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Papa Paolo VI; festa della Conversione di San Paolo 1978 : Opporre il bene all’offensiva del male

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/audiences/1978/documents/hf_p-vi_aud_19780125_it.html

PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì 25 gennaio 1978

[FESTA DELLA CONVERSIONE DI SAN PAOLO]

Opporre il bene all’offensiva del male

OGGI LA CHIESA celebra la conversione di San Paolo, avvenimento decisivo per il cristianesimo, e che confermò la vocazione universale della nuova religione, che nata in un paese determinato e nell’ambito della tradizione ebraica, ebbe nel nuovo Apostolo il missionario che più degli altri comprese e predicò il Vangelo per tutti gli uomini. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza Egli l’ha data nei tempi stabiliti, « e di essa io (è San Paolo che attesta di sé, nella prima lettera a Timoteo, [1Tim. 2, 5-7]), io – egli scrive – sono stato fatto banditore e apostolo, dico la verità, non mentisco, dottore delle genti nella fede e nella verità ». Vada all’Apostolo Paolo, oggi, il nostro riverente e amoroso saluto, associato al pensiero che oggi pure la pietà della Chiesa rivolge al grande e non ancora soddisfatto desiderio apostolico della piena ricomposizione dell’unità fra i Cristiani, nell’orazione e nella speranza, che l’aspirazione, fatta più ardente e più plausibile dall’ecumenismo contemporaneo, celebrata nei nostri cuori e, Dio voglia, in quelli dei Fratelli tuttora da noi separati, sia coronata da felice successo.
A San Paolo noi domanderemo poi una sua parola che conforti i nostri animi, turbati da tante vicende della vita attuale nel mondo, le quali scuotono la nostra fiducia nel pacifico progresso della pace nel mondo. Tutti siamo addolorati da una triste recrudescenza della violenza privata, ma organizzata nella società odierna, la quale traduce in fenomeni di incivile disordine l’insicurezza, che la travaglia e che un dominante pluralismo morale e politico, contraffazione della libertà, sembra coonestare. Per di più difficoltà economico-sociali si diffondono con effetti negativi molto pesanti, e lasciano intravvedere situazioni anche peggiori, così che desiderii folli di godimento superfluo e timori paralizzanti la normalità del lavoro si diffondono creando una psicologia di sfiducia, che inaridisce l’attività produttiva e suggerisce rimedi vani e disordinati. E come accade, un male ne genera un altro, e spesso peggiore. Tutti siamo preoccupati. Il peggio, si dice, è senza fondo; e una tentazione di pessimismo si diffonde e paralizza tante energie, che pure sono state suscitate con tanta lungimiranza di un avvenire migliore.
 Il quadro è noto a tutti e incombe con la sua ombra su questo momento della nostra civiltà e si proietta sulla storia del domani.
Ecco allora il nostro rimedio, attinto appunto dal tesoro dell’insegnamento dell’Apostolo Paolo. Egli lo presenta nella sua lettera ai Romani là dove, dopo di averli esortati con suggerimenti vibranti in varie direzioni della vita morale, quale deve derivare da persone illuminate dalla fede e sorrette dalla grazia, egli riassume la sua esortazione in questa ben nota sentenza: « Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male ».[Rom. 12. 21] Quanto semplice sembra la parola dell’Apostolo, e sembra che valga la pena fissarla nella memoria. Intanto notiamo: la dottrina apostolica è interiore, e tende a modificare la facile mentalità di chi cede al disgusto e al turbamento delle condizioni esteriori, in cui si svolge la nostra vita. Siamo in un mondo non solo avverso per tanti motivi fisici e materiali alla nostra esistenza, ma altresì nemico per le difficoltà del suo ordinamento sociale, o meglio per il disordine dei fattori che gli impediscono d’essere ordinato, vale a dire ragionevole e giusto. Noi avvertiamo questa malizia che rende difficile e talora insopportabile la convivenza sociale: che cosa dobbiamo fare? Dobbiamo lasciare che il male ci vinca, cioè ci domini e ci assorba nelle sue spirali che farebbero cattivi anche noi? Questo è il processo della vendetta, che accresce il male e non lo guarisce. Ovvero dobbiamo cedere al pessimismo e alla pigrizia e abbandonarci ad una vile rassegnazione? Ciò non è cristiano. Il cristiano è paziente, ma non abulico, non indifferente. L’atteggiamento suggerito dall’Apostolo è quello d’una reazione positiva; cioè egli c’insegna a opporre la resistenza del bene all’offesa del male; c’insegna a moltiplicare lo sforzo dell’amore per riparare e vincere i danni del disordine morale; c’insegna a fare stimolo a maggiore virtù e a più operante attività per il nostro cuore dell’esperienza del male incontrato sul nostro cammino. Così San Paolo. Così i Santi. E così sia di tutti noi!

Con la nostra Benedizione Apostolica.

Publié dans:FESTE DI SAN PAOLO, PAPA PAOLO VI |on 30 janvier, 2011 |Pas de commentaires »

S. Giuseppe, S. Paolo, Paolo VI e il Vescovo dell’Eucaristia

dal sito:

http://www.madredelleucaristia.it/ita/art39it.htm

S. Giuseppe, S. Paolo, Paolo VI e il Vescovo dell’Eucaristia

Veglia per la festa del sacerdozio del 13 marzo 2004

Nessuno può amare pienamente Dio e i fratelli se non è attaccato a Gesù Eucaristia. Chiunque rinnega se stesso e prende la sua croce assomiglia sempre di più a Cristo e vola ad altezze spirituali inimmaginabili. Il Vescovo ordinato da Dio ama profondamente l’Eucaristia e ne ha fatto la ragione principale del suo ministero sacerdotale. Chi vive in grazia e si nutre alla Fonte della vita ha le stesse qualità del Cristo e percorre lo stesso cammino, ostacolato alcune volte dalle cattiverie degli uomini che non comprendono i disegni di Dio. L’intensa vita spirituale e le virtù del nostro Vescovo sono presenti in tre grandi santi che hanno posto al centro della loro vita l’Eucaristia, difendendola e proteggendola dai nemici di Dio. È sorprendente vedere la somiglianza, i punti di contatto e lo stesso amore per Dio e il prossimo che accomunano il nostro Vescovo a S. Giuseppe, a san Paolo e a Papa Paolo VI.
Mons. Claudio Gatti ama profondamente questi tre grandi uomini perché, prima di lui, hanno protetto e amato il tesoro più prezioso: l’Eucaristia.

IL RAPPORTO CON L’EUCARISTIA

S. Giuseppe – S. Giuseppe è il santo più grande dopo la Madre dell’Eucaristia: Dio lo ha collocato così in alto e gli ha dato il titolo di « Santo Custode dell’Eucaristia », poiché è stato particolarmente premuroso e attento nel custodire e adorare Gesù durante la sua vita terrena. Nella lettera di Dio del 2 marzo 2002 la Madre dell’Eucaristia ci ha rivelato un fatto mai conosciuto in duemila anni di storia della Chiesa: « Quando Gesù è morto, il mio amato sposo era accanto a me, spiritualmente parlando, e mi aiutava con le sue dolci parole come aveva sempre fatto durante la vita ». E il 3 marzo ha continuato: « Ieri, ho iniziato a parlarvi del mio amato sposo Giuseppe e vi ho detto che lui era presente durante la passione, la morte e la risurrezione di Gesù; era accanto a me e mi aiutava e mi sorreggeva ». S. Giuseppe è rimasto sempre vicino a Gesù.

S. Paolo – Lo stesso amore per l’Eucaristia è stato al centro della vita di S. Paolo. Egli affermava che ci deve essere unione tra i servi di Dio, essi devono costruire l’edificio del Signore senza antagonismi. L’edificio si fonda sull’Eucaristia, unico vero fondamento, e Paolo ammoniva i costruttori ad edificarlo correttamente, cioè rimanendo perfettamente fedeli agli insegnamenti di Cristo. Paolo viveva intensamente la celebrazione della S. Messa ed era cosciente di non poter far nulla senza l’aiuto dell’Eucaristia: « Però noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che la potenza straordinaria viene da Dio e non da noi » (II Cor 4,7).

