dal sito:
http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/homilies/1968/documents/hf_p-vi_hom_19680428_it.html
CELEBRAZIONE DELLA DOMENICA DEL «BUON PASTORE»
OMELIA DI PAOLO VI
28 aprile 1968
RIPENSARE LA PERSONA LA FIGURA DI CRISTO
Sua Santità, dopo aver annunciato che, al termine del Divin Sacrificio, Egli saluterà i vari pellegrinaggi, intende adesso proporre una speciale riflessione.
Lasciamo – Egli dice – che la nostra anima si raccolga sulle parole del Vangelo ora ascoltate, e che tutto il nostro spirito si apra per coglierne un aspetto, che possa essere per noi di spirituale nutrimento durante la celebrazione dei santi Misteri.
Il Vangelo della seconda domenica dopo la Pasqua ci ripropone il celebre brano del Buon Pastore. Esso sembra quasi rispondere, nella scelta fattane per l’odierna liturgia, a una necessità psicologica, come quella – per usare un paragone ovvio – di chi ha perduto la presenza fisica di persona cara.
Quando uno dei nostri con la morte ci lascia, che cosa si fa? Lo si rievoca intensamente. Il Vangelo odierno induce a un ripensamento della Persona, della figura, della missione di Cristo. Guardiamo quanto è avvenuto. Gesù ha concluso la sua vita temporale con la Croce e ne ha inaugurata un’altra con la Risurrezione; e noi, che siamo rimasti estasiati da questo avvenimento, che tanto ci consola eppur tanto ci supera, della vittoria sulla morte, e ci ritroviamo, però, quasi abbandonati e nella solitudine, torniamo col pensiero a Chi ci è presentato dal Vangelo nelle sue forme umane e sensibili; e ci chiediamo: com’era? quale il suo volto? e il suo aspetto?
E qui è necessario subito evitare uno scoglio assai in voga ai giorni nostri: quello definito «mitizzazione»: un rifacimento, cioè, artificioso e fantastico della figura di Cristo.
«MITE ED UMILE DI CUORE»
Noi abbiamo ottime ragioni per non commettere questo errore. Anzitutto perché il ricordo di Lui nell’odierno tratto evangelico è realistico, umile, spoglio di qualsiasi amplificazione, ed ha, intero, il sigillo della fedele realtà. Inoltre, perché rimaniamo coerenti e fedeli alla parola stessa di Gesù. È Lui a indicare e definire la sua missione: il Buon Pastore. Due volte si è chiamato così; e noi ci atteniamo esattamente a questa definizione che Egli si compiacque dare di Sé e ci consegnò, quasi dichiarando: pensatemi così: Io sono il Buon Pastore. Ha voluto perciò consegnare alla nostra anima, alla nostra memoria, al nostro raziocinio, questa sua definizione. E con tale evidenza che la prima e più antica iconografia cristiana, come si sa, ci presenta proprio l’immagine agreste, semplice, paesana del pastore che porta sulle spalle una delle sue pecorelle.
Il Buon Pastore è Gesù. Adesso si tratta di capire, giacché non basta guardare l’immagine della persona scomparsa, non è sufficiente una rievocazione sensibile, ma occorre comprendere, penetrare quel ch’è rivelato da tali sembianze. Era così Gesù? È proprio Lui che ha voluto essere in tal modo, da Buon Pastore, ricordato e celebrato? Di ciò, infatti, si tratta, e dei caratteri salienti che così delineano Gesù. Ebbene, il Vangelo ce ne informa con parole assolutamente semplici; e, come sempre, con insegnamenti profondi, abissali, che quasi danno le vertigini e fiaccano il nostro potere di comprensione. Nondimeno, siamo invitati dallo ste.sso Signore – e la liturgia della Chiesa ripete il richiamo – a pensarlo così: una figura estremamente amabile, dolce, vicina; e noi possiamo attribuire soltanto al Signore l’esprimersi con bontà infinita.
Ecco, poi, riaffiorare nella nostra memoria altre parole che Gesù ha detto di Sé: Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore. La sua bontà, anche qui, si definisce con eloquio, con virtù che prodigiosamente fanno discendere sino a ognuno di noi il Salvatore del mondo, il Figlio di Dio fatto Uomo, Gesù, centro dell’umanità.
