Archive pour la catégorie 'Padri della Chiesa – Sant’Agostino'

13 NOVEMBRE 2011 – XXXIII DOMENICA DEL T.O.

13 NOVEMBRE 2011 – XXXIII DOMENICA DEL T.O.

MESSA DEL GIORNO LINK:

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MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura  1 Ts 5,1-6
Non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési
Riguardo ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire.
Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre.
Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri.

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dal libro del profeta Gioele 2, 21 – 3, 5

Il giorno del Signore
Così dice il Signore:
«Non temere, terra,
ma rallegrati e gioisci,
poiché cose grandi ha fatto il Signore.
Non temete, animali della campagna,
perché i pascoli del deserto hanno germogliato,
perché gli alberi producono i frutti
la vite e il fico danno il loro vigore.
Voi, figli di Sion, rallegratevi,
gioite nel Signore vostro Dio,
perché vi dà la pioggia in giusta misura,
per voi fa scendere l’acqua,
la pioggia d’autunno e di primavera, come in passato.
Le aie si riempiranno di grano
e i tini traboccheranno di mosto e d’olio.
Vi compenserò delle annate
che hanno divorate la locusta e il bruco,
il grillo e le cavallette,
quel grande esercito
che ho mandato contro di voi.
Mangerete in abbondanza, a sazietà,
e loderete il nome del Signore vostro Dio,
che in mezzo a voi ha fatto meraviglie.
Voi riconoscerete che io sono in mezzo ad Israele,
e che sono io il Signore vostro Dio,
e non ce ne sono altri:
mai più vergogna per il mio popolo.
Dopo questo,
io effonderò il mio spirito
sopra ogni uomo
e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie;
i vostri anziani faranno sogni,
i vostri giovani avranno visioni.
Anche sopra gli schiavi e sulle schiave,
in quei giorni,
effonderò il mio spirito.
Farò prodigi nel cielo e sulla terra,
sangue e fuoco e colonne di fumo.
Il sole si cambierà in tenebre
e la luna in sangue,
prima che venga il giorno del Signore,
grande e terribile.
Chiunque invocherà il nome del Signore
sarà salvato,
poiché sul monte Sion e in Gerusalemme
vi sarà la salvezza, come ha detto il Signore,
anche per i superstiti che il Signore avrà chiamato».

Seconda Lettura
Dal «Commento sui salmi» di sant’Agostino, vescovo
(Sal 95, 14. 15; CCL 39, 1351-1353)