Paolo VI – Nella vita di Paolo VI domina l’Eucaristia. Per Papa Montini in Essa « è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa ». Nell’Enciclica « Mysterium Fidei » definisce l’Eucaristia la « Medicina dell’immortalità ».
Paolo VI, durante il suo pontificato, aveva avuto il sentore che qualcosa si stava insinuando nella Chiesa e andava ad intaccare il bene più prezioso di un cristiano: l’Eucaristia. « Il fumo di satana è entrato nel tempio di Dio », disse in un discorso. L’obiettivo dell’Enciclica Mysterum Fidei, infatti, era di smentire in modo fermo e deciso le opinioni di alcuni che mettevano in dubbio la centralità dell’Eucaristia nella Chiesa. Paolo VI sottolinea che nell’Eucaristia, per la transustanziazione, Gesù è realmente presente in corpo, sangue, anima e divinità sotto le specie del pane e del vino e che la presenza reale perdura anche al di fuori della S. Messa, per cui l’Eucaristia deve essere conservata in modo dignitoso e deve esserle reso il culto dovuto con l’adorazione.
Monsignor Pasquale Macchi, suo segretario particolare, scrive: « Desidero rivelare che mai si privò della celebrazione della S. Messa, neanche nei giorni di malattia, eccetto in occasione dell’intervento chirurgico del 1967. Il Papa seguì anche l’ultima S. Messa della sua vita con intensa devozione e al momento della Comunione egli si protese verso l’Eucaristia « come la cerva anela alle sorgenti delle acque ». Paolo VI abolì il latino dalla liturgia della S. Messa proprio per farla seguire ed amare di più dai fedeli e li esortò a partecipare quotidianamente al sacrificio eucaristico.

Vescovo dell’Eucaristia – Il Vescovo Mons. Gatti ha fatto dell’Eucaristia il centro della propria vita pastorale, riuscendo a raggiungere alte vette spirituali e a dare tutto se stesso alle anime. Egli parla dell’Eucaristia con un tale trasporto che le sue parole arrivano al cuore di chi le ascolta. Il Vescovo, come dovrebbe fare ogni sacerdote della Chiesa, ha basato la sua vita sulla S. Messa che è la forma più grande di preghiera che ci avvicina al Signore, ed ha cercato di portare un rinnovamento, un maggiore amore e una fede più ardente nei riguardi dell’Eucaristia.
Il Vescovo ha fatto dell’Eucaristia la sua ragione di vita ed ha pagato in prima persona per difenderla dagli attacchi dei nemici di Dio.

L’ANSIA APOSTOLICA E LA PREDICAZIONE

S. Paolo – Per S. Paolo la centralità della predicazione è Cristo. Leggiamo nella seconda lettera ai Corinzi: « Noi, infatti, non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore; quanto a noi, siamo i vostri servitori per amore di Gesù » (II Cor. 4; 5). L’amore grande che ha avuto S. Paolo verso Gesù, lo ha spinto a predicare il S. Vangelo affrontando persecuzioni, sofferenze e fatiche. L’ansia della predicazione della Parola di Dio traspare dall’incisività delle sue parole. Suo unico desiderio è annunciare Cristo con coerenza e chiarezza e non vuole abbagliare con parole forbite i suoi fedeli per trovarne il plauso o per far emergere la propria persona: « Non è infatti per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai se non predicassi il vangelo! » (I Cor 9,16).
L’efficacia e la forza della predicazione di Paolo, che ha portato alla Chiesa grandi frutti spirituali, derivano dalla sua profonda unione con Cristo, dalla presenza della grazia di Dio che ha sostenuto la sua missione d’evangelizzazione: « Non però che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio, che ci ha resi ministri adatti di una Nuova Alleanza » (II Cor 3,5).

Paolo VI – La stessa ansia apostolica è stata sempre presente in Paolo VI. Papa Montini ha avuto il difficile compito di portare avanti tre delle quattro sessioni del Concilio Vaticano II ed è stato costretto a prendere decisioni importanti che ha cercato di imporre, mosso dal suo grande amore per la Chiesa e dalla consapevolezza che qualcosa andava cambiato. Tutto ciò lo ha portato ad essere amato e odiato allo stesso tempo. A tale proposito nell’enciclica Ecclesiam suam si denota la preoccupazione di Paolo VI di far sì che la Chiesa si adatti alle circostanze storiche e sociali in cui svolge la propria missione. Essa deve cercare una forma di dialogo e d’apertura verso la civiltà contemporanea per raggiungere più facilmente il cuore di chi è lontano da Cristo, ma questo non deve tradursi in un’attenuazione o in una diminuzione della Verità; l’apostolato non può arrivare ad un compromesso rispetto ai principi di pensiero propri della professione cristiana. Solo rimanendo sempre fedeli alla dottrina di Cristo si può esercitare l’apostolato con forza e vigore.

Vescovo dell’Eucaristia – Il gran desiderio che ebbero S. Paolo e Paolo VI di annunciare Cristo agli uomini è lo stesso che tutti noi abbiamo riscontrato nel nostro Vescovo. La diffusione della conoscenza e dell’amore verso l’Eucaristia, la predicazione della Parola di Dio sono impegni che Mons. Claudio ha sempre cercato di portare avanti, con la forza e l’autorità che gli competono. È stata sempre sua ferma convinzione che avvicinare i fratelli lontani da Cristo non vuol dire scendere a compromessi, ma spiegare alle anime l’importanza della vita di grazia, una vita che comporta sacrifici ed un notevole impegno.
Troviamo nelle parole del Vescovo la sua grande ansia apostolica: « Quando la Madonna ci comunica che anche in altre parti si fanno gli incontri biblici, io provo una grande gioia perché l’ansia del vero sacerdote è che Cristo sia conosciuto, perché quando è conosciuto, è talmente forte, simpatico e vivo che non si può non amare. Si ama il Cristo che si conosce, non si ama il Cristo che non si conosce. Il sacerdote deve cercare di portare avanti quest’ansia e trasfonderla negli incontri biblici che devono essere desiderati, preparati, alimentati dalla meditazione e dalla preghiera e devono essere accompagnati dalla presenza dell’Eucaristia, che, sola, può renderli vivi e vitali, per questo non si può scindere la Parola di Dio dall’Eucaristia ».
Spesso la Madonna ci ha ripetuto: « Avete conosciuto fino in fondo Gesù Eucaristia, questa conoscenza è frutto dell’amore del vostro Vescovo, il Vescovo dell’Eucaristia, il Vescovo del Vangelo; di ogni rigo del S. Vangelo ne fa un poema » (Lettera di Dio, 1 gennaio 2000).

L’UMILTÀ

S. Giuseppe – S. Giuseppe è un autentico esempio di umiltà. Quando la Sacra Famiglia appare alla nostra sorella Marisa, lei ci racconta che S. Giuseppe si colloca sempre un passo indietro rispetto a Gesù e alla sua sposa, ed è sempre la Madre dell’Eucaristia che lo invita a fare un passo in avanti per mettersi al suo fianco. Giuseppe è stato chiamato da Dio a custodire Gesù durante la vita terrena e a questo compito ha risposto con un amore immenso. Ha vissuto il ruolo di sposo e di padre putativo con maturità e responsabilità, perché si è preparato con profonda umiltà a vivere i compiti che Dio gli ha affidato.
L’amore di S. Giuseppe è stato alimentato dall’umiltà, egli ha raggiunto le più alte vette spirituali perché ha vinto il proprio io, ha dominato l’orgoglio ed è vissuto sereno e fiducioso nel nascondimento. Ha riservato il primo posto a Dio, collocando il prossimo immediatamente dopo e tenendo per sé l’ultimo posto.

S. Paolo – S. Giovanni Battista diceva: « Cristo deve crescere e io diminuire ». S. Paolo ha applicato alla lettera questo insegnamento in tutta la sua vita. L’umiltà è anche sincerità e verità, l’apostolo dichiarava apertamente di essere stato chiamato da Dio e di avere dei doni, ma ammetteva prontamente che questi gli venivano da Dio e non da lui. Infatti, nella prima lettera ai Corinzi S. Paolo scrive: « Io venni in mezzo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione; e la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio » (I Cor 2,3-5).

Paolo VI – Fra le molte qualità di Paolo VI c’erano sicuramente l’umiltà e la semplicità. Nel Natale del 1957 donò per la costruzione di nuove chiese ciò che di più caro conservava della sua consacrazione episcopale: una stupenda croce pettorale d’oro massiccio con gemme e un anello pastorale con un grosso brillante, dono della nobiltà romana. All’arcivescovo di Milano, futuro Pontefice, piacevano le cose semplici, abolì tutto ciò che non serviva a dare gloria a Dio, ma solo agli uomini, compresa la sedia gestatoria. Sotto il suo pontificato i paramenti liturgici, infatti, persero i ricchi pizzi e tutto ciò che era ridondante e superfluo, affinché si raggiungesse una religiosa sobrietà. Ai vescovi del Concilio Vaticano II donò un anello episcopale molto semplice e privo di pietre preziose: questo gesto inaugurò un nuovo stile. Nel suo testamento scrisse: « I miei funerali siano pii e semplici. La tomba amerei che fosse nella vera terra, con umile segno che indichi il luogo e inviti a cristiana pietà. Niente monumento per me ».

