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PAPA FRANCESCO: « NON AVERE PAURA DI ANNUNCIARE CRISTO NELLE OCCASIONI OPPORTUNE COME IN QUELLE INOPPORTUNE »

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PAPA FRANCESCO TRAMITE CARD. BERTONE, MESSAGGIO AL MEETING DI RIMINI

« NON AVERE PAURA DI ANNUNCIARE CRISTO NELLE OCCASIONI OPPORTUNE COME IN QUELLE INOPPORTUNE »

Il Messaggio di Papa Francesco per la 34° edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli, inaugurato oggi a Rimini

Citta’ del Vaticano, 18 Agosto 2013 (Zenit.org) | 3 hits

Pubblichiamo di seguito il Messaggio inviato oggi da Papa Francesco a mons. Francesco Lambiasi, vescovo di Rimini, in occasione della 34° edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli, che si è aperta questa mattina nella città romagnola sul tema «Emergenza uomo». Il Messaggio è a firma del Cardinale Segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Di seguito il testo integrale:

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Eccellenza Reverendissima,
con gioia trasmetto il cordiale saluto del Santo Padre Francesco a Vostra Eccellenza, agli organizzatori e a tutti i partecipanti al Meeting per l’Amicizia fra i Popoli, giunto alla XXXIV edizione. Il tema scelto – «Emergenza uomo» – intercetta la grande urgenza di evangelizzazione di cui più volte il Santo Padre ha parlato, nella scia dei Suoi Predecessori, e ha suscitato in Lui profonde considerazioni che di seguito riporto.
L’uomo è la via della Chiesa: così il beato Giovanni Paolo II scriveva nella sua prima Enciclica, Redemptor hominis (cfr n. 14). Questa verità rimane valida anche e soprattutto nel nostro tempo in cui la Chiesa, in un mondo sempre più globalizzato e virtuale, in una società sempre più secolarizzata e priva di punti di riferimento stabili, è chiamata a riscoprire la propria missione, concentrandosi sull’essenziale e cercando nuove strade per l’evangelizzazione.
L’uomo rimane un mistero, irriducibile a qualsivoglia immagine che di esso si formi nella società e il potere mondano cerchi di imporre. Mistero di libertà e di grazia, di povertà e di grandezza. Ma che cosa significa che l’uomo è « via della Chiesa »? E soprattutto, che cosa vuol dire per noi oggi percorrere questa via?
L’uomo è via della Chiesa perché è la via percorsa da Dio stesso. Fin dagli albori dell’umanità, dopo il peccato originale, Dio si pone alla ricerca dell’uomo. «Dove sei?»– chiede ad Adamo che si nasconde nel giardino (Gen 3,9). Questa domanda, che compare all’inizio del Libro della Genesi, e che non smette di risuonare lungo tutta la Bibbia e in ogni momento della storia che Dio, nel corso dei millenni, ha costruito con l’umanità, raggiunge nell’incarnazione del Figlio la sua espressione più alta. Afferma sant’Agostino nel suo commento al Vangelo di Giovanni: «Rimanendo presso il Padre, [il Figlio] era verità e vita; rivestendosi della nostra carne, è diventato via» (I, 34,9). È dunque Gesù Cristo «la via principale della Chiesa», ma poiché Egli «è anche la via a ciascun uomo», l’uomo diventa «la prima e fondamentale via della Chiesa» (cfr Redemptor hominis, 13-14).
«Io sono la porta», afferma Gesù (Gv 10,7):io sono, cioè, il portale d’accesso ad ogni uomo e ad ogni cosa. Senza passare attraverso Cristo, senza concentrare su di Lui lo sguardo del nostro cuore e della nostra mente, non capiremmo nulla del mistero dell’uomo. E così, quasi inavvertitamente, saremo costretti a mutuare dal mondo i nostri criteri di giudizio e di azione, e ogni volta che ci accosteremo ai nostri fratelli in umanità saremo come quei « ladri e briganti » di cui parla Gesù nel Vangelo (cfr Gv 10,8). Anche il mondo infatti è, a suo modo, interessato all’uomo. Il potere economico, politico, mediatico ha bisogno dell’uomo per perpetuare e gonfiare se stesso. E per questo spesso cerca di manipolare le masse, di indurre desideri, di cancellare ciò che di più prezioso l’uomo possiede: il rapporto con Dio. Il potere teme gli uomini che sono in dialogo con Dio poiché ciò rende liberi e non assimilabili.
Ecco allora l’emergenza-uomo che il Meeting per l’Amicizia fra i Popoli pone quest’anno al centro della sua riflessione: l’urgenza di restituire l’uomo a se stesso, alla sua altissima dignità, all’unicità e preziosità di ogni esistenza umana dal concepimento fino al termine naturale. Occorre tornare a considerare la sacralità dell’uomo e nello stesso tempo dire con forza che è solo nel rapporto con Dio, cioè nella scoperta e nell’adesione alla propria vocazione, che l’uomo può raggiungere la sua vera statura. La Chiesa, alla quale Cristo ha affidato la sua Parola e i suoi Sacramenti, custodisce la più grande speranza, la più autentica possibilità di realizzazione per l’uomo, a qualunque latitudine e in qualunque tempo.
Che grande responsabilità abbiamo! Non tratteniamo per noi questo tesoro prezioso di cui tutti, consapevolmente o meno, sono alla ricerca. Andiamo con coraggio incontro agli uomini e alle donne del nostro tempo, ai bambini e agli anziani, ai « dotti » e alla gente senza alcuna istruzione, ai giovani e alle famiglie. Andiamo incontro a tutti, senza aspettare che siano gli altri a cercarci! Imitiamo in questo il nostro divino Maestro, che ha lasciato il suo cielo per farsi uomo ed essere vicino ad ognuno. Non solo nelle chiese e nelle parrocchie, dunque, ma in ogni ambiente portiamo il profumo dell’amore di Cristo (cfr 2Cor 2,15). Nelle scuole, nelle università, nei luoghi di lavoro, negli ospedali, nelle carceri; ma anche nelle piazze, sulle strade, nei centri sportivi e nei locali dove la gente si ritrova. Non siamo avari nel donare ciò che noi stessi abbiamo ricevuto senza alcun merito! Non dobbiamo avere paura di annunciare Cristo nelle occasioni opportune come in quelle inopportune (cfr 2Tm 4,2), con rispetto e con franchezza.
È questo il compito della Chiesa, è questo il compito di ogni cristiano: servire l’uomo andando a cercarlo fin nei meandri sociali e spirituali più nascosti. La condizione di credibilità della Chiesa in questa sua missione di madre e maestra è, però, la sua fedeltà a Cristo. L’apertura verso il mondo è accompagnata, e in un certo senso resa possibile, dall’obbedienza alla verità di cui la Chiesa stessa non può disporre. « Emergenza uomo », allora, significa l’emergenza di tornare a Cristo, di imparare da Lui la verità su noi stessi e sul mondo, e con Lui e in Lui andare incontro agli uomini, soprattutto ai più poveri, per i quali Gesù ha sempre manifestato predilezione. E la povertà non è solo quella materiale. Esiste una povertà spirituale che attanaglia l’uomo contemporaneo. Siamo poveri di amore, assetati di verità e giustizia, mendicanti di Dio, come sapientemente il servo di Dio mons. Luigi Giussani ha sempre sottolineato. La povertà più grande infatti è la mancanza di Cristo, e finché non porteremo Gesù agli uomini avremo fatto per loro sempre troppo poco.
Eccellenza, mi auguro che questi brevi pensieri possano essere di aiuto per coloro che prendono parte al Meeting. Sua Santità Francesco assicura a tutti la Sua vicinanza nella preghiera e il Suo affetto; auspica che gli incontri e le riflessioni di questi giorni possano accendere nei cuori di tutti i partecipanti un fuoco che alimenti e sostenga la loro testimonianza del Vangelo nel mondo. E di cuore invia a Lei, ai responsabili e agli organizzatori della manifestazione, come pure a tutti i presenti, una particolare Benedizione Apostolica.

