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DOMENICA 4 MARZO 2012 – II DOMENICA DI QUARESIMA

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DOMENICA 4 MARZO 2012 – II DOMENICA DI QUARESIMA

MESSA DEL GIORNO LINK:

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MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura  Rm 8,31b-34
Dio non ha risparmiato il proprio Figlio

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui?
Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi!

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dal libro dell’Esodo 13, 17 – 14, 9

Il cammino del popolo fino al Mare Rosso
Quando il faraone lasciò partire il popolo, Dio non lo condusse per la strada del paese dei Filistei, benché fosse più corta, perché Dio pensava: «Altrimenti il popolo, vedendo imminente la guerra, potrebbe pentirsi e tornare in Egitto». Dio guidò il popolo per la strada del deserto verso il Mare Rosso. Gli Israeliti, ben armati uscivano dal paese d’Egitto. Mosè prese con sé le ossa di Giuseppe, perché questi aveva fatto giurare solennemente gli Israeliti: «Dio, certo, verrà a visitarvi; voi allora vi porterete via le mie ossa». Partirono da Succot e si accamparono a Etam, sul limite del deserto. Il Signore marciava alla loro testa di giorno con una colonna di nube, per guidarli sulla via da percorrere, e di notte con una colonna di fuoco per far loro luce, così che potessero viaggiare giorno e notte. Di giorno la colonna di nube non si ritirava mai dalla vista del popolo, né la colonna di fuoco durante la notte.
Il Signore disse a Mosè: «Comanda agli Israeliti che tornino indietro e si accampino davanti a Pi-Achirot, tra Migdol e il mare, davanti a Baal-Zefon; di fronte ad esso vi accamperete presso il mare. Il faraone penserà degli Israeliti: Vanno errando per il paese; il deserto li ha bloccati! Io renderò ostinato il cuore del faraone ed egli li inseguirà; io dimostrerò la mia gloria contro il faraone e tutto il suo esercito, così gli Egiziani sapranno che io sono il Signore!».
Essi fecero in tal modo. Quando fu riferito al re d’Egitto che il popolo era fuggito, il cuore del faraone e dei suoi ministri si rivolse contro il popolo. Dissero: «Che abbiamo fatto, lasciando partire Israele, così che più non ci serva!».
Attaccò allora il cocchio e prese con sé i suoi soldati.
Prese seicento carri scelti e tutti i carri di Egitto con i combattenti sopra ciascuno di essi. Il Signore rese ostinato il cuore del faraone, re di Egitto, il quale inseguì gli Israeliti mentre gli Israeliti uscivano a mano alzata. Gli Egiziani li inseguirono e li raggiunsero, mentre essi stavano accampati presso il mare: tutti i cavalli e i carri del faraone, i suoi cavalieri e il suo esercito si trovarono presso Pi-Achirot, davanti a Baal-Zefon.

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa
(Disc. 51, 3-4. 8; PL 54, 310-311. 313)

La legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo
Il Signore manifesta la sua gloria alla presenza di molti testimoni e fa risplendere quel corpo, che gli è comune con tutti gli uomini, di tanto splendore, che la sua faccia diventa simile al fulgore del sole e le sue vesti uguagliano il candore della neve.
Questa trasfigurazione, senza dubbio, mirava soprattutto a rimuovere dall’animo dei discepoli lo scandalo della croce, perché l’umiliazione della Passione, volontariamente accettata, non scuotesse la loro fede, dal momento che era stata rivelata loro la grandezza sublime della dignità nascosta del Cristo.
Ma, secondo un disegno non meno previdente, egli dava un fondamento solido alla speranza della santa Chiesa, perché tutto il Corpo di Cristo prendesse coscienza di quale trasformazione sarebbe stato soggetto, e perché anche le membra si ripromettessero la partecipazione a quella gloria, che era brillata nel Capo.
Di questa gloria lo stesso Signore, parlando della maestà della sua seconda venuta, aveva detto: «Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro» (Mt 13, 43). La stessa cosa affermava anche l’apostolo Paolo dicendo: «Io ritengo che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi» (Rm 8, 18). In un altro passo dice ancora: «Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria» (Col 3, 3. 4).
Ma, per confermare gli apostoli nella fede e per portarli ad una conoscenza perfetta, si ebbe in quel miracolo un altro insegnamento. Infatti Mosè ed Elia, cioè la legge e i profeti, apparvero a parlare con il Signore, perché in quella presenza di cinque persone di adempisse esattamente quanto è detto: «Ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni» (Mt 18, 16).
Che cosa c’è di più stabile, di più saldo di questa parola, alla cui proclamazione si uniscono in perfetto accordo le voci dell’Antico e del Nuovo Testamento e, con la dottrina evangelica, concorrono i documenti delle antiche testimonianze?
Le pagine dell’uno e dell’altro Testamento si trovano vicendevolmente concordi, e colui che gli antichi simboli avevano promesso sotto il velo viene rivelato dallo splendore della gloria presente. Perché, come dice san Giovanni: «La Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo» (Gv 1, 17). In lui si sono compiute le promesse delle figure profetiche e ha trovato attuazione il senso dei precetti legali: la sua presenza dimostra vere le profezie e la grazia rende possibile l’osservanza dei comandamenti.
All’annunzio del Vangelo si rinvigorisca dunque la fede di voi tutti, e nessuno si vergogni della croce di Cristo, per mezzo della quale è stato redento il mondo.
Nessuno esiti a soffrire per la giustizia, nessuno dubiti di ricevere la ricompensa promessa, perché attraverso la fatica si passa al riposo e attraverso la morte si giunge alla vita. Avendo egli assunto le debolezze della nostra condizione, anche noi, se persevereremo nella confessione e nell’amore di lui, riporteremo la sua stessa vittoria e conseguiremo il premio promesso.
Quindi, sia per osservare i comandamenti, sia per sopportare le contrarietà, risuoni sempre alle nostre orecchie la voce del Padre, che dice: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo» (Mt 17, 5).

