiamo con gli occhi dell’anima il suo amore così longanime. Consideriamo quanto si dimostri benigno verso ogni sua creatura.
I cieli, che si muovono sotto il suo governo, gli sono sottomessi in pace; il giorno e la notte compiono il corso fissato da lui senza reciproco impedimento. Il sole, la luce e il coro degli astri percorrono le orbite prestabilite secondo la sua disposizione senza deviare dal loro corso, e in bell’armonia. La terra, feconda secondo il suo volere, produce a suo tempo cibo abbondante per gli uomini, le bestie e tutti gli esseri animati che vivono su di essa, senza discordanza e mutamento alcuno per rapporto a quanto egli ha stabilito. Gli stessi ordinamenti regolano gli abissi impenetrabili e le profondità della terra. Per suo ordine il mare immenso e sconfinato si raccolse nei suoi bacini e non oltrepassa i confini che gli furono imposti, ma si comporta così come Dio ha ordinato. Ha detto: «Fin qui giungerai e non oltre e qui si infrangerà l’orgoglio delle tue onde» (Gb 38, 11). L’oceano invalicabile per gli uomini e i mondi che si trovano al di là di esso sono retti dalle medesime disposizioni del Signore.
Le stagioni di primavera, d’estate, d’autunno e d’inverno si succedono regolarmente le une alle altre. Le masse dei venti adempiono il loro compito senza ritardi e nel tempo assegnato. Anche le sorgenti perenni, create per il nostro godimento e la nostra salute, offrono le loro acque ininterrottamente per sostentare la vita degli uomini. Persino gli animali più piccoli si stringono insieme nella pace e nella concordia. Tutto questo il grande creatore e Signore di ogni cosa ha comandato che si facesse in pace e concordia, sempre largo di benefici verso tutti, ma con maggiore abbondanza verso di noi che ricorriamo alla sua misericordia per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. A lui la gloria e l’onore nei secoli dei secoli. Amen
.

14 ottobre : San Callisto I – Papa e Martire

dal sito:

http://liturgia.silvestrini.org/santi/2011-10-14.html

San Callisto I – Papa e Martire

BIOGRAFIA
Nacque nella seconda metà del secolo II. Di condizione servile, era tuttavia molto apprezzato dal correligionario Carpoforo, che gli affidò l’amministrazione dei suoi beni. Fu ordinato diacono dal papa Zefirino, al quale successe nella cattedra di Pietro l’anno 217 e resse la Chiesa per cinque anni e due mesi. La sua elezione provocò lo scisma di Ippolito, che rimproverava a Callisto la sua origine servile e soprattutto la sua arrendevolezza nei confronti dei peccatori. San Callisto dovette combattere anche contro l’eresia sabelliana. Morì “martire” nel 222, non per mano dell’autorità imperiale ma in occasione di una sedizione popolare.

MARTIROLOGIO
San Callisto I, papa, martire. Da diacono, dopo un lungo esilio in Sardegna, si prese cura del cimitero sulla via Appia noto sotto il suo nome, dove raccolse le vestigia dei martiri a futura venerazione dei posteri; eletto poi papa promosse la retta dottrina e riconciliò con benevolenza i lapsi, coronando infine il suo operoso episcopato con un luminoso martirio. In questo giorno si commemora la deposizione del suo corpo nel cimitero di Calepodio a Roma sulla Via Aurelia.