Vescovo dell’Eucaristia – Essere umili, come ci ha insegnato il nostro Vescovo, non vuol dire rinnegare le proprie qualità. L’umile è colui che riconosce la grandezza dei doni che riceve dal Signore e li mette al servizio del prossimo. Il Vescovo ha sempre affermato che senza l’aiuto di Dio non sarebbe mai riuscito ad andare avanti nella grande missione, non ha mai confidato in se stesso, ma nella forza che scaturisce dall’Eucaristia. Egli ci ha invitato a ringraziare Dio per gli insegnamenti profondi che ci trasmette, perché è il Signore che lo ispira. Il Vescovo ci ha sempre insegnato che Dio deve trionfare, non gli uomini, per questo ha scelto delle insegne episcopali dignitose, ma semplici, evitando tutto ciò che può servire solo ad alimentare la vanità umana.

LA PUREZZA

S. Giuseppe – Il giglio è un fiore che descrive il candore e la bellezza dell’anima di S. Giuseppe che ha offerto la sua purezza a Dio.
I puri ricordano la condizione definitiva e finale dell’uomo, ad un mondo che si immerge sempre più nei piaceri disordinati della carne: « Sarete come angeli di Dio nel cielo » (Mt 22,30).
La purezza permette all’uomo di vivere con Dio una relazione più intima e di dedicarsi in modo generoso al servizio dei fratelli, distaccandosi dalle inclinazioni negative. S. Giuseppe è stato pronto e felice di offrire a Dio il giglio della sua purezza, lo stesso giglio che poi con Maria ha offerto di nuovo durante gli anni della vita coniugale.

S. Paolo – « Tutto è puro per i puri, ma per i contaminati e gli infedeli nulla è puro » (Tt 1,15). S. Paolo ha sempre esortato i suoi figli spirituali e le comunità a vivere in maniera casta rispettando e amando il proprio corpo. « Perché questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dalla impudicizia, che ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto non come oggetto di passioni e libidine » (I Ts 4,3). « Fuggite la fornicazione! Qualsiasi peccato l’uomo commetta, è fuori del suo corpo, ma chi si dà all’impudicizia, pecca contro il proprio corpo. O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio e che non appartiene a voi stessi? » (I Cor 6,18-20).

Paolo VI – L’importanza della purezza per Paolo VI emerge chiaramente dall’enciclica, « Sacerdotalis Caelibatus », nella quale parlando del celibato dei sacerdoti, afferma che tale è la condizione che noi tutti avremo in Paradiso: « Il prezioso dono divino della perfetta continenza per il Regno dei Cieli costituisce un segno particolare dei beni celesti, annunzia la presenza sulla Terra degli ultimi tempi della salvezza con l’avvento di un mondo nuovo e anticipa in qualche modo la consumazione del regno, affermandone i valori supremi che un giorno rifulgeranno in tutti i figli di Dio. È perciò una testimonianza della necessaria tensione del popolo di Dio verso l’ultima meta del pellegrinaggio terrestre e incitamento per tutti a levare lo sguardo alle cose superne ».

Vescovo dell’Eucaristia – Per il Vescovo la purezza ha sempre rappresentato uno dei cardini della sua vita di uomo e sacerdote. Spesso ha evidenziato l’importanza di vivere la purezza dell’anima e del corpo per brillare immacolati come astri nel cielo, presentandoci con una veste candida di fronte agli occhi di Dio.

LA CARITÀ E L’AMORE

S. Giuseppe – L’amore di S. Giuseppe nei confronti della sua casta sposa Maria e verso suo Figlio Gesù emerge in ogni sua azione. Ci racconta la Madonna: « Giuseppe era felice di offrire i suoi sacrifici a Dio. Lo amava in modo straordinario. Il mio sposo era pieno di tenerezza e di amore ». La carità di Giuseppe ha raggiunto altezze vertiginose; quando ha lasciato Maria, che era ospite nella casa di Zaccaria ed Elisabetta, per fare ritorno a Nazaret, era lacerato perché sentiva la sofferenza del distacco dalla sua sposa, ma era felice, perché sapeva che la permanenza di Maria era un gesto di carità nei confronti della cugina Elisabetta, anche se nessuno comprese quel gesto. Il grande amore per Dio e la carità provocano invidie, gelosie, incomprensioni e calunnie da parte di chi non è unito al Signore.

S. Paolo – L’inno alla carità riassume il fervente amore che ha caratterizzato tutta la vita di S. Paolo: « Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli ma non avessi la carità sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato ma non avessi la carità, niente mi giova. La carità è paziente, è benigna la carità, non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si compiace della verità. Tutto crede, tutto spera, tutto sopporta ». (I Cor 13,1-7).

Paolo VI – Leggiamo nella biografia di Paolo VI: « Il desiderio primo era di servire e accontentare ogni persona che si rivolgesse a lui. Ricevendo sacerdoti e laici, la sua attenzione era tutta per loro, come se ciascuno fosse l’unico; così il tempo delle udienze si protraeva ben al di là del mezzogiorno, e spesso la preparazione di discorsi e omelie lo teneva impegnato per ore dopo la mezzanotte ». Tutta la vita di Paolo VI è stata caratterizzata dalla carità. Paolo VI faceva del bene ma non lo faceva sapere agli altri. Il suo segretario particolare ricorda: « L’arcivescovo di Milano ogni venerdì pomeriggio si recava in forma del tutto privata a far visita a infermi o poveri o handicappati: era l’incontro con Gesù nella persona umiliata e sofferente. Nessuno ne era al corrente: con l’autista io lo accompagnavo in poverissime case, talora in veri tuguri o in piccole baracche ».

Vescovo dell’Eucaristia – Il nostro Vescovo non si è mai risparmiato con nessuno e come il grande S. Paolo « si è fatto tutto a tutti per salvare a tutti i costi qualcuno », nonostante alcune volte la stanchezza e la sofferenza pesassero gravemente sul suo fisico molto provato. Egli non ha mai chiuso la porta a chi ha chiesto con sincerità il suo aiuto e si è fatto mangiare dalle anime come un buon pastore. La carità del Vescovo verso i sofferenti e gli ammalati è una perla incastonata nella sua vita di uomo e sacerdote: ha assistito sempre con amore la nostra sorella Marisa e la nonna Iolanda e ama in maniera particolare gli anziani perché sono « le perle di Dio », come li chiama la Madre dell’Eucaristia. I suoi anni di sacerdozio sono stati quarantuno anni di carità e amore verso tutti.

LA FIGURA DEL PADRE

S. Paolo – S. Paolo è stato un autentico padre spirituale per tutti i suoi figli che ha amato ed istruito per condurli alla santità e alla vita eterna: « Ben lo sapete, come fa un padre per i suoi figli, abbiamo esortato, incoraggiato e scongiurato ciascuno di voi a condurre una vita degna di Dio che vi ha chiamati al suo regno e alla sua gloria » (I Ts 2,11-12). Un compito importante di ogni pastore che vuole aiutare le anime a lui affidate è la correzione fraterna, che se fatta con amore e accettata con umiltà porta ad una vera crescita spirituale. « Perché la tristezza secondo Dio produce un pentimento irrevocabile che porta alla salvezza ». (II Cor 7,10). S. Paolo corregge le sue comunità quando si allontanano dai suoi insegnamenti, con l’autorità e l’amore di un padre. Egli soffre a causa delle mancanze dei suoi figli e teme che non accolgano la correzione e si allontanino dalla sua guida e quindi da Cristo; quando, però, si rende conto che il dolore dei suoi figli è fertile, perché li porta alla conversione, allora il suo cuore esplode di gioia per i frutti spirituali ottenuti e dimentica le sue sofferenze.

Paolo VI – Paolo VI, nell’enciclica « Sacerdotalis Caelibatus », ha evidenziato la figura del pastore come padre per i suoi figli spirituali: « Prima di essere superiori e giudici siate per i vostri sacerdoti maestri, padri, amici e fratelli buoni e misericordiosi, pronti a comprendere, a compatire, ad aiutare. Incoraggiate in tutti i modi i vostri sacerdoti a un’amicizia personale e a un’apertura confidente con voi, che non sopprima ma superi nella carità pastorale il rapporto di obbedienza giuridica, affinché la stessa obbedienza sia più volenterosa, leale e sicura.
Andate in cerca con ansia ed amore della pecorella smarrita per riportarla al caldo dell’ovile e tentate come Cristo, fino all’ultimo di richiamare l’amico infedele ».