Papa Paolo VI : Nella festa della cattedra di San Pietro (22 febbraio 1967)

http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/audiences/1967/documents/hf_p-vi_aud_19670222_it.html

PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 22 febbraio 1967

Nella festa della cattedra di San Pietro

Questa udienza generale trova oggi, 22 febbraio, la Basilica di S. Pietro in festa per la celebrazione d’una sua particolare solennità: quella della «Cattedra di San Pietro». Dubiterà qualcuno che si tratti d’una festa di recente istituzione, dovuta allo sviluppo della dottrina circa il Pontificato romano, nel secolo scorso. No, si tratta di un’antichissima festa, che risale al terzo secolo (cf. Lexicon für Th. und K. 6, 66), e che si distingue dalla festa per la memoria anniversaria del martirio dell’Apostolo (29 giugno). Già nel quarto secolo la festa odierna è indicata come «Natale Petri de cathedra» (cf. Radò, Ench. Lit, II, 1375). Fino a pochi anni fa il nostro calendario registrava due feste della Cattedra di S. Pietro, una il 18 gennaio, riferita alla sede di Roma, l’altra il 22 febbraio, riferita alla sede di Antiochia; ma si è visto che questa geminazione non aveva fondamento né storico, né liturgico.
A che cosa si riferisce questo culto? Il primo pensiero corre alla Cattedra materiale, cioè alle reliquie del seggio sul quale l’Apostolo si sarebbe seduto per presiedere all’assemblea dei Fedeli, perché sempre in tutte le comunità cristiane il seggio episcopale era tenuto in grande onore. Si chiama ancor oggi cattedrale la chiesa dove il Vescovo risiede e governa. Ma la questione circa l’autenticità materiale di tali reliquie riguarda piuttosto l’archeologia, che la liturgia; sappiamo che tale questione ha una lunga storia di difficile ricostruzione, e che il grandioso e celebre monumento di bronzo, eretto per ordine di Papa Urbano VIII, ad opera del Bernini, nell’abside di questa Basilica, si chiama «l’altare della Cattedra», il quale, a prescindere dai cimeli archeologici ivi contenuti, vuole onorare principalmente il loro significato: vuole cioè riferirsi a ciò che dalla Cattedra è simboleggiato, la potestà pastorale e magistrale di colui che occupò la Cattedra stessa, considerata piuttosto nella sua origine costitutiva e nella sua tradizione ecclesiastica, che non nella sua entità materiale (cf. Cabrol, in DACL, III, 88: la festa «ricordava l’episcopato di S. Pietro a Roma, piuttosto che la venerazione d’una Cattedra materiale dell’Apostolo»). «Quello che conta e che commuove e la glorificazione di questa « Cattedra », la quale, fra tanto susseguirsi e variare di sistemi, di teorie, di ipotesi, che si contraddicono e cadono l’unta dopo l’altra, è l’unica che, invitta, faccia certa, da duemila anni, la grande famiglia dei cattolici; che anche su questa terra è dato agli uomini di conoscere talune immutabili verità supreme: le vere e sole che appaghino l’angoscioso spirito dell’uomo» (cf. Galassi Paluzzi, S. Pietro in Vat., II, 65).
Dunque: onoreremo nella Cattedra di San Pietro l’autorità che Cristo conferì all’Apostolo, e che nella Cattedra trovo il suo simbolo, il suo concetto popolare e la sua espressione ecclesiale. Come non ricordare che, fin dalla metà del terzo secolo, il grande vescovo e martire africano, San Cipriano, adopera questo termine per indicare la potestà della Chiesa Romana, in virtù della Cattedra di Pietro, donde scaturisce, egli dice, l’unità della gerarchia? (cf. Ep. 59, 16: Bayard, Correspondance, II, 184). E quanto alla festa della Cattedra basti citare una delle frasi dei tre discorsi attribuiti a S. Agostino e ad essa relativi: «L’istituzione della odierna solennità ha preso il nome di Cattedra dai nostri predecessori per il fatto che si dice avere il primo apostolo Pietro occupato la sua Cattedra episcopale. Giustamente dunque le Chiese onorano l’origine di quella sede, che per il bene delle Chiese l’Apostolo accettò» (Serm. 190, I; P.L. 39, 2100).
Noi faremo bene, Figli carissimi, a dare a questa festività la venerazione, che le è propria, ripensando alla insostituibile e provvidenziale funzione del magistero ecclesiastico, il quale ha nel magistero pontificio la sua più autorevole espressione. Si sa, pur troppo, come oggi certe correnti di pensiero, che ancora si dice cattolico, cerchino di attribuire una priorità nella formulazione normativa delle verità di fede alla comunità dei fedeli sulla funzione docente dell’Episcopato e del Pontificato romano, contrariamente agli insegnamenti scritturali e alla dottrina della Chiesa, apertamente confermata nel recente Concilio, e con grave pericolo per la genuina concezione della Chiesa stessa, per la sua interiore sicurezza e per la sua missione evangelizzatrice nel mondo.
Unico nostro maestro è Cristo, che più volte ha rivendicato a Sé questo titolo (Matth. 23, 8; Io. 13, 14); da Lui solo viene a noi la Parola rivelatrice del Padre (Matth. 11, 27); da Lui solo la verità liberatrice (lo. 8, 32), che ci apre le vie della salvezza; da Lui solo lo Spirito Paraclito (Io. 15: 26), che alimenta la fede e l’amore nella sua Chiesa. Ma è pur Lui che ha voluto istituire uno strumento trasmittente e garante dei suoi insegnamenti, investendo Pietro e gli Apostoli del mandato di trasmettere con autorità e con sicurezza il suo pensiero e la sua volontà. Onorando perciò il magistero gerarchico della Chiesa onoriamo Cristo Maestro e riconosciamo quel mirabile equilibrio di funzioni da Lui stabilito, affinché la sua Chiesa potesse perennemente godere della certezza della verità rivelata, dell’unità della medesima fede, della coscienza della sua autentica vocazione, dell’umiltà di sapersi sempre discepola del divino Maestro, della carità che la compagina in un unico mistico corpo organizzato, e la abilita alla sicura testimonianza del Vangelo.
Voglia il Signore conservare ed accrescere, per i bisogni del nostro tempo, questo culto amoroso, fiducioso e filiale al magistero ecclesiastico stabilito da Cristo; e sia a noi propizio l’Apostolo, che primo ne ebbe il mandato, e che qui ancora, dalla sua Cattedra romana, per mano Nostra, tutti vi benedica.