DAGLI SCRITTI…
Dal trattato «A Fortunato» di san Cipriano, vescovo e martire
Il cristiano nella persecuzione e nel tempo di pace
«Le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi» (Rm 8, 18).
Chi dunque non si sforzerebbe in tutti i modi di raggiungere tanta gloria da divenire amico di Dio, da entrare subito nel gaudio di Cristo, in modo che, dopo i tormenti e i supplizi della terra, possa riceverei premi del cielo? Per i soldati della terra è un titolo di gloria ritornare in patria trionfanti, dopo che hanno vinto il nemico. Ma non sarà, allora, molto più grande, molto più stimabile, la gloria di chi ritorna trionfante in paradiso, dopo aver vinto il diavolo? Nel luogo da cui Adamo peccatore fu cacciato, là riporteremo i trofei vittoriosi, dopo aver gettato a terra colui che ci aveva dapprima ingannati. Offriremo a Dio come dono graditissimo la nostra fede incontaminata, la virtù della mente
intatta, e la lode luminosa della nostra devozione. Ci accompagneremo a lui quando verrà il momento di ottenere la vendetta sui nemici. Staremo al suo fianco quando si siederà per giudicare. Saremo al suo fianco quando si siederà per giudicare. Saremo fatti coeredi di Cristo e resi uguali agli angeli. Avremo la gioia di possedere il Regno celeste insieme ai patriarchi, agli apostoli, ai profeti.
Quale persecuzione può esercitare una pressione verso il male pari a quella esercitata da queste realtà verso il bene? Quali tormenti una spinta maggiore?
Un cuore pieno di queste promesse diventa saldo, un animo, certo di tale premio, non potrà essere piegato da nessun terrore del diavolo e da nessuna minaccia del mondo; l’animo, dico, corroborato dalla fede certa e solida nella vita futura.
Si abbatta pure sui cristiani la tempesta della persecuzione. Essi non temeranno, perché vedono aperto su di loro il cielo. Li minacci pure l’antiCristo, ma Cristo li protegge. Venga loro inferta la morte, ma li segue l’immortalità. Che felicità, che gioia uscire da questo mondo nella letizia, uscire gloriosamente attraverso amarezze ed angustie, chiudere in un istante gli occhi che prima vedevano gli uomini e il mondo, e riaprirli subito per vedere Dio, il Cristo! Come appare rapido questo passaggio alla felicità! In un attimo sei sottratto alla terra per essere collocato nel regno dei cieli.
Tutto questo bisogna pensarlo con la mente e col cuore e meditarlo giorno e notte. Se la persecuzione troverà un soldato di Cristo impegnato così, non potrà vincerne la fortezza protesa verso il premio. Se invece la suprema
chiamata verrà prima, non rimarrà senza premio la fede che era preparata al martirio. Il prima e il dopo non interferiscono sul premio che Dio giudice concede. Nella persecuzione viene coronato il combattimento vittorioso, nel tempo di pace la condotta esemplare. (Capp. 13; CSEL 3, 346-347)

DOMENICA 2 OTTOBRE – XXVII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

DOMENICA 2 OTTOBRE – XXVII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

MESSA DEL GIORNO LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/ordinA/A27page.htm

MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura  Fil 4,6-9
Mettete in pratica queste cose e il Dio della pace sarà con voi.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi
Fratelli, non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti.
E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù.
In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri.
Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica. E il Dio della pace sarà con voi!

http://www.bible-service.net/site/1261.html

Philippiens 4,6-9
Paul a une tendresse particulière pour les chrétiens de la ville de Philippes. Le passage de ce dimanche se situe vers la fin de la lettre. C’est parce que « le Seigneur est proche » que les Philippiens n’ont aucune raison d’être inquiets. La proximité du Royaume proclamée dans les évangiles (Matthieu 3,2) devient la proximité du Seigneur lui-même. Les chrétiens sont porteurs de la paix du Christ.
Peut-être est-ce cette allusion à la paix de Dieu qui pousse Paul à faire l’hommage de ce qu’il voit chez les païens de « vrai et noble, juste et pur, digne d’être aimé et qui mérite des éloges, de ce qui s’appelle vertu ». Veut-il suggérer à ses amis de Philippes que les païens sont eux aussi détenteurs, à leur manière, de la paix de Dieu ?

