Archive pour la catégorie 'Padri della Chiesa – Sant’Agostino'

LA VITA DI MONICA MADRE DI AGOSTINO – DAL LIBRO NONO : DA MILANO A OSTIA

http://www.augustinus.it/italiano/confessioni/index2.htm

LA VITA DI MONICA MADRE DI AGOSTINO

DAL LIBRO NONO : DA MILANO A OSTIA

A OSTIA, DURANTE IL RITORNO IN AFRICA

Educazione di Monica
8. 17. Tu, che fai abitare in una casa i cuori unanimi 84, associasti alla nostra comitiva anche Evodio, un giovane nativo del nostro stesso municipio. Agente nell’amministrazione imperiale, si era rivolto a te 85 prima di noi, aveva ricevuto il battesimo e quindi abbandonato il servizio del secolo per porsi al tuo. Stavamo sempre insieme e avevamo fatto il santo proposito di abitare insieme anche per l’avvenire. In cerca anzi di un luogo ove meglio operare servendoti, prendemmo congiuntamente la via del ritorno verso l’Africa. Senonché presso Ostia Tiberina mia madre morì. Tralascio molti avvenimenti per la molta fretta che mi pervade. Accogli la mia confessione e i miei ringraziamenti, Dio mio, per innumerevoli fatti, che pure taccio. Ma non tralascerò i pensieri che partorisce la mia anima al ricordo di quella tua serva, che mi partorì con la carne a questa vita temporale e col cuore alla vita eterna. Non discorrerò per questo di doni suoi, ma di doni tuoi a lei, che non si era fatta da sé sola, né da sé sola educata. Tu la creasti senza che neppure il padre e la madre sapessero quale figlia avrebbero avuto; e l’ammaestrò nel tuo timore 86 la verga del tuo Cristo 87, ossia la disciplina del tuo Unigenito, in una casa di credenti, membro sano della tua Chiesa. Più che le premure della madre per la sua educazione, ella soleva esaltare quelle di una fantesca decrepita, che aveva portato suo padre in fasce sul dorso, ove le fanciulle appena grandicelle usano portare i piccini. Questo precedente, insieme all’età avanzata e alla condotta irreprensibile, le avevano guadagnato non poco rispetto da parte dei padroni in quella casa cristiana. Quindi le fu affidata l’educazione delle figliuole dei padroni, cui attendeva diligentemente, energica nel punire all’occorrenza con ben ispirata severità e piena di buon senso nell’ammaestrare. Ad esempio, fuori delle ore in cui pasteggiavano a tavola, molto parcamente, con i genitori, non le lasciava bere nemmeno l’acqua, anche se fossero riarse dalla sete. Mirava così a prevenire una brutta abitudine e aggiungeva con saggia parola 88: « Ora bevete acqua, perché non disponete di vino; ma una volta sposate e divenute padrone di dispense e cantine, l’acqua vi parrà insipida, ma il vezzo di bere s’imporrà ». Con questo genere di precetti e con autorità di comando teneva a freno l’ingordigia di un’età ancora tenera e uniformava la stessa sete delle fanciulle alla regola della modestia, fino a rendere per loro nemmeno gradevole ciò che non era onorevole.

Monica corretta dal vizio di bere
8. 18. Tuttavia si era insinuato in mia madre, secondo che a me, suo figlio, la tua serva raccontava, si era insinuato il gusto del vino. Quando i genitori, che la credevano una fanciulla sobria, la mandavano ad attingere il vino secondo l’usanza, essa, affondato il boccale dall’apertura superiore della tina, prima di versare il liquido puro nel fiaschetto, ne sorbiva un poco a fior di labbra. Di più non riusciva senza provarne disgusto, poiché non vi era spinta minimamente dalla golosità del vino, bensì da una smania indefinibile, propria dell’età esuberante, che esplode in qualche gherminella e che solo la mano pesante degli anziani reprime di solito negli animi dei fanciulli. Così, aggiungendo ogni giorno un piccolo sorso al primo, come è vero che a trascurare le piccole cose si finisce col cadere 89, sprofondò in quel vezzo al punto che ormai tracannava avidamente coppette quasi colme di vino puro. Dov’era finita la sagace vecchierella, con i suoi energici divieti? Ma quale rimedio poteva darsi contro una malattia occulta, se non la vigile presenza su di noi della tua medicina, Signore? Assenti il padre, la madre, le nutrici, tu eri presente, il Creatore, che ci chiami, che pure attraverso le gerarchie umane operi qualche bene per la salute delle anime. In quel caso come operasti, Dio mio? donde traesti il rimedio, donde la salute? Non ricavasti da un’altra anima un duro e acuminato insulto, che come ferro guaritore uscito dalle tue riserve occulte troncò la cancrena con un colpo solo? L’ancella che accompagnava abitualmente mia madre alla tina, durante il litigio, come avviene, a tu per tu con la piccola padrona, le rinfacciò il suo vizio, chiamandola con l’epiteto davvero offensivo di beona. Fu per la fanciulla una frustata. Riconobbe l’orrore della propria consuetudine, la riprovò sull’istante e se ne spogliò. Come gli amici corrompono con le adulazioni, così i nemici per lo più correggono con le offese, e tu non li ripaghi dell’opera che compi per mezzo loro, ma dell’intenzione che ebbero per conto loro. La fantesca nella sua ira desiderò esasperare la piccola padrona, non guarirla, e agì mentre erano sole perché si trovavano sole dove e quando scoppiò il litigio, oppure perché non voleva rischiare di scapitarne anch’essa per aver tardato tanto a rivelare il fatto. Ma tu, Signore, reggitore di ogni cosa in cielo e in terra, che volgi ai tuoi fini le acque profonde del torrente, il torbido ma ordinato flusso dei secoli, mediante l’insania stessa di un’anima ne risanasti un’altra. La considerazione di questo episodio induca chiunque a non attribuire al proprio potere il ravvedimento provocato dalle sue parole in un estraneo che vuole far ravvedere.

Monica sposa paziente
9. 19. Mia madre fu dunque allevata nella modestia e nella sobrietà, sottomessa piuttosto da te ai genitori, che dai genitori a te. Giunta in età matura per le nozze 90, fu consegnata a un marito, che servì come un padrone 91. Si adoperò per guadagnarlo a te 92, parlandogli di te attraverso le virtù di cui la facevi bella e con cui le meritavi il suo affetto rispettoso e ammirato. Tollerò gli oltraggi al letto coniugale in modo tale, da non avere il minimo litigio per essi col marito. Aspettava la tua misericordia 93, che scendendo su di lui gli desse insieme alla fede la castità. Era del resto un uomo singolarmente affettuoso, ma altrettanto facile all’ira, e mia madre aveva imparato a non resistergli nei momenti di collera, non dico con atti, ma neppure a parole. Coglieva invece il momento adatto, quando lo vedeva ormai rabbonito e calmo, per rendergli conto del proprio comportamento, se per caso si era turbato piuttosto a sproposito. Molte altre signore, pur sposate a uomini più miti del suo, portavano segni di percosse che ne sfiguravano addirittura l’aspetto, e nelle conversazioni tra amiche deploravano il comportamento dei mariti. Essa deplorava invece la loro lingua, ammonendole seriamente con quella che sembrava una facezia: dal momento, diceva, in cui si erano sentite leggere il contratto matrimoniale, avrebbero dovuto considerarlo come la sanzione della propria servitù; il ricordo di tale condizione rendeva dunque inopportuna ogni alterigia nei confronti di chi era un padrone. Le amiche, non ignare di quanto fosse furioso il marito che sopportava, stupivano del fatto che mai si fosse udito o rilevato alcun indizio di percosse inflitte da Patrizio alla moglie, né di liti, che in casa li avessero divisi anche per un giorno solo. Richiesta da loro in confidenza di una spiegazione, illustrava il suo metodo, che ho riferito sopra; e chi l’applicava, dopo l’esperienza gliene era grata; chi non l’applicava, sotto il giogo era tormentata.

Rapporti cordiali fra Monica e la suocera
9. 20. La suocera sulle prime l’avversava per le insinuazioni di ancelle maligne. Ma conquistò anch’essa col rispetto e la perseveranza nella pazienza e nella dolcezza, cosicché la suocera stessa denunziò al figlio le lingue delle fantesche, che mettevano male fra lei e la nuora turbando la pace domestica, e ne chiese il castigo. Il figlio, sia per ubbidienza alla madre, sia per la tutela dell’ordine domestico, sia per la difesa della concordia fra parenti punì con le verghe le colpevoli denunziate quanto piacque alla denunziante; quest’ultima promise uguale ricompensa a qualunque altra le avesse parlato male della nuora per accaparrarsi il suo favore. Nessuna osò più farlo e le due donne vissero in una dolce amorevolezza degna di essere menzionata.

