Archive pour la catégorie 'Paolo – la sua vita, i viaggi missionari, il martirio'

PAOLO E LE TRE G

http://letterepaoline.net/2008/10/28/paolo-e-le-tre-g/

PAOLO E LE TRE G

posted on 28 ottobre, 2008,

PER CONOSCERE PAOLO.

Gender, Genealogy, Geography (genere, genealogia e provenienza geografica): sono questi, secondo Bruce Malina e John Neyrey, i primi elementi identitari cui un individuo del I secolo poteva fare appello, per presentare e definire se stesso, fornendo le proprie “credenziali” di base.
Anche Paolo, nelle sue lettere, sembra richiamarsi a criteri di questo tipo. Scrivendo a Romani e Filippesi, ad esempio, egli parla di sé come di un «israelita, della discendenza di Abramo, della tribù di Beniamino» (Rm 11,1), «circonciso l’ottavo giorno, della stirpe d’Israele, della tribù di Beniamino, ebreo figlio di ebrei» (Fil 3,5).
Viene in mente la Tefillat Shachrit, la preghiera che ogni pio ebreo recitava al mattino, probabilmente già all’epoca di Paolo: «Benedetto sei tu, Signore Dio nostro re dell’universo che non mi hai fatto gentile (goy). Benedetto sei tu, Signore Dio nostro re dell’universo che non mi hai fatto schiavo. Benedetto sei tu, Signore nostro re dell’universo che non mi hai fatto donna» (Tosefta Ber. 7,18).
Eppure, nella percezione dell’apostolo, c’è qualcosa che sospende, che mette tra parentesi, che giunge persino a scardinare tutti questi criteri, i quali vanno a comporre la «figura (in greco: schēma) di questo mondo» (1Cor 7,29): è qualcosa che resiste ad essi, qualcosa con cui occorre fare i conti. È qualcosa, o per meglio dire qualcuno: «In Cristo – scrive infatti l’apostolo ai Galati – non c’è più giudeo né greco, non c’è più schiavo né libero, non c’è più maschio né femmina» (Gal 3,28: perfetto rovesciamento della preghiera rabbinica evocata poc’anzi).
Questo principio, che Paolo mantiene al fondo di tutta la propria esperienza missionaria, non obbedisce soltanto a una strategia di tipo retorico, ma implica una profonda ristrutturazione dell’identità. Lo si evince dal suo peculiare atteggiamento nei confronti di ciò che può essere definito come il “dramma delle differenze”:
«Infatti siamo stati tutti immersi in un solo Spirito, per formare un unico corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi, e tutti ci siamo abbeverati al medesimo Spirito» (1Cor 12,13);
«Infatti né la circoncisione né l’incirconcisione sono alcunché, ma la nuova creazione» (Gal 6,15);
«Non c’è distinzione di Giudei e di Greci: poiché lo stesso (Cristo) è il Signore di tutti» (Rm 10,12).
L’apostolo, in tutti questi casi, carica talmente di senso le opposizioni polari del proprio sistema culturale, da renderle “archetipali”. Il “giudeo” e il “greco”, in particolar modo, finiscono per rappresentare due disposizioni intellettuali, due “regimi del discorso”, come suggerisce di chiamarle, con piglio foucaultiano, il filosofo Alain Badiou: è di fronte a ciò che sfugge o resiste alla categorizzazione, alla “residualità” di questi due soggetti, quello “giudaico” che reclama segni e prodigi, e quello “greco” che ricerca la sapienza (1Cor 1,22), che si colloca il discorso della Croce.
Paolo, intuendo che l’intera esistenza umana è segnata dal dramma delle differenze, non tenta comunque di eliminarle: anzi, a ciascuno è consigliato di rimanere nello stato in cui si trova al momento della “chiamata” (1 Cor 7,20). Così, nel dire che non c’è più “giudeo” né “greco”, né “schiavo” né “libero”, né “maschio” né “femmina”, egli non abolisce i singoli termini dell’opposizione, ma propone un modello sociologico alternativo, che sospende ogni differenziazione subordinandola a un’idea di comunanza umana fondata su ciò che resta irriducibile in ciascun soggetto.
Il vangelo, quindi, non è proprietà esclusiva di alcuno, non è indirizzato esclusivamente a uomini o donne, a schiavi o liberi, a Giudei o Greci: perché tutto precede, tutto trascende, tutto trasforma. È destinato a calarsi nelle realtà di questo mondo, prendendole su di sé, per accompagnarle al loro compimento, orientandole verso ciò che le supera e che solo merita il nome di assoluto.
Tutto si fa segno, per così dire, di questo assoluto. Il rapporto fra uomo e donna non viene annullato, ma sussunto fino a diventare esso stesso incarnazione visibile del mistero più alto, quello dell’amore fra Dio e gli uomini, fra Cristo e la Chiesa. Il libero comprenderà che farsi servo non è umiliazione, ma riscatto d’altri e di sé, mentre lo schiavo capirà che c’è una libertà più profonda e radicale di quella vissuta dal “libero”. Giudei e Greci, infine, smetteranno di rincorrere ognuno la propria superiorità, in un fatale faccia a faccia, e si apriranno alla grazia e alla liberazione che Dio offre a ciascuno, a Paolo, alla Maddalena, al centurione e al cieco della piscina di Siloe: a te, singolarmente