Unisco anch’io un cordiale saluto e mi valgo della circostanza per confermarmi con sensi di distinto ossequio dell’Eccellenza Vostra Reverendissima dev.mo nel Signore.

Tarcisio Card. Bertone
Segretario di Stato di Sua Santità

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A Sua Eccellenza Reverendissima
Mons. FRANCESCO LAMBIASI
Vescovo di Rimini

LA FEDE? E’ «QUELLA VECCHIETTA CIECA» CHE MI INVITA A CAMMINARE CON LEI…Prospettive…Lumen Fidei

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LA FEDE? E’ «QUELLA VECCHIETTA CIECA» CHE MI INVITA A CAMMINARE CON LEI

PROSPETTIVE NELL’OTTICA DELLA « LUMEN FIDEI » DI PAPA FRANCESCO

Roma, 08 Luglio 2013 (Zenit.org) Manlio Sodi

«Semina nella nostra fede la gioia del Risorto» (Lumen fidei 59)

“Mistero della fede”! Con questa espressione in ogni Eucaristia l’assemblea è provocata a rinnovare – professandoli – gli elementi essenziali della propria fede, ricevuta e da trasmettere nel tempo. Un “anno della fede” può costituire di fatto un’occasione per cogliere alcuni ulteriori aspetti di un itinerario che avvolge e coinvolge chiunque si ponga al seguito del Maestro.
È un itinerario, quello della fede, che non termina mai; un itinerario però che incontra come suo sostegno due realtà essenziali nella vita della Chiesa: i sacramenti e l’anno liturgico. Se isacramenti infatti sono i segni della fede, i segni che permettono una crescita nell’itinerario di fede e che accompagnano il credente lungo il suo percorso vitale, dalla nascita alla morte, l’anno liturgico costituisce il perenne anno della fede, in quanto permette la celebrazione rinnovata e sempre viva del mistero di Cristo.
Dopo la celebrazione del Grande Giubileo dell’anno Duemila, che ha coinvolto la Chiesa in tutte le sue fibre e organizzazioni, si sono succeduti altri “anni”: quello dell’Eucaristia, di san Paolo, del sacerdozio… e ora la Chiesa sta vivendo quello della fede (2012-2013). L’occasione è contingente; mentre l’obiettivo rinvia ai grandi valori che danno senso alla vitalità della Chiesa. L’occasione contingente è costituita dal 50° del Vaticano II e dal 20° del Catechismo della Chiesa Cattolica; ma è l’obiettivo che chiama in causa l’educatore. Gli anniversari sono fugaci quanto lo scorrere del tempo; è il loro contenuto, invece, che costituisce il termine di confronto perché anche da tali appuntamenti si rinvigorisca l’itinerario di fede e di vita costituito dall’anno liturgico.
In questa linea, pertanto, possiamo articolare una riflessione attorno a cinque passaggi. Il 29 giugno 2013, nella solennità degli apostoli Pietro e Paolo, papa Francesco ha firmato l’EnciclicaLumen fidei (= LF). Dopo aver precisato alcuni aspetti del documento (I), si accenna al fatto che la liturgia è celebrazione della fede (II), e si evidenzia il ruolo pedagogico che essa svolge (III); un ruolo che affonda radici ed elabora contenuti nella celebrazione del memoriale (IV) per realizzare – anche attraverso la dimensione dell’esemplarità – il traguardo della divinizzazione (V). Nella stessa prospettiva, pertanto, la celebrazione della fede divienemagistra omnium credentium: se è tale, quali conseguenze ne derivano?
Lasciamoci provocare, anzitutto, dalla notissima composizione del Trilussa (Carlo Alberto Salustri, Roma 1871-1950) che invita ad una riflessione più profonda di quanto non possiamo immaginare a prima vista o ad primo ascolto:

Quella vecchietta cieca, che incontrai
la notte che me spersi in mezzo ar bosco,
me disse: – Se la strada nun la sai,
te ciaccompagno io, ché la conosco -.
Se ciai la forza de venimme appresso,
de tanto in tanto te darò ‘na voce,
fino là in fonno, dove c’è un cipresso,
fino là in cima, dove c’è la Croce…
Io risposi: – Sarà … ma trovo strano
che me possa guidà chi nun ce vede … -.
La cieca allora me pijò la mano
e sospirò: – Cammina! – Era la Fede.

1. «La luce della fede è quella di un Volto in cui si vede il Padre»

È un’espressione ardita, ma veritiera, quella che leggiamo in LF 30. Il contesto del cap. II dell’Enciclica, a partire da Isaia 7,9 – “Se non crederete, non comprenderete” – invita il lettore a riflettere, tra l’altro, sulla fede come ascolto e visione, prima di sviluppare la riflessione sul tema fede e ragione, fede e ricerca di Dio, fede e teologia, ecc.
«Per il quarto Vangelo, credere è ascoltare e, allo stesso tempo, vedere…». Ascolto e visione dunque sono due aspetti che si compenetrano nell’atto di fede perché attraverso il Cristo, Volto del Padre, il cammino al seguito del Maestro possa essere realizzato sempre più in pienezza, ma nell’ascolto di una Parola di vita e nell’ottica di segni quali sono quelli che costituiscono l’orizzonte sacramentale della fede stessa (come già evidenziava Giovanni Paolo II in Fides et ratio 13 e come ricordato in LF 32).
Infatti, nell’incontro «con il Dio della Parola… la luce diventa la luce di una parola, perché è la luce di un Volto personale, una luce che, illuminandoci, ci chiama e vuole riflettersi nel nostro volto per risplendere dal di dentro di noi» (LF 33). Da qui, allora, la comprensione di quanto leggiamo nel cap. III – “Vi trasmetto quello che ho ricevuto” (cf 1 Cor 15,3) –, insieme ad alcune sfide sollecitate dal cap. IV – “Dio prepara per loro una città” (cf Eb 11,16) –: fede e bene comune, fede e famiglia, fede e vita di società, fede e sofferenza.
L’insieme delle prospettive che l’Enciclica evidenzia costituiscono pertanto un invito concreto ad agire nel quotidiano, ma sempre alla luce di quanto donato nel mistero della vita attraverso la Parola e i sacramenti. Prezioso, al riguardo, il contenuto di LF 55, là dove si è invitati a cogliere “una luce per la vita in società” con due particolari sottolineature:
«Se togliamo la fede in Dio dalle nostre città, si affievolirà la fiducia tra di noi, ci terremmo uniti soltanto per paura, e la stabilità sarebbe minacciata».
«La fede illumina il vivere sociale; essa possiede una luce creativa per ogni momento nuovo della storia, perché colloca tutti gli eventi in rapporto con l’origine e il destino di tutto nel Padre che ci ama».
Nella linea di tutti i precedenti convegni sul “Volto dei Volti” possiamo affermare che l’Enciclica offre ancora una volta un’occasione unica di invito a contemplare il Volto di Cristo nei tanti segni che la vita presenta, e soprattutto a contribuire al diffondersi della sua luce perché «tutte le verità che si credono dicono il mistero della nuova vita della fede come cammino di comunione con il Dio vivente» (LF 45).