Sollecitudine di Monica per estinguere le inimicizie
9. 21. A così devota tua serva, nel cui seno mi creasti, Dio mio, misericordia mia 94, avevi fatto un altro grande dono. Tra due anime di ogni condizione, che fossero in urto e discordia, ella, se appena poteva, cercava di mettere pace. Delle molte invettive che udiva dall’una contro l’altra, quali di solito vomita l’inimicizia turgida e indigesta, allorché l’odio mal digerito si effonde negli acidi colloqui con un’amica presente sul conto di un’amica assente, non riferiva all’interessata se non quanto poteva servire a riconciliarle. Giudicherei questa una bontà da poco, se una triste esperienza non mi avesse mostrato turbe innumerevoli di persone, che per l’inesplicabile, orrendo contagio di un peccato molto diffuso riferiscono ai nemici adirati le parole dei nemici adirati, non solo, ma aggiungono anche parole che non furono pronunciate. Invece per un uomo davvero umano dovrebbe essere poca cosa, se si astiene dal suscitare e rinfocolare con discorsi maliziosi le inimicizie fra gli altri uomini, senza studiarsi, anche, di estinguerle con discorsi buoni. Mia madre faceva proprio questo, istruita da te, il maestro interiore, nella scuola del cuore.

Monica serva di tutti
9. 22. Finalmente ti guadagnò anche il marito 95, negli ultimi giorni ormai della sua vita temporale, e dopo la conversione non ebbe a lamentare da parte sua gli oltraggi, che prima della conversione ebbe a tollerare. Era, poi, la serva dei tuoi servi. Chiunque di loro la conosceva, trovava in lei motivo per lodarti, onorarti e amarti grandemente, avvertendo la tua presenza nel suo cuore dalla testimonianza dei frutti di una condotta santa 96. Era stata sposa di un solo uomo, aveva ripagato il suo debito ai genitori, aveva governato santamente la sua casa, aveva la testimonianza delle buone opere, aveva allevato i suoi figli 97 partorendoli tante volte 98, quante li vedeva allontanarsi da te. Infine, di tutti noi, Signore, poiché la tua munificenza permette di parlare ai tuoi servi; che, ricevuta la grazia del tuo battesimo, vivevamo già uniti in te prima del suo sonno, ebbe cura come se di tutti fosse stata la madre e ci servì come se di tutti fosse stata la figlia.

La contemplazione di Ostia
10. 23. All’avvicinarsi del giorno in cui doveva uscire di questa vita, giorno a te noto, ignoto a noi, accadde, per opera tua, io credo, secondo i tuoi misteriosi ordinamenti, che ci trovassimo lei ed io soli, appoggiati a una finestra prospiciente il giardino della casa che ci ospitava, là, presso Ostia Tiberina, lontani dai rumori della folla, intenti a ristorarci dalla fatica di un lungo viaggio in vista della traversata del mare. Conversavamo, dunque, soli con grande dolcezza. Dimentichi delle cose passate e protesi verso quelle che stanno innanzi 99, cercavamo fra noi alla presenza della verità, che sei tu 100, quale sarebbe stata la vita eterna dei santi, che occhio non vide, orecchio non udì, né sorse in cuore d’uomo 101. Aprivamo avidamente la bocca del cuore al getto superno della tua fonte, la fonte della vita, che è presso di te 102, per esserne irrorati secondo il nostro potere e quindi concepire in qualche modo una realtà così alta.
10. 24. Condotto il discorso a questa conclusione: che di fronte alla giocondità di quella vita il piacere dei sensi fisici, per quanto grande e nella più grande luce corporea, non ne sostiene il paragone, anzi neppure la menzione; elevandoci con più ardente impeto d’amore verso l’Essere stesso 103, percorremmo su su tutte le cose corporee e il cielo medesimo, onde il sole e la luna e le stelle brillano sulla terra. E ancora ascendendo in noi stessi con la considerazione, l’esaltazione, l’ammirazione delle tue opere, giungemmo alle nostre anime e anch’esse superammo per attingere la plaga dell’abbondanza inesauribile 104, ove pasci Israele 105 in eterno col pascolo della verità, ove la vita è la Sapienza, per cui si fanno tutte le cose presenti e che furono e che saranno, mentre essa non si fa, ma tale è oggi quale fu e quale sempre sarà; o meglio, l’essere passato e l’essere futuro non sono in lei, ma solo l’essere, in quanto eterna, poiché l’essere passato e l’essere futuro non è l’eterno. E mentre ne parlavamo e anelavamo verso di lei, la cogliemmo un poco con lo slancio totale della mente, e sospirando vi lasciammo avvinte le primizie dello spirito 106, per ridiscendere al suono vuoto delle nostre bocche, ove la parola ha principio e fine. E cos’è simile alla tua Parola, il nostro Signore, stabile in se stesso senza vecchiaia e rinnovatore di ogni cosa 107?
10. 25. Si diceva dunque: « Se per un uomo tacesse il tumulto della carne, tacessero le immagini della terra, dell’acqua e dell’aria, tacessero i cieli, e l’anima stessa si tacesse e superasse non pensandosi, e tacessero i sogni e le rivelazioni della fantasia, ogni lingua e ogni segno e tutto ciò che nasce per sparire se per un uomo tacesse completamente, sì, perché, chi le ascolta, tutte le cose dicono: « Non ci siamo fatte da noi, ma ci fece 108 Chi permane eternamente » 109; se, ciò detto, ormai ammutolissero, per aver levato l’orecchio verso il loro Creatore, e solo questi parlasse, non più con la bocca delle cose, ma con la sua bocca, e noi non udissimo più la sua parola attraverso lingua di carne o voce d’angelo o fragore di nube 110 o enigma 111 di parabola, ma lui direttamente, da noi amato in queste cose, lui direttamente udissimo senza queste cose, come or ora protesi con un pensiero fulmineo cogliemmo l’eterna Sapienza stabile sopra ogni cosa, e tale condizione si prolungasse, e le altre visioni, di qualità grandemente inferiore, scomparissero, e quest’unica nel contemplarla ci rapisse e assorbisse e immergesse in gioie interiori, e dunque la vita eterna somigliasse a quel momento d’intuizione che ci fece sospirare: non sarebbe questo l’ »entra nel gaudio del tuo Signore » 112? E quando si realizzerà? Non forse il giorno in cui tutti risorgiamo, ma non tutti saremo mutati 113? ».
0. 26. Così dicevo, sebbene in modo e parole diverse. Fu comunque, Signore, tu sai 114, il giorno in cui avvenne questa conversazione, e questo mondo con tutte le sue attrattive si svilì ai nostri occhi nel parlare, che mia madre disse: « Figlio mio, per quanto mi riguarda, questa vita ormai non ha più nessuna attrattiva per me. Cosa faccio ancora qui e perché sono qui, lo ignoro. Le mie speranze sulla terra sono ormai esaurite. Una sola cosa c’era, che mi faceva desiderare di rimanere quaggiù ancora per un poco: il vederti cristiano cattolico prima di morire. Il mio Dio mi ha soddisfatta ampiamente, poiché ti vedo addirittura disprezzare la felicità terrena per servire lui. Cosa faccio qui? ».

Malattia e morte di Monica
11. 27. Cosa le risposi, non ricordo bene. Ma intanto, entro cinque giorni o non molto più, si mise a letto febbricitante e nel corso della malattia un giorno cadde in deliquio e perdette la conoscenza per qualche tempo. Noi accorremmo, ma in breve riprese i sensi, ci guardò, mio fratello e me, che le stavamo accanto in piedi, e ci domandò, quasi cercando qualcosa: « Dov’ero? »; poi, vedendo il nostro afflitto stupore: « Seppellirete qui, soggiunse, vostra madre ». Io rimasi muto, frenando le lacrime; mio fratello invece pronunziò qualche parola, esprimendo l’augurio che la morte non la cogliesse in terra straniera, ma in patria, che sarebbe stata migliore fortuna. All’udirlo, col volto divenuto ansioso gli lanciò un’occhiata severa per quei suoi pensieri, poi, fissando lo sguardo su di me, esclamò: « Vedi cosa dice », e subito dopo, rivolgendosi a entrambi: « Seppellite questo corpo dove che sia, senza darvene pena. Di una sola cosa vi prego: ricordatevi di me, dovunque siate, innanzi all’altare del Signore ». Espressa così come poteva a parole la sua volontà, tacque. Il male aggravandosi la faceva soffrire.
11. 28. Io, al pensiero dei doni che spargi, Dio invisibile 115, nei cuori dei tuoi fedeli, e che vi fanno nascere stupende messi, gioivo e a te rendevo grazie 116, ricordando ciò che sapevo, ossia quanto si era sempre preoccupata e affannata per la sua sepoltura, che aveva provvista e preparata accanto al corpo del marito. La grande concordia in cui erano vissuti le faceva desiderare, tanto l’animo umano stenta a comprendere le realtà divine, anche quest’altra felicità, e che la gente ricordasse come dopo un soggiorno di là dal mare avesse ottenuto che una polvere congiunta coprisse la polvere di entrambi i congiunti. Quando però la piena della tua bontà 117 avesse eliminato dal suo cuore questi pensieri futili, io non sapevo; ma ero pervaso di gioia e ammirazione che mia madre mi fosse apparsa così. Invero anche durante la nostra conversazione presso la finestra, quando disse: « Ormai cosa faccio qui? », era apparso che non aveva il desiderio di morire in patria. Più tardi venni anche a sapere che già parlando un giorno in mia assenza, durante la nostra dimora in Ostia, ad alcuni amici miei con fiducia materna sullo spregio della vita terrena e il vantaggio della morte, di fronte al loro stupore per la virtù di una femmina, che l’aveva ricevuta da te, e alla loro domanda, se non l’impauriva l’idea di lasciare il corpo tanto lontano dalla sua città, esclamò: « Nulla è lontano da Dio, e non c’è da temere che alla fine del mondo egli non riconosca il luogo da cui risuscitarmi ». Al nono giorno della sua malattia, nel cinquantaseiesimo anno della sua vita, trentatreesimo della mia, quell’anima credente e pia fu liberata dal corpo.