VENERDÌ 6 GENNAIO 2012 – EPIFANIA DEL SIGNORE

VENERDÌ 6 GENNAIO 2012 – EPIFANIA DEL SIGNORE

MESSA DEL GIORNO LINK

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MESSA DEL GIORNO

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 3,2-3a5-6
Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero.
Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa
(Disc. 3 per l’Epifania, 1-3. 5; Pl 54, 240-244)

Il Signore ha manifestato in tutto il mondo la sua salvezza
La Provvidenza misericordiosa, avendo deciso di soccorrere negli ultimi tempi il mondo che andava in rovina, stabilì che la salvezza di tutti i popoli si compisse nel Cristo.
Un tempo era stata promessa ad Abramo una innumerevole discendenza che sarebbe stata generata non secondo la carne, ma nella fecondità della fede: essa era stata paragonata alla moltitudine delle stelle perché il padre di tutte le genti si attendesse non una stirpe terrena, ma celeste.
Entri, entri dunque nella famiglia dei patriarchi la grande massa delle genti, e i figli della promessa ricevano la benedizione come stirpe di Abramo, mentre a questa rinunziano i figli del suo sangue. Tutti i popoli, rappresentati dai tre magi, adorino il Creatore dell’universo, e Dio sia conosciuto non nella Giudea soltanto, ma in tutta la terra, perché ovunque «in Israele sia grande il suo nome» (cfr. Sal 75, 2).
Figli carissimi, ammaestrati da questi misteri della grazia divina, celebriamo nella gioia dello spirito il giorno della nostra nascita e l’inizio della chiamata alla fede di tutte le genti. Ringraziamo Dio misericordioso che, come afferma l’Apostolo, «ci ha messo in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. E’ lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto» (Col 1, 12-13). L’aveva annunziato Isaia: «Il popolo dei Gentili, che sedeva nelle tenebre, vide una grande luce e su quanti abitavano nella terra tenebrosa una luce rifulse» (cfr. Is 9, 1). Di essi ancora Isaia dice al Signore: «Popoli che non ti conoscono ti invocheranno, e popoli che ti ignorano accorreranno a te» (cfr. Is 55, 5).
«Abramo vide questo giorno e gioì» (cfr. Gv 8, 56). Gioì quando conobbe che i figli della sua fede sarebbero stati benedetti nella sua discendenza, cioè nel Cristo, e quando intravide che per la sua fede sarebbe diventato padre di tutti i popoli. Diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto il Signore aveva promesso lo avrebbe attuato (Rm 4, 20-21). Questo giorno cantava nei salmi David dicendo: «Tutti i popoli che hai creato verranno e si prostreranno davanti a te, o Signore, per dare gloria al tuo nome» (Sal 85, 9); e ancora: «Il Signore ha manifestato la sua salvezza, agli occhi dei popoli ha rivelato la sua giustizia» (Sal 97, 2).
Tutto questo, lo sappiamo, si è realizzato quando i tre magi, chiamati dai loro lontani paesi, furono condotti da una stella a conoscere e adorare il Re del cielo e della terra. Questa stella ci esorta particolarmente a imitare il servizio che essa prestò, nel senso che dobbiamo seguire, con tutte le nostre forze, la grazia che invita tutti al Cristo. In questo impegno, miei cari, dovete tutti aiutarvi l’un l’altro. Risplendete così come figli della luce nel regno di Dio, dove conducono la retta fede e le buone opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo che con Dio Padre e con lo Spirito Santo vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen.