Non opponiamo resistenza alla prima venuta
per non dover poi temere la seconda
«Allora si rallegreranno gli alberi della foresta davanti al Signore che viene, perché viene a giudicare la terra» (Sal 95,12-13). Venne una prima volta, e verrà ancora in futuro. Questa sua parola è risuonata prima nel vangelo: «D’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo» (Mt 26,64). Che significa: «D’ora innanzi»? Forse che il Signore deve venire già fin d’ora e non dopo, quando piangeranno tutti i popoli della terra? Effettivamente c’è una venuta che si verifica già ora, prima di quella, ed è attraverso i suoi annunziatori. Questa venuta ha riempito tutta la terra.
Non poniamoci contro la prima venuta per non dover poi temere la seconda.
Che cosa deve fare dunque il cristiano? Servirsi del mondo, non farsi schiavo del mondo. Che significa ciò? Vuol dire avere, ma come se non avesse. Così dice, infatti, l’Apostolo: «Del resto, o fratelli, il tempo ormai si è fatto breve: d’ora innanzi quelli che hanno moglie vivano come se non l’avessero; coloro che piangono, come se non piangessero; e quelli che godono, come se non godessero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano del mondo, come se non ne usassero, perché passa la scena di questo mondo. Io vorrei vedervi senza preoccupazioni» (1Cor 7,29-32).
Chi è senza preoccupazione, aspetta tranquillo l’arrivo del suo Signore. Infatti che sorta di amore per Cristo sarebbe il temere che egli venga? Fratelli, non ci vergogniamo? Lo amiamo e temiamo che egli venga! Ma lo amiamo davvero o amiamo di più i nostri peccati? Ci si impone perentoriamente la scelta. Se vogliamo davvero amare colui che deve venire per punire i peccati, dobbiamo odiare cordialmente tutto il mondo del peccato.
Lo vogliamo o no, egli verrà. Quindi non adesso; il che ovviamente non esclude che verrà. Verrà, e quando non lo aspetti. Se ti troverà pronto, non ti nuocerà il fatto di non averne conosciuto in anticipo il momento esatto.
«E si rallegreranno tutti gli alberi della foresta». È venuto una prima volta, e poi tornerà a giudicare la terra. Troverà pieni di gioia coloro che alla sua prima venuta «hanno creduto che tornerà».
«Giudicherà il mondo con giustizia e con verità tutte le genti» (Sal 95,13). Qual è questa giustizia e verità? Unirà a sé i suoi eletti perché lo affianchino nel tribunale del giudizio, ma separerà gli altri tra loro e li porrà alcuni alla destra, altri alla sinistra. Che cosa vi è di più giusto, di più vero, che non si aspettino misericordia dal giudice coloro che non vollero usare misericordia, prima che venisse il giudice? Coloro invece che hanno voluto usare misericordia, saranno giudicati con misericordia. Si dirà infatti a coloro che stanno alla destra: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo» (Mt 25,34). E ascrive loro a merito le opere di misericordia: «Perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere» (Mt 25,35-40) con quel che segue.
A quelli che stanno alla sinistra, poi, che cosa sarà rinfacciato? Che non vollero fare opere di misericordia. E dove andranno?: «Nel fuoco eterno» (Mt 25,41). Questa terribile sentenza susciterà in loro un pianto amaro. Ma che cosa dice il salmo? «Il giusto sarà sempre ricordato; non temerà annunzio di sventura» (Sal 111,6-7). Che cos’è questo «annunzio di sventura»? «Via da me nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli» (Mt 25,41). Chi godrà per la buona sentenza non temerà quella di condanna. Questa è la giustizia, questa è la verità.
O forse perché tu sei ingiusto, il giudice non sarà giusto? O forse perché tu sei bugiardo, la verità non dirà ciò che è vero? Ma se vuoi incontrare il giudice misericordioso, sii anche tu misericordioso prima che egli giunga. Perdona se qualcuno ti ha offeso, elargisci il superfluo. E da chi proviene quello che doni, se non da lui? Se tu dessi del tuo sarebbe un’elemosina, ma poiché dai del suo, non è che una restituzione! «Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?» (1Cor 4,7).
Queste sono le offerte più gradite a Dio: la misericordia, l’umiltà, la confessione, la pace, la carità. Sono queste le cose che dobbiamo portare con noi e allora attenderemo con sicurezza la venuta del giudice il quale «Giudicherà il mondo con giustizia e con verità tutte le genti» (Sal 95,13).

DOMENICA 18 SETTEMBRE – XXV DEL TEMPO ORDINARIO

MESSA DEL GIORNO LINK:

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MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura  Fil 1,20c-24.27a
Per me vivere è Cristo

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési.
Fratelli, Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia.
Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno.
Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa scegliere. Sono stretto infatti fra queste due cose: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; ma per voi è più necessario che io rimanga nel corpo.
Comportatevi dunque in modo degno del vangelo di Cristo.

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dal «Discorso sui pastori» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 46, 13; CCL 41, 539-540)

I cristiani deboli
Dice il Signore: «Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme» (Ez 34, 4).
Parla ai cattivi pastori, ai falsi pastori, ai pastori che cercano i loro interessi, non quelli di Gesù Cristo, che sono molto solleciti dei proventi del loro ufficio, ma che non hanno affatto cura del gregge, e non rinfrancano chi è malato.
Poiché si parla di malati e di infermi, anche se sembra trattarsi della stessa cosa, una differenza si potrebbe ammettere. Infatti, a considerare bene le parole in se stesse, malato è propriamente chi è già tocco dal male, mentre infermo è colui che non è fermo e quindi solo debole.
Per chi è debole bisogna temere che la tentazione lo assalga e lo abbatta, Il malato invece è già affetto da qualche passione, e questa gli impedisce di entrare nella via di Dio, di sottomettersi al giogo di Cristo.
Alcuni uomini, che vogliono vivere bene e hanno fatto già il proposito di vivere virtuosamente, hanno minore capacità di sopportare il male, che disponibilità a fare il bene. Ora invece è proprio della virtù cristiana non solo operare il bene, ma anche saper sopportare i mali. Coloro dunque che sembrano fervorosi nel fare il bene, ma non vogliono o non sanno sopportare le sofferenze che incalzano, sono infermi ossia deboli. Ma chi ama il mondo per qualche insana voglia e si distoglie anche dalla stesse opere buone, è già vinto dal male ed è malato. La malattia lo rende come privo di forze e incapace di fare qualcosa di buono. Tale era nell’anima quel paralitico che non poté essere introdotto davanti al Signore. Allora coloro che lo trasportavano scoprirono il tetto e di lì lo calarono giù. Anche tu devi comportarti come se volessi fare la stessa cosa nel mondo interiore dell’uomo: scoperchiare il suo tetto e deporre davanti al Signore l’anima stessa paralitica, fiaccata in tutte le membra ed incapace di fare opere buone, oppressa dai suoi peccati e sofferente per la malattia della sua cupidigia.
Il medico c’è, è nascosto e sta dentro il cuore. Questo è il vero senso occulto della Scrittura da spiegare.
Se dunque ti trovi davanti a un malato rattrappito nelle membra e colpito da paralisi interiore, per farlo giungere al medico, apri il tetto e fa’ calar giù il paralitico, cioè fallo entrare in se stesso e svelagli ciò che sta nascosto nelle pieghe del suo cuore. Mostragli il suo male e il medico che deve curarlo.
A chi trascura di fare ciò, avete udito quale rimprovero viene rivolto? Questo: «Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite» (Ez 34, 4). Il ferito di cui si parla qui è come abbiamo già detto, colui che si trova come terrorizzato dalle tentazioni. La medicina da offrire in tal caso è contenuta in queste consolanti parole: «Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione ci darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla» (1 Cor 10, 13).