Un trapasso non funesto
12. 29. Le chiudevo gli occhi, e una tristezza immensa si addensava nel mio cuore e si trasformava in un fiotto di lacrime. Ma contemporaneamente i miei occhi sotto il violento imperio dello spirito ne riassorbivano il fonte sino a disseccarlo. Fu una lotta penosissima. Il giovane Adeodato al momento dell’estremo respiro di lei era scoppiato in singhiozzi, poi, trattenuto da noi tutti, rimase zitto: allo stesso modo anche quanto vi era di puerile in me, che si scioglieva in pianto, veniva represso e zittito dalla voce adulta della mente. Non ci sembrava davvero conveniente celebrare un funerale come quello fra lamenti, lacrime e gemiti. Così si suole piangere in chi muore una sorta di sciagura e quasi di annientamento totale; ma la morte di mia madre non era una sciagura e non era totale. Ce lo garantivano la prova della sua vita e una fede non finta 118 e ragioni sicure.

Sforzi di Agostino per reprimere le lacrime
12. 30. Ma cos’era dunque, che mi doleva dentro gravemente, se non la recente ferita, derivata dalla lacerazione improvvisa della nostra così dolce e cara consuetudine di vita comune? Mi confortavo della testimonianza che mi aveva dato proprio durante la sua ultima malattia, quando, inframezzando con una carezza i miei servigi, mi chiamava buono e mi ripeteva con grande effusione d’affetto di non aver mai udito una parola dura o offensiva al suo indirizzo scoccata dalla mia bocca; eppure, Dio mio, creatore nostro 119, come assomigliare, come paragonare il rispetto che avevo portato io per lei, alla servitù che aveva sopportato lei per me? Privata della grandissima consolazione che trovava in lei, la mia anima rimaneva ferita e la mia vita, stata tutt’una con la sua, rimaneva come lacerata.
12. 31. Soffocato dunque il pianto del fanciullo, Evodio prese il salterio e intonò un salmo. Gli rispondeva tutta la casa: « La tua misericordia e la tua giustizia ti canterò, Signore » 120. Alla nuova, poi, dell’accaduto, si diedero convegno molti fratelli e pie donne; e mentre gli incaricati si occupavano dei funerali secondo le usanze, io mi appartavo in un luogo conveniente con gli amici, che ritenevano di non dovermi abbandonare, e mi trattenevo con loro su temi adatti alla circostanza. Il balsamo della verità leniva un tormento che tu conoscevi, essi ignoravano. Mi ascoltavano attentamente e pensavano che non provassi dolore. Invece al tuo orecchio, ove nessuno di loro udiva, mi rimproveravo la debolezza del sentimento e trattenevo il fiotto dell’afflizione, che per qualche tempo si ritraeva davanti ai miei sforzi, ma per essere sospinto di nuovo dalla sua violenza. Non erompeva in lacrime né alterava i tratti del viso, ma sapevo ben io cosa tenevo compresso nel cuore. Il vivo disappunto, poi, che provavo di fronte al grande potere su me di questi avvenimenti umani, inevitabili nell’ordine naturale delle cose e nella condizione che abbiamo sortito, era un nuovo dolore, che mi addolorava per il mio dolore, cosicché mi consumavo d’una duplice tristezza.

Le esequie
12. 32. Alla sepoltura del suo corpo andai e tornai senza piangere. Nemmeno durante le preghiere che spandemmo innanzi a te mentre veniva offerto in suo suffragio il sacrificio del nostro riscatto, col cadavere già deposto vicino alla tomba, prima della sepoltura, come vuole l’usanza del luogo, ebbene, nemmeno durante quelle preghiere piansi. Ma per tutta la giornata sentii una profonda mestizia nel segreto del cuore e ti pregai come potevo, con la mente sconvolta, di guarire il mio dolore. Non mi esaudisti, per imprimere, credo, nella mia memoria almeno con quest’unica prova come sia forte il legame di qualsiasi abitudine anche per un’anima che già si nutre della parola non fallace. Pensai di andare a prendere anche un bagno, avendo sentito dire che i bagni furono così chiamati perché i greci dicono balanion, in quanto espelle l’affanno dall’animo. Ma ecco, confesso anche questo alla tua misericordia, Padre degli orfani 121: che dopo il bagno stavo come prima del bagno, poiché non avevo trasudato dal cuore l’amarezza dell’afflizione. In seguito dormii. Al risveglio notai che il dolore si era non poco mitigato. Solo, nel mio letto, mi vennero alla mente i versi così veri del tuo Ambrogio: tu sei proprio

Dio creatore di tutto,
reggitore del cielo,
che adorni il dì di luce,
e di sopor gradito
la notte, sì che il sonno
sciolga e ristori gli arti,
ricrei le menti stanche,
disperda ansie e dolori 122.

Lacrime per la madre
12. 33. Poi tornai insensibilmente ai miei pensieri antichi sulla tua ancella, al suo atteggiamento pio nei tuoi riguardi, santamente sollecito e discreto nei nostri. Privato di lei così, all’improvviso, mi prese il desiderio di piangere davanti ai tuoi occhi 123 su di lei e per lei, su di me e per me; lasciai libere le lacrime che trattenevo di scorrere a loro piacimento, stendendole sotto il mio cuore come un giaciglio, su cui trovò riposo. Perché ad ascoltarle c’eri tu, non un qualsiasi uomo, che avrebbe interpretato sdegnosamente il mio compianto. Ora, Signore, ti confesso tutto ciò su queste pagine. Chi vorrà le leggerà, e le interpreti come vorrà. Se troverà che ho peccato a piangere mia madre per piccola parte di un’ora, la mia madre frattanto morta ai miei occhi, che per tanti anni mi aveva pianto affinché vivessi ai tuoi, non mi derida. Piuttosto, se ha grande carità, pianga anch’egli per i miei peccati davanti a te, Padre di tutti i fratelli del tuo Cristo.

Speranza e fiducia nella misericordia di Dio
13. 34. Io per mio conto, ora che il cuore è guarito da quella ferita, ove si poteva condannare la presenza di un affetto carnale, spargo davanti a te, Dio nostro, per quella tua serva un ben altro genere di lacrime: sgorgano da uno spirito sconvolto dalla considerazione dei pericoli cui soggiace ogni anima morente in Adamo. Certo, vivificata in Cristo 124 prima ancora di essere sciolta dalla carne, mia madre visse procurando con la sua fede e i suoi costumi lodi al tuo nome; tuttavia non ardisco affermare che da quando la rigenerasti col battesimo 125, nemmeno una parola uscì dalla sua bocca contro il tuo precetto. Dalla Verità, da tuo Figlio 126, fu proclamato: « Se qualcuno avrà detto a suo fratello: « Sciocco », sarà soggetto al fuoco della geenna » 127; sventurata dunque la più lodevole delle vite umane, se la frughi accantonando la misericordia. Ma no, tu non frughi le nostre malefatte con rigore; perciò noi speriamo con fiducia di ottenere un posto accanto a te. Eppure chi aduna innanzi a te i suoi autentici meriti, che altro ti aduna, se non i tuoi doni? Oh, se gli uomini si conoscessero quali uomini, e chi si gloria, si gloriasse nel Signore 128!