2. La liturgia “celebrazione della fede”
All’inizio della seconda parte del Catechismo della Chiesa Cattolica troviamo un titolo emblematico: “La liturgia opera della Ss.ma Trinità”. L’affermazione risulta quanto mai importante per ricordare che l’azione liturgica è opera della Trinità, finalizzata a quel progressivo inserimento del fedele nel mistero trinitario, costituito dal traguardo della divinizzazione.
Accostare e vivere la liturgia come celebrazione della fede implica rinnovare la consapevolezza del ruolo e del significato di tutto ciò che ruota attorno alla liturgia stessa. Dai sacramenti ai sacramentali, dall’anno liturgico alla pietà popolare, dalla lectio divina (che dovrebbe sempre scaturire e ricondurre all’azione liturgica) alle diverse forme di preghiera personale e comunitaria… è tutto un insieme di elementi che costituiscono o che preparano o accompagnano la celebrazione della fede quale si attua in maniera vertice nell’Eucaristia.
«Per trasmettere tale pienezza [della fede] esiste un mezzo speciale, che mette in gioco tutta la persona, corpo e spirito, interiorità e relazioni. Questo mezzo sono i Sacramenti, celebrati nella liturgia della Chiesa. In essi si comunica una memoria incarnata, legata ai luoghi e ai tempi della vita, associata a tutti i sensi; in essi la persona è coinvolta, in quanto membro di un soggetto vivo, in un tessuto di relazioni comunitarie. Per questo, se è vero che i Sacramenti sono i Sacramenti della fede, si deve anche dire che la fede ha una struttura sacramentale. Il risveglio della fede passa per il risveglio di un nuovo senso sacramentale della vita dell’uomo e dell’esistenza cristiana, mostrando come il visibile e il materiale si aprono verso il mistero dell’eterno» (LF 40).
Educare alla fede celebrata implica un insieme di percorsi che chiamano in causa sia chi deve svolgere il ruolo della ministerialità e sia chi partecipa. Il cammino educativo implica l’accostamento dei diversi linguaggi con cui si manifesta e si realizza lo stesso momento sacramentale. Un cammino lungo e impegnativo che non termina mai. La coincidenza di un anno della fede può costituire pertanto un’occasione privilegiata per riannodare quei percorsi formativi che pur da punti di partenza diversi, sono chiamati a convergere verso quest’unico e decisivo incontro con la Ss.ma Trinità quale si attua nell’azione liturgica.
Ricordare e far comprendere che la liturgia è “celebrazione della fede” implica mantenersi in quel dinamismo costante che spinge l’educatore a non ritenersi mai un arrivato, ma a sentirsi sempre in cammino. Per questo si riconferma la definizione dell’anno liturgico come autentico e perenne anno della fede; un “tempo perenne” che – per opera dello Spirito – ha la capacità di mantenere «uniti tra di loro tutti i tempi» e rendere i fedeli «contemporanei di Gesù» (LF 38).

3. La Liturgia… “maestra”?
Un’antica fonte liturgica definisce, tra l’altro, la fides come magistra omnium credentium. L’espressione è stata qui ripresa per richiamare anche il fatto che tale “magistero” si attua nell’azione liturgica; infatti è nel momento liturgico che la fides è celebrata in quanto la fede «ha una struttura sacramentale» (LF 40); è nella celebrazione che la fides si fa sostegno e nutrimento attraverso la Parola e i santi segni; è nei sacramenti che «si comunica una memoria incarnata, legata ai luoghi e ai tempi della vita, associata a tutti i sensi» (LF 40);è nei linguaggi cultuali che la fidessi esplica e si alimenta «mostrando come il visibile e il materiale si aprono verso il mistero dell’eterno» (LF 40); è nella partecipazione dei fideles che la fidestrova un’attualizzazione concreta nella condivisione di scelte di vita all’interno dell’unico movimento di grazia…
Potremmo continuare in questa linea per cogliere la missione della celebrazione della fede, e insieme per verificare le modalità con cui si attua tale impegno nel tempo e nel contesto delle diverse comunità e situazioni di vita.
Da tutto questo emergono almeno quattro aspetti che costituiscono, a loro volta, una linea di azione entro cui l’educatore si ritrova, e attraverso cui l’operatore pastorale cerca di far incontrare il mistero di Dio con il mistero del cuore umano: la liturgia educa alla fede, fa vivere la fede, contribuisce a sviluppare la fede aprendo relazioni sempre nuove:
– Che la liturgia educhi alla fede è un dato di fatto. Nel momento in cui si attua una celebrazione, tutto il contenuto è espressione del mistero della fede, secondo lo specifico momento che sta vivendo il singolo e la communitas. Ma perché la liturgia educhi alla fede è necessario che tutti i suoi linguaggi siano attivati in modo che la loro comprensione permetta un’esperienza sempre più piena del mistero di cui sono veicolo ed esplicitazione.
– Nel momento in cui la liturgia educa a scelte e ad atteggiamenti di fede si realizza anche un vivere la fede. I segni e i simboli che strutturano i vari linguaggi costituiscono il passaggio obbligato perché quel segno sia espressione di una vita nella fede.
– E se la liturgia, di conseguenza, è assunta come magistra, allora in tutto questo si compie un autentico incremento della stessa fides. Ecco perché la celebrazione iterata e permanente dei santi misteri costituisce la costante esperienza della comunità di fede; ecco il motivo per cui l’anno liturgico ogni volta ripropone gli stessi misteri per sorreggere il cammino del credente lungo il suo itinerario nel tempo e nella storia.
– «Chi riceve la fede scopre che gli spazi del suo “io” si allargano, e si generano in lui nuove relazioni che arricchiscono la vita»: l’espressione di LF 39 offre un ulteriore elemento all’orizzonte che il cammino di fede offre, e riconferma quanto asserito proprio in apertura dello stesso n. 39: «È impossibile credere da soli».