DOMENICA 11 SETTEMBRE 2011 – XXIV DEL TEMPO ORDINARIO

DOMENICA 11 SETTEMBRE 2011 – XXIV DEL TEMPO ORDINARIO

MESSA DEL GIORNO LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/ordinA/A24page.htm

MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura  Rm 14, 7-9
Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore.
Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore.
Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi.

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Inizio del «Discorso sui pastori» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 46, 1-2; CCL 41, 529-530)

Pastori siamo, ma prima cristiani
Ogni nostra speranza è posta in Cristo. È lui tutta la nostra salvezza e la vera gloria. È una verità, questa, ovvia e familiare a voi che vi trovate nel gregge di colui che porge ascolto alla voce di Israele e lo pasce. Ma poiché vi sono dei pastori che bramano sentirsi chiamare pastori, ma non vogliono compiere i doveri dei pastori, esaminiamo che cosa venga detto loro dal profeta. Voi ascoltatelo con attenzione, noi lo sentiremo con timore.
«Mi fu rivolta questa parola del Signore: Figlio dell’uomo, profetizza contro i pastori di Israele, predici e riferisci ai pastori d’Israele» (Ez 34,1-2) Abbiamo ascoltato or ora la lettura di questo brano, quindi abbiamo deciso di discorrerne un poco con voi. Dio stesso ci aiuterà a dire cose vere, anche se non diciamo cose nostre. Se dicessimo infatti cose nostre saremmo pastori che pascono se stessi, non il gregge; se invece diciamo cose che vengono da lui, egli stesso vi pascerà, servendosi di chiunque.
«Questo dice il Signore Dio: Guai ai pastori di Israele che pascono se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge?» (Ez 34,2), cioè i pastori non devono pascere se stessi, ma il gregge. Questo è il primo capo di accusa contro tali pastori: essi pascono se stessi e non il gregge. Chi sono coloro che pascono se stessi? Quelli di cui l’Apostolo dice: «Tutti infatti cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo» (Fil 2,21).
Ora noi che il Signore, per bontà sua e non per nostro merito, ha posto in questo ufficio — di cui dobbiamo rendere conto, e che conto! — dobbiamo distinguere molto bene due cose: la prima cioè che siamo cristiani, la seconda che siamo posti a capo. Il fatto di essere cristiani riguarda noi stessi; l’essere posti a capo invece riguarda voi.
Per il fatto di essere cristiani dobbiamo badare alla nostra utilità, in quanto siamo messi a capo dobbiamo preoccuparci della vostra salvezza.
Forse molti semplici cristiani giungono a Dio percorrendo una via più facile della nostra e camminando tanto più speditamente, quanto minore è il peso di responsabilità che portano sulle spalle. Noi invece dovremo rendere conto a Dio prima di tutto della nostra vita, come cristiani, ma poi dovremo rispondere in modo particolare dell’esercizio del nostro ministero, come pastori.