Filippesi 4,6-9
Paolo ha una particolare predilezione per i cristiani della città di Filippi. Il passaggio di questa Domenica si situa verso la fine della lettera. Questo perché « il Signore è vicino » rispetto ai Filippesi non ha motivo di essere preoccupato. La prossimità del Regno annunciato nei Vangeli (Matteo 3,2) diviene la prossimità al Signore stesso. I cristiani sono portatori della pace di Cristo. Forse è questa alla pace di Dio. Forse è questa allusione alla pace di Dio che spinge Paolo a fare l’omaggio di quello che vede ai pagani: di vero e di nobile, giusto e puro, degno di essere amato e che merita degli elogi di quello che si chiama virtù. Vuole suggerire ai suoi amici di Filippi che i pagani siano così detentori, al loro modo, della pace di Dio?

AGGIUNGO IO LA NOTA DELLA BBIBBIA CEI A 4,8-9:
Paolo raccomanda (v.8) un’ideale di condotta di cui tutti i termini erano correnti presso i moralisti greci del suo tempo (è la sola volta che usa la parola « virtù », ma inviita (v.9) a metterlo in pratica secondo gli insegnamenti e soprattutto l’esempio che egli ne ha dato (3,17; cf 2Ts 3,7+)

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla prima lettera a Timoteo di san Paolo, apostolo 1, 1-20

La missione di Timoteo.  Paolo ministro del Vangelo
Paolo, apostolo di Cristo Gesù, per comando di Dio nostro salvatore e di Cristo Gesù nostra speranza, a Timòteo, mio vero figlio nella fede: grazia, misericordia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù Signore nostro.
Partendo per la Macedonia, ti raccomandai di rimanere in Efeso, perché tu invitassi alcuni a non insegnare dottrine diverse e a non badare più a favole e a genealogie interminabili, che servono più a vane discussioni che al disegno divino manifestato nella fede. Il fine di questo richiamo è però la carità, che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera. Proprio deviando da questa linea, alcuni si sono volti a fatue verbosità, pretendendo di essere dottori della legge mentre non capiscono né quello che dicono, né alcuna di quelle cose che danno per sicure.
Certo, noi sappiamo che la legge è buona, se uno ne usa legalmente; sono convinto che la legge non è fatta per il giusto, ma per gli iniqui e i ribelli, per gli empi e i peccatori, per i sacrileghi e i profanatori, per i parricidi e i matricidi, per gli assassini, i fornicatori, i pervertiti, i trafficanti di uomini, i falsi, gli spergiuri e per ogni altra cosa che è contraria alla sana dottrina, secondo il vangelo della gloria del beato Dio che mi è stato affidato.
Rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al ministero: io che per l’innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo, lontano dalla fede; così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù.
Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità, a esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna.
Al Re dei secoli incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Questo è l’avvertimento che ti do, figlio mio Timoteo, in accordo con le profezie che sono state fatte a tuo riguardo, perché, fondato su di esse, tu combatta la buona battaglia con fede e buona coscienza, poiché alcuni che l’hanno ripudiata hanno fatto naufragio nella fede; tra essi Imeneo e Alessandro, che ho consegnato a satana perché imparino a non più bestemmiare.

Responsorio    1 Tm 1, 14. 15; Rm 3, 23
R. La grazia del Signore nostro ha sovrabbondato, insieme alla fede e alla carità. * Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori.
V. Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio.
R. Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori.

Seconda Lettura
Dalla «Regola pastorale» di san Gregorio Magno, papa
(Lib. 2, 4 PL 77, 30-31)