Presentandosi in tale aspetto, Egli ripete l’invito del Pastore; disegna, cioè, un rapporto che sa di tenerezza e di prodigio. Conosce le sue pecorelle, e le chiama per nome. Poiché noi siamo del gregge suo, è agevole la possibilità di corrispondenza, che antecede il nostro stesso ricorso a Lui. Siamo chiamati uno ad uno. Egli ci conosce e ci nomina, si avvicina a ciascuno di noi e desidera farci pervenire ad una relazione affettuosa, filiale con Lui. La bontà del Signore si palesa qui in maniera sublime, ineffabile. La devozione che la fede, la pietà cristiana tributerà al Salvatore, arriverà con slancio – non solo momentaneo, ma capace di sondare le meraviglie di tanta dilézione – a penetrare nel cuore: e la Chiesa ci presenterà il Cuore di Cristo perché abbiamo a conoscerlo, adorarlo, invocarlo. La devozione al Sacro Cuore di Gesù ben può attribuirsi alla sorgente evangelica oggi rievocata: «Io sono il Buon Pastore».
IL BUON PASTORE DÀ LA VITA PER IL SUO GREGGE
V’è, poi, un tratto che corregge una delle più comuni ed inesatte interpretazioni della bontà. Noi siamo abituati ad associare il concetto di bontà a quello di debolezza, di non resistenza; a ritenerla incapace di atti forti ed eroici, di manifestazioni in cui trionfino la maestà e la fortezza.
Nella figura di Gesù, semplice e complessa insieme, le qualità, le doti che si direbbero opposte, trovano, invece, una sintesi meravigliosa. Gesù è dolce e forte; semplice e grandioso; umile e a tutti accessibile; una sommità inattingibile di fortezza d’animo, che nessuno potrà giammai eguagliare. Nondimeno, Egli stesso ci introduce in questa sua psicologia, nella penetrazione, diremmo, del suo temperamento, della sua mirabile realtà.
Il Buon Pastore dà la vita per le sue pecorelle, per il suo gregge. È come dire: l’immagine della bontà si congiunge a quella d’un eroismo che si dona, si sacrifica, s’immola, per cui tale bontà si congiunge ad altezze e visioni dell’atto redentore, talmente elevate da lasciarci sorpresi e attoniti.
Dobbiamo avvicinarci a Gesù, così presentato dal Vangelo, e dobbiamo chiederci se davvero noi cristiani portiamo bene questo nome, se cioè abbiamo un esatto concetto del nostro Divin Salvatore. Certo: molte Vite sono state scritte di Lui; un diffuso catechismo lo concerne e lo presenta; e tante pagine del Vangelo ci sono familiari. Ma una sintesi, come dire?, fotografica, completa, di Lui, la possediamo? Abbiamo un giusto concetto di quel che Egli è stato? Orbene, la cara immagine evangelica e quasi arcadica, offertaci dallo stesso Divino Maestro, lascia riposare, in un incanto di amore, il nostro spirito, e lo dirige e l’aiuta nella ricerca di Dio.
TUTTI EGLI CI CONOSCE E CI CHIAMA
Che fa Gesù per attirarci e conquiderci in modo tanto sicuro? Egli ci conosce. Si pensi, quindi, quale prodigio ciò rappresenti. Siamo noti, chiamati uno ad uno, per nome, da Cristo: e in una forma completa, totale, cioè nel nostro essere, nella nostra persona, nei doni da Lui prodigatici, nei nostri desideri, nei nostri destini. Sono inseriti in questo Libro, che contiene le pagine della infinita bontà. Tutti siamo iscritti nell’elenco dei suoi: ciascuno può trovare se stesso nel Cuore di Cristo. Quale stupenda bellezza quella di rispecchiarsi in Gesù e di indovinare come Egli ci conosce! San Paolo lascia vedere tale stupenda realtà come una delle cose future: «Nunc cognosco ex parte; tunc autem cognoscam sicut et cognitus sum» (1 Cor. 13, 12). Ora conosco in parte; allora poi conoscerò in quel modo stesso ond’io pure sono stato conosciuto. Ma già fin d’ora qualche cosa possiamo percepire, e così diventiamo un po’ diversi dalla ordinaria statura di uomini orgogliosi, o indifferenti o anche talvolta cattivi. Davanti a Gesù, che si denomina Buon Pastore, ci conosce e ci chiama per nome, vuole avvicinarci e ci guida assicurando di condurci ai pascoli della vera vita e agli alimenti necessari, oh come diventiamo un po’ migliori anche noi e come sentiamo, per via di amore e di elezione, l’energia nuova, divina, sostituire la nostra umana e tanto ribelle psicologia! In una parola, il divenire perfetti cristiani.