SANT’AGOSTINO – RICERCA DI DIO

dal sito:

http://www.augustinus.it/italiano/confessioni/index2.htm

SANT’AGOSTINO – LE CONFESSIONI – LIBRO X

Ricerca di Dio

L’oggetto dell’amore verso Dio
6. 8. Ciò che sento in modo non dubbio, anzi certo, Signore, è che ti amo. Folgorato al cuore da te mediante la tua parola, ti amai, e anche il cielo e la terra e tutte le cose in essi contenute, ecco, da ogni parte mi dicono di amarti, come lo dicono senza posa a tutti gli uomini, affinché non abbiano scuse 40. Più profonda misericordia avrai di colui, del quale avesti misericordia, userai misericordia a colui, verso il quale fosti misericordioso 41. Altrimenti cielo e terra ripeterebbero le tue lodi 42 a sordi. Ma che amo, quando amo te? Non una bellezza corporea, né una grazia temporale: non lo splendore della luce, così caro a questi miei occhi, non le dolci melodie delle cantilene d’ogni tono, non la fragranza dei fiori, degli unguenti e degli aromi, non la manna e il miele, non le membra accette agli amplessi della carne. Nulla di tutto ciò amo, quando amo il mio Dio. Eppure amo una sorta di luce e voce e odore e cibo e amplesso nell’amare il mio Dio: la luce, la voce, l’odore, il cibo, l’amplesso dell’uomo interiore che è in me, ove splende alla mia anima una luce non avvolta dallo spazio, ove risuona una voce non travolta dal tempo, ove olezza un profumo non disperso dal vento, ov’è colto un sapore non attenuato dalla voracità, ove si annoda una stretta non interrotta dalla sazietà. Ciò amo, quando amo il mio Dio.

Ricerca di Dio oltre la materia
6. 9. Che è ciò? 43. Interrogai sul mio Dio la mole dell’universo, e mi rispose: « Non sono io, ma è lui che mi fece ». Interrogai la terra, e mi rispose: « Non sono io »; la medesima confessione fecero tutte le cose che si trovano in essa. Interrogai il mare, i suoi abissi 44 e i rettili con anime vive 45; e mi risposero: « Non siamo noi il tuo Dio; cerca sopra di noi ». Interrogai i soffi dell’aria, e tutto il mondo aereo con i suoi abitanti mi rispose: « Erra Anassimene, io non sono Dio ». Interrogai il cielo, il sole, la luna, le stelle: « Neppure noi siamo il Dio che cerchi », rispondono. E dissi a tutti gli esseri che circondano le porte del mio corpo: « Parlatemi del mio Dio; se non lo siete voi, ditemi qualcosa di lui »; ed essi esclamarono a gran voce: « È lui che ci fece » 46. Le mie domande erano la mia contemplazione; le loro risposte, la loro bellezza. Allora mi rivolsi a me stesso. Mi chiesi. « Tu, chi sei? »; e risposi: « Un uomo ». Dunque, eccomi fornito di un corpo e di un’anima, l’uno esteriore, l’altra interiore. A quali dei due chiedere del mio Dio, già cercato col corpo dalla terra fino al cielo, fino a dove potei inviare messaggeri, i raggi dei miei occhi? Più prezioso l’elemento interiore. A lui tutti i messaggeri del corpo riferivano, come a chi governi e giudichi, le risposte del cielo e della terra e di tutte le cose là esistenti, concordi nel dire: « Non siamo noi Dio », e: « È lui che ci fece ». L’uomo interiore 47 apprese queste cose con l’ausilio dell’esteriore; io, l’interiore, le ho apprese, io, io, lo spirito, per mezzo dei sensi del mio corpo.
6. 10. Non appare a chiunque è dotato compiutamente di sensi questa bellezza? Perché dunque non parla a tutti nella stessa maniera? Gli animali piccoli e grandi la vedono, ma sono incapaci di fare domande, poiché in essi non è preposta ai messaggi dei sensi una ragione giudicante. Gli uomini però sono capaci di fare domande, per scorgere quanto in Dio è invisibile e comprendendolo attraverso il creato 48. Senonché il loro amore li asservisce alle cose create, e i servi non possono giudicare. Ora, queste cose rispondono soltanto a chi le interroga sapendo giudicare; non mutano la loro voce, ossia la loro bellezza, se uno vede soltanto, mentre l’altro vede e interroga, così da presentarsi all’uno e all’altro sotto aspetti diversi; ma, pur presentandosi a entrambi sotto il medesimo aspetto, essa per l’uno è muta, per l’altro parla; o meglio, parla a tutti, ma solo coloro che confrontano questa voce ricevuta dall’esterno, con la verità nel loro interno, la capiscono. Mi dice la verità: « Il tuo Dio non è la terra, né il cielo, né alcun altro corpo »; l’afferma la loro natura, lo si vede, essendo ogni massa minore nelle sue parti che nel tutto. Tu stessa sei certo più preziosa del tuo corpo, io te lo dico, anima mia, poiché ne vivifichi la massa, prestandogli quella vita che nessun corpo può fornire a un altro corpo. Ma il tuo Dio è anche per te vita della tua vita.