ANTIOCHIA: DOVE PAOLO IMPARA A FARE IL MISSIONARIO

http://www.rivistamissioniconsolata.it/new/articolo.php?id=2654

ANTIOCHIA: DOVE PAOLO IMPARA A FARE IL MISSIONARIO

EUROPA GENNAIO – 2009 MARIO BARBERO

2000 ANNI DALLA NASCITA DI SAN PAOLO

«Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani» scrisse un grande oratore africano dei primi secoli cristiani, Tertulliano, osservando quanto succedeva ai suoi tempi. Questo è ben visibile anche negli Atti degli Apostoli. Dopo la lapidazione di Stefano e conseguente persecuzione contro i discepoli di Cristo, alcuni di essi, per evitare il peggio, fuggirono fino ad Antiochia di Siria (At 11,19), terza città dell’impero romano, dopo Roma e Alessandria, sede del governatore romano, con circa mezzo milione di abitanti greci, siriani, ebrei; incrocio di razze, culture, religioni.
La persecuzione di Gerusalemme è come un vento che investe un giardino di fiori e dissemina il polline lontano. Questi cristiani profughi da Gerusalemme erano così entusiasti della loro fede che anche ad Antiochia continuarono non solo a praticarla, ma anche a diffonderla attorno a sé. Dapprima solo tra ebrei là residenti. Alcuni che erano di Cipro e di Cirene in nord Africa, però, cominciarono a parlare di Gesù anche ai non-ebrei, ai pagani. «Si misero a predicare anche ai pagani, annunziando loro il Signore Gesù. La potenza del Signore era con loro, così che un gran numero di persone credette e si convertì al Signore» (At 11,20-21).
La predicazione del vangelo ai pagani è un passo molto importante nella crescita del cristianesimo: apre una nuova strada. Infatti agli inizi i cristiani di Gerusalemme erano tutti di origine ebraica e sembra pensassero che Gesù era venuto solo per gli ebrei. Fu l’entusiasmo di questi cristiani originari di Cipro e Cirene (abituati cioè a vivere la loro fede ebraica in un contesto più internazionale, a contatto coi pagani) ad aprire l’evangelizzazione verso i non-ebrei (greci o pagani).
In seguito sarà soprattutto Paolo a continuare tale missione; ma è bene notare che l’inizio della missione tra i pagani fu opera di cristiani semplici, senza alcun mandato speciale degli apostoli, ma solo in forza della loro fede; così pure non si sa chi per primo abbia portato la fede cristiana a Roma: con tutta probabilità furono marinai, commercianti, schiavi, che venendo dall’Oriente per primi condivisero la loro fede nella capitale dell’impero; Pietro e Paolo arriveranno più tardi e consacrarono la chiesa con il loro martirio.
Non occorre alcun titolo speciale per essere missionario. La chiesa è sana soltanto se i suoi laici sono evangelizzatori, nella famiglia, nel posto di lavoro, nella vita sociale. I primi e più efficaci missionari sono i genitori cristiani, i quali trasmettono la loro fede ai propri figli con parole e con l’esempio. La chiesa cattolica in Corea fu iniziata da un gruppo di laici che avevano conosciuto la fede cattolica da contatti con studiosi cinesi. In Giappone decine di migliaia di cattolici conservarono e trasmisero la fede ai loro figli, pur essendo rimasti senza sacerdoti per 200 anni.

Frattanto la comunità di Gerusalemme viene a conoscenza che ad Antiochia vi sono alcuni credenti in Gesù. Per raccogliere informazioni di prima mano su quanto sta avvenendo, viene mandato Barnaba, un cristiano di ampie vedute e grande empatia. Contento di quanto vede, egli incoraggia la giovane comunità a restar fedele al Signore e si ferma per aiutare nell’evangelizzazione. Vedendo il grande lavoro, ha un colpo di genio e pensa di chiamare un aiutante, Saulo di Tarso col quale per un anno e mezzo lavorerà ad istruire la comunità. La risposta dei pagani è così entusiasta che il gruppo di credenti in Gesù si impone all’attenzione dell’ambiente circostante: «Proprio ad Antiochia, per la prima volta, i discepoli furono chiamati cristiani» (At 11,26).
In seguito giungono ad Antiochia informazioni sulla carestia che ha colpito la Giudea e quindi i cristiani di Gerusalemme. Con generosa solidarietà la comunità di Antiochia manda aiuti ai fratelli di Gerusalemme: «I discepoli allora decisero di mandare soccorsi ai fratelli che abitavano in Giudea, ciascuno secondo le sue possibilità. Così fecero: per mezzo di Barnaba e Saulo mandarono i soccorsi ai responsabili di quella comunità» (Atti 11,30-31).
Questo quadretto della nascita della chiesa di Antiochia è un gioiello nel rappresentare cos’è la chiesa. La comunità nasce su iniziativa di credenti perseguitati che hanno il coraggio di andare oltre gli usuali confini geografici e culturali: parlano di Gesù ai pagani. La chiesa di Gerusalemme viene in soccorso a questa giovane comunità, mandando Barnaba segno di comunione con Gerusalemme e missionario capace di comprendere e istruire. Barnaba a sua volta cerca l’aiuto di un altro potenziale grande missionario, Saulo. Conseguenza di tale azione comune è la crescita della comunità che viene ora notata e chiamata per nome anche dall’ambiente esterno, «essi sono i cristiani». Conoscendo la difficoltà di Gerusalemme, la comunità di Antiochia manda aiuti: solidarietà, scambio di doni. Da Gerusalemme è arrivata la fede, a Gerusalemme arriva l’aiuto finanziario in tempo di difficoltà. Comunione di fede vuol dire anche comunione di beni.

È anche notevole che Saulo, qui ad Antiochia, per la prima volta fa il missionario in team con Barnaba. Come non vedere in questo la sua preparazione, il suo tirocinio per la missione universale cui sarà inviato proprio dalla chiesa di Antiochia?
«Mettetemi da parte Barnaba e Saulo per l’opera alla quale li ho chiamati» (Atti 13,1-4). Sarà la comunità di Antiochia che manda Barnaba e Paolo in missione e tutti i viaggi missionari di Paolo inizieranno e si concluderanno in questa città, in questa chiesa che, essendo nata tra i pagani, sente più forte l’urgenza di evangelizzare i pagani nel mondo.

di Mario Barbero

SAN PAOLO LO «SLAVO», Kirill I patriarca di Mosca e di tutte le Russie

http://www.donboscoland.it/articoli/articolo.php?id=125853

SAN PAOLO LO «SLAVO»

Kirill I patriarca di Mosca e di tutte le Russie

Oggi l’annuncio cristiano può essere convincente solo se i cristiani lo incarnano nella propria vita. È proprio questo che ci insegna l’apostolo Paolo, quando scrive nella Lettera ai Galati: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me».