31 DICEMBRE : SAN SILVESTRO PAPA (Guéranger)

http://www.unavoce-ve.it/pg-31dic.htm

L’anno liturgico

di dom Prosper Guéranger

31 DICEMBRE

SAN SILVESTRO, PAPA

Fin qui, abbiamo contemplato i Martiri presso la culla dell’Emmanuele. Stefano, che è caduto sotto le pietre del torrente; Giovanni, martire di desiderio, che è passato attraverso il fuoco; gli Innocenti immolati con la spada; Tommaso, ucciso sul pavimento della sua cattedrale: questi sono i campioni che fanno la guardia presso il neonato Re. Tuttavia, per quanto numerosa sia la schiera dei martiri, non tutti i fedeli di Cristo sono chiamati a far parte di questo battaglione scelto; il corpo dell’armata celeste si compone anche dei Confessori che hanno vinto il mondo, ma con una vittoria incruenta. Se il posto d’onore non è per essi, non debbono tuttavia esser privati del favore di servire il loro Re. Nelle loro mani, è vero, non c’è la palma; ma la corona di giustizia cinge le loro fronti. Colui che li ha incoronati, si gloria anche di vederli ai suoi fianchi.
Era dunque giusto che la santa Chiesa, per riunire in questa meravigliosa ottava tutte le glorie del cielo e della terra, iscrivesse in questi giorni nel suo Ciclo il nome di un santo Confessore che rappresentasse tutti gli altri. Questo Confessore è Silvestro, sposo della santa Chiesa Romana, e mediante essa della Chiesa universale, un Pontefice dal regno lungo e pacifico di circa 22 anni, un servo di Cristo adorno di tutte le virtù e dato al mondo all’indomani di quelle furiose battaglie che erano durate tre secoli e nelle quali avevano trionfato, con il Martirio, migliaia di cristiani, sotto la guida di numerosi Papi martiri predecessori di Silvestro.
Silvestro annuncia anche la Pace che Cristo è venuto a portare al mondo e che gli Angeli hanno cantata a Betlemme. Egli è l’amico di Costantino, conferma il Concilio di Nicea che ha condannato l’eresia ariana, organizza la disciplina ecclesiastica per l’era della Pace. I suoi predecessori hanno rappresentato Cristo sofferente: egli raffigura Cristo nel suo trionfo. È completo, in questa Ottava, il carattere del divino Bambino che viene nell’umiltà delle fasce, esposto alla persecuzione di Erode, e tuttavia Principe della pace e Padre del secolo futuro.
O Sommo Pontefice della Chiesa di Gesù Cristo, tu sei dunque stato scelto fra i tuoi fratelli per decorare con i tuoi gloriosi meriti la santa Ottava della Nascita dell’Emmanuele. E vi rappresenti degnamente il coro immenso dei Confessori, tu che hai retto, con tanta forza e tanta fedeltà, il timone della Chiesa dopo la tempesta. Il diadema pontificio orna la tua fronte; e lo splendore del cielo si riflette sulle pietre preziose di cui esso è ornato. Le chiavi del Regno dei Cieli sono fra le tue mani: tu lo apri per farvi entrare i residui della gentilità che passano alla fede di Cristo e lo chiudi agli Ariani, nell’augusto Condito di Nicea, al quale presiedi per mezzo dei tuoi Legati, e al quale conferisci autorità, confermandolo con il tuo suffragio apostolico. Presto furiose tempeste si scateneranno nuovamente contro la Chiesa; i marosi dell’eresie verranno a percuotere la barca di Pietro; tu ti troverai già in seno a Dio; ma veglierai, con Pietro, sulla purezza della Fede e, per le tue preghiere, la Chiesa Romana sarà il porto in cu Atanasio troverà finalmente qualche ora di pace.
Sotto il tuo pacifico regno, Roma cristiana riceve il premio del suo lungo martirio. Viene riconosciuta come Regina dell’umanità cristiana, e il suo impero come l’unico impero universale. Costantino si allontana dalla città di Romolo che è ormai la città di Pietro: la seconda maestà non vuoi essere eclissata dalla prima; e, fondata Bisanzio, Roma resta nelle mani del suo Pontefice. I templi dei falsi dei crollano, e fanno posto alle basiliche cristiane che ricevono le trionfali spoglie dei santi Apostoli e dei Martiri.
Onorato di doni così meravigliosi, o Vicario di Cristo, ricordati di quel popolo cristiano che è stato il tuo popolo. In questi giorni, esso ti chiede di iniziarlo al divino mistero del Cristo Bambino. Attraverso il sublime simbolo che contiene la fede di Nicea e che tu hai confermato e promulgato in tutta la Chiesa, tu ci insegni a riconoscere Dio da Dio, Luce da Luce, generato e non fatto, consustanziale al Padre. Ci inviti ad adorare questo Bambino come Colui per il quale sono state fatte tutte le cose. Confessore di Cristo, degnati di presentarci a lui, come si son degnati di fare i Martiri che ti hanno preceduto. Chiedigli di benedire i nostri desideri di virtù, di conservarci nel suo amore, di darci la vittoria sul mondo e sulle nostre passioni, di custodirci quella corona di giustizia alla quale osiamo aspirare, quale premio della nostra Confessione.