Ricerca di Dio oltre la forza vitale e la sensibilità
7. 11. Che amo dunque, allorché amo il mio Dio? Chi è costui, che sta sopra il vertice della mia anima? Proprio con l’aiuto della mia anima salirò fino a lui, trascenderò la mia forza che mi avvince al corpo e ne riempie l’organismo di vita. Non con questa forza potrei trovare il mio Dio; altrimenti anche un cavallo e un mulo, privi d’intelligenza 49, ma dotati della medesima forza, per cui hanno vita anche i loro corpi, potrebbero trovarlo. C’è un’altra forza, quella con cui rendo non solo viva, ma anche sensitiva la mia carne, che mi fabbricò il Signore, prescrivendo all’occhio di non udire, all’orecchio di non vedere 50, ma all’uno di farmi vedere, all’altro di farmi udire, e così a ciascuno degli altri sensi prescrizioni proprie secondo le loro sedi e le loro attribuzioni; e così io, unico spirito, compio azioni diverse per loro mezzo. Trascenderò anche questa mia forza, poiché ne godono anche un cavallo e un mulo, che infatti hanno essi pure la sensibilità fisica.

28 AGOSTO 2011 – XXII DOMENICA DEL T.O. (SANT’AGOSTINO)

28 AGOSTO 2011 – XXII DOMENICA DEL T.O.

SANT’AGOSTINO

MESSA DEL GIORNO LINK:

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Seconda Lettura  Rm 12, 1-2
Offrite i vostri corpi come sacrificio vivente.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, vi esorto, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale.
Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.

http://www.bible-service.net/site/375.html

 Romains 12,1-2
Au chapitre 11 de sa lettre, Paul vient de démontrer que Juifs et païens, tous sont appelés au salut. Comment vivre en sauvés ? En faisant de toute sa vie une offrande agréable à Dieu. C’est répondre au choix qu’il a fait de nous, c’est répondre à son amour sauveur, à sa « tendresse ».
La vie chrétienne, en ce sens, est une liturgie. L’adoration n’est pas évasion de la vie quotidienne, mais l’offrande de cette vie vécue selon la volonté de Dieu. Tout l’être, toute la « personne » et toute la « vie » sont engagés dans ce sacrifice.
Et le modèle, à l’évidence, c’est le Christ qui a consacré au Père tout son être, toute sa volonté, tout son cœur. En saint Jean, dans la prière sacerdotale après la Cène, Jésus aura pour lui-même et pour ses disciples des phrases qui reprendront l’esprit de ce passage : « Ils ne sont pas du monde, comme moi je ne suis pas du monde… Je me consacre moi-même

Romani 12,1-2
Nel capitolo 11 della sua lettera, Paolo ha dimostrato che ebrei e gentili, tutti sono chiamati alla salvezza. Come vivere da salvati? Facendo di tutta la propria vita un’offerta gradita a Dio. È rispondere alla scelta che ha fatto di noi, è rispondere al suo amore salvifico, alla sua « tenerezza ».
La vita cristiana, in questo senso è una liturgia. Culto non è evasione dalla vita quotidiana, ma l’offerta di questa vita vissuta secondo la volontà di Dio. Tutto l’essere, tutta la « persona » e tutta la »vita » sono impegnati in quel sacrificio.
E il modello, ovviamente, è Cristo  che ha consacrato al Padre tutto il suo essere, tutta la sua volontà, tutto il suo cuore. In San Giovanni, nella preghiera sacerdotale. dopo l’Ultima Cena, Gesù ha per se stesso e pe i suoi discepoli delle frasi che riprendono  lo spirito di questo passaggio: « Non sono del mondo, come io non sono il mondo. .. Io ocnsacro me stesso… « (Giovanni 17,16-19).