Vescovo dell’Eucaristia – Queste parole ci richiamano alla mente quelle che il nostro Vescovo ha usato in uno degli incontri biblici: »Il sacerdote autentico che in se stesso si sforza di riproporre i sentimenti del Cristo è colui che si lascia completamente mangiare dalle anime che gli sono affidate. La responsabilità paterna non deve mai cessare, il vero educatore, colui che è il pastore, il padre della comunità che il Signore gli ha affidato deve, nella sua catechesi, negli incontri biblici, negli incontri privati, far sentire la forza dell’esortazione, dell’incoraggiamento, della spinta e dell’accompagnamento. Il padre accompagna i figli; il vero sacerdote, il vero vescovo accompagna le anime che gli sono affidate, le mette in guardia, fa l’impossibile perché queste non compiano determinati errori o ricadano in errori già commessi, ha l’ansia di impedire alle anime che segue di fare del male ».
Il Vescovo dell’Eucaristia è sempre stato un buon padre verso tutte le anime che gli sono state affidate; non ha esitato mai un attimo a cercare di riportare all’ovile le pecorelle smarrite e a fare la correzione fraterna quando è stato necessario. La sua paternità rifulge e brilla nel suo animo di uomo e sacerdote perché non si dà pace, finché anche uno solo dei suoi figli non è tornato alla casa del Padre.

L’ABBANDONO E LA SOFFERENZA

S. Giuseppe – S. Giuseppe si è abbandonato sempre a Dio anche quando si è sentito lacerato nell’anima e negli affetti e ha vissuto situazioni umanamente incomprensibili o drammatiche: la maternità di Maria, la fuga in Egitto e lo smarrimento di Gesù Bambino.
L’abbandono di S. Giuseppe a Dio è stato perfetto e convincente ed ha sempre tenuto presente le parole di Isaia: « Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri » (Is 55,8-9). Abbandonarsi a Dio provoca una profonda lacerazione interiore alleviata però dalla consapevolezza di fare la Sua volontà. Abbandonarsi a Dio significa dirgli « Sì » con il cuore e la volontà, anche se è forte la tentazione di dire « No ».

S. Paolo – Cristo, dopo essere asceso al Cielo, ha ordinato vescovo Paolo. L’apostolo ha accettato la missione alla quale il Signore l’ha chiamato e per fare la volontà di Dio si è trovato in situazioni difficili. Egli, infatti, ha dovuto affrontare l’ostilità di coloro che non si aprivano all’annuncio evangelico e cercavano di osteggiarlo nella sua predicazione. S. Paolo ha rivendicato con forza la propria qualifica di apostolo e a volte ha sentito prepotenti la depressione e lo scoraggiamento, ma si è sempre abbandonato a Dio, fino a donare la propria vita, purché i disegni divini si realizzassero. Consapevole della sua debolezza umana, ha ricevuto forza e vigore dalla grazia del Signore: « Mi vanterò quindi delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte ». (II Cor 12,10)

Vescovo dell’Eucaristia – Il nostro Vescovo, come S. Paolo, ha ricevuto l’ordinazione episcopale direttamente dal Signore: Dio ha detto: « Ti ordino vescovo » (Lettera di Dio, 27 giugno 1999) e ha posto il suo sigillo su questa ordinazione con il miracolo eucaristico dell’11 giugno 2000. Il Vescovo non è stato libero di accettare o rifiutare la pienezza del sacerdozio, ma si è abbandonato completamente ai disegni di Dio. Egli ha gioito per l’immenso dono ricevuto, ma ha anche tremato, prevedendo ulteriori calunnie ed ostilità che avrebbe dovuto affrontare. Ha scelto di seguire Dio con decisione e coraggio, ha abbracciato la croce e ha accettato il difficile compito di portare avanti la sua dura missione insieme con Marisa.
« Tutto posso in Colui che mi dà forza » questo hanno ripetuto insieme il Vescovo dell’Eucaristia e la vittima d’amore, senza perdere mai fiducia nella potenza di Dio.

LE LETTERE DI DIO: GLI INCORAGGIAMENTI AL VESCOVO DELL’EUCARISTIA

S. Giuseppe: « Mio caro vescovo, sono il tuo Giuseppe. Sono stato incaricato di dirti che dai tanta gioia a Dio Padre, a Dio Figlio, a Dio Spirito Santo con l’amore e con la tua sofferenza. A volte è difficile far comprendere alle persone ciò che dici, ma loro sanno che Gesù parla attraverso te. Mi dà gioia sapere che mi ami; io ti aiuto dall’alto del Cielo così come posso. Anch’io, come te, mi sono sentito l’ultimo, ma Dio mi ha collocato in alto, dopo Gesù e Maria ». (Lettera di Dio, 10 marzo 2002)

Madonna: « Ogni incontro biblico è grande; quello di giovedì scorso è stato grandissimo, bellissimo. Ciò che avete ascoltato non proveniva solo da Paolo, ma anche da Claudio, dal vostro vescovo. Paolo e Claudio. Di ogni parola della Sacra Scrittura ne ha fatto un poema. Il vescovo cerca di fare penetrare nel vostro cuore ciò che dice. Paolo è grande, ma anche il vostro Vescovo è grande ». (Lettera di Dio, 24 febbraio 2002)

Paolo VI: « Io sono il grande Paolo VI e amo S.E. Mons. Claudio Gatti per le parole che ha detto nei miei riguardi. Molti mi hanno calunniato, ma da quando il mio e vostro vescovo ha parlato di me: come sono, quanto ho sofferto e quanto bene ho fatto, oggi parlano bene di me e mi chiamano il Papa gigante. No, sono piccolo, ma sono vicino alla Madre dell’Eucaristia. Grazie, Eccellenza, per la parole dette, non lasciarti andare: tu non sai quante persone vicine mi hanno calunniato e diffamato ed ero Papa. Non abbandonare, sii forte e porta avanti questa missione. Nessun santo e nessun uomo della Terra ha sofferto come te, non lasciarti andare, non abbandonare, fa’ come dicono Gesù e la Madre dell’Eucaristia. Se ti lasci andare, tua sorella crolla e chi ti vuole bene crolla. Sono il Papa che ami tanto e ti aiuto e prego per te. Non c’è bisogno di essere dichiarati santi dalla Chiesa, per Dio e per la Madre dell’Eucaristia sono santo. (Lettera di Dio, 6 agosto 2003)

CONCLUSIONE

Gli insegnamenti del nostro Vescovo ordinato da Dio sono in perfetta sintonia con quelli di S. Paolo e di Paolo VI, egli si è sempre ispirato a loro e allo stile di vita del grande S. Giuseppe.
La figura di S. Giuseppe e quella del grande Papa Paolo VI sono state riscoperte oggi nella Chiesa grazie alle lettere di Dio e alle catechesi del nostro Vescovo.
Il Vescovo Claudio Gatti, nei suoi quarantuno anni di sacerdozio, ha sempre obbedito a Dio ed ha continuato a portare avanti il compito affidatogli dal Signore. La missione del Vescovo e della veggente ha dato molti buoni frutti, ma l’ultimo tratto di strada che deve essere ancora percorso è il più duro e difficile.
A noi, come comunità, viene chiesto molto, perché molto ci è stato dato. Impariamo innanzitutto ad amare dopodiché viene la preghiera, ma soprattutto, come ha detto il nostro Vescovo in un incontro biblico, dobbiamo diventare una santa comunità se vogliamo partecipare attivamente alla missione.
Coraggio, Eccellenza, per noi sei il Vescovo Ordinato da Dio, Vescovo dell’Eucaristia, il Vescovo dell’Amore.

DOMENICA 26 DICEMBRE 2010 – FRA L’OTTAVA DI NATALE, SANTA FAMIGLIA DI GESÙ

DOMENICA 26 DICEMBRE 2010 - FRA L'OTTAVA DI NATALE, SANTA FAMIGLIA DI GESÙ dans Lettera agli Efesini
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DOMENICA 26 DICEMBRE 2010 - FRA L’OTTAVA DI NATALE, SANTA FAMIGLIA DI GESÙ

MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura  Col 3, 12-21
Vita familiare cristiana, secondo il comandamento dell’amore.
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi
Fratelli, scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro.
Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E rendete grazie!
La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio nei vostri cuori. E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre.
Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come conviene nel Signore. Voi, mariti, amate le vostre mogli e non trattatele con durezza. Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore. Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino.

Canto al Vangelo   Col 3,15.16
Alleluia, alleluia.
La pace di Cristo regni nei vostri cuori;
la parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza.
Alleluia.

http://www.bible-service.net/site/376.html

Colossiens 3,12-21

« Vous, les femmes, soyez soumises à votre mari. » Ces mots de Paul sont durs. On y sent l’influence d’un environnement culturel et sociologique qui est aux antipodes de notre civilisation. L’utilisation de ce passage dans une liturgie célébrant les vertus familiales accroît la difficulté. Il faut resituer ces injonctions de morale familiale dans l’ensemble du texte, où Paul invite tous les croyants à une charité active. La vie chrétienne est une vie dans le Seigneur. C’est par tous les pores de leur vie que les croyants, mariés ou non, enfants ou adultes, doivent respirer la paix du Christ, la douceur de sa parole et la joie qu’elle communique. Toute la vie est eucharistie (= action de grâce).