Supplica a Dio per la madre pia
13. 35. Perciò, mio vanto 129 e mia vita, Dio del mio cuore 130, trascurando per un istante le sue buone opere, di cui a te rendo grazie con gioia 131, ora ti scongiuro per i peccati di mia madre. Esaudiscimi 132, in nome di Colui che è medico delle nostre ferite, che fu sospeso al legno della croce 133, e seduto alla tua destra intercede per noi 134 presso di te. So che fu misericordiosa in ogni suo atto, che rimise di cuore i debiti ai propri debitori: dunque rimetti anche tu a lei i propri debiti 135, se mai ne contrasse in tanti anni passati dopo ricevuta l’acqua risanatrice; rimettili, Signore, rimettili, t’imploro 136, non entrare in giudizio contro di lei 137. La misericordia trionfi sulla giustizia 138. Le tue parole sono veritiere, e tu hai promesso misericordia ai misericordiosi 139. Furono tali in grazia tua, e tu avrai misericordia di colui, del quale avesti misericordia, userai misericordia a colui, verso il quale fosti misericordioso 140.
13. 36. Credo che tu abbia già fatto quanto ti chiedo. Pure, gradisci, Signore, la volontaria offerta della mia bocca 141. All’approssimarsi del giorno della sua liberazione 142, mia madre non si preoccupò che il suo corpo venisse composto in vesti suntuose o imbalsamato con aromi, non cercò un monumento eletto, non si curò di avere sepoltura in patria. Non furono queste le disposizioni che ci lasciò. Ci chiese soltanto di far menzione di lei davanti al tuo altare, cui aveva servito infallibilmente ogni giorno, conscia che di là si dispensa la vittima santa, grazie alla quale fu distrutto il documento che era contro di noi, e si trionfò sul nemico 143 che, per quanto conteggi i nostri delitti e cerchi accuse da opporci, nulla trova in Colui 144, nel quale siamo vittoriosi. A lui chi rifonderà il sangue innocente? chi gli ripagherà il prezzo con cui ci acquistò 145, per toglierci a lui? Al mistero di questo prezzo del nostro riscatto la tua ancella legò la propria anima col vincolo della fede. Nessuno la strappi alla tua protezione, non si frapponga tra voi né con la forza né con l’astuzia il leone e dragone 146. Ella non risponderà: « Nulla devo », per timore di essere confutata e assegnata a un inquisitore scaltro. Risponderà però che i suoi debiti le furono rimessi da Colui, cui nessuno potrà restituire quanto restituì per noi senza nulla dovere.

Richiesta di suffragi per i genitori
13. 37. Sia dunque in pace col suo uomo, prima del quale e dopo il quale non fu sposa d’altri 147; che servì offrendoti il frutto della sua pazienza 148 per guadagnare anche lui a te 149. Ispira, Signore mio e Dio mio 150, ispira i servi tuoi, i fratelli miei, i figli tuoi, i padroni miei, che servo col cuore e la voce e gli scritti, affinché quanti leggono queste parole si ricordino davanti al tuo altare di Monica, tua serva, e di Patrizio, già suo marito, mediante la cui carne mi introducesti in questa vita, non so come. Si ricordino con sentimento pietoso di coloro che in questa luce passeggera furono miei genitori, e miei fratelli sotto di te, nostro Padre, dentro la Chiesa cattolica, nostra madre, e miei concittadini nella Gerusalemme eterna, cui sospira il tuo popolo durante il suo pellegrinaggio dalla partenza al ritorno. Così l’estrema invocazione che mi rivolse mia madre sarà soddisfatta, con le orazioni di molti, più abbondantemente dalle mie confessioni che dalle mie orazioni.

«CIÒ CHE OCCHIO NON VIDE E ORECCHIO NON UDÌ» (1 Cor. 2, 9) – SANT’AGOSTINO

http://http://www.atma-o-jibon.org/italiano6/letture_patristiche_o.htm#«CIÒ CHE OCCHIO NON VIDE E ORECCHIO NON UDÌ»

«CIÒ CHE OCCHIO NON VIDE E ORECCHIO NON UDÌ» (1 Cor. 2, 9)

 SANT’AGOSTINO

S. Agostino (354-430), vescovo d’Ippona in Africa, romano per cultura, pensatore di genio, ci ha lasciato un’opera monumentale, di inestimabile valore. Filosofo, teologo, pastore d’anime e grande spirituale, è il Dottore della grazia e, più ancora, della .carità.
In questa celebre pagina delle Confessioni, Agostino ci rivela la profonda comunione di spirito che lo univa alla madre, alla quale doveva la sua conversione.

Eravamo soli, mia madre e io, appoggiati al davanzale di una finestra: sotto di noi si poteva vedere il giardino interno della casa che ci ospitava, a Ostia, presso la foce del Tevere. Lontani dai rumori della folla, dopo la fatica di un lungo viaggio, ci disponevamo ad imbarcarci. Conversavamo dunque, soli, con grande dolcezza. Dimentichi del passato, protesi verso l’avvenire (Fil. 3, 13), oi domandavamo, alla presenza della verità che sei tu, Signore, come sarà quella vita eterna dei santi, che occhio non vide, orecchio non udì né penetrò nel cuore dell’uomo (1 Cor. 2,9)… E mentre ne parlavamo ed eravamo tesi ad essa col desiderio, la raggiungemmo per un istante con tutto lo slancio del nostro cuore e, sospirando, lasciammo le primizie dello spirito (cfr. Rom. 8,23) per ridiscendere al vuoto suono delle nostre bocche, dove la parola ha principio e ha fine…
E dicevamo così: se .in qualcuno il tumulto della carne facesse silenzio, silenzio facessero le immagini della terra e delle acque e dell’aria, silenzio anche i cieli, e l’anima stessa in sé facesse silenzio e si superasse non pensando più a sé, silenzio i sogni e le visioni della fantasia; se ogni lingua e ogni segno e tutto ciò che passa in qualcuno facesse completamente silenzio – a saperle ascoltare, infatti, tutte queste cose dicono: «Non ci siamo fatte da noi, ma ci ha fatto colui che rimane in eterno» – e se, detto questo, tornassero nel silenzio per essersi poste in ascolto di colui che le ha create, e lui solo parlasse, non più per loro mezzo, ma da se stesso e noi udissimo la sua parola, non attraverso lingua umana o voce di angelo o fragore di nube o enigma di parabole, ma lui stesso, che amiamo in queste cose, proprio lui si facesse sentire a noi senza di esse, – come ora che, tesi in tutto il nostro essere, abbiamo raggiunto con la penetrazione di un istante l’eterna sapienza che sta al di sopra di ogni -cosa – se questa condizione si prolungasse e scomparissero tutte le altre visioni che le sono molto inferiori ed essa sola rapisse e assorbisse e immergesse nelle gioie interiori colui che la contempla: e la vita eterna fosse così come ci è apparsa in quest’istante di intuizione che ci ha fatto sospirare, non è forse questo ciò che vuoi dire: Entra nella gioia del tuo Signore? (Mt. 25,21).
E questo, quando? Non forse nel giorno in cui tutti risorgeremo, ma non tutti saremo trasformati? (1 Cor. 15,51)…
Allora mia madre mi disse: «Figlio mio, per quanto mi riguarda, in questa vita non trovo più nessuna attrattiva. Che cosa faccio quaggiù, perché ci resto ancora? Non lo so: ormai non ho più desideri sulla terra. C’era una cosa sola che mi facesse desiderare di rimanere ancora un poco in questa vita: vederti cristiano cattolico prima di morire. Dio mi ha concesso tutto questo in misura maggiore di quello che aspettavo: ti vedo infatti disprezzare le felicità terrene per servire lui. Che cosa faccio ancora qui?».

* Confessionum libri XIII – SEI, Torino 1952 – pp. 332-335

29 GIUGNO SANTI PIETRO E PAOLO: UFFICIO DELLE LETTURE

SANTI PIETRO E PAOLO

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla lettera ai Galati di san Paolo, apostolo 1, 15 – 2, 10

Incontro di Pietro e Paolo a Gerusalemme
Fratelli, quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco.
In seguito, dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni; degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore. In ciò che vi scrivo, io attesto davanti a Dio che non mentisco. Quindi andai nelle regioni della Siria e della Cilicia. Ma ero sconosciuto personalmente alle Chiese della Giudea che sono in Cristo; soltanto avevano sentito dire: «Colui che una volta ci perseguitava, va ora annunziando la fede che un tempo voleva distruggere». E glorificavano Dio a causa mia.
Dopo quattordici anni, andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Barnaba, portando con me anche Tito: vi andai però in seguito ad una rivelazione. Esposi loro il vangelo che io predico tra i pagani, ma lo esposi privatamente alle persone più ragguardevoli, per non trovarmi nel rischio di correre o di aver corso invano. Ora neppure Tito, che era con me, sebbene fosse greco, fu obbligato a farsi circoncidere. E questo proprio a causa dei falsi fratelli che si erano intromessi a spiare la libertà che abbiamo in Cristo Gesù, allo scopo di renderci schiavi. Ad essi però non cedemmo, per riguardo, neppure un istante, perché la verità del vangelo continuasse a rimanere salda tra di voi.
Da parte dunque delle persone più ragguardevoli — quali fossero allora non m’interessa, perché Dio non bada a persona alcuna — a me, da quelle persone ragguardevoli, non fu imposto nulla di più. Anzi, visto che a me era stato affidato il vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi — poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per i pagani — e riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Barnaba la loro destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi. Soltanto ci pregarono di ricordarci dei poveri: ciò che mi sono proprio preoccupato di fare.