Il pastore sia accorto nel tacere, tempestivo nel parlare
Il pastore sia accorto nel tacere e tempestivo nel parlare, per non dire ciò ch’è doveroso tacere e non passare sotto silenzio ciò che deve essere svelato. Un discorso imprudente trascina nell’errore, così un silenzio inopportuno lascia in una condizione falsa coloro che potevano evitarla. Spesso i pastori malaccorti, per paura di perdere il favore degli uomini, non osano dire liberamente ciò ch’è giusto e, al dire di Cristo ch’è la verità, non attendono più alla custodia del gregge con amore di pastori, ma come mercenari. Fuggono all’arrivo del lupo, nascondendosi nel silenzio.
Il Signore li rimprovera per mezzo del Profeta, dicendo: «Sono tutti cani muti, incapaci di abbaiare» (Is 56, 10), e fa udire ancora il suo lamento: «Voi non siete saliti sulle brecce e non avete costruito alcun baluardo in difesa degli Israeliti, perché potessero resistere al combattimento nel giorno del Signore» (Ez 13, 5). Salire sulle brecce significa opporsi ai potenti di questo mondo con libertà di parola per la difesa del gregge. Resistere al combattimento nel giorno del Signore vuol dire far fronte, per amor di giustizia, alla guerra dei malvagi.
Cos’è infatti per un pastore la paura di dire la verità, se non un voltar le spalle al nemico con il suo silenzio? Se invece si batte per la difesa del gregge, costruisce contro i nemici un baluardo per la casa d’Israele. Per questo al popolo che ricadeva nuovamente nell’infedeltà fu detto: «I tuoi profeti hanno avuto per te visioni di cose vane e insulse, non hanno svelato le tue iniquità, per cambiare la tua sorte» (Lam 2, 14). Nella Sacra Scrittura col nome di profeti son chiamati talvolta quei maestri che, mentre fanno vedere la caducità delle cose presenti, manifestano quelle future.
La parola di Dio li rimprovera di vedere cose false, perché, per timore di riprendere le colpe, lusingano invano i colpevoli con le promesse di sicurezza, e non svelano l’iniquità dei peccatori, ai quali mai rivolgono una parola di riprensione.
Il rimprovero è una chiave. Apre infatti la coscienza a vedere la colpa, che spesso è ignorata anche da quello che l’ha commessa. Per questo Paolo dice: «Perché sia in grado di esortare con la sua sana dottrina e di confutare coloro che contraddicono» (Tt 1, 9). E anche il profeta Malachia asserisce: «Le labbra del sacerdote devono custodire la scienza e dalla sua bocca si ricerca l’istruzione, perché egli è messaggero del Signore degli eserciti» (Ml 2, 7).
Per questo il Signore ammonisce per bocca di Isaia: «Grida a squarciagola, non aver riguardo; come una tromba alza la voce» (Is 58, 1).
Chiunque accede al sacerdozio si assume l’incarico di araldo, e avanza gridando prima dell’arrivo del giudice, che lo seguirà con aspetto terribile. Ma se il sacerdote non sa compiere il ministero della predicazione, egli, araldo muto qual’è , come farà sentire la sua voce? Per questo lo Spirito Santo si posò sui primi pastori sotto forma di lingue, e rese subito capaci di annunziarlo coloro che egli aveva riempito.

DOMENICA 4 SETTEMBRE 2011 – XXIII DEL TEMPO ORDINARIO

MESSA DEL GIORNO LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/ordinA/A23page.htm

MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura  Rm 13, 8-10
Pienezza della Legge è la carità.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge.
Infatti: «Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai», e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: «Amerai il tuo prossimo come te stesso».
La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità
.

http://www.bible-service.net/site/1181.htmlMatteo 7,12

Romains 13,8-10
Le mot « dette » vient du verset précédant cette lecture. « Rendez à chacun ce qui lui est dû », en particulier dans le domaine des exigences civiques (impôts, etc.). Mais, dit Paul, l’essentiel, qui est alors une dette inextinguible, se trouve non pas dans le domaine des biens, mais dans celui des relations : c’est la charité.
Ainsi que le Christ lui-même l’avait fait, Paul rappelle ici l’enseignement devenu traditionnel sur l’amour du prochain comme accomplissement de la Loi : « Ne faites pas de mal ; tout ce que vous voulez qu’on vous fasse, faites-le vous aussi aux autres » (Matthieu 7,12), etc. De cet amour du prochain, l’amour des ennemis est un signe, un test : « L’amour ne fait rien de mal au prochain », pas même à l’ennemi (Matthieu 5,43-48). Agir ainsi c’est être vraiment fils du même Père qui aime tous les hommes. L’amour du prochain est l’accomplissement de la Loi.