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo (Disc. 23 A, 1-4; CCL 41, 321-323)

Il Signore ha avuto misericordia di noi
Siamo veramente beati se, quello che ascoltiamo, o cantiamo, lo mettiamo anche in pratica. Infatti il nostro ascoltare rappresenta la semina, mentre nell’opera abbiamo il frutto del seme. Premesso ciò, vorrei esortarvi a non andare in chiesa e poi restare senza frutto, ascoltare cioè tante belle verità, senza poi muovervi ad agire.
Tuttavia non dimentichiamo quanto ci dice l’Apostolo: «Per questa grazia siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio, né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene» (Ef 2, 8-9). Ribadisce: «Per grazia siete stati salvati» (Ef 2, 5).
In realtà non vi era in precedenza nella nostra vita nulla di buono, che Dio potesse apprezzare e amare, quasi avesse dovuto dire a se stesso: «Andiamo, soccorriamo questi uomini, perché la loro vita è buona». Non poteva piacergli la nostra vita col nostro modo di agire, però non poteva dispiacergli ciò che egli stesso aveva operato in noi. Pertanto condannerà il nostro operato, ma salverà ciò che egli stesso ha creato.
Dunque non eravamo davvero buoni. Ciò nonostante, Dio ebbe  compassione di noi e mandò il suo Figlio, perché morisse, non già per i buoni, ma per i cattivi, non per i giusti, ma per gli empi. Proprio così: «Cristo morì per gli empi» (Rm 5, 6). E che cosa aggiunge? «Ora a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto», al massimo «ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene» (Rm 5, 7). Può darsi che qualcuno abbia la forza di morire per il giusto. Ma per l’ingiusto, l’empio, l’iniquo, chi accetterebbe di morire, se non Cristo soltanto, che è talmente giusto da poter giustificare anche gli ingiusti?
Come vedete, fratelli, non avevamo opere buone, ma tutte erano cattive. Tuttavia, pur essendo tali le opere degli uomini, la misericordia divina non li abbandonò. Anzi Dio mandò il suo Figlio a redimerci non con oro né con argento, ma a prezzo del suo sangue, che egli, quale Agnello immacolato condotto al sacrificio ha sparso per le pecore macchiate, se pure solo macchiate e non del tutto corrotte.
Questa è la grazia che abbiamo ricevuto. Viviamo perciò in modo degno di essa, per non fare oltraggio a un dono sì grande. Ci è venuto incontro un medico tanto buono e valente da liberarci da tutti i nostri mali. Se vogliamo di nuovo ricadere nella malattia, non solo recheremo danno a noi stessi, ma ci dimostreremo anche ingrati verso il nostro medico.
Seguiamo perciò le vie che egli ci ha mostrato, specialmente la via dell’umiltà, quella per la quale si è incamminato lui stesso: Infatti ci ha tracciato la via dell’umiltà con il suo insegnamento e l’ha percorsa fino in fondo soffrendo per noi.
Perché dunque colui che era immortale potesse morire per noi, «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14). L’immortale assunse la mortalità, per poter morire per noi e distruggere in tal modo con la sua morte la nostra morte.
Questo ha compiuto il Signore, in questo ci ha preceduto. Lui che è grande si è umiliato, umiliato fu ucciso, ucciso risuscitò e fu esaltato per non lasciare noi nell’inferno, ma per esaltare in sé, nella risurrezione dai morti, coloro che in questa terra aveva esaltati soltanto nella fede e nella confessione dei giusti. Dunque ci ha chiesto di seguire la via dell’umiltà: se lo faremo daremo gloria al Signore e a ragione potremo cantare: «Noi ti rendiamo grazie, o Dio, ti rendiamo grazie, invocando il tuo nome» (Sal 74, 2). 

La morte di mia Madre (Sant’Agostino, Confessioni, libro IX)

dal sito:

http://parrocchie.diocesi.torino.it/parr087/vita/confess.htm

La morte di mia Madre

(Sant’Agostino, Confessioni)