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 295, 1-2. 4. 7-8; PL 38, 1348-1352)

Questi martiri hanno visto ciò che hanno predicato
Il martirio dei santi apostoli Pietro e Paolo ha reso sacro per noi questo giorno. Noi non parliamo di martiri poco conosciuti; infatti «per tutta la terra si diffonde la loro voce ai confini del mondo la loro parola» (Sal 18, 5). Questi martiri hanno visto ciò che hanno predicato. Hanno seguito la giustizia. Hanno testimoniato la verità e sono morti per essa.
Il beato Pietro, il primo degli apostoli, dotato di un ardente amore verso Cristo, ha avuto la grazia di sentirsi dire da lui: «E io ti dico: Tu sei Pietro» (Mt 16, 18). E precedentemente Pietro si era rivolto a Gesù dicendo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16, 16). E Gesù aveva affermato come risposta: «E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16, 18). Su questa pietra stabilirò la fede che tu professi. Fonderò la mia chiesa sulla tua affermazione: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Tu infatti sei Pietro. Pietro deriva da pietra e non pietra da Pietro. Pietro deriva da pietra, come cristiano da Cristo.
Il Signore Gesù, come già sapete, scelse prima della passione i suoi discepoli, che chiamò apostoli. Tra costoro solamente Pietro ricevette l’incarico di impersonare quasi in tutti i luoghi l’intera Chiesa. Ed è stato in forza di questa personificazione di tutta la Chiesa che ha meritato di sentirsi dire da Cristo: «A te darò le chiavi del regno dei cieli» (Mt 16, 19). Ma queste chiavi le ha ricevute non un uomo solo, ma l’intera Chiesa. Da questo fatto deriva la grandezza di Pietro, perché egli è la personificazione dell’universalità e dell’unità della Chiesa. «A te darò» quello che è stato affidato a tutti. E` ciò che intende dire Cristo. E perché sappiate che è stata la Chiesa a ricevere le chiavi del regno dei cieli, ponete attenzione a quello che il Signore dice in un’altra circostanza: «Ricevete lo Spirito Santo» e subito aggiunge: «A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20, 22-23).
Giustamente anche dopo la risurrezione il Signore affidò allo stesso Pietro l’incombenza di pascere il suo gregge. E questo non perché meritò egli solo, tra i discepoli, un tale compito, ma perché quando Cristo si rivolge ad uno vuole esprimere l’unità. Si rivolge da principio a Pietro, perché Pietro è il primo degli apostoli.
Non rattristarti, o apostolo. Rispondi una prima, una seconda, una terza volta. Vinca tre volte nell’amore la testimonianza, come la presunzione è stata vinta tre volte dal timore. Deve essere sciolto tre volte ciò che hai legato tre volte. Sciogli per mezzo dell’amore ciò che avevi legato per timore.
E così il Signore una prima, una seconda, una terza volta affidò le sue pecorelle a Pietro.
Un solo giorno è consacrato alla festa dei due apostoli. Ma anch’essi erano una cosa sola. Benché siano stati martirizzati in giorni diversi, erano una cosa sola. Pietro precedette, Paolo seguì. Celebriamo perciò questo giorno di festa, consacrato per noi dal sangue degli apostoli.
Amiamone la fede, la vita, le fatiche, le sofferenze, le testimonianze e la predicazione.

SANT’AGOSTINO: DISCORSO 155: DALLE PAROLE DELL’APOSTOLO (ROM 8, 1-11):

http://www.augustinus.it/italiano/discorsi/discorso_200_testo.htm

SANT’AGOSTINO: DISCORSO 155

(come sapete è una traduzione dal Latino, varrebbe la pena leggere l’originale le traduzioni hanno sempre dei limiti, ma non è facile almeo per me, pazienza, è utile anche così)

DALLE PAROLE DELL’APOSTOLO (ROM 8, 1-11):
 » NON C’È DUNQUE NESSUNA CONDANNA ORA PER QUELLI CHE SONO IN CRISTO GESÙ « 
CONTRO I PELAGIANI
TENUTO NELLA BASILICA DEI SS. MARTIRI SCILLITANI

Perché la concupiscenza debba chiamarsi peccato. Com’è che il peccato perde il regno.
1. 1. La lettura di ieri del santo Apostolo ha avuto termine là dove è stato scritto: Io dunque, con la mente, servo la legge di Dio; con la carne, invece, la legge del peccato. Così concludendo, l’Apostolo ha fatto conoscere a che scopo aveva detto quelle parole pronunziate in precedenza: Ora non faccio quello che voglio, ma quello che abita in me, il peccato 1; perché non agiva con l’assenso della mente, ma con la concupiscenza della carne. Con la denominazione di peccato indica infatti questa, da cui hanno origine tutti i peccati, cioè dalla concupiscenza della carne. Quali che siano infatti i peccati in parole, in opere, in pensieri, hanno origine soltanto da perverso desiderio, non hanno altra origine che il piacere illecito. Quindi, se opponiamo resistenza a questo piacere illecito, se non l’assecondiamo, se non offriamo, come armi, le membra, nel nostro corpo mortale non regna il peccato. Il peccato, infatti, perde prima il potere, quindi scompare. Per quanto riguarda i giusti, ne segue che in questa vita perde il dominio e nell’altra vita scompare. Quando non andiamo dietro ai nostri desideri perversi, quaggiù perde effettivamente il potere; ma è là che scompare, quando si dirà: Dov’è, o morte, la tua vittoria? 2

In che modo non c’è, ora, condanna alcuna per i santi.
2. 2. Pertanto, avendo detto l’Apostolo: Con la mente servo la legge di Dio, con la carne, invece, la legge del peccato, non cedendo le membra a commettere il male, ma soltanto avvertendo la presenza delle passioni, e senza tuttavia favorire un illecito desiderare… così, dopo aver detto: Con la mente servo la legge di Dio, con la carne, invece, la legge del peccato, ha aggiunto con l’affermare: Non c’è dunque nessuna condanna, ora, per quelli che sono in Cristo Gesù 3. C’è condanna per quelli che sono nella carne, per quelli che sono in Cristo Gesù non c’è condanna alcuna. Perché tu non ritenessi che questo riguarda il futuro ha detto pertanto: Ora. Attendilo poi quello, cioè che non si trovi in te concupiscenza, contro la quale debba lottare, con la quale essere in urto, che non debba assecondare, che debba tenere a freno e domare; attendilo più tardi, quando di per sé non esisterà più. Poiché, se a causa del corpo mortale, ciò che lotta con noi esisterà anche dopo, sarà falsa [l'affermazione]: Dov’è, o morte, la tua vittoria? Noi infatti sappiamo che cosa ci sarà dopo. Allora, infatti, si compirà la parola della Scrittura: La morte è stata assorbita nella vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione? Il pungiglione della morte è, infatti, il peccato; ma la forza del peccato è la legge 4. Perché a causa del divieto, il desiderio si è acuito, non si è spento. La legge ha dato forza al peccato solo attraverso il comando mediante la lettera, non provvedendo ad aiutare per mezzo dello spirito. Questo, dunque, non sarà allora, ma che dire del presente? Vuoi sapere di che tratta ora? Di ciò che poco prima ha detto: Ma ora non sono più io a farlo 5; anche qui ora. Che vuol dire: Non sono io a farlo? Non consento, non approvo, non accordo, ne sono sempre assai contrariato; tengo a freno le mie membra. E’ una gran cosa questa – poiché la concupiscenza deriva dalla carne, ed alla carne appartengono le membra del corpo -, quando non predomina il peccato, cioè la concupiscenza della carne, ha maggior potere la mente, al fine di tener soggette le membra carnali, perché non si diano come strumenti al peccato, che non la stessa concupiscenza della carne a stimolare le membra carnali. Pertanto, la concupiscenza è propria della carne, e le membra della carne; tuttavia, poiché la mente ha il potere, almeno, se è aiutata dall’alto, non concediamole molto in contrapposizione alla grazia di Dio, così da fare di essa non un re, ma un tiranno. Quindi, è tale il suo potere e, come è governata, così governa, che quanto alle membra della sua carne, in opposizione ai desideri perversi della sua carne, possa fare come afferma l’Apostolo: Non regni dunque il peccato nel vostro corpo mortale per sottomissione ai suoi desideri; né offrite le vostre membra come strumenti d’ingiustizia al peccato 6.

Dalla legge del peccato nessuno è libero se non per grazia.
3. 3. Non c’è condanna alcuna, ora, per quelli che sono in Cristo Gesù 7. Non si allarmino se vengono eccitati da desideri illeciti; non siano inquieti per il fatto che sembra ancora presente nelle membra la legge che si oppone alla legge della mente. Non c’è condanna alcuna, infatti. Ma per chi? Per chi anche ora? Per quelli che sono in Cristo Gesù. E dov’è quell’affermazione di cui parlava poco prima: Vedo nelle mie membra un’altra legge che si oppone alla legge della mia mente e rende schiavo me della legge del peccato che è nelle mie membra 8? Ma diceva me in riferimento alla carne, non allo spirito; dov’è allora quella legge se non c’è condanna alcuna per quelli che sono in Cristo Gesù? La legge infatti è Spirito che da vita in Cristo Gesù. La legge infatti, non quella sul monte Sinai secondo la lettera<D> 9. La legge infatti, non quella della vetustà della lettera, ma la legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte. Da che ti verrebbe che tu possa compiacerti della legge di Dio secondo l’uomo interiore, se la legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù non ti liberasse dalla legge del peccato e della morte? Non attribuirlo a te, però, o mente umana, ad evitare una grande superbia; anzi, affinché tu, o mente umana, assolutamente non insuperbisca per il fatto che non consenti ai desideri della carne, per il fatto che la legge del peccato non ti lascia cadere dalla roccaforte: La legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte. Non ti ha liberato quella legge, di cui è stato detto innanzi, per servire nella novità dello Spirito, e non nella vetustà della lettera 10. Per quale ragione non è stata quella a liberare? Non è stata forse scritta anch’essa dal dito di Dio? Non s’intende forse  » dito di Dio  » lo Spirito Santo? Leggi il Vangelo e osserva come, del Signore che stava parlando, un evangelista riferisce: Se io scaccio i dèmoni nello Spirito di Dio 11; un altro riporta: Se io scaccio i dèmoni con il dito di Dio 12. Consegue che se anche quella legge è stata scritta con il dito di Dio, cioè con lo Spirito di Dio – per lo Spirito di Dio i maghi del Faraone, vinti, dissero: Qui c’è il dito di Dio 13 – allora, se anch’essa, o meglio, poiché anch’essa è stata scritta con lo Spirito di Dio, cioè con il dito di Dio, perché di essa non è detto: La legge infatti dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù?