Colossesi 3,12-21
 
« Voi donne, siate sottomesse ai vostri mariti. Queste parole di Paolo sono difficili. Si sente l’influenza di un contesto sociologico e culturale che è antitetico alla nostra civiltà. L’utilizzo di questo brano di una liturgia che celebra le virtù della famiglia aumenta la difficoltà.
Dobbiamo porre questi ingiunzioni di morale familiare nell’insieme del testo, dove Paolo invita tutti i credenti ad una carità attiva. La vita cristiana è una vita nel Signore. È in tutti i passaggi della loro vita di credenti, sposati o non, bambini o adulti, che si deve respirare la pace di Cristo, la dolcezza della sua parola e la gioia che essa comunica. Tutta la vita è Eucaristia (=rendimento di grazie ).
 
UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla lettera agli Efesini di san Paolo, apostolo 5, 21 – 6, 4

La vita cristiana nella famiglia
Fratelli: siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo.
Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto.
E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola (Gn 2, 24). Questo mistero è grande; lo dico in riferimento al Cristo e alla Chiesa! Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito.
Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto, Onora tuo padre e tua madre: è questo il primo comandamento associato a una promessa: perché tu sia felice e goda di una vita lunga sopra la terra (Es 20, 12; Dt 5, 10). E voi, padri, non inasprite i vostri figli, ma allevateli nell’educazione e nella disciplina del Signore.

Responsorio    Ef 6, 1-2; Lc 2, 51
R. Figli, obbedite nel Signore ai vostri genitori; * onorate il padre e la madre, perché questo è giusto.
V. Gesù tornò a Nazareth con Maria e Giuseppe, e stava loro sottomesso.
R. Onorate il padre e la madre, perché questo è giusto.
 
Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di Paolo VI, papa
(Discorso tenuto a Nazareth, 5 gennaio 1964)

L’esempio di Nazareth
La casa di Nazareth è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo. Qui si impara ad osservare, ad ascoltare, a meditare, a penetrare il significato così profondo e così misterioso di questa manifestazione del Figlio di Dio tanto semplice, umile e bella. Forse anche impariamo, quasi senza accorgercene, ad imitare.
Qui impariamo il metodo che ci permetterà di conoscere chi è il Cristo. Qui scopriamo il bisogno di osservare il quadro del suo soggiorno in mezzo a noi: cioè i luoghi, i tempi, i costumi, il linguaggio, i sacri riti, tutto insomma ciò di cui Gesù si servì per manifestarsi al mondo.
Qui tutto ha una voce, tutto ha un significato. Qui, a questa scuola, certo comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo. Oh! come volentieri vorremmo ritornare fanciulli e metterci a questa umile e sublime scuola di Nazareth! Quanto ardentemente desidereremmo di ricominciare, vicino a Maria, ad apprendere la vera scienza della vita e la superiore sapienza delle verità divine! Ma noi non siamo che di passaggio e ci è necessario deporre il desiderio di continuare a conoscere, in questa casa, la mai compiuta formazione all’intelligenza del Vangelo. Tuttavia non lasceremo questo luogo senza aver raccolto, quasi furtivamente, alcuni brevi ammonimenti dalla casa di Nazareth.
In primo luogo essa ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh! silenzio di Nazareth, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri. Insegnaci quanto importanti e necessari siano il lavoro di preparazione, lo studio, la meditazione, l’interiorità della vita, la preghiera, che Dio solo vede nel segreto.
Qui comprendiamo il modo di vivere in famiglia. Nazareth ci ricordi cos’è la famiglia, cos’è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci faccia vedere com’è dolce ed insostituibile l’educazione in famiglia, ci insegni la sua funzione naturale nell’ordine sociale. Infine impariamo la lezione del lavoro. Oh! dimora di Nazareth, casa del Figlio del falegname! Qui soprattutto desideriamo comprendere e celebrare la legge, severa certo ma redentrice della fatica umana; qui nobilitare la dignità del lavoro in modo che sia sentita da tutti; ricordare sotto questo tetto che il lavoro non può essere fine a se stesso, ma che riceve la sua libertà ed eccellenza, non solamente da quello che si chiama valore economico, ma anche da ciò che lo volge al suo nobile fine; qui infine vogliamo salutare gli operai di tutto il mondo e mostrar loro il grande modello, il loro divino fratello, il profeta di tutte le giuste cause che li riguardano, cioè Cristo nostro Signore.

Responsorio    2 Cor 13, 11; Ef 5, 19; Col 3, 23
R. State lieti, cercate ciò che è perfetto, incoraggiatevi al bene, andate d’accordo, vivete in pace, * cantate e inneggiate a Dio con tutto il cuore.
V. Qualunque sia il vostro lavoro, fatelo di buon animo, per il Signore, e non per gli uomini.
R. Cantate e inneggiate a Dio con tutto il cuore

NATALE 1976 – OMELIA DI PAOLO VI

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/homilies/1976/documents/hf_p-vi_hom_19761225_it.html

SOLENNITÀ DEL SANTO NATALE DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO

OMELIA DI PAOLO VI

Sabato, 25 dicembre 1976

Fratelli e Figli, accorsi a questa convocazione notturna!

Voi sapete perché!

È la ricorrente memoria d’un fatto estremamente umile e immerso in un povero paese lontano (ma era un paese predestinato), e inseriti in una ignota vicenda del tempo (ma era anch’esso un tempo profeticamente calcolato); d’un fatto si direbbe insignificante quale la nascita d’un Bambino in condizioni poverissime, prive d’ogni importanza esteriore e d’ogni interesse ambientale (ma era l’arrivo nel mondo, nel genere umano, del Verbo di Dio, del Figlio consustanziale del Padre Creatore e Signore dell’universo, che rimanendo qual era, si faceva Figlio di Maria; Figlio così di Dio e Figlio dell’uomo).
È questo fatto ambivalente umile e immenso, umano e divino, che nell’unica Persona del Verbo unisce due nature, di cui una, l’umana, sì, rispecchia costituzionalmente (Cfr. Gen. 1, 26-27) una meravigliosa, ma certo sempre remota immagine dell’altra, la divina, l’eterna, l’infinita; immagine ineffabile dell’invisibile Iddio (Cfr. Col. 1, 15; 2 Cor. 4, 4) e pone nell’abissale mistero della divinità questa simbiosi ch’è Cristo Gesù; «natus est Christus; . . . de Padre, Deus; de Matre, homo» (S. AUGUSTINI Sermo 184: PL 38, 997). Essa lo pone nell’umanità e nella storia, centro in cui si ricollegano tutte le cose celesti e terrestri (Cfr. Eph. 1, 10), ed a cui ogni singolo essere umano può avere accesso e salvezza (Cfr. Luc. 3, 6); è questo il fatto, il mistero che noi ora ricordiamo e celebriamo.

«Lux in tenebris lucet», la luce splende nelle tenebre (Io. 1, 5).