La ricorrenza quest’anno del bimillenario della nascita del santo protoapostolo Paolo spinge i cristiani di tutto il mondo a guardare con particolare venerazione all’apostolo delle genti, grazie al cui instancabile impegno missionario la fede cristiana si diffuse per tutto il mondo civilizzato di allora, l’ecumene, termine con cui si designava essenzialmente l’Impero romano.
Dopo l’incontro con Cristo Risorto lungo la via di Damasco, Saulo, zelante fariseo e persecutore dei cristiani, si trasforma in Paolo, altrettanto zelante apostolo di Cristo, pronto ad arrivare fino agli «estremi confini della terra» (At 1, 8) per annunciare la salvezza in Cristo, che Dio dona a tutto il genere umano.
In tutte le lettere di san Paolo troviamo, come un filo rosso, la convinzione del significato universale del Vangelo nel quale «non c’è più greco o giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti» (Col 3, 11). Fin dai primi anni della propria esistenza, la Chiesa Russa ha sempre venerato nella persona dell’apostolo Paolo il suo grande maestro nella fede.
L’autore della Racconti degli anni passati, prima narrazione della storia russa, fa risalire proprio all’apostolo delle genti la fonte della fede del popolo russo: «Dai moravi venne anche l’apostolo Paolo a predicare; laggiù si trova l’Illiria, dove giunse l’apostolo Paolo; di quegli stessi slavi siamo anche noi, russi, perciò anche per noi, russi, Paolo è nostro maestro».
La predicazione dell’apostolo tra i popoli dell’ecumene ha posto le solide fondamenta dell’unità del mondo cristiano, basata non sulla forza delle armi né sull’arte politica, ma sulla comunione spirituale di coloro che professano l’unico Dio vero «con una sola bocca e un solo cuore» (Liturgia di san Giovanni Crisostomo). Questa unità in Cristo nel corso dei secoli ha aiutato i popoli dell’Europa e delle altre regioni in cui è stato predicato il cristianesimo a superare i conflitti e vivere in pace, scambiandosi i tesori dell’esperienza dell’ascetica cristiana e della santità.
Nella nostra epoca, che alcuni definiscono come « post-cristiana », assistiamo spesso a processi di portata generale o, come si dice oggi, globale. Tuttavia, la globalizzazione odierna non è suscitata da cause interne all’uomo, ma piuttosto esterne: dal progresso tecnico-scientifico, dallo sviluppo del sistema finanziario ed economico mondiale e dei moderni mezzi di comunicazione; perciò essa nella maggioranza dei casi, anziché farle avvicinare, fa scontrare le diverse civiltà, acuisce i problemi internazionali e suscita crisi mondiali di vario genere. Questi processi sono accompagnati da un estremo svuotamento spirituale e morale dell’uomo.
L’uomo dell’era postmoderna, deluso dalle più diverse ideologie e dai più vari sistemi di pensiero, con gran scetticismo chiede oggi assieme a Ponzio Pilato: «Che cos’è la verità?» (Gv 18, 38). Perciò il nostro mondo di oggi, l’ecumene, come un tempo l’Impero romano, ha bisogno dell’annuncio cristiano della fede, della speranza e dell’amore, di un annuncio che possa « dare un’anima » e conferire un senso all’unità esteriore dei popoli cristiani. In un periodo di estrema decadenza morale per l’impero romano l’apostolo Paolo, i suoi discepoli e le comunità ecclesiali da loro fondate, col lieto annuncio di Cristo seppero trasformare la società che attraversava una profonda crisi spirituale.
Ora questa responsabilità ricade su tutti coloro che credono in Cristo e che vogliono portare al mondo il suo annuncio di salvezza. Il giubileo dell’apostolo Paolo che celebriamo ci ricorda con forza il significato della sua esperienza missionaria. San Paolo accordava sempre la sua predicazione con la mentalità e gli usi di coloro ai quali si rivolgeva. «Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno», scrive (1 Cor 9, 22).
Seguendo l’esempio dell’apostolo, il cristiano di oggi deve conoscere bene la realtà del mondo che lo circonda, possedere perfettamente il linguaggio di coloro a cui rivolge la propria predicazione. Ma nello stesso tempo il cristiano non deve mai immedesimarsi con « questo mondo », il suo annuncio non può conoscere compromessi quanto alla sua assoluta conformità allo spirito del Vangelo. Non bisogna inoltre dimenticare che l’uomo moderno non si fida più delle parole, per quanto belle possano essere.
Oggi l’annuncio cristiano può essere convincente solo se i cristiani lo incarnano nella propria vita. È proprio questo che ci insegna l’apostolo Paolo, quando scrive nella Lettera ai Galati: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (2, 20) e quando rivolge ai propri discepoli l’esortazione: «Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo» (1 Cor 11, 1; cfr. 1 Cor 4, 16). Facendosi imitatore dell’apostolo delle genti, il cristiano è chiamato a essere una viva immagine del Signore e aiutare così il mondo moderno ad accogliere con fede e speranza la Parola di Dio.

(Testimoni della Fede) I 12 Apostoli e i 4 Evangelisti – autore: Kirill I patriarca di Mosca e di tutte le Russie

L’ADDIO DI PAOLO, SERVO DELLO SPIRITO – (LE LACRIME DI PAOLO)

http://www.terrasanta.net/tsx/articolo-rivista.jsp?wi_number=1803&wi_codseq=EC0907

L’ADDIO DI PAOLO, SERVO DELLO SPIRITO – (LE LACRIME DI PAOLO)

di suor Chiara Miriam | agosto-settembre 2009

Siamo giunti all’ultima tappa del nostro itinerario. La spiaggia di Mileto è anche uno degli ultimi approdi di Paolo in Medio Oriente, la sosta cercata di un viaggio che lo porterà prima a Gerusalemme e poi, dopo due anni circa, definitivamente lontano dalla terra di Gesù.
Una doppia cornice di lacrime racchiude quello che è considerato il testamento pastorale di Paolo, quasi un contenitore fatto di umanità, affetti, passione, che custodisce freschi e vivi la vicenda, il servizio, la missione dell’apostolo che ci ha accompagnato lungo questo anno a lui dedicato. Mentre prendiamo congedo da San Paolo, è lui a rivolgerci parole di commiato. Ci sentiamo un po’ come gli anziani di Efeso convocati per un discorso di addio, pur sapendo che rimaniamo affidati alla parola della grazia di Dio, della quale possiamo ogni giorno fare tesoro.
Una cornice di lacrime, dicevamo… quelle di Paolo, versate per le insidie, lacrime che hanno irrigato il suo umile e instancabile servizio, lacrime sparse notte e giorno per ammonire gli anziani di Efeso. Anch’essi piangono per la partenza di Paolo, perché sanno che non rivedranno più il suo volto. Lontano dal rivelare una caratteristica imbarazzante per l’uomo, le lacrime sono per Paolo la prova di una partecipazione effettiva ed affettiva, di un coinvolgimento serio con i destinatari del suo appassionato servizio apostolico, segno di relazioni profonde e vere generate dalla Parola. «Paolo lascia una comunità amata e vive il profondo senso dell’addio» (F. Brovelli). Quanto tempo è passato da quando Saulo, dopo l’incontro decisivo con il Signore Gesù, andava e veniva in Gerusalemme, predicando apertamente nel nome di Lui! Ora Gerusalemme, città simbolo dove Gesù è stato crocifisso, attende Paolo con una missione decisiva: avviarlo al compimento, affinché possa portare a «termine la corsa e il servizio che gli fu affidato dal Signore Gesù, di rendere testimonianza al Vangelo della grazia di Dio» (Atti 20, 24). Questa Buona Notizia di Gesù si è scritta ormai profondamente nella carne di Paolo, nella sua vicenda di discepolo e apostolo e ora è la sua stessa vita che la proclama. Nulla ferma Paolo: non la certezza di catene e tribolazioni, non le lacrime e i volti di coloro che egli ha condotto alla fede, non la preoccupazione per quello che sarà delle sue Chiese dopo di lui.
Paolo ha da portare a termine la sua corsa straordinaria, anzi la corsa della parola di Gesù proprio nella sua vita e nella sua morte. Questo è il compito di ogni discepolo: portare a compimento nella grazia dello Spirito ciò per cui è stato salvato, chiamato e inviato. Lo scriveva già Paolo dando un senso luminoso alle sue prove.
Passato, presente e futuro si dispiegano nelle parole di addio di Paolo, con una consapevolezza franca e lucida di ciò che è stato, di quello che anche ora lo costringe, docile allo Spirito Santo, di ciò che lo attende, per la fedeltà alla testimonianza di Gesù.
Da questo saluto coinvolgente e commovente che Paolo rivolge ai pastori della Chiesa di Efeso raccogliamo anche per noi alcune consegne: coltivare la consapevolezza umile e profonda di sé, del proprio servizio e delle esigenze e orizzonti che comporta testimoniare il Vangelo della grazia di Dio; vigilare su se stessi e custodire i fratelli per non smarrirsi o disgregarsi, per continuare nella fiducia ad essere quel piccolo gregge amato dal Padre; vivere la beatitudine della gratuità, come la chiama il card. Carlo Maria Martini, come creature fatte a immagine di quel Dio che è dedizione: «Si è più beati nel dare che nel ricevere!».