Era ormai vicino il giorno in cui ella sarebbe uscita da questa vita, giorno che tu conoscevi mentre noi lo ignoravamo. Per tua disposizione misteriosa e provvidenziale, avvenne una volta che io e lei ce ne stessimo soli, appoggiati al davanzale di una finestra che dava sul giardino interno della casa che ci ospitava, là presso Ostia, dove noi lontani dal frastuono della gente, dopo la fatica del lungo viaggio, ci stavamo preparando ad imbarcarci.
Parlavamo soli con grande dolcezza e, dimentichi del passato, ci protendevamo verso il futuro, cercando di conoscere alla luce della Verità presente che se tu, la condizione eterna dei santi, quella vita cioè che occhio non vide, né‚ orecchio udì, né mai entrò in cuore d’uomo (cfr. 1 Cor 2, 9).
Ce ne stavamo con la bocca anelante verso l’acqua che emana dalla tua sorgente, da quella sorgente di vita che si trova presso di te. Dicevo cose del genere, anche se non proprio in tal modo e con queste precise parole.
Tuttavia, Signore, tu sai che in quel giorno, mentre così parlavamo e, tra una parola e l’altra, questo mondo con tutti i suoi piaceri perdeva ai nostri occhi ogni suo richiamo, mia madre mi disse: « Figlio, quanto a me non trovo ormai più alcuna attrattiva per questa vita.
Non so che cosa io stia a fare ancora quaggiù e perché‚ mi trovi qui. Questo mondo non è più oggetto di desideri per me. C’era un solo motivo per cui desideravo rimanere ancora un poco in questa vita: vederti cristiano cattolico, prima di morire. Dio mi ha esaudito oltre ogni mia aspettativa, mi ha concesso di vederti al suo servizio e affrancato dalle aspirazioni di felicità terrene. Che sto a fare qui? »
Non ricordo bene che cosa io le abbia risposto, in proposito. Intanto nel giro di cinque giorni o poco più si mise a letto con la febbre. Durante la malattia un giorno ebbe uno svenimento e per un po’ di tempo perdette i sensi. Noi accorremmo, ma essa riprese prontamente la conoscenza, guardò me e mio fratello in piedi presso di lei, e disse, come cercando qualcosa: « Dove ero? »
Quindi, vedendoci sconvolti per il dolore, disse: « Seppellirete qui vostra madre. ». lo tacevo con un nodo alla gola e cercavo di trattenere le lacrime. Mio fratello, invece, disse qualche parola per esprimere che desiderava vederla chiudere gli occhi in patria e non in terra straniera. Al sentirlo fece un cenno di disapprovazione per ciò che aveva detto. Quindi rivolgendosi a me disse: « Senti che cosa dice? ». E poco dopo a tutti e due: « Seppellirete questo corpo, disse, dove meglio vi piacerà, non voglio che ve ne diate pena. Soltanto di questo vi prego, che dovunque vi troverete, vi ricordiate di me all’altare del Signore ».
Quando ebbe espresso come poté questo desiderio, tacque. Intanto il male si aggravava ed essa continuava a soffrire.
In capo a nove giorni della sua malattia, l’anno cinquantaseiesimo della sua vita, e trentesimo della mia, quell’anima benedetta e santa se ne partì da questa terra.

MERCOLEDÌ 29 GIUGNO 2011 – SANTI PIETRO E PAOLO, APOSTOLI (SOLENNITÀ)

MERCOLEDÌ 29 GIUGNO 2011 – 13 SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

SANTI  PIETRO E PAOLO, APOSTOLI (SOLENNITÀ)

MESSA DEL VESPERTINA LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/festeSolen/0629Page.htm

MESSA VESPERTINA

Seconda Lettura   Gal 1,11-20
Dio mi scelse fin dal seno di mia madre.

Dalla lettera di san Paolo ai Gàlati
Fratelli, vi dichiaro che il Vangelo da me annunciato non segue un modello umano; infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo.
Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo: perseguitavo ferocemente la Chiesa di Dio e la devastavo, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri.
Ma quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo perché lo annunciassi in mezzo alle genti, subito, senza chiedere consiglio a nessuno, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco.
In seguito, tre anni dopo, salii a Gerusalemme per andare a conoscere Cefa e rimasi presso di lui quindici giorni; degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore. In ciò che vi scrivo – lo dico davanti a Dio – non mentisco.

MESSA DEL GIORNO LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/festeSolen/0629Page.htm

MESSA DEL GIORNO:

Seconda Lettura   2 Tm 4,6-8.17.18
Ora mi resta soltanto la corona di giustizia.

Dalla seconda lettera di san Paolo a Timoteo
Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede.
Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.
Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone.
Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla lettera ai Galati di san Paolo, apostolo 1, 15 – 2, 10
 