Romani 13,8-10 La parola “debito„ viene dal versetto che precede questa lettura. “Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto„, in particolare nel settore delle esigenze civiche (imposte, ecc.). Ma, dice Paolo, l’essenziale, che è allora, un debito inestinguibile, si trova non nel settore dei beni, ma in quello delle relazioni: è la carità. Come aveva fatto Cristo, Paolo ricorda qui l’insegnamento diventato tradizionale sull’amore del prossimo come compimento della legge: “Fatte non un male; tutto ciò che volete che vi facciano, fatti anche agli altri„ (Matthieu 7,12)*, ecc. di quest’amore del prossimo, l’amore dei nemici è un segno, una prova: “L’amore non fa nulla di male al prossimo„, (non)  anche al nemico (Matthieu 5,43-48)*. Agire così è essere realmente figlio dello stesso padre che ama tutti gli uomini. L’amore del prossimo è il compimento della legge.
…………….
(Mt 7,12): Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti.
(Mt 5, 43-48): 43 Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; 44 ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, 45 perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. 46 Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? 47 E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? 48 Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dal «Discorso sulle beatitudini» di san Leone Magno, papa
(Disc. 95, 6-8; PL 54, 464-465)

La sapienza cristiana
Il Signore dice: «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati» (Mt 5, 6). Questa fame non ha nulla a che vedere con la fama corporale e questa sete non chiede una bevanda terrena, ma desidera di avere la sua soddisfazione nel bene della giustizia. Vuole essere introdotta nel segreto di tutti i beni occulti e brama di riempirsi dello stesso Signore.
Beata l’anima che aspira a questo cibo e arde di desiderio per questa bevanda. Non lo ambirebbe certo se non ne avesse già per nulla assaporato la dolcezza. Ha udito il Signore che diceva: «Gustate e vedete quanto è buono il Signore» (Sal 33, 9). Ha ricevuto una parcella della dolcezza celeste. Si è sentita bruciata dell’amore della castissima voluttà, tanto che, disprezzando tutte le cose temporali, si è accesa interamente del desiderio di mangiare e bere la giustizia. Ha imparato la verità di quel primo comandamento che dice: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (Dt 6, 5; cfr. Mt 22, 37; Mc 12, 30; Lc 10, 27). Infatti amare Dio non è altro che amare la giustizia. Ma come all’amore di Dio si associa la sollecitudine per il prossimo, così al desiderio della giustizia si unisce la virtù della misericordia. Perciò il Signore dice: «Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia» (Mt 5, 7).
Riconosci, o cristiano, la sublimità della tua sapienza e comprendi con quali dottrine e metodi vi arrivi e a quali ricompense sei chiamato! Colui che è misericordia vuole che tu sia misericordioso, e colui che è giustizia vuole che tu sia giusto, perché il Creatore brilli nella sua creatura e l’immagine di Dio risplenda, come riflessa nello specchio del cuore umano, modellato secondo la forma del modello. La fede di chi veramente la pratica non teme pericoli. Se così farai, i tuoi desideri si adempiranno e possiederai per sempre quei beni che ami.
E poiché tutto diverrà per te puro, grazie all’elemosina, giungerai anche a quella beatitudine che viene promessa subito dopo dal Signore con queste parole: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5, 8).
Grande, fratelli, è la felicità di colui per il quale è preparato un premio così straordinario. Che significa dunque avere il cuore puro, se non attendere al conseguimento di quelle virtù sopra accennate? Quale mente potrebbe afferrare, quale lingua potrebbe esprimere l’immensa felicità di vedere Dio?
E tuttavia a questa meta giungerà la nostra natura umana, quando sarà trasformata: vedrà, cioè, la divinità in se stessa, non più «come in uno specchio, né in maniera confusa, ma a faccia a faccia» (1 Cor 13, 12), così come nessun uomo ha mai potuto vedere. Conseguirà nella gioia ineffabile dell’eterna contemplazione «quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore d’uomo» (1 Cor 2, 9).