4. Dal memoriale all’esemplarità
La celebrazione permanente del mistero della fede, nella molteplicità della sue espressioni costituisce la ricchezza perenne della Chiesa. E lungo il tempo le comunità cristiane hanno saputo integrare la celebrazione dei sacramenti e dell’anno liturgico con altri elementi che si manifestano soprattutto nelle variegate forme della pietà popolare. Nel loro insieme tutte queste realtà scaturiscono dal mistero celebrato e a questo devono ricondurre, dal momento che la liturgia permane come perenne culmen et fons.
Un aspetto che costituisce la base per una inculturazione della fede è costituito dall’esemplarità che la stessa liturgia attua e rilancia.
Nell’insieme dell’anno liturgico si celebrano i misteri della salvezza; al centro è il mistero di Cristo e della Vergine Maria. Ma accanto a questo si pone un’ampia schiera di martiri e di santi che, sia singolarmente che nel loro insieme, costituiscono una pagina davvero unica di “inculturazione” della fede nella singola esistenza del martire, del santo o del beato.
Nell’anno liturgico si presenta al fedele lo scorrere di tante figure che hanno aderito a Cristo; ciascuna è un’autentica “inculturazione” del mistero della fede. Accostare pertanto questa galleria di personaggi costituisce un invito pressante per l’educatore a conoscere ciò che il libro liturgico mette a disposizione.
È in questa linea che nella comunità cristiana deve tornare al centro l’uso e il ruolo del Martirologio Romano (si pensi alle varie figure di santità ricordate nella stessa Enciclica!). La ricchezza dei suoi contenuti, unitamente a quanto racchiuso nelle “Premesse”, può costituire un alimento prezioso per contestualizzare in ogni giorno la molteplicità di forme con cui la fides di tanti fratelli e sorelle è stata testimoniata in tutti i continenti.
Speculare al Martirologio, ovviamente, si pone sia il Messale che la Liturgia delle Ore con la ricchezza biblica propria dei Lezionari. Far interagire quanto racchiuso in questi libri liturgici secondo lo scorrere del Calendario generale e i Calendari particolari – pensiamo ai “calendari propri” delle Famiglie religiose – costituisce la valorizzazione di un segreto che permette di cogliere la perenne e quotidiana novitas della celebrazione memoriale; una novitas che si riflette nelle figure che il Calendario ripropone e che sono “celebrate” perché l’esemplarità sia di sostegno nell’itinerario di fede e di vita.
Se la celebrazione dell’Eucaristia costituisce il centro della vita di fede, non di meno l’incontro con il mistero di Cristo attraverso le tante figure presenti nel Calendario offre la filigrana che permette di cogliere la molteplicità di ricchezza spirituale racchiusa nello stesso mistero e insieme incoraggiare altri, in ogni tempo, a trasformare in vita quanto accolto nell’annuncio e nella celebrazione della fede.

5. Dall’esemplarità alla divinizzazione
Scorrendo le varie lettere di san Paolo incontriamo almeno venti termini che iniziano con syn-cum: dal termine con-sofferente (Rm 8,17) fino a con-corporale (Ef 3,6) passando attraverso ilcon-risuscitato (Ef 2,6), co-edificato (Ef 3,22), ecc. possiamo constatare lo sforzo che l’Apostolo ha saputo attivare per far comprendere il senso e il bisogno di un progressivo inserimento del cristiano nel mistero di Cristo.
Quello che la teologia sintetizza in Occidente con il termine “cristificazione” l’Oriente lo rilancia attraverso il termine “divinizzazione”. Al di là delle prospettive teologiche e dei relativi linguaggi, identico è l’obiettivo: realizzare cioè quella conformazione sempre più piena del fedele al mistero di Cristo quale può essere espresso nel termine sympsykos (unanime, Fil 2,2).
In questo percorso si attua il traguardo della progressiva identificazione al Cristo; e tutto ciò attraverso la prolungata esperienza dei santi misteri che realizzano la celebrazione della fede secondo i ritmi del tempo e secondo le stagioni della vita del fedele.
Cogliere questo dato di fatto è lasciarsi prendere da un dinamismo che ha proprio nell’azione liturgica il segreto per vivere il perenne anno della fede o il momento della fede in vista del compimento pieno nel regno di Dio.
Educare a questa visione è il segreto per cogliere tutta la infinita ricchezza che la celebrazione della fede di fatto racchiude nella molteplicità delle sue forme ed espressioni. Ma è anche far sì che si attivino strategie adeguate perché l’itinerario formativo possa essere condotto con una metodologia attenta ai contenuti e rispettosa dei dinamismi di crescita dei destinatari.

6. La porta della fede è sempre aperta!
La metafora della porta esprime con forza sia l’atto del suo attraversamento, e sia ciò entro cui immette. La porta della fede è sempre aperta, a motivo dell’itinerario costante da attuare; ma è sempre aperta perché il mistero al cui interno essa immette è tale da richiedere un percorso costante… È una porta dunque, ma non sulla falsariga della porta comune che si apre e si chiude, come la porta santa; al contrario, la metafora denota il fatto che il cammino di fede è come una porta continuamente da varcare nella certezza che «la luce della fede è quella di un Volto in cui si vede il Padre» (LF 30, e primo sottotitolo).
Da qui, in conclusione, il dato di fatto costituito dall’azione liturgica. Essa può essere contemplata e soprattutto celebrata e vissuta come il momento-soglia che immette continuamente nel mistero. In questa ottica, allora, anche un anno della fede può identificarsi in quella «vecchietta cieca» che invita però a camminare sulle vie del mondo; ma costituisce pure un richiamo all’itinerario permanente che con tutte le sue implicanze teoriche e pratiche permette di cogliere il senso di quella porta fidei che – sempre aperta – ha bisogno di essere costantemente varcata per cogliere la pienezza del Mistero attraverso la guida e il sostegno dei santi misteri, perché «con la fede noi possiamo toccarlo e ricevere la potenza della sua grazia» (LF 31), e anche perché i cristiani «confessano l’amore concreto e potente di Dio, che opera veramente nella storia e ne determina il destino finale, amore che si è fatto incontrabile, che si è rivelato in pienezza nella Passione, Morte e Risurrezione di Cristo» (LF 17).