Quale la legge del peccato e della morte? Perché a Mosè fu data la Legge?
4. 4. Legge della morte infatti non è detta quella stessa; non è detta legge del peccato e della morte quella che fu data sul monte Sinai. Legge del peccato e della morte è detta [invece] quella di cui si parla tra i gemiti: Vedo nelle mie membra un’altra legge che si oppone alla legge della mia mente 14. Ma quella legge è appunto la stessa che viene definita: Così la legge è veramente santa, e santo e giusto e buono il comandamento. E soggiunge: Ciò che è bene, è diventato morte per me? No davvero. Ma il peccato, per rivelarsi peccato mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene perché appaia oltre misura peccatore, oppure: peccato servendosi del comandamento 15. Che vuol dire: oltre misura? In modo che si aggiunga la trasgressione. Quella legge è stata data infatti perché si scoprisse la condizione di debolezza. Questo è poco: non solo perché si scoprisse, ma perché venisse aggravata, e così almeno si cercasse il medico. Infatti se la malattia fosse senza gravità, non se ne terrebbe conto; se la malattia si ritenesse trascurabile, non si cercherebbe il medico; se non si cercasse il medico, la malattia non scomparirebbe. Perciò, dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia 16. La grazia ha cancellato tutti i peccati che ha trovato, inoltre ha sostenuto con il suo aiuto la nostra volontà impegnata nello sforzo di evitare il peccato, così che la nostra volontà non si vantasse appunto in se stessa, ma in Dio. Poiché in Dio ci glorieremo tutto il giorno 17, e: l’anima mia si glorierà nel Signore; ascoltino gli umili e si rallegrino 18. Ascoltino gli umili: giacché i superbi e i contestatori non ascoltano. Per quale ragione allora non è la stessa legge scritta con il dito di Dio a dare questo aiuto della grazia di cui parliamo? Perché? Perché è stata scritta su tavole di pietra, non sulle tavole di carne del cuore 19.

L’antica e la nuova Legge sono concordi.
5. 5. Infine, fratelli miei, in un gran mistero notate la concordanza, notate la diversità; la concordanza della legge, la diversità del popolo. Come sapete, nell’antico popolo la Pasqua è celebrata con l’immolazione di un agnello e con gli azzimi, dove l’immolazione dell’agnello sta a significare Cristo, gli azzimi, invece, la novità della vita, cioè, senza il vecchio lievito. A questo proposito ci dice l’Apostolo: Eliminate il vecchio lievito per essere pasta nuova così come siete azzimi; infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato 20. Così, presso quell’antico popolo, è stata celebrata la Pasqua non ancora in luce sfolgorante, ma è stata celebrata in un’ombra carica di significato; e dopo cinquanta giorni dalla celebrazione della Pasqua – così come troverà chi avrà voluto, facendo il calcolo – fu data la legge sul monte Sinai, scritta dal dito di Dio. Viene la vera Pasqua, il Cristo viene immolato; compie il passaggio dalla morte alla vita. Infatti, in ebraico, Pasqua traduce  » passaggio « , che l’Evangelista ha reso, dicendo: Ma poiché era giunta l’ora che Gesù passasse da questo mondo al Padre 21. Infatti la Pasqua è celebrata, il Signore risorge, compie il passaggio dalla morte alla vita, in cui consiste la Pasqua; e si contano cinquanta giorni e viene lo Spirito Santo, il dito di Dio.

La differenza delle medesime Leggi.
6. 6. Ma notate la differenza nell’una e nell’altra circostanza. Là il popolo si teneva a distanza: era timore, non era amore. Ebbero infatti timore a tal punto che dissero a Mosè: Parla tu a noi, non ci parli il Signore, così che non moriamo 22. Dio discese, quindi, così come è stato scritto, sul Sinai, in mezzo al fuoco, ma terrorizzando il popolo che si teneva a distanza, e scrivendo con il suo dito sulla pietra 23, non nel cuore. Qua, invece, quando venne lo Spirito Santo, i fedeli si trovavano raccolti nell’unità; né suscitò terrore sul monte, ma entrò nella casa. Venne tuttavia all’improvviso, dal cielo, un rombo, quasi vi fosse sospinto un vento impetuoso, ebbe grande risonanza, ma nessuno si spaventò. Hai sentito dire del rombo, tieni presente anche il fuoco, perché anche l’uno e l’altro erano sul monte e il fuoco e il fragore; mentre là c’era anche fumo, qua veramente era puro. Riporta infatti la Scrittura: Apparvero loro, distinte, lingue come di fuoco. Forse che stava destando terrore in lontananza? No certamente! Infatti [il fuoco] si posò su ciascuno di loro e cominciarono a parlare lingue, come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi 24. Ascolta la lingua che parla, e intendi lo Spirito che scrive non sulla pietra, ma nel cuore. Dunque la legge dello Spirito che dà vita, scritta nel cuore, non sulla pietra, in Cristo Gesù, nel quale fu celebrata la Pasqua assolutamente vera, ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte 25. E appunto perché tu sappia che proprio questa è la differenza che emerge con la massima chiarezza tra il Vecchio ed il Nuovo Testamento, ecco che ne dice l’Apostolo: Non nelle tavole di pietra, ma nelle tavole di carne del cuore 26. Il Signore fa dire al Profeta: Ecco, verranno giorni, dice il Signore, e riguardo alla casa di Giacobbe concluderò una nuova alleanza, non come l’alleanza che ho concluso con i loro padri, nel giorno in cui li ho presi per mano e li ho fatti uscire dalla terra di Egitto. Quindi, mostrando chiaramente proprio la differenza: Ponendo – dice – le mie leggi nel loro animo; le scriverò – insiste – sopra i loro cuori 27. Perciò, se scriveva la legge di Dio nel tuo cuore, non era per atterrire all’esterno, ma per apportare dolcezza nell’intimo; allora la legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte 28.

L’impotenza della Legge a causa del peccato. Cristo a somiglianza della carne del peccatore.
7. 7. Infatti ciò che era impossibile alla legge 29. Nella lettura dell’Apostolo, dopo, viene infatti questo: Ciò che era impossibile alla legge. E perché questa non venisse incolpata, che cosa ha soggiunto? In cui era resa impotente dalla carne. Effettivamente la legge comandava, ma non portava a compimento, perché la carne, dove non era presente la grazia, si opponeva irriducibilmente. E la legge era resa impotente a causa della carne; perché la legge è spirituale, io invece sono carnale 30. Come mi potrebbe aiutare allora la legge che comanda attraverso la lettera e non concede la grazia? Era resa impotente a causa della carne. Poiché questo era impossibile alla legge che era resa impotente dalla carne, Dio che fece? Dio mandò il proprio Figlio. Che cosa poneva nell’impotenza della legge? E perché alla legge era impossibile questo? Era resa impotente dalla carne. Dio che fece allora? Mandò la carne contro la carne? Al contrario, mandò la carne a favore della carne. Fece morire infatti il peccato della carne, liberò l’essenza della carne. Dio mandò il proprio Figlio nella somiglianza della carne del peccato 31. In una carne propriamente vera, ma non nella carne del peccato. Ma perché: a somiglianza della carne del peccato? Perché, cioè, fosse carne, vera carne. E da che la somiglianza della carne del peccato? Perché dal peccato la morte: la morte è certamente in ogni carne del peccato; di essa dice l’Apostolo: Perché fosse distrutto il corpo del peccato 32. Perché appunto la morte è presente in ogni carne del peccato; ma è là, presente in ogni carne, l’una e l’altro, la morte e il peccato. Nella carne del peccato è presente e la morte e il peccato; nella somiglianza della carne del peccato era presente la morte, non era presente il peccato. Infatti se fosse stata la carne del peccato e avesse scontato la pena della morte per la colpa del peccato, il Signore stesso non avrebbe detto: Ecco, viene il principe di questo mondo, ma in me non troverà nulla 33. Perché allora mi ha ucciso? Perché allora restituivo quanto non ho rubato 34. Proprio ciò che fece rispetto al tributo, lo fece riguardo alla morte. Si riscuoteva la tassa di una doppia dramma. Per quale ragione – gli si domandò – tu e i tuoi discepoli non pagate il tributo? Chiamò a sé Pietro e gli disse: I re della terra da chi riscuotono la tassa? Dai figli propri oppure dagli altri? Gli fu risposto: Dagli estranei. Dunque – riprese – i figli sono esenti. Tuttavia, per non scandalizzarli, va’ al mare, getta l’amo, e al primo pesce che verrà su – il primo dei morti – aprigli la bocca e vi troverai uno statere, cioè due doppie dramme, quattro dramme; infatti si esigeva una doppia dramma, cioè due dramme a testa. Vi troverai uno statere – cioè quattro dramme – consegnalo per me e per te 35. Che vuol dire: per me e per te? Cristo stesso, Pietro, la Chiesa di Cristo, i quattro Vangeli della Chiesa. Vi era celato un mistero: Cristo tuttavia pagava un tributo non dovuto. Allo stesso modo pagò il tributo della morte: non doveva e pagava. Se egli non avesse pagato un tributo cui non era soggetto, non ci avrebbe mai liberati dal nostro debito.