Non ci fermeremo a considerare questo aspetto del mistero del Natale, cioè il modo scelto da Dio per rivelarsi nel suo Messia; quasi volesse nascondersi nell’atto stesso in cui si manifestava personalmente e umanamente agli uomini, che pur lo attendevano. È un aspetto che lascia intravvedere molte altre divine intenzioni, degne d’essere in altro momento esplorate e meditate. Voleva il Signore che noi, anche davanti alla sua suprema rivelazione temporale, non fossimo esonerati dal dovere di ricercarlo? voleva Egli che la nostra ricerca ci obbligasse a curvarci sui sentieri dell’umiltà, per correggere l’ostacolo principale che ci impedisce un autentico incontro col Cristo rivelatore, non altrimenti possibile che nella mortificazione del nostro fallo capitale, l’orgoglio? o voleva che non per altro interesse egoista lo avessimo a cercare, ma per quello del puro amore?
Come si debba infatti cercare la divina rivelazione ce lo ricordano le memorabili parole di S. Agostino «amore petitur, amore quaeritur, amore pulsatur, amore revelatur . . .»: «con l’amore si domanda, con l’amore si cerca, con l’amore si bussa, con l’amore si rivela» (S. AUGUSTINI De moribus Ecclesiae Catholicae, 1, c. XVII: PL 32, 1321).
Ma ci fermeremo sul fatto stesso, sul mistero del Natale. Ancora ascoltiamo S. Agostino, che anticipa sui Concilii posteriori la formula conclusiva: «Homo verus Deus verus, Deus et homo totus Christus, Hoc est catholica fides» (IDEM Sermo 92, 3: PL 38, 573). Ci fermeremo con quell’adesione della nostra fede, che celebrando con la Messa di questa notte i santi misteri noi stiamo a Lui tributando. Sì, noi confermiamo con questo rito natalizio la nostra piena, ferma, cordiale adesione a Cristo Gesù. Noi crediamo in Lui! Egli solo è il Salvatore nostro e del mondo (Cfr. Act. 4, 12).
Lasciamo che questo atto religioso e cosciente confermi e rinnovi la nostra accettazione di quella fede in Gesù Cristo, che abbiamo ereditato dalle generazioni cristiane a noi precedenti, e che il magistero della Chiesa sigilla in formule limpide e indiscutibili, e insieme feconda di perenne vitalità di effusione spirituale, di operosità evangelica, di predicazione missionaria, di cattolicismo sociale. E lasciamo che la fede stessa della Madonna, la Madre di Gesù, Colei che fu predicata «beata . . . per aver creduto nell’adempimento di ciò che le era stato detto da parte del Signore» (Luc. 1, 45) «con fede non inquinata da alcun dubbio», come insegna il Concilio (Lumen Gentium, 62), penetri nelle nostre anime, e conforti la nostra schietta conversazione col mondo presente, vacillante d’insanabili dubbi. Lasciamo che la nostra certezza nel mistero cristiano ci abiliti al duplice atteggiamento reclamato da chi si professa cristiano, quello della logica di pensiero e di azione, coerente e sapiente, proprio di chi appunto cristiano si qualifica, e quello della leale capacità comprensiva comunicativa d’ogni giusto ed amichevole rapporto sociale.
E procuriamo infine d’onorare la grande festa del Natale con l’espressione nel cuore e nel culto dei sentimenti che scaturiscono dalla sua realtà religiosa; della nostra meraviglia dapprima, che per quanto essa cerchi di ammirare il prodigio dell’Incarnazione, del Verbo di Dio che si fa uomo, non troverà mai una sufficiente misura, per iperbolica ch’essa si faccia, per adeguare l’espressione dello stupore e della gioia alla realtà che la suscita. Ancora S. Agostino che esorta: «Svégliati, uomo; per te Dio si è fatto uomo!: «expergiscere, homo: pro te Deus factus est homo!» (S. AUGUSTINI Sermo 185: PL 38, 907). Sentimento questo che accompagnerà poi sempre, anche nelle ore amare della vita e nelle celebrazioni dolorose della liturgia ogni altro sentimento, come una inesauribile riserva di ottimismo contemplativo ed attivo proprio di chi è stato ammesso a pregustare la trascendente fortuna del mistero cristiano (Cfr. Eph. 5, 14). Riascoltiamo S. Paolo per fare delle sue parole stile della nostra vita cristiana, augurio e ricordo della nostra celebrazione di questo Natale: «Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora: rallegratevi!» (Phil. 4, 4; 2, 18; 3, 1). L’Angelo del presepio ha intonato dal cielo il messaggio della nuova letizia, anche per noi: «Non temete! Ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà per tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore» (Luc. 2, 10-11).                      

Publié dans:NATALE (QUALCOSA SUL), PAPA PAOLO VI |on 15 décembre, 2010 |Pas de commentaires »

Solennità dei SS. Apostoli Pietro e Paolo – Omelia di Paolo VI (1976)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/homilies/1976/documents/hf_p-vi_hom_19760629_it.html

XIII ANNIVERSARIO DELL’INCORONAZIONE DI PAOLO VI

OMELIA DI PAOLO VI

Solennità dei SS. Apostoli Pietro e Paolo

Martedì, 29 giugno 1976

Noi celebriamo oggi la festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo. Quale immenso tema di meditazione! quale giocondo motivo di spirituale celebrazione! quale classica ragione di ecclesiale fiducia! Per noi Romani la festa si arricchisce di altri due titoli: che essi furono nostri concittadini, Romani anch’essi di adozione e di ministero; e che a Roma coronarono la loro vita col martirio nel nome di Gesù Cristo. Ed ecco, a questo supremo ricordo, scaturisce una polla di annose e grandi questioni: quando fu consumato tale martirio? dove? e come? e quale la vicenda e la sorte delle loro tombe e delle loro reliquie? Questioni storiche, archeologiche, letterarie, religiose di grande interesse, assai documentate, assai discusse, i cui vari e a volte contestati aspetti non infirmano il culto tributato in Roma e nella Chiesa intera a questi sommi eroi della fede, ma lo confermano e lo ravvivano.

A questo nostro tempo inoltre è stata data la fortuna di raggiungere, per ciò che riguarda San Pietro, la certezza, di cui si è fatto araldo il nostro venerato predecessore, Papa Fio XII di venerata memoria (Cfr. PIO XII, Discorsi e Radiomessaggi, XII, 380), circa la collocazione della tomba dell’Apostolo Pietro in questo venerabile luogo, dove sorge questa solenne basilica a lui dedicata, e dove noi ora ci troviamo in preghiera; prova questa incontestabile della permanenza dell’Apostolo nell’Urbe, oggetto da parte di alcuni studiosi di critica negativa, che sembra farsi sempre più silenziosa. Inoltre a noi è toccata un’altra fortuna, quella di essere rassicurati dei risultati che sembrano positivi delle assidue ed erudite ricerche circa l’identificazione e l’autenticità delle veneratissime residue reliquie del beato Pietro, Simone figlio di Giovanni, l’umile pescatore di Galilea, il discepolo e quindi l’apostolo, eletto da Gesù Cristo stesso per essere capo del gruppo dei suoi primi qualificati seguaci, e posto a fondamento dell’edificio, chiamato Chiesa, che Cristo si è proposto di costruire e da lui garantito indenne nel misterioso conflitto con le potestà delle tenebre.

Riconoscenti a quanti hanno merito in questa ardua esplorazione, noi accogliamo con riverenza e con gioia l’esito di così significativo avvenimento archeologico, che conforta con nuovi argomenti storici e scientifici la secolare convinzione del culto qui professato al Principe degli Apostoli, e vi ravvisa una conferma e un presagio della sua drammatica, ma vittoriosa missione di propagare il nome di Cristo nella storia e nel mondo.

Ed è proprio su questa missione, che oggi vogliamo fermare, anche per un solo istante, la vostra attenzione, venerati Fratelli e Figli carissimi, la vostra devozione. Noi possiamo collegare tale missione ad una parola istituzionale e profetica di Cristo, che principalmente, ma non esclusivamente, a Pietro si riferisce. E la parola è quella di Gesù Cristo prima del suo congedo dalla umana conversazione; è registrata da San Luca nel primo capitolo degli Atti degli Apostoli, il primo libro della storia della Chiesa, là dove il Signore risorto dice ai suoi: «voi sarete miei testimoni» (Act. 1, 8). Questa è una parola che ritorna frequente nell’economia della nostra religione, per quanto si riferisce ai suoi titoli originari e trascendenti, quelli della rivelazione, e alla sua fedele e perenne trasmissione. La tradizione cristiana, la diffusione e l’insegnamento della fede, la sua interiore e umana certezza, suffragata dal carisma dello Spirito Santo e dall’autorità divinamente stabilita del magistero della Chiesa cattolica, si riferiscono essenzialmente all’istituzione d’una testimonianza qualificata, che serve da tramite, da veicolo, da garanzia alla Verità, di cui solo alcuni, gli Apostoli, e i fedeli contemporanei «preordinati da Dio» (Act. 10, 41) ebbero diretta e sensibile esperienza. Da questa sperimentale realtà di fatto nasce il messaggio, nasce il «Kerigma», cioè una predicazione, una parola da trasmettere; la potestà ed insieme il dovere di comunicare ad altri la parola di verità conosciuta; nasce l’apostolato, quale sorgente genetica della fede.

Gesù darà a Pietro la celebre consegna, successiva alla pavida negazione di lui: «Tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» (Luc. 22, 32); e poi, dopo la risurrezione e la triplice riparatrice professione d’amore, la triplice investitura pastorale: «pasci il mio gregge» (Cfr. Io. 21, 17). Pietro si sentirà ormai dominato da questa interiore imperiosa coscienza; il timido discepolo sarà ormai l’inflessibile testimonio, l’impavido apostolo: «noi non possiamo tacere – egli affermerà – quello che abbiamo visto e ascoltato» (Act. 4, 20); «noi siamo testimoni di tutte le cose da Lui, Gesù Cristo, compiute . . .» (Ibid. 10. 39).