Indicazioni bibliografiche essenziali
I primi documenti da tenere in attenta considerazione sono i libri liturgici; essi contengono il linguaggio della fede espressa attraverso i testi che la Chiesa usa per celebrare il mysterium fidei. In editio typica o in edizione in lingua nazionale, il libro liturgico – a cominciare dal Lezionario – costituisce il punto di partenza per comprendere il rapporto tra fides et actio. In questa linea si pongono i periodici – come ad esempio la Rivista Liturgica in Italia (www.rivistaliturgica.it) – che hanno elaborato studi per far conoscere le ricchezze racchiuse nel libro liturgico.
Altri strumenti preziosi sono costituiti dai Dizionari che in ambito liturgico hanno arricchito l’orizzonte della formazione offrendo materiali preziosi per una riflessione attenta a tutto il mondo della liturgia (si pensi, ad esempio, al Dizionario di Liturgia, San Paolo, Milano 2001, con le tracce di approfondimento di varie tematiche) o della omiletica (si pensi al Dizionario di Omiletica, Ldc-Velar, Torino-Bergamo 2002 [edito anche in Brasile nel 2010, e di prossima edizione adattata in lingua polacca]) e a numerose altre opere che presentano le ricchezze dell’anno liturgico e della liturgia delle Ore o dei singoli sacramenti e sacramentali.
In ordine alla celebrazione della fede per una vita in Cristo è da tener presente anche la pietà popolare come occasione di incontro tra culto e cultura nello specifico dei singoli luoghi ma anche come occasione di educazione alla liturgia, come indicato in Sacrosanctum, Concilium 13. In questa linea la conoscenza e l’applicazione dei principi del Direttorio su pietà popolare e liturgia (Lev, Città del Vaticano 2002) risulterà quanto mai preziosa per favorire tutto ciò che comporta la divinizzazione del fedele in Cristo.

Publié dans:LUMEN FIDEI, PAPA FRANCESCO |on 8 juillet, 2013 |Pas de commentaires »

PAPA FRANCESCO: « L’INTERPRETAZIONE DELLA BIBBIA NON È UN SFORZO INDIVIDUALE, MA INSERITA NELLA TRADIZIONE »

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« L’INTERPRETAZIONE DELLA BIBBIA NON È UN SFORZO INDIVIDUALE, MA INSERITA NELLA TRADIZIONE »

PAPA FRANCESCO RICEVE IN UDIENZA I MEMBRI DELLA PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA CON IL PRESIDENTE MONS. GERHARD LUDWIG MÜLLER

CITTA’ DEL VATICANO, 12 APRILE 2013 (ZENIT.ORG)

Alle ore 12 di oggi, nella Sala dei Papi del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Francesco riceve in Udienza i Membri della Pontificia Commissione Biblica con il Presidente S.E. Mons. Gerhard Ludwig Müller, al termine dell’Assemblea plenaria sul tema « Ispirazione e verità della Bibbia ». Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti nel corso dell’incontro:

***
Eminenza,
Venerato Fratello,
cari Membri della Pontificia Commissione Biblica,

sono lieto di accogliervi al termine della vostra annuale Assemblea plenaria. Ringrazio il Presidente, Arcivescovo Gerhard Ludwig Müller, per l’indirizzo di saluto e la concisa esposizione del tema che è stato oggetto di attenta riflessione nel corso dei vostri lavori. Vi siete radunati nuovamente per approfondire un argomento molto importante: l’ispirazione e la verità della Bibbia. Si tratta di un tema che riguarda non soltanto il singolo credente, ma la Chiesa intera, poiché la vita e la missione della Chiesa si fondano sulla Parola di Dio, la quale è anima della teologia e, insieme, ispiratrice di tutta l’esistenza cristiana.
Come sappiamo, le Sacre Scritture sono la testimonianza in forma scritta della Parola divina, il memoriale canonico che attesta l’evento della Rivelazione. La Parola di Dio, dunque, precede ed eccede la Bibbia. E’ per questo che la nostra fede non ha al centro soltanto un libro, ma una storia di salvezza e soprattutto una Persona, Gesù Cristo, Parola di Dio fatta carne.
Proprio perché l’orizzonte della Parola divina abbraccia e si estende oltre la Scrittura, per comprenderla adeguatamente è necessaria la costante presenza dello Spirito Santo che «guida a tutta la verità» (Gv 16,13). Occorre collocarsi nella corrente della grande Tradizione che, sotto l’assistenza dello Spirito Santo e la guida del Magistero, ha riconosciuto gli scritti canonici come Parola rivolta da Dio al suo popolo e non ha mai cessato di meditarli e di scoprirne le inesauribili ricchezze.
Il Concilio Vaticano II lo ha ribadito con grande chiarezza nella Costituzione dogmatica Dei Verbum: «Tutto quanto concerne il modo di interpretare la Scrittura è sottoposto in ultima istanza al giudizio della Chiesa, la quale adempie il divino mandato e ministero di conservare e interpretare la parola di Dio» (n. 12).
Come ci ricorda ancora la menzionata Costituzione conciliare, esiste un’inscindibile unità tra Sacra Scrittura e Tradizione, poiché entrambe provengono da una stessa fonte: «La sacra Tradizione e la Sacra Scrittura sono strettamente congiunte e comunicanti tra loro. Ambedue infatti, scaturendo dalla stessa divina sorgente, formano, in un certo qual modo, una cosa sola e tendono allo stesso fine. Infatti, la Sacra Scrittura è Parola di Dio in quanto è messa per iscritto sotto l’ispirazione dello Spirito Santo; invece la sacra Tradizione trasmette integralmente la Parola di Dio, affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli Apostoli, ai loro successori, affinché questi, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano. In questo modo la Chiesa attinge la sua certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Sacra Scrittura. Perciò l’una e l’altra devono essere accettate e venerate con pari sentimento di pietà e di riverenza» (ibid., 9).
Ne consegue pertanto che l’esegeta dev’essere attento a percepire la Parola di Dio presente nei testi biblici collocandoli all’interno della stessa fede della Chiesa. L’interpretazione delle Sacre Scritture non può essere soltanto uno sforzo scientifico individuale, ma dev’essere sempre confrontata, inserita e autenticata dalla tradizione vivente della Chiesa. Questa norma è decisiva per precisare il corretto e reciproco rapporto tra l’esegesi e il Magistero della Chiesa. I testi ispirati da Dio sono stati affidati alla Comunità dei credenti, alla Chiesa di Cristo, per alimentare la fede e guidare la vita di carità.
Il rispetto di questa natura profonda delle Scritture condiziona la stessa validità e l’efficacia dell’ermeneutica biblica. Ciò comporta l’insufficienza di ogni interpretazione soggettiva o semplicemente limitata ad un’analisi incapace di accogliere in sé quel senso globale che nel corso dei secoli ha costituito la Tradizione dell’intero Popolo di Dio, che «in credendo falli nequit» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost dogm. Lumen gentium, 12).
Cari Fratelli, desidero concludere il mio intervento formulando a tutti voi i miei ringraziamenti e incoraggiandovi nel vostro prezioso lavoro. Il Signore Gesù Cristo, Verbo di Dio incarnato e divino Maestro che ha aperto la mente e il cuore dei suoi discepoli all’intelligenza delle Scritture (cfr Lc 24,45), guidi e sostenga sempre la vostra attività.
La Vergine Maria, modello di docilità e obbedienza alla Parola di Dio, vi insegni ad accogliere pienamente la ricchezza inesauribile della Sacra Scrittura non soltanto attraverso la ricerca intellettuale, ma nella preghiera e in tutta la vostra vita di credenti, soprattutto in quest’Anno della fede, affinché il vostro lavoro contribuisca a far risplendere la luce della Sacra Scrittura nel cuore dei fedeli. E augurandovi un fruttuoso proseguimento delle vostre attività, invoco su di voi la luce dello Spirito Santo e imparto a tutti voi la mia Benedizione.

BERGOGLIO E DE LUBAC

http://www.zenit.org/it/articles/bergoglio-e-de-lubac

BERGOGLIO E DE LUBAC

Il testo del cardinale Henri De Lubac nelle sue « Meditazioni sulla Chiesa » citato dal futuro Papa Francesco durante il suo intervento alle Congregazioni generali

Roma, 28 Marzo 2013 (Zenit.org)

Il 9 marzo 2013, il cardinal Jorge Mario Bergoglio, nella penultima delle Congregazioni generali dei cardinali, fece un intervento. Il cardinale dell’Avana Jaime Lucas Ortega y Alamino, avendo chiesto all’allora arcivescovo di Buenos Aires il testo, ebbe anche il permesso di renderlo pubblico. In tale scritto diviso in quattro punti, il futuro papa Francesco, nel terzo menzionò «quel male così grave che è la mondanità spirituale» che è «secondo De Lubac, il male peggiore in cui può incorrere la Chiesa».
Il testo, a cui rinvia il cardinale prossimo a essere eletto Papa, è presente nella conclusione di Henri De Lubac, Meditazioni sulla Chiesa, Milano 1955, p. 446-447, riportato qui sotto nella sua integralità:
***
« Mentre in Maria questa umile ed alta perfezione brilla di purissimo splendore, in noi, che siamo ancora appena sfiorati da questo Spirito, essa stenta ad emergere. La Chiesa, materna, non ha mai finito di generarci alla vita dello Spirito.
Ma il pericolo più grande per la Chiesa – per noi, che siamo Chiesa – la tentazione più perfida, quella che sempre rinasce, insidiosamente, allorché tutte le altre sono vinte, alimentata anzi da queste vittorie, è quella che Dom Vonier chiamava «mondanità spirituale». Con questo noi intendiamo, diceva, «un atteggiamento che si presenta praticamente come un distacco dall’altra mondanità, ma il cui ideale morale, nonché spirituale, non è la gloria del Signore, ma l’uomo e la sua perfezione. Un atteggiamento radicalmente antropocentrico; ecco la mondanità dello spirito. Essa diverrebbe imperdonabile nel caso – supponiamolo possibile – di un uomo che sia dotato di tutte le perfezioni spirituali, ma che non le riferisca a Dio».
Se questa mondanità spirituale dovesse invadere la Chiesa e lavorare per corromperla attaccandosi al suo principio stesso, sarebbe infinitamente più disastrosa di ogni mondanità semplicemente morale. Peggio ancora di quella lebbra che, in certi momenti della storia, sfigurò così crudelmente la Sposa diletta, quando la religione pareva introdurre lo scandalo nel «santuario stesso e, rappresentata da un papa libertino, nascondeva sotto pietre preziose, sotto belletti ed orpelli, il volto di Gesù».
Nessuno di noi è totalmente sicuro da questo male. Un umanesimo sottile, avversario di Dio Vivente, e, segretamente, non meno nemico dell’uomo, può insinuarsi in noi attraverso mille vie tortuose. La curvitas originale non è mai in noi definitivamente raddrizzata. Il «peccato contro lo Spirito» è sempre possibile. Ma nessuno di noi si identifica con la Chiesa. Nessun nostro tradimento può consegnare al Nemico la Città che il Signore stesso custodisce ».