Pontefice della Pace, dalla tranquilla dimora in cui riposi, guarda la Chiesa di Dio agitata dalle più paurose tempeste, e scongiura Gesù, il Principe della Pace, di por fine a così crudeli agitazioni. Volgi il tuo sguardo su quella Roma che tanto ami e che custodisce caramente la tua memoria; proteggi e dirigi il suo Pontefice. Che essa trionfi sull’astuzia dei politici, sulla violenza dei tiranni, sulle insidie degli eretici, sulla perfidia degli scismatici, sull’indifferenza dei mondani, sulla rilassatezza dei cristiani. Ch’essa sia onorata, amata e obbedita. Che si ristabilisca la maestà del sacerdozio, si rivendichi la potenza dello spirito, la forza e la carità si diano la mano, il regno di Dio cominci infine sulla terra e non vi sia più che un solo ovile e un solo Pastore.
Vigila, o Silvestro, sul sacro deposito della fede che tu hai custodito così integralmente; che la sua luce trionfi su tutti quei falsi e audaci sistemi che sorgono da ogni parte, come i segni dell’uomo nel suo orgoglio. Che ogni intelletto creato si sottometta al giogo dei misteri, senza i quali la sapienza umana non è che tenebre; e Gesù, Figlio di Dio, Figlio di Maria, regni infine, per mezzo della sua Chiesa, sulle menti e sui cuori.
Prega per Bisanzio, chiamata un tempo la nuova Roma e divenuta così presto la capitale delle eresie, il triste teatro della degradazione del Cristianesimo. Fa’ che i tempi della sua umiliazione siano abbreviati. Che essa riveda i giorni dell’unità; si decida a onorare il Cristo nel suo Vicario e obbedisca per essere salva. Che le genti traviate e perdute per il suo influsso, riacquistino quella dignità umana che solo la purezza della fede conserva e che essa sola può rigenerare.
E infine, o vincitore di Satana, trattieni il Drago infernale nella sua prigione dove l’hai rinchiuso; spezza il suo orgoglio, sventa i suoi piani; vigila acciocché non seduca più i popoli, ma tutti i figli della Chiesa, secondo le parole di Pietro tuo predecessore, gli resistano con la forza della loro fede (1Pt 5,9).
* * *
Consideriamo, in questo settimo giorno dell’Ottava di Natale, il Salvatore che ci è nato, avvolto nelle fasce dell’infanzia. Le fasce sono la divisa della nostra debolezza; il bambino che esse coprono non è ancora un uomo, non ha ancora un vestito suo. Aspetta che lo si svolga; i suoi movimenti diventano liberi solo con l’aiuto degli altri. Così è apparso sulla terra, prigioniero nella nostra infermità, Colui che da la vita e il movimento ad ogni creatura.
Contempliamo Maria, mentre avvolge con tenero rispetto le membra del Dio suo Figlio in quelle fasce, e adora l’umiliazione che egli è venuto a cercare in questo mondo, per santificare tutte le età degli uomini senza dimenticare la più debole e più bisognosa di assistenza. La piaga del nostro orgoglio era tale che occorreva questo estremo rimedio. Come potremo ora noi rifiutare di essere bambini, quando Colui che ce ne impone il precetto si degna di aggiungere alle sue parole un esempio così affascinante? Noi ti adoriamo, o Gesù, nelle fasce della debolezza, e vogliamo diventare in tutto simili a te.
« Non scandalizzatevi dunque, o Fratelli – dice il pio abate Guerrico – di quella umile divisa, e non si turbi l’occhio della vostra fede. Come Maria avvolge il Figlio in quei miseri panni, così la Grazia, madre vostra, copre d’ombre e di simboli la verità e la segreta maestà di quel Verbo divino. Quando vi annuncio con le mie parole quella Verità che è Cristo, che altro faccio se non avvolgere Cristo stesso in umili fasce? Beato nondimeno colui ai cui occhi Cristo non appare misero sotto tali panni! La vostra pietà contempli dunque Cristo nelle fasce di cui lo ricopre la Madre sua, onde meritar di vedere, nella beatitudine eterna, la gloria e lo splendore di cui il Padre lo ha rivestito come suo Figlio unigenito ».
* * *
L’anno civile termina oggi il suo corso. A mezzanotte, un nuovo anno spunta sul mondo e quello che l’ha preceduto scompare per sempre nell’abisso dell’eternità. La nostra vita fa un passo, e la fine di ogni cosa si avvicina sempre più (1Pt 4,7). La Liturgia, che inizia l’anno ecclesiastico con la prima Domenica di Avvento, non ha preghiere speciali nella Chiesa Romana per accompagnare quel rinnovarsi dell’anno con il primo gennaio; ma il suo spirito che risponde a tutte le situazioni dell’uomo e della società, ci avverte di non lasciar passare quel momento solenne senza offrire a Dio il tributo del nostro ringraziamento per i benefici che ci ha fatti nel corso dell’anno che è appena terminato.