La documentazione potrebbe ancora essere assai ricca e potrebbe confortarci con l’esortazione alla fermezza nelle tribolazioni stesse, che possono provenire dalla professione della fede trasmessa dall’Apostolo alla Chiesa nascente: «Chi potrà farvi del male – egli scrive – se sarete ferventi nel bene? E se anche doveste soffrire per la giustizia, beati voi . ..! Beati voi, se siete insultati per il nome di Cristo . . . Se uno soffre come cristiano, non ne arrossisca; glorifichi anzi Dio per questo nome» (1 Petr. 3, 13; 4, 14-16). Il discepolo è diventato maestro e apostolo; e da apostolo animatore, e poi martire. E martire significa appunto testimonio, ma, nel linguaggio cristiano, da Stefano in poi s’intende testimonio nel sangue, come lo fu Pietro stesso, conforme alla profezia a lui fatta da Gesù medesimo (Io. 21, 18-19). «Cum autem senueris . . . alius cinget te . . .».

Due conclusioni ci sia concesso trarre da questo fugace accenno alla qualifica di testimonio attribuita da Cristo ai suoi Apostoli, ed in primo luogo a Pietro ed a Paolo, dei quali celebriamo la sempre gloriosa festività. La prima conclusione riguarda l’equazione che possiamo, in certa misura, stabilire fra l’apostolato e l’evangelizzazione, per riscontrare la potestà di magistero nella Chiesa apostolica e in quella che ne è legittimamente derivata, con le facoltà d’insegnamento, di interpretazione e di intrinseco sviluppo circa la rivelazione cristiana, nelle sue parole e nei suoi fatti, e sempre nella sua suprema esigenza di autenticità. Questo, lo sappiamo, è uno dei punti forti della cultura contemporanea e della discussione ecumenica del nostro tempo; forte per la controversia che vorrebbe ammorbidire la saldezza del magistero ecclesiastico, che si rifà a quello apostolico; lo si vorrebbe più flessibile, più docile alla storia, più relativo alla moda del pensiero, più pluralistico, più libero; cioè guidato da criteri soggettivi e storicisti, e punto vincolato a formulazioni d’un magistero tradizionale che si appella ad una dottrina rivelata e divina; e forte per l’atteggiamento storicamente e logicamente coerente, con cui la Chiesa di Pietro tutela il «deposito» dottrinale che le è affidato (Cfr. 1 Tim. 6, 20; 2 Tim. 1, 14): non è ostinazione la sua, non arretratezza, non incomprensione delle evoluzioni del pensiero umano; è fermezza al Pensiero divino, è fedeltà, e perciò verità e vita, anche per il tempo nostro.

L’altra conclusione riguarda l’ampiezza che il termine «apostolato» deve assumere, inteso non nel senso di potestà d’insegnamento, affidata a coloro che «lo Spirito Santo ha posti come vescovi a pascere la Chiesa di Dio» (Act. 20, 28); ma nel senso di dovere di diffondere l’annuncio evangelico; esaltante dovere che nasce in ogni cristiano, battezzato e cresimato, chiamato come membro vivo della Chiesa a contribuire, come insegna il Concilio, alla edificazione della Chiesa stessa (Cfr. Lumen Gentium, 3 3 ; Apostolicam Actuositatem, 1, 9, 10, etc.; Ad Gentes, 21; etc. Cfr. etiam Eph. 4, 7; 1 Cor. 9, 16; etc.). Ogni cristiano, secondo le sue personali e sociali condizioni, dev’essere testimonio di Cristo; dovere questo che l’essere fanciullo, giovane, uomo, donna, impegnato in uffici secolari, o impedito da particolari doveri, o infermità, non dispensa dal suo compimento. Non indolenza, non timidezza, non scetticismo, non animosità critica e contestatrice, o altro sentimento negativo deve paralizzare, oggi specialmente, l’esercizio dell’apostolato, cioè la testimonianza personale, familiare, collettiva del buon esempio, dell’osservanza dei doveri religiosi, della professione, tacita almeno ma trasparente, della propria fede cristiana, dallo stile di vita, retto, buono, cortese, premuroso della carità (Cfr. J. ESQUERDA BIFFET, Noi siamo testimoni, Marietti, 1976). Cosciente di questa comune vocazione, nessuno si esima da questo fondamentale dovere della testimonianza personale e cattolica al nome di Cristo nella semplice, ferma, solidale comunione con gli Apostoli, di cui noi celebriamo, con la memoria liturgica, la successione storica ed ecclesiale; e nessuno di voi, venerati Fratelli e Figli carissimi, tralasci di offrire a Cristo, mediante l’invocata intercessione degli Apostoli Pietro e Paolo, per questo umile loro successore, che vi parla, una preghiera, affinché egli sia fedele nell’ufficio gravissimo che gli è stato affidato, per il bene della Chiesa e del mondo. Egli oggi ricambia la vostra carità, sempre nel nome degli Apostoli, con la sua speciale, specialissima Benedizione (Cfr. 1 Cor. 4, 2; 9, 27; Eph. 4, 3).

SOLENNITÀ DEI SS. APOSTOLI PIETRO E PAOLO – OMELIA DI PAOLO VI (1977)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/homilies/1977/documents/hf_p-vi_hom_19770629_it.html

SOLENNITÀ DEI SS. APOSTOLI PIETRO E PAOLO

OMELIA DI PAOLO VI

Mercoledì, 29 giugno 1977

Sospendiamo un momento il rito, com’è saggiamente prescritto, per meditarne, per penetrarne, con qualche pensiero, con una vigilante preghiera, il senso.

Il rito che cosa ci presenta? Ci presenta due personaggi, i due apostoli Pietro e Paolo, ai quali Roma fa risalire le proprie origini cristiane, la propria fede religiosa. Essi sono testimoni; possiamo ad entrambi riferire, sebbene a titolo personale differente, le parole del Signore al gruppo degli apostoli, prima della sua ascensione: «voi mi sarete testimoni …» (Act. 1, 8). A loro è conferita una missione specifica, quella di diffondere un messaggio, quello evangelico, una Parola; una dottrina, una Verità, che «lo Spirito di Verità» direttamente loro insegnerà (Io. 16, 13), con il potere simultaneo di promulgare certi riti, i sacramenti, comunicativi di effetti soprannaturali.

Noi, oggi, solennemente li ricordiamo; e tutto quanto qui è offerto alla nostra immediata sensibilità ci stimola a celebrarne con carattere festivo la memoria storica, veneranda, gloriosa; è la loro festa che noi vogliamo esaltare; e tutto ce ne offre motivo: il ritmo annuale del tempo, che ci ricorda essere questo giorno benedetto legato alla ricorrenza della memoria apostolica, e la nostra presenza nelle basiliche monumentali erette sulle tombe degli Apostoli stessi ravviva così il nostro pensiero sulle loro sante figure che ci è spontaneo ripensare quasi vive fra noi; e poi la storia plurisecolare che fa capo a questi due annunziatori del Vangelo nell’Urbe ci sembra assumere quasi una reale attualità davanti ai nostri occhi lieti e stupiti di contemplarne il panorama; e la pietà infine, donde scaturisce sulle labbra di tutti una qualche orazione per ottenere l’intercessione dei Santi Apostoli, accresce, fino a riempirne i nostri animi, la fiducia della nostra conversazione con loro, S. Pietro e S. Paolo.

Tutto questo è vero, e sta bene. È festa la nostra, e il gaudio festivo non solo ne caratterizza la liturgia, ma lo spirito di chi la vive e la esprime. Lasciamo perciò che questo nostro sforzo di attenzione si risolva innanzi tutto in un sentimento di interiore sicurezza. O, per meglio dire, di fede. Siamo circondati da segni, da stimoli, che valgono a svegliarla, a confortarla. La religione qui assume un accento di gioiosa certezza, che viene a noi propizia nella solitudine spirituale, propria del nostro secolo, nell’assuefazione alla mentalità vacillante e desolante del malinteso soggettivismo, pluralismo lo chiamano, in fatto di religione, il quale concede a ciascuno di pensare alla fede come meglio piace al proprio arbitrio critico, o meglio alla propria fantasia affrancata dall’inequivocabile precisione del dogma cattolico. Qui la fede, riportata alle sue sorgenti apostoliche e all’autorità magistrale che la professa, la difende e la insegna, riacquista la sua obiettiva consistenza, garantita dalla parola originaria di Cristo: «Chi ascolta voi, ascolta me» (Luc. 10, 16). La personalità del fedele, che accetta, che crede e che cerca di conformare la vita alla propria fede, attinta alla sorgente della Verità trascendente (Gal. 2, 16; 3, 11) si ricompone e diventa forte; forte per asserire, per diffondere questo stupendo complesso di verità, che appunto è la chiave d’interpretazione, di spiegazione superiore del mondo e del destino umano; è l’irradiazione missionaria della fede, è la ragione del programma apostolico della Chiesa. Noi conosciamo il carattere specialissimo dei poteri di evangelizzazione conferiti da Cristo ai suoi discepoli, tra i quali dodici, ch’Egli insignì del titolo di apostoli (Luc. 6, 13), con particolare riguardo a Pietro, pastore dei pastori (Io. 21, 17; Luc. 22, 32; Act. 1, 15; etc.), e con singolare autorità anche a Paolo, come egli scrive di sé: «positus sum ego praedicator et apostolus . . . doctor gentium in fide et veritate» (1 Tim. 2, 7; Rom. 15, 16; cfr. JOURNET, L’Eglise du Verbe Incarné, I, 180 ss.).