(L’autrice è claustrale tra le clarisse del monastero di Santa Chiara, a Milano)

SUI PASSI DI PAOLO IN TURCHIA, « CULLA » DEL CRISTIANESIMO (ARTICOLO DELL’8.6.08)

http://www.atma-o-jibon.org/italiano4/rit_brogi3.htm

SUI PASSI DI PAOLO IN TURCHIA, « CULLA » DEL CRISTIANESIMO (ARTICOLO DELL’8.6.08)

Antiochia, Efeso, Tarso, Iconio, Cesarea di Cappadocia…
A pochi giorni dall’apertura dell’ »Anno Paolino », il 29 giugno,
ecco cosa resta del passaggio dell’ »Apostolo delle Genti » in Asia Minore.
Là dove sbocciò la Chiesa, e oggi dominano « islam » e « laicismo atatürkiano ».

Dal nostro inviato in Turchia, Anna Maria Brogi
(« Avvenire », 8/6/’08)

Sventola la bandiera con la mezzaluna e la stella su fondo rosso, davanti alla Chiesa di San Pietro ad Antiochia. Sventola per affermare il primato statale. Da questa balconata naturale sulla città e sul Mediterraneo, più che a una Chiesa si accede a una grotta, scavata dall’acqua nel Monte Staurino. O meglio a un sito « museale », come rivela la biglietteria. Per entrare sul « sagrato-terrazza », con i pini e gli olivi, ci vogliono cinque lire turche (due euro e mezzo).
Il panorama le vale. Nella Chiesa solo un altare spoglio, una statuetta di Pietro e il « trono » del Santo. Collocati negli anni Trenta, sono posteriori alla facciata di marmo ricamata sul grigio del calcare nel 1863. Dal basso sale l’odore della polvere. Un « caos » senza rumore, attutito dalla distanza e dal vento. Questa è Antiochia di Siria, sull’Oronte, dove fuggirono molti ebrei cristiani al tempo delle prime persecuzioni. Qui arrivò Paolo, chiamato da Barnaba, intorno all’anno 46. E qui avvenne l’incontro con Pietro, narrato nella « Lettera ai Galati ». Forse fu proprio in questa cavità naturale: quale rifugio più amico per una comunità di profughi?
Oggi la Chiesetta torna a vivere di tanto in tanto grazie ai pellegrini, che con un permesso vi celebrano Messa. Diventa la casa di tutti il 29 giugno, festività dei Santi Pietro e Paolo, quando accoglie i cristiani locali (un migliaio di differenti riti e confessioni) insieme con le comunità di ebrei e musulmani.
Dal porto di Antiochia Paolo salpò per i suoi tre viaggi, che lo portarono nel Mediterraneo orientale su un percorso di 25mila chilometri.
Non sembra ricordarsene la città, che pure è « crocevia » dei tre « monoteismi ». Aleppo, in Siria, dista appena ottanta chilometri; ancora meno i resti, sempre oltre frontiera, della Basilica di San Simeone lo Stilita.
Di tanta eredità « paleocristiana », in Turchia sembrano riecheggiare quasi solo i « toponimi ».
Antiochia, Efeso, Tarso, Iconio, Cesarea di Cappadocia (le odierne Konya e Kayseri). Bastano a evocare personaggi e vicende dei primi secoli di evangelizzazione. In quest’ »Anno Paolino », che si aprirà ufficialmente il 29 giugno, si è deciso di valorizzare questi luoghi, per farne bandiera di benvenuto ai pellegrini d’Europa. E dunque a Tarso uno striscione proclama « St. Paul Yili 2008″, in turco e in inglese (« The Pauline Year »).
Sono già arrivati i venditori di « gadget », dalle « iconcine segnalibro » ai cappellini di tela. Ma è l’unico indizio di qualcosa nell’aria. Nelle « viuzze » dell’antico quartiere ebraico, dove Paolo nacque e dove restano le fondamenta della tradizionale « casa », si respira un’atmosfera giovanile da anni Settanta. La zona « pullula » di caffè e « narghilé bar »: nei freschi interni e nei cortili ombreggiati i ragazzi « strimpellano » la chitarra e le ragazze improvvisano cori, tra un tiro e l’altro della pipa ad acqua. Un cartello racconta la storia di Paolo.
È scritto in inglese e l’ha posto, nel 1988, la municipalità. Di stranieri, ne arrivano: la regione, stretta tra i monti Tauro e il Mediterraneo, costellata di torrenti e cascate, ha una forte vocazione turistica e richiama gli appassionati delle attività all’aria aperta. Nel Medioevo qui passavano i pellegrini sulla via di Gerusalemme.
Oggi come allora, si può sostare al pozzo di San Paolo e berne l’acqua in segno di benedizione: è stato ripulito e l’acqua è tornata potabile. Di Paolo a Tarso resta anche una Chiesa, costruita nell’Ottocento dai cristiani armeni. Non più in uso, è un sito « museale ». In attesa di rianimarsi.
Musei all’aperto, fin troppo animati, sono la Cappadocia ed Efeso, mete obbligate del turismo culturale. Accomunate dal cristianesimo delle origini, mantengono pallida traccia di quel loro passato. Nel Parco di Göreme, con le Chiese rupestri, un affresco lascia intuire il volto di Paolo. E nella valle dei « camini delle fate », la più famosa della Cappadocia, le guide raccontano ai pellegrini del passaggio dell’Apostolo da una Chiesetta scavata in quei coni di tufo. Di certo c’è che qui Paolo è transitato, poiché vi si trovava una comunità cristiana, e nel primo secolo la cavità esisteva, pur non essendo Chiesa. Ma la bellezza del sito e la « bizzarria » geologica bastano a soddisfare le aspettative di chi va di fretta.
Chi invece sia disposto a ricalcare a passo lento le orme dell’Apostolo può muoversi lungo il « Cammino di San Paolo » (« St. Paul Trail »), un percorso di « trekking » di montagna segnato su sentiero dal 2004: cinquecento chilometri da Perge, vicino ad Antalya, fino a Yalvaç (Antiochia di Pisidia), con un ramo che parte da Aspendos per raggiungere il sito romano di Adada. Fuori dalle rotte del turismo di massa, Antiochia di Pisidia fu sede episcopale e uno dei centri principali del cristianesimo in Asia Minore.
Distrutta dalle invasioni arabe nel settimo secolo, conserva le fondamenta della sinagoga dove predicò Paolo, poi trasformata in Basilica.
Se il sito non è paragonabile alle glorie di Efeso, ha il pregio del silenzio e invita alla meditazione.
A Efeso poco resta di archeologia cristiana.
Splendide le vie « colonnate » e le terme, le case del pendio con affreschi e mosaici, la biblioteca di Celso. Mirabilmente intatta la struttura urbanistica. E il Teatro, dove andò in scena quella « rivolta degli orefici » che costrinse l’Apostolo a lasciare la città. Oggi gli studenti vi improvvisano recite e ha ospitato un concerto di Sting. La città di marmo bianco continua a dare spettacolo della propria opulenza. Anche qui, l’impronta cristiana rischia di sfuggire e va inseguita: San Paolo vi abitò per due anni e mezzo, ma l’unico riferimento archeologico certo è il Teatro. Non c’è neanche un cartello, poi, a indicare i resti della Basilica del Concilio. Si trovano subito dopo l’ingresso della « città bassa » (o prima dell’uscita per chi entra dall’alto), prendendo il sentiero sulla destra. Si arriva in un campo e, in mezzo all’erba, stanno quelle pietre così poco sontuose ma che delimitano il luogo dove si riunirono nel 431 i « padri conciliari » e dove proclamarono il « dogma » della « Madre di Dio ». Una targa ricorda che qui pregò Paolo VI il 26 luglio del 1962. Ai turisti non interessa, dicono le guide: «Qui vengono solo i pellegrini».