Cristo fatto peccato.
8. 8. Il che, dunque, era impossibile alla legge, che faceva trasgressore l’uomo, perché la mente, pur convinta di peccato, non cercava ancora il Salvatore; in ciò era resa impotente dalla carne; Dio mandò il proprio Figlio nella somiglianza della carne del peccato, e con il peccato condannò il peccato nella carne 36. Come, allora, non aveva peccato se con il peccato condannò il peccato? Già una volta ve l’ho spiegato 37. Ora quelli che lo ricordano, vi tornino con il pensiero, quelli che non hanno ascoltato, ascoltino; quelli che l’hanno dimenticato lo richiamino alla memoria. Nella legge veniva chiamato peccato il sacrificio per il peccato. La legge lo cita ripetutamente: non una volta, non due, ma spessissimo venivano chiamati peccati i sacrifici per i peccati. Tale peccato era Cristo. Che dobbiamo dire allora? Che aveva peccato? Certamente no! Non aveva peccato, ma era peccato. Era peccato, ho detto, secondo quel modo d’intendere, perché sacrificio per il peccato. Ascolta perché era peccato in tal senso, ascolta lo stesso Apostolo. Parlando di lui afferma: Colui che non conosceva peccato. Vi spiegavo questa affermazione nel parlarvi di tali cose: Colui – dice – che non conosceva peccato, cioè il Signore nostro Gesù Cristo; Dio Padre fece peccato in nostro favore colui che non conosceva peccato. Colui, Cristo stesso, che non conosceva peccato, Dio Padre fece peccato in nostro favore per fare di noi, in lui, giustizia di Dio 38. Considerate due cose: la giustizia di Dio, non la nostra; in lui, non in noi. Da ciò quei grandi santi, dei quali dice il Salmo: La tua giustizia quasi come i monti di Dio. E come se nello stesso Salmo, in cui è stato detto: La tua giustizia, si dicesse: non la loro giustizia infatti ma: La tua giustizia quasi come i monti di Dio. Ho sollevato, infatti, i miei occhi verso i monti, da dove mi verrà l’aiuto, ma non dai monti; infatti: Il mio aiuto dal Signore che ha fatto il cielo e la terra 39; perciò, dopo aver detto: La tua giustizia come i monti di Dio, quasi chiedendo: Com’è allora che nascono alcuni che non appartengono alla giustizia di Dio? Soggiunse: I tuoi giudizi come i grandi abissi 40. Che vuol dire: come i grandi abissi? [Il giudizio di Dio] è profondo, è impenetrabile, è inaccessibile all’intelletto dell’uomo. Le ricchezze di Dio sono imperscrutabili; inafferrabili i suoi giudizi, inattingibili le sue vie 41. Perciò anche qui: Dio mandò il proprio Figlio a motivo dei preveduti e dei predestinati, di coloro che dovevano essere chiamati, giustificati, glorificati, affinché i monti di Dio dicano: Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? 42 Dio mandò il proprio Figlio nella somiglianza della carne del peccato e, con il peccato, condannò il peccato nella carne, perché la giustizia della legge si adempisse in noi 43. Non si adempiva di per sé, ha avuto compimento da parte di Cristo. [Egli] non è venuto infatti ad abolire la legge, ma a darle compimento 44.

Camminare secondo la carne e secondo lo Spirito. Come si adempie ora la giustizia della legge.
9. 9. Ma come poteva adempiersi in noi la giustizia della legge, o come si adempie con noi, o con quali di noi? Vuoi sapere in quali di noi? Quelli che non camminano secondo la carne, ma secondo lo spirito 45. Che vuol dire:  » camminare secondo la carne « ? Assecondare i desideri carnali. Che vuol dire:  » camminare secondo lo spirito « ? Essere sostenuti dallo spirito nella mente e non lasciarsi dominare dai desideri della carne. In modo che così in noi si adempia la legge, in noi si adempia la giustizia di Dio. Ora frattanto si adempie: Non andare dietro ai tuoi desideri 46. Quando senti dire: dietro ai tuoi desideri, intendi quelli illeciti. Il: Non andare dietro ai tuoi desideri illeciti, dev’essere adempiuto dalla nostra volontà, aiutata dalla grazia di Dio; dev’essere adempiuto il: Non andare dietro ai tuoi desideri illeciti. Infatti tutto ciò che quella concupiscenza della carne ha operato in noi dei peccati passati, sia in azioni, sia in parole, sia in pensieri, tutto è stato distrutto nel sacro Battesimo; un solo perdono ha cancellato tutti i debiti. Resta pertanto la lotta con la carne, poiché la colpevolezza è stata annullata e resta la debolezza. Dentro l’uomo è presente, è provocante il diletto della passione illecita; combatti, resisti, non assecondare ed allora si compie il: Non andare dietro ai tuoi desideri illeciti. Poiché anche nel caso che alcuna volta si introducano ed occupino la vista, l’udito, la lingua, la fantasia, non disperiamo tuttavia della salvezza. Perciò diciamo ogni giorno: Rimetti a noi i nostri debiti 47. Perché la giustizia della legge – dice – si adempisse in noi.

La prudenza della carne e dello Spirito.
10. 10. Ma in quali di noi? Quelli che non camminano secondo la carne, ma secondo lo spirito. Quelli infatti che vivono secondo la carne, pensano le cose della carne; quelli invece che vivono secondo lo spirito, le cose dello spirito. La prudenza della carne è infatti morte; invece la prudenza dello spirito è vita e pace. La prudenza della carne va contro Dio. Non si sottomette infatti alla legge di Dio: né può farlo evidentemente 48. Che vuol dire: né può farlo evidentemente? Non è l’uomo che non può, non è l’anima che non può farlo, non è perfino la stessa carne che non può farlo, perché è creatura di Dio; ma non può farlo la prudenza della carne, non può farlo il vizio, non la natura. Come se tu dicessi: Lo zoppicare non è soggetto ad un passo regolare, né infatti lo può. Il piede può farlo, ma l’andare viziato non può. Elimina lo zoppicare, e noterai un passo normale. Ma non è possibile finché resta lo zoppicare. Così fin quando è presente la prudenza della carne, non è possibile. Non ci sia la prudenza della carne, e l’uomo può farlo. La prudenza dello spirito è vita e pace. Pertanto, ciò che afferma: La prudenza della carne è contro Dio, non prenderlo nel senso che questa nemica quasi possa far danno a Dio. Si comporta da nemica opponendo resistenza, non con l’uccidere. La prudenza della carne nuoce a colui nel quale si trova; perché il vizio nuoce alla natura nella quale è presente. La medicina, invece, è stata trovata appunto perché sia espulso il vizio e risanata la natura. Venne perciò il Salvatore al genere umano, non trovò sano alcuno, per questo venne quale medico onnipotente.

L’errore dei Manichei.
10. 11. Perciò ho detto questo, per la ragione che i Manichei, volendo addurre contro Dio l’altra natura del male, ritengono che il loro errore sia abbastanza sostenuto da questa testimonianza dell’Apostolo, e credono come detto della natura ciò che è stato affermato: Non può, prende posizione contro Dio; infatti non si sottomette alla legge di Dio, né può farlo evidentemente 49. Ma hanno mancato di attenzione perché non della carne è stato detto: non può; non dell’uomo è stato detto: non può; non dell’anima è stato detto: non può, ma della prudenza della carne. Tale prudenza costituisce il vizio.
11. 11. Vuoi sapere che vuol dire: Pensare secondo la carne? E’ la morte 50. Ma quello stesso unico uomo, la medesima natura creata dal Signore Dio vero e buono ieri pensava secondo la carne, oggi pensa secondo lo spirito; il vizio è stato espulso, la natura è stata risanata. Poiché, per tutto il tempo che esisteva la prudenza della carne, assolutamente non poteva essere sottoposta alla legge di Dio. Infatti per tutto il tempo che persiste lo zoppicare a causa del vizio, l’andatura non può essere regolare in alcun modo. Curato invece il vizio, la natura è stata risanata. Se un tempo siete stati tenebre, ora siete luce nel Signore 51.