E ancora un’ulteriore nota che concerne e definisce il Buon Pastore. Gesù ha sofferto, è morto per noi. Il Buon Pastore ha dato la sua vita per salvare la nostra. Se qualcuno di noi ha avuto la sorte d’essere stato, in qualche pericolosa circostanza, liberato da una malattia, o d’essere risparmiato da una disgrazia per intervento e merito di qualcuno, che ha agito con disinteresse, persino con sacrificio, certamente avverte insopprimibile, perenne, il vincolo della gratitudine verso il benefattore. Adunque, per il Signore Gesù dobbiamo avere, e a titoli superlativi, l’atteggiamento, l’obbligo di una riconoscenza senza fine. Questa attitudine di ringraziamento illimitato dobbiamo sentirla verso Gesù. Egli ci ha salvato offrendo la sua vita per noi, dandola coscientemente, con inenarrabili sofferenze, mentre – lo dicono i Padri – Egli poteva dare la sua vita in una maniera più semplice e meno tormentosa. Ha voluto, invece, conferire al suo Sacrificio una evidenza dolorosa fino allo spasimo; ha voluto imprimere nelle nostre anime l’immagine sanguinante delle sue membra straziate per noi!
HA DATO LA VITA PER NOI TRA INDICIBILI SOFFERENZE
Allora, la più bella definizione che troviamo nel Vangelo è quella che il Precursore Giovanni diede di Lui: Ecco l’Agnello di Dio, ecco Colui che toglie i peccati del mondo. Gesù è la vittima: Colui che paga per gli altri ed ha pagato per noi; si è sacrificato e immolato per noi. Ha stretto una reale parentela di obbligazione verso di noi appunto perché ha sostituito ai nostri debiti la sua ricchezza; ed ha soddisfatto per la nostra miseria; ha riparato la nostra rovina. Il mistero della salvezza, che è il mistero d’una donazione divina, al posto dei nostri moltissimi doveri e debiti, dovrebbe, nuovo motivo di fervore, sigillare la figura di Cristo nei nostri cuori; e suscitare in noi piena e sentita corrispondenza.
Nel Vangelo, quando si accenna ai rapporti tra il Figlio di Dio e i suoi discepoli, c’è sempre, da parte loro, qualche cosa di manchevole, dubbio, instabilità e insufficienza. Solo dopo la morte di Cristo e il suo Sacrificio, essi hanno a Lui ripensato come al Pastore che dà la vita per le sue pecorelle. Si è accesa, così, nel loro animo, la fiamma di adesione, entusiasmo, fedeltà; di quell’amore e dono di sé che il Signore domanda appunto a tutti i suoi seguaci.
PIENA GENEROSA E COSTANTE SIA LA NOSTRA RISPOSTA
Oggi è la «Giornata delle Vocazioni». Come è felicemente scelta in coincidenza con il tratto del Vangelo ora rimeditato!
Dovremmo sentirci un po’ tutti chiamati per nome; è necessario vedere in Gesù la guida dei nostri destini, dell’intera nostra vita; dobbiamo tutti rincorrerlo per dirgli: grazie: anch’io farò qualche cosa; la mia vita è tua, come la tua vita è stata ed è mia.
Il nuovo rapporto di amore, che unisce l’umanità a Cristo è stato definito come il connubio, lo sposalizio tra l’umanità e Cristo. Perciò la Chiesa, cioè l’umanità che segue Cristo, è chiamata la Sposa del Signore. Il che vuol dire una risposta: amore per amore; e quello che noi appartenenti alla Chiesa dobbiamo essere: i clienti della bontà di Dio, di Cristo. Indica, inoltre, la capacità nostra di superare e vincere timidezze, ignoranze, dubbi, per stabilire con Lui rapporti diretti d’interiore conversazione e di segreto, indissolubile amore.
Questa, o figliuoli – conclude il Santo Padre – la meditazione per oggi e per sempre. Non dovrà mai aver fine. Pensate alle parole del Signore, che dice di Sé: Io sono il Buon Pastore. Con quale infinita carità Egli le ripete a ciascuno di noi e le convalida con le altre: guarda che il Buon Pastore ha dato per te la sua vita! E tu? E tu? Figliuoli a voi la risposta.