da: dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico. – I. Avvento – Natale – Quaresima – Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 160-163

19 dicembre: Sant’ Anastasio I Papa

http://www.santiebeati.it/dettaglio/82250

Sant’ Anastasio I Papa

19 dicembre

m. 19 dicembre 401

(Papa dal 27/11/399 al 19/12/401)

Il «Liber Pontificalis» lo dice romano di origine. Edificò a Roma la basilica Crescenziana, individuata, oggi, in San Sisto Vecchio. Combatté con energia il donatismo nelle provincie settentrionali dell’Africa, ratificando le decisioni del Concilio di Toledo del 400. Questo Pontefice è conosciuto specialmente per la controversia origenista. Nel 399 gli amici di san Gerolamo si adoperarono per ottenere da lui una formale condanna dell’origenismo. Sollecitato anche da lettere e da ambasciatori di Teofilo, vescovo di Alessandria, per la partecipazione dell’Occidente a questa lotta, condannò le proposizioni presentategli. Fu in ottimi rapporti con Paolino, poi vescovo di Nola. Della copiosa corrispondenza, che Anastasio dal Laterano indirizzò a personalità di vari paesi, sono rimaste poche lettere. Dopo un pontificato breve (399-401) e molto attivo, Anastasio morì il 19 dicembre 401. (Avvenire)

Etimologia: Anastasio = risorto, dal greco
Martirologio Romano: A Roma nel cimitero di Ponziano sulla via Portuense, deposizione di sant’Anastasio I, papa, uomo ricco di povertà e di apostolica sollecitudine, che si oppose fermamente alle dottrine ereticali.

Il Liber Pontificalis lo dice romano di origine; suo padre si chiamava Massimo. Edificò in Roma la basilica Crescenziana, ricordata anche nel sinodo del 499 e individuata, oggi, in S. Sisto Vecchio. Combatté con energia il donatismo nelle provincie settentrionali dell’Africa: ratificò le decisioni del Concilio di Toledo del 400, nel quale alcuni vescovi galiziani che avevano sconfessato Priscilliano, furono conservati nel loro ufficio, purché la reintegrazione fosse stata approvata da Anastasio. Il Liber Pontificalis ci informa come egli scoprisse a Roma un certo numero di manichei. Viveva in lui lo spirito dei difensori della Chiesa contro l’arianesimo; i diritti del patriarcato occidentale nell’Illirico trovarono in lui un coraggioso difensore.
Anastasio è conosciuto specialmente per la controversia origenista e per la severità dimostrata verso Rufino. Nel 399 gli amici di s. Gerolamo si adoperarono per ottenere da lui una formale condanna dell’origenismo. Sollecitato anche da lettere e da ambasciatori di Teofilo, vescovo di Alessandria, per la partecipazione dell’Occidente a questa lotta, condannò le «proposizioni blasfematorie presentategli». Rufino, profondamente irritato da questa campagna, gli fece presentare una sua Apologia, «per cancellare ogni traccia di sospetto e per rimettere al papa la dichiarazione di fede». Questa Apologia non produsse, però, su Anastasio alcun effetto ed egli evitò di dirimere la questione delle vere intenzioni di Rufino come traduttore del Periarchon. Sull’origenismo scrisse parecchie lettere, di cui una indirizzata a Venerio di Milano.
Fu in ottimi rapporti con s. Paolino, poi vescovo di Nola, anzi si credette obbligato a riparare i dispiaceri recatigli dal suo predecessore. Dopo avere, infatti, scritto ai vescovi della Campania, facendo loro i suoi elogi, lo invitò direttamente a Roma per prender parte alla festa anniversaria della sua consacrazione, festa cui i papi solevano invitare solamente i vescovi. L’eccezione costituiva per Paolino un favore specialissimo e anche una riparazione. Quantunque egli non potesse in questa occasione andarvi, i] papa accettò la sua lettera di scusa . Della copiosa corrispondenza, che Anastasio dal Laterano indirizzò a personalità di vari paesi, sono rimaste poche lettere.
Dopo un pontificato breve (399-401 ) e molto attivo, Anastasio morì il 19 dicembre 401, come ha dimostrato il Duchesne nel suo commento al Liber Pontif icalis. Fu sepolto sulla Via Portuense in un monumento sepolcrale posto fra le basiliche di S. Candida e dei SS. Abdon e Sennen. S. Gerolamo, che aveva avuto parole di alto elogio per Anastasio, giunse a scrivere che se egli morì così presto, fu per un riguardo della Provvidenza, la quale non volle che un simile vescovo fosse testimone della caduta di Roma (avvenuta nel 410 per opera di Alarico). Tale elogio è entrato nel Martirologio Romano.
Il culto reso al pontefice e ai suoi predecessori, ad eccezione di Zosimo, fiorì in breve tempo: il suo nome figura già nel Martirologio Geronimiano datato alla metà del sec. V. La sua festa ricorre il 27 apr., giorno errato tratto dal Liber Pontificalis, che qui richiede una revisione.

Autore: Filippo Caraffa

Clemente Romano, Lettera ai Corinzi, XIII, 1; XLIX,1 – L, 1.

dal sito:

http://www.vatican.va/spirit/documents/spirit_20010627_clemente_it.html

Clemente Romano, Lettera ai Corinzi, XIII, 1; XLIX,1 – L, 1.  
 
L’ umiltà
XIII, 1. « Coltiviamo, dunque, fratelli, sentimenti di umiltà mettendo da parte (Gc 1,21) ogni sorte di baldanza, boria, stoltezza ed ira e facciamo ciò che è scritto nella Bibbia. Dice infatti lo Spirito Santo: «Il saggio non si glori della sua saggezza, né il forte della sua forza, né il ricco della sua ricchezza, ma chi si gloria, si glori nel Signore, di ricercarlo e di praticare il diritto e la giustizia» (Cf. Ger. 9,23-24; 1Sam 2, 10; 1Cor. 1, 31; 2Cor. 10,17). Ricordiamo soprattutto le parole che il Signore Gesù disse quando insegnava la mitezza e la magnanimità. 2. Così infatti disse: «Siate misericordiosi per ottenere misericordia; perdonate per essere perdonati; come farete, così sarà fatto a voi; come date, così sarà dato a voi; come giudicate, così sarete giudicati; come praticate la benevolenza, così sarà praticata a voi; la misura con la quale misurate, con la stessa sarà misurato a voi» (Cf. Mt. 6,14-15; 7,1-2,12; Lc. 6,31,36-38). 3. Rafforziamoci in questo comandamento e in questi precetti, per procedere umili ed ubbidienti alle sue sante parole. Dice infatti la sua santa parola: 4. «A chi volgerò il mio sguardo, se non al mite, al pacifico e a chi teme le mie parole?» (Is. 66,2). »