25.000 chilometri di Vangelo e persecuzioni

Il primo dei tre viaggi missionari di Paolo in Anatolia risale agli anni 46-47. L’Apostolo era accompagnato da Barnaba e dal cugino di lui, Giovanni Marco. Salparono da Antiochia alla volta di Cipro, sbarcando a Salamina.
All’altro capo dell’isola, nella città di Pafo, furono testimoni della conversione del governatore romano Sergio Paolo. Da Pafo si imbarcarono di nuovo, raggiungendo Perge nei pressi dell’attuale Antalya.
Da lì si inoltrarono nell’entroterra, spingendosi nel cuore dell’Anatolia centrale, e predicarono il Vangelo ad Antiochia di Pisidia, Iconio, Listri e Derbe. Più tardi, nelle « Lettere », Paolo racconterà le fatiche e le difficoltà di questo primo viaggio, che suscitò molte conversioni ma anche frequenti persecuzioni e ostilità da parte sia degli ebrei sia dei pagani. Paolo ritornò ad Antiochia lungo la stessa strada, salpando da Attaleia (oggi Antalya).
Nel 49 l’Apostolo ripartì, accompagnato da Sila. Visitò i cristiani di Derbe, Listra, Iconio e Antiochia di Pisidia. Dall’Anatolia centrale si spostò poi nella regione nord-occidentale, la Misia. Da lì passò in Macedonia e in Grecia e, sulla via del ritorno verso la « Terra Santa », si fermò per breve tempo a Efeso.
Nel terzo viaggio, tra il 53 e il 57, passò per Derbe, Listri, Iconio e Antiochia di Pisidia. Da qui si recò a Efeso, dove visse quasi tre anni. A quel periodo risalgono molte delle « Lettere » e forse un breve viaggio a Corinto. Costretto a lasciare Efeso in seguito alla rivolta degli « argentieri » – i quali si ritenevano minacciati dal diffondersi del nuovo culto, che avrebbe « soppiantato » quello della dea Artemide, della quale vendevano statuette d’oro – si recò nella Troade e da lì a Mileto. Proprio a Mileto Paolo convocò gli « anziani » della comunità cristiana di Efeso, ammonendoli a guardarsi non solo dai nemici ma anche dalle insidie interne. Durante il viaggio di ritorno, via mare, in « Terra Santa » fece tappa a Patara in Licia. Al termine del terzo viaggio missionario, l’Apostolo rientrò a Gerusalemme dove nel 59 fu arrestato e, in quanto cittadino romano che si « appellava » all’imperatore, imbarcato alla volta di Roma.

 