I giorni tra la risurrezione e l’ascensione del Signore (san Leone Magno nel quinto secolo)

 dal sito:

 http://www.dellepiane.net/patristica%20A.htm

(Disc. sull’Ascensione, 24; PL 54, 395-396)

I giorni tra la risurrezione e l’ascensione del Signore

 di san Leone Magno nel quinto secolo

Miei cari, i giorni intercorsi tra la risurrezione del Signore e la sua ascensione, non sono passati inutilmente, ma in essi sono stati confermati grandi misteri e sono state rivelate grandi verità.
Venne eliminato il timore di una morte crudele, e venne annunziata non solo l’immortalità dell’anima, ma anche quella del corpo. Durante quei giorni, in virtù del soffio divino, venne effuso su tutti gli apostoli lo Spirito Santo, e a san Pietro apostolo, dopo la consegna delle chiavi del Regno, venne affidata la cura suprema del gregge del Signore.
Perciò, o miei cari, durante tutto questo tempo trascorso tra la risurrezione del Signore e la sua ascensione, la divina Provvidenza questo ha avuto di mira, questo ha comunicato, questo ha voluto insinuare negli occhi e nei cuori dei suoi: la ferma certezza che il Signore Gesù Cristo era veramente risuscitato, come realmente era nato, realmente aveva patito ed era realmente morto.
Perciò i santi apostoli e tutti i discepoli che avevano trepidato per la tragedia della croce ed erano dubbiosi nel credere alla risurrezione, furono talmente rinfrancati dall’evidenza della verità, che, al momento in cui il Signore saliva nell’alto dei cieli, non solo non ne furono affatto rattristati, ma anzi furono ricolmi di grande gioia.
Ed avevano davvero un grande e ineffabile motivo di rallegrarsi. Essi infatti, insieme a quella folla fortunata, contemplavano la natura umana mentre saliva ad una dignità superiore a quella delle creature celesti. Essa oltrepassava le gerarchie angeliche, per essere innalzata al di sopra della sublimità degli arcangeli, senza incontrare a nessun livello per quanto alto, un limite alla sua ascesa. Infine, chiamata a prender posto presso l’eterno Padre, venne associata a lui nel trono della gloria, mentre era unita alla sua natura nella Persona del Figlio.

VENERDÌ 20 MAGGIO 2011 – IV SETTIMANA DI PASQUA

VENERDÌ 20 MAGGIO 2011 – IV SETTIMANA DI PASQUA

MESSA DEL GIORNO

Prima Lettura   At 13, 26-33
Dio ha compiuto per noi la promessa risuscitando Gesù.

Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, [Paolo, giunto ad Antiòchia di Pisìdia, diceva nella sinagoga:]
«Fratelli, figli della stirpe di Abramo, e quanti fra voi siete timorati di Dio, a noi è stata mandata la parola di questa salvezza.
Gli abitanti di Gerusalemme infatti e i loro capi non hanno riconosciuto Gesù e, condannandolo, hanno portato a compimento le voci dei Profeti che si leggono ogni sabato; pur non avendo trovato alcun motivo di condanna a morte, chiesero a Pilato che egli fosse ucciso.
Dopo aver adempiuto tutto quanto era stato scritto di lui, lo deposero dalla croce e lo misero nel sepolcro. Ma Dio lo ha risuscitato dai morti ed egli è apparso per molti giorni a quelli che erano saliti con lui dalla Galilea a Gerusalemme, e questi ora sono testimoni di lui davanti al popolo.
E noi vi annunciamo che la promessa fatta ai padri si è realizzata, perché Dio l’ha compiuta per noi, loro figli, risuscitando Gesù, come anche sta scritto nel salmo secondo: “Mio figlio sei tu, io oggi ti ho generato”».