La carità
XLIX, 1, « Chi ha la carità in Cristo pratichi i suoi comandamenti. 2. Chi può descrivere il vincolo della carità (Cf. Col. 3,14) di Dio? 3. Chi è capace di esprimere la maestà della sua bellezza? 4. L’altezza, cui conduce la carità, è ineffabile. 5. La carità ci unisce saldamente a Dio: «La carità copre una moltitudine di peccati» (Cf. 1Pt. 4,8; Giac. 5,20). La carità tutto soffre, tutto sopporta. Nulla di banale, nulla di superbo nella carità. La carità non separa, la carità non fomenta ribellioni, la carità compie tutto nell’armonia. Nella carità arrivarono alla perfezione tutti gli eletti di Dio. Senza la carità nulla è gradito a Dio. 6. Nella carità il Signore ci ha accolto. Per la carità, che ebbe verso di noi, Gesù Cristo nostro Signore, secondo la volontà di Dio, ha dato per noi il suo sangue, la sua carne per la nostra carne, la sua anima per la nostra anima.
L, 1. Vedete, carissimi, che cosa grande e meravigliosa è la carità, e la sua perfezione supera ogni commento. 2. Chi merita di trovarsi in essa, se non colui che Dio ha reso degno? Preghiamo dunque e chiediamo alla sua misericordia di essere trovati nella carità, senza umane preferenze, irreprensibili. 3. Sono passate tutte le generazioni da Adamo sino ad oggi, ma quelli che con la grazia di Dio sono perfetti nella carità, raggiungono la schiera di coloro che saranno manifestati all’avvento del regno di Cristo. 4. Infatti è scritto: «Entrate nelle vostre stanze per pochissimo tempo, finché passi la mia ira e il mio sdegno; mi ricorderò del giorno buono e vi farò uscire dai vostri sepolcri». 5. Siamo beati, o carissimi, se continuiamo a osservare i comandamenti di Dio nella concordia della carità, affinché per la carità ci siano rimessi i peccati. 6. E’ scritto: «Beati coloro, le cui iniquità sono state rimesse e i cui peccati sono stati coperti; beato l’uomo, del cui peccato il Signore non tiene conto e nella cui bocca non c’è 1′inganno» (Cf. Sal. 32(31),1-2; Rom. 4,7-8). 7. Questa beatitudine (Rm 4,9) è per coloro che Dio ha eletto per mezzo dì Gesù Cristo nostro Signore. A lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen! »

Preghiera

Ti preghiamo, o Signore,
d’essere nostro soccorso e nostro sostegno.
Salva quelli tra noi che sono nella tribolazione,
rialza i caduti,
mostrati ai bisognosi,
guarisci gli infermi,
riconduci i traviati del tuo popolo,
sazia gli affamati,
libera i nostri prigionieri,
solleva i deboli,
consola i pusillanimi;
conoscano tutte le genti che tu sei l’unico Dio
e che Gesù Cristo è il tuo servo,
e noi tuo popolo e pecore del tuo pascolo.

Non contare ogni peccato dei tuoi servi e delle tue serve,
ma purificaci nella purificazione della verità
e dirigi i nostri passi
per camminare nella santità del cuore
e fare ciò che è buono e gradito al tuo cospetto
e al cospetto dei nostri capi.

Sì, o Signore, fa’ splendere il tuo volto su di noi
per godere il bene nella pace,
per proteggerci con la tua mano potente
e scamparci da ogni peccato con il tuo braccio eccelso,
e salvarci da coloro che ci odiano ingiustamente.

Tu solo puoi compiere questi beni
e altri più grandi per noi,
a Te noi diamo lode per mezzo del gran sacerdote
e patrono delle anime nostre, Gesù Cristo,
per il quale a Te sia la gloria e la magnificenza
e ora e di generazione in generazione e nei secoli dei secoli.

Amen.

Clemens I, Papa, sec. I.

 a cura della Pontificia Facoltà Teologica «Marianum»
Roma                        

23 novembre : San Clemente Romano papa (mf)

dal sito:

http://www.enrosadira.it/santi/c/clementeromano.htm

23 novembre : San Clemente Romano papa (mf)
 