CONVERSIONE DI SAN PAOLO [1] – DOM PROSPER GUERANGER

http://www.unavoce-ve.it/pg-25gen.htm

CONVERSIONE DI SAN PAOLO [1] – DOM PROSPER GUERANGER

Abbiamo visto la Gentilità, rappresentata ai piedi dell’Emmanuele dai Re Magi, offrire i suoi mistici doni e ricevere in cambio i doni preziosi della fede, della speranza e della carità. La messe dei popoli è ormai matura; è tempo che il mietitore vi ponga la falce. Ma chi sarà questo operaio di Dio? Gli Apostoli di Cristo non hanno ancora lasciata la Giudea. Tutti hanno la missione di annunciare la salvezza fino agli estremi confini del mondo, ma nessuno fra loro ha ancora ricevuto il carattere speciale di Apostolo dei Gentili. Pietro, l’Apostolo della Circoncisione, è destinato particolarmente, al pari di Cristo, alle pecore smarrite della casa d’Israele (Mt 15,24). Tuttavia siccome è il capo e il fondamento, spetta a lui aprire la porta della Chiesa ai Gentili, e lo fa solennemente, conferendo il Battesimo al centurione romano Cornelio.
Intanto la Chiesa si prepara: il sangue del Martire Stefano e la sua ultima preghiera otterranno un nuovo Apostolo: l’Apostolo delle Genti. Saulo, cittadino di Tarso, non ha visto Cristo nella sua vita mortale e soltanto Cristo può fare un Apostolo. Dall’alto dei cieli dove regna impassibile e glorificato, Gesù chiamerà Saulo alla sua scuola, come chiamò negli anni della sua predicazione a seguire i suoi passi e ad ascoltare la sua dottrina i pescatori del lago di Genezareth. Il Figlio di Dio rapirà Paolo fino al terzo cielo, e gli rivelerà tutti i suoi misteri; e quando Saulo avrà avuto modo, come egli narra, di vedere Pietro (Gal 1,18) e di paragonare con il suo il proprio Vangelo, potrà dire: « Io non sono meno apostolo degli altri Apostoli ».
È appunto nel giorno della Conversione di Saulo che ha ini­zio questa grande opera. È oggi che risuona quella voce che spezza i cedri del Libano (Sal 28,5), e la cui immensa forza fa del Giudeo persecutore innanzitutto un cristiano, nell’attesa di farne un Apostolo. Questa meravigliosa trasformazione era stata vaticinata da Giacobbe allorché sul letto di morte svelava l’avvenire di ciascuno dei suoi figli, nelle tribù che dovevano uscire da essi. Giuda ebbe i più alti onori: dalla sua stirpe regale doveva nascere il Redentore, l’atteso delle genti. Beniamino fu annunciato a sua volta sotto caratteristiche più umili, ma pure gloriose: sarà l’avo di Paolo, e Paolo l’Apostolo delle genti.
Il santo vegliardo aveva detto: « Beniamino è un lupo rapace: al mattino si prende la preda; ma alla sera distribuisce il bottino » (Gen 49,27). Colui che nell’ardore della sua adolescenza si scaglia come un lupo spirante minaccia e strage all’inseguimento delle pecore di Cristo, non è forse – come dice sant’Agostino (Disc. 278) – Saulo sulla via di Damasco, portatore ed esecutore degli ordini dei pontefici del Tempio e tutto ricoperto del sangue di Stefano che egli ha lapidato con le mani di coloro ai quali custodiva le vesti? Colui che, alla sera, non rapisce più le spoglie del giusto, ma con mano caritatevole e pacifica distribuisce agli affamati il cibo vivificante, non è forse Paolo, Apostolo di Gesù Cristo, bruciante d’amore per i suoi fratelli, e che si fa tutto a tutti, fino a desiderare di essere anatema per essi?
Questa è la forza vittoriosa dell’Emmanuele, forza sempre crescente e alla quale nulla può resistere. Se egli vuole come primo omaggio la visita dei pastori, li fa chiamare dai suoi angeli le cui dolci note sono bastate per condurre quei cuori semplici alla mangiatoia dove giace sotto poveri panni la speranza d’Israele. Se desidera l’omaggio dei principi della Gentilità, fa spuntare in cielo una stella simbolica, la cui apparizione, aiutata dall’intimo moto dello Spirito Santo, fa decidere quegli uomini a venire dal lontano Oriente a deporre ai piedi d’un bambino i loro doni e i loro cuori. Quando è giunto il momento di formare il Collegio Apostolico, cammina sulle rive del mar di Tiberiade, e basta la sola parola: Seguitemi, per legare a lui gli uomini che ha scelti. In mezzo alle umiliazioni della sua Passione, un suo sguardo cambia il cuore del discepolo infedele. Oggi, dall’alto dei Cieli, compiuti tutti i misteri, volendo mostrare che egli solo è maestro dell’Apostolato e che la sua alleanza con i Gentili è consumata, si manifesta a quel Fariseo che vorrebbe distruggere la Chiesa; spezza quel cuore di Giudeo e crea con la sua grazia un nuovo cuore d’Apostolo, un vaso di elezione, quel Paolo che dirà d’ora in poi: « Vivo, ma non son già io, bensì Cristo che vive in me » (Gal 11,20).
Ma era giusto che la commemorazione di quel grande evento venisse a porsi non lontano dal giorno in cui la Chiesa celebra il trionfò del Protomartire. Paolo è la conquista di Stefano. Se l’anniversario del suo martirio s’incontra in un altro periodo dell’anno (29 giugno), non poteva fare a meno di apparire accanto alla culla dell’Emmanuele, come il più splendido trofeo del Protomartire; i Magi esigevano anche il conquistatore della Gentilità di cui formavano le primizie.
Infine, per completare la corte del nostro grande Re, era giusto che si elevassero ai lati della mangiatoia le due potenti colonne della Chiesa, l’Apostolo dei Giudei e l’Apostolo dei Gentili: Pietro con le chiavi e Paolo con la spada. Betlemme ci sembra allora ancor più l’immagine della Chiesa, e le ricchezze della liturgia in questa stagione ci appaiono più belle che mai.
Noi ti rendiamo grazie, o Gesù, perché hai oggi abbattuto il tuo nemico con la tua potenza, e l’hai risollevato con la tua misericordia. Tu sei veramente il Dio forte, e meriti che ogni creatura celebri le tue vittorie. Come son meravigliosi i tuoi piani per la salvezza del mondo! Tu associ gli uomini all’opera della predicazione della tua parola e alla dispensa dei tuoi misteri; e per rendere Paolo degno di tale onore, usi tutte le risorse della grazia. Ti compiaci di fare dell’assassino di Stefano un Apostolo, perché il tuo potere si mostri a t’urti gli occhi, il tuo amore per le anime appaia nella sua più gratuita generosità, e sovrabbondi la grazia dove abbondò il peccato. Visitaci spesso, o Emmanuele, con questa grazia che cambia i cuori, perché noi desideriamo la vita in larga misura, ma sentiamo che il suo principio è così spesso sul punto di sfuggirci. Convertici come hai convertito l’Apostolo e assistici quindi, poiché senza di te noi non possiamo far nulla. Previenici, seguici, accompagnaci, non lasciarci mai, e come ci hai dato il principio, così assicuraci la perseveranza sino alla fine. Concedici di riconoscere, con timore ed amore, quel dono della grazia che nessuna creatura potrebbe meritare, e al quale tuttavia una volontà creata può fare ostacolo. Noi siamo prigionieri: solo tu possiedi lo strumento con l’aiuto del quale possiamo infrangere le nostre catene. Tu lo poni nelle nostre mani, dicendoci di usarlo: sicché la nostra liberazione è opera tua e non nostra, e la nostra prigionia, se continua, si deve attribuire soltanto alla nostra negligenza e alla nostra viltà. Dacci, o Signore, questa grazia; e degnati di ricevere la promessa di associarvi umilmente la nostra cooperazione.
Aiutaci, o san Paolo, a corrispondere ai disegni della misericordia di Dio su di noi; fa’ che siamo soggiogati dalla dolcezza di Gesù. Non udiamo la sua voce, la sua luce non colpisce i nostri occhi, ma leva il suo lamento perché troppo spesso lo perseguitiamo. Ispira ai nostri cuori la tua preghiera: « Signore, che vuoi che io faccia? ». Ci risponderà di essere semplici e bambini come lui, di riconoscere il suo amore, di finirla con il peccato, di combattere le cattive inclinazioni, di progredire nella santità seguendo i suoi esempi. Tu hai detto, o Apostolo: « Chi non ama nostro Signore Gesù Cristo sia anatema! ». Faccelo conoscere sempre più, perché lo amiamo, e questi dolci misteri non diventino, per la nostra ingratitudine, la causa della nostra riprovazione.
Vaso di elezione, converti i peccatori che non pensano a Dio. Sulla terra tu ti sei prodigato interamente per la salvezza delle anime; nel cielo dove ora regni, continua il tuo ministero, e chiedi al Signore, per coloro che perseguitano Gesù nelle sue membra quelle grazie che vincono i più ribelli. Apostolo dei Gentili, volgi gli occhi su tanti popoli che giacciono ancora nell’ombra della morte. Un giorno tu eri combattuto fra due ardenti desideri: quello di essere con Gesù Cristo, e quello di restare sulla terra per lavorare alla salvezza dei popoli. Ora, tu sei per sempre con il Salvatore che hai predicato: non dimenticare quelli che ancora non lo conoscono. Suscita uomini apostolici per continuare la tua opera. Rendi fecondi i loro sudori e il loro sangue. Veglia sulla Sede di Pietro, tuo fratello e tuo capo; sostieni l’autorità della Chiesa di Roma che ha ereditato i tuoi poteri, e che ti considera come la sua seconda colonna. Rivendicala dovunque è misconosciuta; distruggi gli scismi e le eresie; riempi tutti i pastori del tuo spirito, affinché sul tuo esempio non cerchino se stessi, ma unicamente e sempre gli interessi di Gesù Cristo.
————————–