Publié dans:PAPA FRANCESCO |on 28 mars, 2013 |Pas de commentaires »

PAPA FRANCESCO NUOVO VESCOVO DI ROMA – IL MESSAGGIO DEL CARDINALE VICARIO AGOSTINO VALLINI ALLA DIOCESI DI ROMA: «IL SIGNORE CONTINUA A VISITARE IL SUO POPOLO»

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PAPA FRANCESCO NUOVO VESCOVO DI ROMA

IL MESSAGGIO DEL CARDINALE VICARIO AGOSTINO VALLINI ALLA DIOCESI DI ROMA: «IL SIGNORE CONTINUA A VISITARE IL SUO POPOLO»

Roma, 14 Marzo 2013 (Zenit.org)

Riportiamo di seguito il testo integrale del messaggio inviato questa mattina dal cardinale vicario Agostino Vallini alla Chiesa di Roma:

***
Carissimi fratelli e sorelle della Chiesa di Roma! Sapete tutti che mercoledì 13 marzo la nostra Chiesa di Roma e l’intero mondo cattolico hanno ricevuto dal Signore un nuovo Pastore. Il suo nome è Francesco. Le campane delle basiliche e delle chiese hanno suonato a festa per esprimere la gioia dell’avvenuta elezione. Ancora una volta Dio ha visitato il suo popolo!
Il nostro primo pensiero è di ringraziamento al Padre della misericordia che ha illuminato i Cardinali elettori nella scelta del nuovo Successore di Pietro. La Chiesa di Roma è lieta di aver ricevuto il suo Vescovo, che la guiderà nelle vie del Vangelo per gli anni a venire.
Al Papa Francesco, all’atto dell’obbedienza dopo l’elezione nella Cappella Sistina, ho promesso fedeltà e affetto anche a nome di tutti voi: vescovi ausiliari, sacerdoti, diaconi, consacrati e laici. Gli ho assicurato che la Chiesa di Roma sarà a lui vicina, non gli farà mancare il calore filiale, accoglierà con fede e docilità la sua guida e lo sosterrà nel portare il formidabile peso che il Signore gli ha messo sulle spalle.
In queste ultime settimane molti avvenimenti ci hanno fatto percepire la vitalità della Chiesa. L’inaspettata rinuncia al pontificato di Benedetto XVI, che in un primo momento ci ha sorpreso tutti e addolorato, pian piano è diventata una forte esperienza di purificazione della fede ed un incoraggiamento ad amare di più Cristo e la Chiesa. Il Signore visitava il suo popolo con la luce di un’esemplare testimonianza!
Altrettanta vitalità e passione per il Vangelo ho potuto registrare nei giorni del Conclave. Il Collegio cardinalizio, in un clima cordiale e franco, di intensa comunione, senza nascondere limiti ed errori, ha esaminato la vita della Chiesa nei vari continenti e le sfide che l’attendono in questo complesso passaggio della storia.
Ho apprezzato la fede indomita di tanti pastori, il coraggio nelle prove per Cristo, l’ansia per l’annuncio del Vangelo, la premura verso i sacerdoti e i fedeli, la fermezza nel condannare i peccati, i comportamenti indegni e le controtestimonianze, l’amore ai giovani, ai poveri, agli ultimi della terra. La Chiesa è viva e risplende per la santità di tanti sacerdoti, consacrati, laici, testimoni della fede fino al martirio.
La preghiera poi si è levata da Roma e da tutto il mondo per accompagnare il delicato compito di scegliere il successore di Benedetto XVI. Lo Spirito Santo si è manifestato in maniera sorprendente. Il nuovo Papa è un testimone gioioso del Signore Gesù, annunciatore instancabile, forte e mite del Vangelo per infondere fiducia e speranza.
Egli continuerà a guidare la Chiesa, la sposa bella del Signore risorto, purificandola dalle macchie che talvolta ne oscurano lo splendore del volto; farà sentire la sua vicinanza a tutti gli uomini, perché la Chiesa sia la casa di tutti e nessuno senta l’imbarazzo di non starci bene: i poveri e gli ultimi si sentiranno capiti e amati.  Il nome del Poverello d’Assisi è un forte messaggio e annuncia lo stile e l’impronta del nuovo pontificato.
Roma, che ha sempre amato il Papa, sarà la prima a seguire il suo Vescovo e a rispondere alla missione di far risplendere la fede e la carità, in maniera esemplare e con gioiosa vitalità.
In attesa di poterlo incontrare al più presto, lo accompagniamo con la costante preghiera e chiediamo per la nostra comunità diocesana la Sua benedizione apostolica.

Cardinale Agostino Vallini

Vicario Generale del Santo Padre per la Diocesi di Roma

Publié dans:PAPA FRANCESCO |on 14 mars, 2013 |Pas de commentaires »
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