Incontro di Pietro e Paolo a Gerusalemme
Fratelli, quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco.
In seguito, dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni; degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore. In ciò che vi scrivo, io attesto davanti a Dio che non mentisco. Quindi andai nelle regioni della Siria e della Cilicia. Ma ero sconosciuto personalmente alle Chiese della Giudea che sono in Cristo; soltanto avevano sentito dire: «Colui che una volta ci perseguitava, va ora annunziando la fede che un tempo voleva distruggere». E glorificavano Dio a causa mia.
Dopo quattordici anni, andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Barnaba, portando con me anche Tito: vi andai però in seguito ad una rivelazione. Esposi loro il vangelo che io predico tra i pagani, ma lo esposi privatamente alle persone più ragguardevoli, per non trovarmi nel rischio di correre o di aver corso invano. Ora neppure Tito, che era con me, sebbene fosse greco, fu obbligato a farsi circoncidere. E questo proprio a causa dei falsi fratelli che si erano intromessi a spiare la libertà che abbiamo in Cristo Gesù, allo scopo di renderci schiavi. Ad essi però non cedemmo, per riguardo, neppure un istante, perché la verità del vangelo continuasse a rimanere salda tra di voi.
Da parte dunque delle persone più ragguardevoli — quali fossero allora non m’interessa, perché Dio non bada a persona alcuna — a me, da quelle persone ragguardevoli, non fu imposto nulla di più. Anzi, visto che a me era stato affidato il vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi — poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per i pagani — e riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la loro destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi. Soltanto ci pregarono di ricordarci dei poveri: ciò che mi sono proprio preoccupato di fare. 

Responsorio   Cfr. Mt 16, 18-19
R. Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze dell’inferno non la vinceranno. * A te darò le chiavi del regno dei cieli.
V. Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli.
R. A te darò le chiavi del regno dei cieli.

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 295, 1-2. 4. 7-8; PL 38, 1348-1352)
 
Questi martiri hanno visto ciò che hanno predicato
Il martirio dei santi apostoli Pietro e Paolo ha reso sacro per noi questo giorno. Noi non parliamo di martiri poco conosciuti; infatti «per tutta la terra si diffonde la loro voce ai confini del mondo la loro parola» (Sal 18, 5). Questi martiri hanno visto ciò che hanno predicato. Hanno seguito la giustizia. Hanno testimoniato la verità e sono morti per essa.
Il beato Pietro, il primo degli apostoli, dotato di un ardente amore verso Cristo, ha avuto la grazia di sentirsi dire da lui: «E io ti dico: Tu sei Pietro» (Mt 16, 18). E precedentemente Pietro si era rivolto a Gesù dicendo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16, 16). E Gesù aveva affermato come risposta: «E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16, 18). Su questa pietra stabilirò la fede che tu professi. Fonderò la mia chiesa sulla tua affermazione: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Tu infatti sei Pietro. Pietro deriva da pietra e non pietra da Pietro. Pietro deriva da pietra, come cristiano da Cristo.
Il Signore Gesù, come già sapete, scelse prima della passione i suoi discepoli, che chiamò apostoli. Tra costoro solamente Pietro ricevette l’incarico di impersonare quasi in tutti i luoghi l’intera Chiesa. Ed è stato in forza di questa personificazione di tutta la Chiesa che ha meritato di sentirsi dire da Cristo: «A te darò le chiavi del regno dei cieli» (Mt 16, 19). Ma queste chiavi le ha ricevute non un uomo solo, ma l’intera Chiesa. Da questo fatto deriva la grandezza di Pietro, perché egli è la personificazione dell’universalità e dell’unità della Chiesa. «A te darò» quello che è stato affidato a tutti. E` ciò che intende dire Cristo. E perché sappiate che è stata la Chiesa a ricevere le chiavi del regno dei cieli, ponete attenzione a quello che il Signore dice in un’altra circostanza: «Ricevete lo Spirito Santo» e subito aggiunge: «A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20, 22-23).
Giustamente anche dopo la risurrezione il Signore affidò allo stesso Pietro l’incombenza di pascere il suo gregge. E questo non perché meritò egli solo, tra i discepoli, un tale compito, ma perché quando Cristo si rivolge ad uno vuole esprimere l’unità. Si rivolge da principio a Pietro, perché Pietro è il primo degli apostoli.
Non rattristarti, o apostolo. Rispondi una prima, una seconda, una terza volta. Vinca tre volte nell’amore la testimonianza, come la presunzione è stata vinta tre volte dal timore. Deve essere sciolto tre volte ciò che hai legato tre volte. Sciogli per mezzo dell’amore ciò che avevi legato per timore.
E così il Signore una prima, una seconda, una terza volta affidò le sue pecorelle a Pietro.
Un solo giorno è consacrato alla festa dei due apostoli. Ma anch’essi erano una cosa sola. Benché siano stati martirizzati in giorni diversi, erano una cosa sola. Pietro precedette, Paolo seguì. Celebriamo perciò questo giorno di festa, consacrato per noi dal sangue degli apostoli.
Amiamone la fede, la vita, le fatiche, le sofferenze, le testimonianze e la predicazione.

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