[1] Il martirologio geronimiano menziona, alla data del 25 gennaio, una Translatio S. Pauli Apostoli. « A poco a poco, tuttavia l’orientazione storica si spostò, e al concetto di una traslazione materiale delle Reliquie di san Paolo, sostituendosi quello d’una traslazione o mutamento psicologico e spirituale avvenuto nelo stesso Apostolo sulla via di Damasco, dalla translatio fisica, si passò così alla mistica Conversio del medesimo » (Liber Sacram. vol. VI, p. 185). Sembra che la festa abbia avuto origine nelle chiese della Gallia e sia passata poi progressivamente, a partire dall’VIII secolo, nei libri romani. I testi dell’Ufficio e della Messa sorpassano l’oggetto storico e preciso della festa. Si tratta non solo della Conversione di san Paolo, ma anche di tutte le sue conseguenze, lo zelo e le tribolazioni dell’Apostolo. 

PAOLO APOSTOLO E TESSITORE DI TENDE

http://www.saverianibrescia.com/missione_oggi.php?centro_missionario=archivio_rivista&rivista=2008-09&id_r=44&sezione=alla_luce_della_parola_&articolo=paolo_apostolo_e_tessitore_di_tende&id_a=1301

PAOLO APOSTOLO E TESSITORE DI TENDE

A cura della Redazione

PAOLO APOSTOLO E TESITORE DI TENDE
LA BOTTEGA SOME LUOGO DI ATTIVITÀ MISSIONARIA
A CURA DELLA REDAZIONE

(forse questo articolo l’ho già messo)

L’articolo è tratto liberamente da una riflessione di Ronald F. Hock in The Social Context of Paul’s Ministry: Tentmaking and Apostleship, Philadelphia, Fortress 1980.

In uno dei suoi trattati politici, Plutarco critica alcuni filosofi perché rifiutavano di conversare con le autorità nel timore di essere considerati ambiziosi o troppo ossequienti. Per evitare il diffondersi di una tale situazione, Plutarco suggerisce che l’unica alternativa per l’uomo dalla mente aperta e desideroso di praticare la filosofia è fare l’artigiano, per esempio, il calzolaio, in modo da avere l’opportunità di conversare nella bottega, come Simone il calzolaio aveva fatto con Socrate. Questo suggerimento di Plutarco, che la bottega fosse un luogo che potesse ospitare discorsi intellettuali, è interessante e fa sorgere l’interrogativo se altre botteghe, specialmente quelle usate ai suoi tempi da Paolo, il tessitore di tende, nei suoi viaggi missionari, siano state utilizzate allo stesso modo nelle città della Grecia orientale. Questa tesi, pur avanzata dagli studiosi, non è mai stata studiata a fondo. Questo articolo è un tentativo di approfondire l’esame dei contesti sociali in cui si sono svolti la predicazione e l’insegnamento dei primi cristiani.
È noto che Paolo era un tessitore di tende. Questo suo lavoro è sempre stato considerato come un’eredità della sua tradizione ebraica. L’attività lavorativa di Paolo è considerata come un residuo della sua vita di fariseo ed è spiegata nei termini di un ideale rabbinico che cerca di associare lo studio della Torah con la pratica di un mestiere. Vorremmo ora portare il dibattito al di là dell’aspetto strettamente ebraico.

LA BOTTEGA DI PAOLO
Per una discussione sull’uso missionario della bottega da parte di Paolo, si deve sottolineare l’evidenza che lo colloca nelle botteghe delle città da lui visitate. Luca indica che Paolo aveva lavorato come tessitore di tende solo in Corinto e Efeso (At 18,3; 20,34); ma le Lettere di Paolo aggiungono Tessalonica (1 Ts 2,9) e – più importante – afferma che in generale la pratica missionaria era di lavorare per potersi mantenere (1 Cor 9,15 – 18). E allora, il riferimento di Paolo al lavoro di Barnaba per sostenere se stesso (1 Cor 9,6) dovrebbe coprire i cosiddetti primi viaggi missionari e la sua permanenza in Antiochia (At 13,1 – 14,25; 14,26-28; 15,30-35), il tempo in cui Luca pone Barnaba come suo compagno di viaggio. Il riferimento di Paolo al suo lavoro a Tessalonica (1 Ts 2,9) e la sua conferma dell’affermazione di Luca riguardante Corinto (1 Cor 4,12) si applicherebbe anche al secondo viaggio missionario (At 16,1 – 18,22). Il riferimento al suo lavoro in Efeso (cfr. 1 Cor 4,11: « fino ad ora »), di nuovo conferma il ritratto di Luca e la sua insistenza nel mantenersi economicamente, durante un futuro viaggio a Corinto (2 Co 12,14), confermerebbe questa pratica anche nel terzo viaggio missionario (At 18,23 – 21,16). In At 28,30 vediamo Paolo presumibilmente lavorare in seguito anche a Roma. In breve, le Lettere e gli Atti mettono in evidenza l’Apostolo nelle botteghe dove predicava e insegnava. Ma che cosa faceva Paolo nella bottega, oltre al suo lavoro di tessitura? Di cosa parlava? Sfruttava l’occasione per una predicazione missionaria?
Una risposta affermativa sembra verosimile, dato il suo impegno nella predicazione del Vangelo. Però né le Lettere, né gli Atti dicono esplicitamente che Paolo utilizzava la bottega per la predicazione. Il silenzio delle Lettere in proposito non è un problema, perché Paolo è di solito silenzioso o vago sulle circostanze della sua predicazione missionaria (cfr. per esempio 1 Cor 2,1-5). Con gli Atti tuttavia la situazione è diversa.
Il silenzio di Luca negli Atti può essere parzialmente spiegato perché l’evangelista era interessato a raccontare le esperienze di Paolo nella sinagoga. Solo in Atene, il centro della cultura greca e della filosofia, questo interesse è lasciato da parte in deferenza alle esperienze di Paolo al mercato (At 17,17) e specificatamente alle sue conversazioni con i filosofi stoici ed epicurei (ver.18) che portarono al discorso dell’Apostolo all’Aeropago (22-31). Qui Luca si avvicina molto nel menzionare le conversazioni della bottega, ma non lo fa, poiché le discussioni con i filosofi sono probabilmente da collocarsi sotto i portici della città, forse la Stoà di Attalos ad Atene.
La possibilità di fare conversazioni in bottega è intuibile da un brano delle Lettere di Paolo: il sommario dettagliato dell’attività missionaria dell’Apostolo nella città di Tessalonica (1 Ts 2,1-12). Al versetto 9, il lavoro e la predicazione sono accennati insieme: « Voi ricordate infatti, fratelli, la nostra fatica e il nostro travaglio: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno vi abbiamo annunziato il Vangelo di Dio ».