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dalla «Lettera ai Corinzi» di san Clemente I, papa
(Capp. 36, 1-2; 37-38; Funk, 1, 145-149)
 
Molti sono i sentieri, una la via
Carissimi, la via, in cui trovare la salvezza, è Gesù Cristo, sacerdote del nostro sacrificio, difensore e sostegno della nostra debolezza.
Per mezzo di lui possiamo guardare l’altezza dei cieli, per lui noi contempliamo il volto purissimo e sublime di Dio, per lui sono stati aperti gli occhi del nostro cuore, per lui la nostra mente insensata e ottenebrata rifiorisce nella luce, per lui il Signore ha voluto che gustassimo la scienza immortale. Egli, che è l’irradiazione della gloria di Dio, è tanto superiore agli angeli, quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato (cfr. Eb 1, 3-4).
Prestiamo servizio, dunque, o fratelli, con ogni alacrità sotto i suoi comandi, santi e perfetti.
Guardiamo i soldati che militano sotto i nostri capi, con quanta disciplina, docilità e sottomissione eseguiscono gli ordini ricevuti. Non tutti sono capi supremi, o comandanti di mille, di cento, o di cinquanta soldati e così via. Ciascuno però nel suo rango compie quanto è ordinato dal re e dai capi superiori. I grandi non possono stare senza i piccoli, né i piccoli senza i grandi. Gli uni si trovano frammisti agli altri, di qui l’utilità reciproca.
Ci serva di esempio il nostro corpo. La testa senza i piedi non è niente, come pure i piedi senza la testa. Anche le membra più piccole del nostro corpo sono necessarie e utili a tutto l’organismo. Anzi tutte si accordano e si sottomettono al medesimo fine che è la salvezza di tutto il corpo.
Tutto ciò che noi siamo nella totalità del nostro corpo, rimaniamo in Gesù Cristo. Ciascuno sia sottomesso al suo prossimo, secondo il dono di grazia a lui concesso.
Il forte si prenda cura del debole, il debole rispetti il forte. Il ricco soccorra il povero, il povero lodi Dio perché gli ha concesso che vi sia chi viene in aiuto alla sua indigenza. Il sapiente mostri la sua sapienza non con le parole, ma con le opere buone. L’umile non dia testimonianza a se stesso, ma lasci che altri testimonino per lui. Chi è casto di corpo non se ne vanti, ma riconosca il merito a colui che gli concede il dono della continenza. Consideriamo dunque, o fratelli, di quale materia siamo fatti, chi siamo e con quale natura siamo entrati nel mondo. Colui che ci ha creati e plasmati fu lui a introdurci nel suo mondo, facendoci uscire da una notte funerea. Fu lui a dotarci di grandi beni ancor prima che nascessimo.
Pertanto, avendo ricevuto ogni cosa da lui, dobbiamo ringraziarlo di tutto. A lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Responsorio   Col 1, 18; 2, 12b.-9-10. 12a
R. Cristo è il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risorgono dai morti.* Con lui siete stati risuscitati per la fede nella potenza di Dio, alleluia.
V. In Cristo abita la pienezza di Dio, corporalmente, e voi avete parte alla sua pienezza, e con lui siete stati sepolti insieme nel battesimo.
R. Con lui siete stati risuscitati per la fede nella potenza di Dio, alleluia.

Orazione
O Dio, nostro Salvatore, principio della vera libertà, ascolta la voce del tuo popolo e fa’ che i redenti dal sangue del Cristo vivano sempre di te e godano in te la felicità senza fine. Per il nostro Signore.

R. Amen.
Benediciamo il Signore.
R. Rendiamo grazie a Dio. 

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