Noi conosciamo come non solo il nome, ma il ministero altresì dei due massimi Apostoli sia legato a Roma (confronta la lettera di S. Paolo ai Romani e la sua prigionia a Roma – Act. 28), e come la controversia circa la tomba di S. Pietro sia felicemente conclusa per rivendicarne la sede e la storia precisamente nelle fondamenta della basilica, che appunto ci accoglie dove il Principe degli Apostoli ebbe la sua sepoltura e il suo michelangiolesco mausoleo.

E certamente è a tutti noto come la storia della religione cattolica cioè della Chiesa abbia in questa Basilica il suo centro locale e spirituale. Noi possiamo qui ripetere con sempre commovente convinzione e quasi con sensibile conferma la parola di S. Ambrogio: «ubi Petrus, ibi Ecclesia». La ripeteremo questa riassuntiva parola per ritrovare nella memoria apostolica la virtù di cui oggi ha bisogno la Chiesa che vive e che soffre. La promessa che Gesù Cristo stesso ebbe per i suoi due Apostoli di predilezione: «Io ho pregato per Te», Pietro (Luc. 22, 32); e a riguardo di Paolo: «costui è per me uno strumento eletto per portare davanti ai popoli, ai re, e ai figli d’Israele il mio nome . . .» (Act. 9, 15), ancora fa garanzia anche per noi, bisognosi come siamo di fortezza, nella fede, nell’unità, nella carità. È promessa, è conforto per noi che dagli Apostoli deriviamo la natura e l’urgenza del nostro mandato apostolico; è invito, è messaggio che non dobbiamo portare al nostro tempo, ai nostri fratelli, predisposti forse dallo stesso spirito di vertigine che li travolge ad arrendersi alla nostra fortuna apostolica.

Così sia, così sia, con la nostra Benedizione!

DOMENICA 27 GIUGNO 2010 – XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

DOMENICA 27 GIUGNO 2010 - XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO dans Lettera ai Galati 1396911888

Una foto ingiallita dell’immediato primo dopoguerra descrive una salita a Gerusalemme

http://pierostefani.myblog.it/archive/2007/01/07/salire-a-gerusalemme-01-04-07.html

DOMENICA 27 GIUGNO 2010 – XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

MESSA DEL GIORNO LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/ordinC/C13page.htm

MESSA DEL GIORNO:

Seconda Lettura  Gal 5, 1.13-18
Siete stati chiamati alla libertà

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati
Fratelli, Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù.
Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri. Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: «Amerai il tuo prossimo come te stesso». Ma se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!
Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste.
Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge.

http://www.bible-service.net/site/377.html

 Galates 5,1..18
 
À une communauté perturbée et divisée au sujet du salut, Paul rappelle fermement que seule la croix du Christ est la source du salut. Ce ne sont pas les pratiques anciennes du judaïsme (notamment la circoncision) qui libèrent l’homme mais l’accueil gratuit du don de Dieu manifesté en Jésus et répandu en nos cœurs par l’Esprit Saint.
« En vous laissant conduire par l’Esprit, vous n’êtes plus sujets de la Loi. » Pour l’homme, la vraie liberté est de se laisser conduire par l’Esprit, ainsi il échappe au sectarisme d’une application littérale de la Loi, et au laxisme séduisant mais destructeur.

Lorsqu’on vit selon l’Esprit, on ne devient plus esclave de la Loi, de sa lettre, mais on vit la Loi autrement, selon ce qu’elle est réellement. Ce passage, Paul veut que les Galates le fassent pour vivre réellement en enfants de Dieu. Le but de Paul est de faire d’eux des hommes libres : ce n’est pas en se soumettant à la Loi qu’ils se libèrent de leur égoïsme, mais de ce qu’ils doivent se libérer en réalité.

Galati 5,1..18

Ad una comunità turbata e divisa a proposito della salvezza, Paolo ricorda fermamente che solo la croce del Cristo è la sorgente della salvezza. Non sono le pratiche antiche del giudaismo ( particolarmente la circoncisione) che liberano l’uomo ma l’accoglienza gratuita del dono di Dio manifestata in Gesù e diffuso nei nostri cuori attraverso lo Spirito Santo.

“… se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge «   Per l’uomo, la vera libertà è di lasciarsi condurre dallo Spirito, così sfugge al settarismo di un’applicazione letterale della Legge, ed al lassismo seducente ma distruttore.

Quando si vive secondo lo Spirito, non si diventa più schiavo della Legge, della sua lettera, ma si vive la Legge diversamente, (ossia) secondo ciò che è realmente. In questo passaggio Paolo vuole che i Galati lo facciano per vivere realmente come figli di Dio. Lo scopo di Paolo è di fare di essi degli uomini liberi:  non è nel sottomettersi alla Legge che essi si liberano dal loro egoismo, ma di questo si devono liberare in realtà (secondo lo Spirito, direi)

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di Paolo VI, papa    (Manila, 29 novembre 1970)

(citazioni di Paolo)

Noi predichiamo Cristo a tutta la terra
«Guai a me se non predicassi il Vangelo!» (1 Cor 9, 16). Io sono mandato da lui, da Cristo stesso per questo. Io sono apostolo, io sono testimone. Quanto più è lontana la meta, quanto più difficile è la mia missione, tanto più urgente è l’amore che a ciò mi spinge. Io devo confessare il suo nome: Gesù è il Cristo, Figlio di Dio vivo (cfr. Mt 16, 16). Egli è il rivelatore di Dio invisibile, è il primogenito d’ogni creatura (cfr. Col 1, 15). E’ il fondamento d’ogni cosa (cfr. Col 1, 12). Egli è il Maestro dell’umanità, e il Redentore. Egli è nato, è morto, è risorto per noi. Egli è il centro della storia e del mondo. Egli è colui che ci conosce e che ci ama. Egli è il compagno e l’amico della nostra vita. Egli è l’uomo del dolore e della speranza. E’ colui che deve venire e che deve un giorno essere il nostro giudice e, come noi speriamo, la pienezza eterna della nostra esistenza, la nostra felicità. Io non finirei più di parlare di lui. Egli è la luce, è la verità, anzi egli è «la via, la verità, la vita» (Gv 14, 6). Egli è il pane, la fonte d’acqua viva per la nostra fame e per la nostra sete, egli è il pastore, la nostra guida, il nostro esempio, il nostro conforto, il nostro fratello. Come noi, e più di noi, egli è stato piccolo, povero, umiliato, lavoratore e paziente nella sofferenza. Per noi egli ha parlato, ha compiuto miracoli, ha fondato un regno nuovo, dove i poveri sono beati, dove la pace è principio di convivenza, dove i puri di cuore e i piangenti sono esaltati e consolati, dove quelli che aspirano alla giustizia sono rivendicati, dove i peccatori possono essere perdonati, dove tutti sono fratelli.
Gesù Cristo: voi ne avete sentito parlare, anzi voi, la maggior parte certamente, siete già suoi, siete cristiani. Ebbene, a voi cristiani io ripeto il suo nome, a tutti io lo annunzio: Gesù Cristo è il principio e la fine; l’alfa e l’omega. Egli è il re del nuovo mondo. Egli è il segreto della storia. Egli è la chiave dei nostri destini. Egli è il mediatore, il ponte fra la terra e il cielo; egli è per antonomasia il Figlio dell’uomo, perché egli è il Figlio di Dio, eterno, infinito; è il Figlio di Maria, la benedetta fra tutte le donne, sua madre nella carne, madre nostra nella partecipazione allo Spirito del Corpo mistico.
Gesù Cristo! Ricordate: questo è il nostro perenne annunzio, è la voce che noi facciamo risuonare per tutta la terra, e per tutti i secoli dei secoli.

Responsorio   2 Tm 1, 10; Gv 1, 16; Col 1, 16-17
R. Gesù Cristo nostro salvatore ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’immortalità per mezzo del Vangelo. * Dalla sua pienezza, noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia.
V. Tutto è stato creato per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui.
R. Dalla sua pienezza, noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia.

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