L’ATTIVITÀ MISSIONARIA
Se questi sei passi scelti dagli Atti e dalle Lettere parlano di Paolo che utilizzava le botteghe come contesti sociali per la sua predicazione missionaria, bisogna interpretare questi contesti come entità a sé, oppure confrontarli con la vita intellettuale delle città che egli ha visitato. Se la bottega è stata un contesto sociale dell’attività missionaria, per Luca questa era solo uno dei tanti luoghi in cui l’Apostolo predicava. Più frequentemente egli indica la sinagoga. Paolo predica nelle sinagoghe di Damasco (At 9,20), Gerusalemme (At 9,29), Salamide (At 13,5), Antiochia di Pisidia (At 13, 14, 44), Iconio (At 14,1), Tessalonica (At 17,1), Berea (At 17,10), Atene (At 17,17), Corinto (At 18,4) e Efeso (At 18,19; 19,8). Un altro contesto missionario importante è la casa, specialmente quelle di Lidia a Filippi (At 16,15, 40), di Tizio Giusto a Corinto (18,7) e di un cristiano non identificato a Triade (20,7-11) e di parecchie persone a Efeso (20, 20). Altre case devono essere incluse, anche se Luca non vi fa menzione di attività missionaria: la casa di Giasone a Tessalonica (17, 5-6), di Aquila e Priscilla a Corinto (18, 3), di Filippo a Cesarea (21, 8), di Mnasone di Cipro, presumibilmente a Gerusalemme (21, 16-17) e forse quelle di parecchi altri (cfr. 16,34; 21, 3-5, 7).
Ulteriori segni che indicano la varietà dei contesti sociali nella missione di Paolo sono la residenza del proconsole di Cipro, Sergio Paolo (13, 6-12), la porta della città in Listra (14, 7, 15-18), la scuola di Tiranno a Efeso (19, 9-10) e il pretorio a Cesarea (24, 24-26; 25, 23-27). Insomma, se la bottega era un contesto sociale per l’attività missionaria di Paolo, era solo uno dei tanti.

IL PULPITO, LA PIAZZA E LA BOTTEGA
La pratica dei filosofi sopra descritta può aiutarci a capire anche ciò che avveniva nella bottega di Paolo. Lo possiamo immaginare nelle lunghe ore al tavolo di lavoro mentre taglia e cuce le pelli per fare tende. Egli si rende autonomo economicamente, ma ha anche possibilità di portare avanti il suo impegno missionario (cfr. 1 Ts 2, 9). Seduti nella sua bottega troviamo i suoi compagni di lavoro o qualche visitatore, clienti e forse qualche curioso che aveva sentito parlare di questo « filosofo » tessitore di tende appena arrivato in città. In ogni caso sono tutti là ad ascoltare e a discutere con lui, che porta il discorso sugli dei ed esorta i presenti ad abbandonare gli idoli e a servire il Dio dei viventi (1, 9-10). In questo modo, certamente qualcuno degli ascoltatori, un compagno di lavoro, un cliente, un giovane aristocratico o forse anche un filosofo cinico, sarebbe stato curioso di sapere di più di Paolo, delle sue chiese, del suo Signore e sarebbe tornato per un colloquio privato (2, 11-12). Da queste conversazioni di bottega alcuni avrebbero accolto le sue parole come Parola di Dio (2, 13).
Per Paolo, il missionario, quindi, il pulpito della sinagoga non bastava, ma usciva anche in piazza ed entrava nella sua bottega. « Non è infatti per me un vanto predicare il Vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il Vangelo! » (1 Cor 9,16).
A CURA DELLA REDAZIONE

Il contesto storico
Esaminiamo la pratica paolina nel contesto della vita intellettuale della Grecia orientale dei suoi tempi. Ad Atene, nel quinto e quarto secolo a. C., alcuni contesti specifici, inclusa la bottega, erano diventati normali per l’attività intellettuale ed ancora esistevano ai tempi di Paolo. Senofonte descrive Socrate mentre discute di filosofia in varie botteghe, tra cui quelle di un pittore, di uno scultore, di un fabbricante di armature. Platone menziona le bancarelle del mercato come abituale ritrovo di Socrate. Naturalmente la bottega non era il suo solo ritrovo: lo si poteva trovare in altre parti del mercato, come la stoà o altri edifici pubblici, nel ginnasio o nelle case di amici. In un certo senso la pratica di Socrate era tipica dei suoi giorni, data l’abitudine della gente di frequentare i negozi e i banchi del mercato. Ma, in un altro senso, l’abitudine di Socrate era molto atipica, non solo a causa dell’alto contenuto intellettuale delle sue conversazioni, ma anche per l’effetto limitato che questa sua pratica ebbe sui filosofi che lo seguirono. A giudicare da quanto riferisce Diogene Laerzio, i discepoli di Socrate non discutevano di filosofia nella bottega, anche se alcuni di essi da studenti lo avevano accompagnato, per esempio, alla bottega del sellaio.
I seguaci di Socrate, scegliendo il ginnasio o altri edifici, praticavano una filosofia meno pubblica rispetto al loro maestro. Il numero delle persone che partecipava a queste discussioni nelle botteghe non poteva essere grande. Spesso erano solo in due, Socrate con Simone e Crate con Filisco. Gli argomenti trattati erano molti: dalle discussioni che riguardavano i commerci degli artigiani a temi più interessanti: gli dei, la giustizia, la virtù, il coraggio, la legge, l’amore, la musica, ecc.

1...56789...20

Une Paroisse virtuelle en F... |
VIENS ECOUTE ET VOIS |
A TOI DE VOIR ... |
Unblog.fr | Annuaire | Signaler un abus | De Heilige Koran ... makkel...
| L'IsLaM pOuR tOuS
| islam01