Clemente, romano, era un discepolo di San Paolo e suo collaboratore a Filippi. Fu nominato vescovo da San Pietro. La tradizione lo presenta figlio del senatore Faustino della gens Flavia, parente quindi dell’imperatore Domiziano. Quest’ imperatore nel 95 scatenò una violenta persecuzione contro i cristiani. La persecuzione stessa fece molte vittime illustri come ad esempio il console Flavio Clemente, marito di Domitilla, nipote di Domiziano. Altra vittima di rilievo fu San Giovanni Evangelista che però uscì indenne dal martirio dell’olio bollente. Fu quindi esiliato nell’isola di Patmos dove scrisse la sua Apocalisse. Clemente fu Papa dall’88 al 97. Nel 96 scoppiò un conflitto nella chiesa di Corinto: un gruppo di giovani ecclesiasti contestò a diversi presbiteri la direzione della comunità di quella città. Clemente con una lettera li richiamò alla necessità di obbedire alle autorità tradizionali della chiesa, esortandoli a fuggire i falsi dottori. La lettera fu accolta con grande rispetto e diventò oggetto di meditazione nella celebrazione della messa domenicale (la famosa Lettera ai Corinti). E’ il primo testo che afferma la superiorità del vescovo di Roma su tutte le chiese sparse per il mondo. Sotto il pontificato di Clemente I il cristianesimo fece nuovi proseliti e si sviluppò sempre più in Oriente; a Roma Clemente stesso operò con impegno il suo apostolato. Nel 97 l’imperatore Nerva esiliò il Papa di cui parliamo nel Chersoneso. Nel Ponto Eusino egli svolse opera di apostolato, a Roma lo sostituì il pontefice Evaristo. Nella terra d’esilio Clemente I s’incontrò con circa 2000 cristiani condannati ai lavori forzati nelle cave di marmo e li incoraggiò ad aver fede; compì nuove conversioni e la notizia irritò il nuovo imperatore Traiano. Gli venne ordinato di sacrificare agli dei e Clemente ovviamente rifiutò. Venne eseguita la condanna; fu gettato nel mar Nero con un’ancora al collo. Questo avvenne nell’anno 100. Il Papa è autore di diversi miracoli. Ad esempio la leggenda narra che le acque del mare si aprissero una volta all’anno permettendo ai fedeli, una prima volta, di costruire una cappella intorno alle sue reliquie, e negli anni seguenti di scendere in processione, facendo ben attenzione ad uscire prima che le acque si richiudessero. Un anno una madre smarrì il suo unico figlioletto e l’anno dopo tornata in processione lo ritrovò sano e salvo. Nel 869 il corpo di San Clemente fu portato a Roma da San Cirillo e San Metodio e definitivamente tumulato nella sua basilica. A Collelungo (frazione di Casaprota) c’è una chiesa dedicata a San Clemente (patrono del paese), eretta secondo la tradizione sui resti della villa di Faustino, suo genitore. La chiesa oggi si trova all’interno del cimitero di Collelungo, a pochi km dal centro abitato, sopra una collina limitrofa. Nella chiesa dedicata al pontefice c’è un grande affresco che raffigura il Santo datato MDCXIII. All’interno della chiesa parrocchiale di Collelungo c’è invece un altare dedicato a San Clemente. L’altare stesso ha un busto del pontefice ed una tela antica che raffigura il Santo in ginocchio di fronte all’Eterno e ai suoi piedi si vede il castrum di Collelungo. All’interno della chiesa parrocchiale c’è anche una statua del Santo, un affresco del pontefice ed una pittura che raffigura il busto sempre di San Clemente.

[ Testo di Andrea Del Vescovo ]

Clemente di Roma ebbe molta autorità nell’antichità cristiana. Dei suoi scritti è però giunta sino a noi la sola Lettera ai Corinti. L’autore di questa lettera viene identificato sia da Origene, che da Eusebio e Girolamo, con il « collaboratore » di San Paolo, nominato nell’epistola ai Filippesi [4, 3]. Secondo Ireneo, Clemente sarebbe stato il terzo successore di Pietro sulla cattedra di Roma, nell’ordine dopo Pietro: Lino, Cleto e Clemente, ma Tertulliano afferma che Clemente fu ordinato dallo stesso Pietro. Epifanio spiega la contradizione affermando che Clemente fu sì consacrato da Pietro, ma per amore della pace venne scelto come primo successore di Pietro, Lino. La cosiddetta prima lettera di Clemente venne già utilizzata e citata nella lettera di San Policarpo, e fu evidentemente composta negli ultimi anni dell’impero di Domiziano o poco dopo. Il motivo della composizione di questa lettera ai Corinti, furono i disordini scoppiati nella comunità cristiana della città greca, dove alcuni giovani membri si erano ribellati ai presbiteri e li avevano destituiti.
Clemente I papa, romano, (88-97), santo, sue reliquie, unitamente a quelle di S. Ignazio, sono nell’urna posta sotto l’altare maggiore della chiesa a lui intitolata. Il corpo vi fu riposto, nel corso di una solenne cerimonia celebrata dal pontefice, nel giugno del 1727. I suoi resti, trovati in Crimea nel 862 da S. Cirillo furono, cinque anni dopo, qua sepolti dallo stesso santo. Fino al secolo scorso si esponeva un suo braccio nella sagrestia.
M.R.: 23 Novembre – Il natale di San Clemente primo, Papa e martire, il quale fu il terzo che tenne il Pontificato dopo il beato Pietro Apostolo, e, nella persecuzione di Traiano, relegato nel Chersoneo, ivi, precipitato in mare con un’ancora legata al collo, fu coronato col martirio. Il suo corpo, al tempo del Sommo Pontefice Adriano secondo, fu trasportato a Roma dai santi fratelli Cirillo e Metodio, ed onorevolmente sepolto nella chiesa, che già prima era stata edificata sotto il suo nome.

[Tratto dall'opera «Reliquie Insigni e "Corpi Santi" a Roma» di Giovanni Sicari ]

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