Non vivere nella carne.
11. 12. Notate pertanto quello che segue: Ma quelli che vivono nella carne, cioè coloro che confidano nella carne, coloro che vanno dietro le loro passioni, coloro che vivono in esse, coloro che si dilettano dei piaceri di esse, coloro che fanno consistere la vita beata e felice nelle delizie che comportano, questi appunto vivono nella carne: Non possono piacere a Dio. Infatti: Ma quelli che vivono nella carne non possono piacere a Dio 52, non è stato affermato in modo come per dire: In questa vita mentre sono uomini, non possono piacere a Dio. Non piacquero allora i santi Patriarchi? Allora non piacquero i santi Profeti? Allora non piacquero i santi Apostoli? Non piacquero i santi Martiri, i quali, prima di lasciare il corpo in mezzo ai tormenti, nel confessare Cristo, non solo disprezzavano il piacere, ma tolleravano anche i dolori con invitta pazienza? Piacquero, ma non vissero nella carne. La portavano, la carne, ma non si lasciavano condurre dalla carne. Al paralitico già era stato detto: Prendi il tuo lettuccio 53. Perciò quelli che vivono nella carne, secondo come ho detto, nel modo come l’ho già spiegato, non in quanto vivono in questo mondo, ma in quanto assecondano i desideri perversi della carne, non possono piacere a Dio.

Vivere non nella carne ma nello Spirito.
12. 13. Infine ascoltate lui stesso [san Paolo], il quale risolve senza alcun dubbio la questione. Parlava certamente da vivo in questo corpo, eppure aggiunse: Voi però non siete nella carne. Tu pensi: C’è alcuno qui tra noi, al quale è stato detto? Ecco: ha parlato al popolo di Dio, ha parlato alla Chiesa; è vero che scriveva ai Romani, ma ha parlato alla Chiesa cattolica di Cristo; ha parlato però al frumento, non alla paglia; ha parlato alla massa non visibile, non alla stoppia in evidenza. Ciascuno lo constati nel proprio cuore. Noi giungiamo agli orecchi con la parola, non vediamo le coscienze; tuttavia, anche in base a quelle cose di cui abbiamo parlato più sopra, ritengo nel nome di Cristo che nel popolo di Cristo vi siano di quelli ai quali è stato detto: Voi però non siete nella carne, ma nello spirito, se è pur vero che lo Spirito di Dio abita in voi 54. Non siete nella carne, perché non fate le opere della carne, assecondando i desideri perversi della carne; ma siete nello spirito, perché vi dilettate della legge di Dio secondo l’uomo interiore, cioè: Se è pur vero che lo Spirito di Dio abita in voi. Infatti, se presumete del vostro spirito, siete ancora nella carne. Ne segue che se non siete nella carne per essere nello Spirito di Dio, allora appunto non siete nella carne. Giacché, se lo Spirito di Dio si sottrae, lo spirito dell’uomo con il suo peso ripiomba nella carne, torna ad agire secondo la carne, torna alle passioni mondane e le condizioni ultime di quell’uomo saranno peggiori delle precedenti 55. Quindi, in tali circostanze, fate servire il libero arbitrio a rivolgere implorazioni di aiuto. Non siete nella carne, ma questo dipende dalle vostre forze? Certamente no! Da chi allora?
13. 13. Se è pur vero che lo Spirito di Dio abita in voi, se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, costui non gli appartiene 56. Pertanto non si faccia grande, non si vanti; la natura bisognosa e viziata non si attribuisca una sua propria forza. O natura umana! O Adamo, quando eri sano, non sei rimasto in piedi, e poi ti sei rialzato con le tue forze? Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo. Lo Spirito di Cristo è infatti lo stesso Spirito di Dio; è infatti lo Spirito del Padre e del Figlio: Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo. Non s’inganni, costui non gli appartiene.

Che si deve sperare del corpo.

13. 14. Ecco, abbiamo lo Spirito di Cristo, aiutandoci la misericordia di lui; sappiamo che lo Spirito di Dio abita in noi in base all’amore della giustizia nella fede immutabile, nella pace cattolica. Ma che dire di quella carne mortale? Che cosa della legge nelle nostre membra che si oppone alla legge della mente? Che cosa di quel gemere: Sono uno sventurato 57? Sta’ a sentire: Ma se Cristo è in voi, il corpo è, sì, morto a causa del peccato, lo spirito però è vita a causa della giustizia 58. Si deve disperare allora del corpo che è morto a causa del peccato? Non rimane alcuna speranza? E’ così abbattuto che non ha risorse per rialzarsi 59? Lungi da noi! Il corpo è, sì, morto a causa del peccato, lo spirito però è vita a causa della giustizia. Rimase la tristezza per il nostro corpo. Nessuno ebbe mai in odio il proprio corpo 60. Vediamo con quanta cura si provveda alla sepoltura dei morti. Il corpo è, sì, morto a causa del peccato, lo spirito però è vita a causa della giustizia. A modo di consolazione, già dicevi: Vorrei veramente che anche il mio corpo fosse in vita; ma dal momento che non può essere, sia almeno in vita il mio spirito, sia almeno in vita l’anima mia. Aspetta, non preoccuparti.
Ai fedeli è promessa la reintegrazione e l’immortalità della carne.
14. 15. Se infatti lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali 61. Di che avete timore? Perché siete ancora preoccupati per il vostro corpo? Non un capello del vostro capo andrà perduto 62. Adamo, peccando, ha condannato a morte i vostri corpi; ma Gesù, se il suo Spirito abita in voi, darà la vita anche ai vostri corpi mortali, perché ha dato il suo sangue per la vostra salvezza. Metti in dubbio che si compia la promessa, tu che hai un tale pegno? In tal modo pertanto, o uomo, non si verificherà quella lotta della morte; in tal modo si compirà quel che è detto: Sono uno sventurato, chi mi libererà dal corpo di questa morte? 63 Perché Cristo Gesù, se il suo Spirito abita in voi, darà la vita anche ai vostri corpi mortali. Così sarai liberato dal corpo di questa morte non con il restare privo del corpo, o avendone un altro, ma non morendo più. Infatti, se non dicesse: di questa morte, ma dicesse: Chi mi libererà dal corpo? si darebbe forse occasione di errore alla mente dell’uomo che potrebbe dire: Vedi che Dio non vuole che noi abbiamo un corpo? dal corpo – dice – di questa morte. Elimina la morte e il corpo è un bene. Si sottragga la morte, ultima nemica, e per l’eternità mi sarà amica la mia carne. Nessuno ha mai avuto in odio la propria carne. Sebbene lo spirito abbia desideri contrari alla carne, e la carne abbia desideri contrari allo spirito 64, sebbene ora sia in atto un litigio in questa casa; litigando, il marito non cerca la rovina, ma l’accordo della moglie. Lungi da noi, fratelli miei, lungi da noi l’idea che lo spirito, avendo desideri contrari ai desideri della carne, abbia in odio la carne. Odia i vizi della carne, odia la prudenza della carne, odia l’opposizione della morte. Questo corpo corruttibile rivesta l’incorruttibilità, e questo corpo mortale rivesta l’immortalità; si semini un corpo animale, risorga un corpo spirituale 65; e vedrai la piena e perfetta concordia, vedrai la creatura lodare il Creatore. Pertanto, se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali, per mezzo del suo Spirito che abita in voi 66; non a motivo dei vostri meriti, ma a motivo dei suoi doni. Rivolti al Signore

Santi Filippo e Giacomo, apostoli, fondamenta della città santa (Ap 21,19) : Sant’Agostino, sul Salmo 86

http://vangelodelgiorno.blogspot.it/search/label/3%20Maggio.%20Santi%20Filippo%20e%20Giacomo%20Apostoli

Sant’Agostino (354-430), vescovo d’Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa

Esposizioni sui salmi, Sal 86

Santi Filippo e Giacomo, apostoli, fondamenta della città santa (Ap 21,19)

«Le sue fondamenta sono sui monti santi. Il Signore ama le porte di Sion» (Sal 86, 1-2)… «Voi siete concittadini dei santi, familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli Apostoli e dei Profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Gesù Cristo» (Ef 2,19-20)… Ebbene, questa pietra angolare e i monti (che sono gli Apostoli e i grandi Profeti) reggono la costruzione di questa città e costituiscono un edificio vivente. Grida ora dai vostri cuori questo edificio? È la magistrale mano di Dio che compie tutto questo per mezzo della nostra lingua, affinché siate squadrati e immessi nella struttura di quell’edificio…
Guardate alla forma d’una pietra squadrata: il cristiano deve essere simile ad essa! Di fronte a qualsiasi tentazione il cristiano non cade. Anche se è spinto e, quasi, capovolto, egli non cade. Una pietra di forma quadrata, infatti, da qualunque parte tu la giri, sta dritta… Siate, dunque, squadrati in questo modo, cioè pronti a qualsiasi tentazione. Qualunque cosa vi colpisca, non abbia a rovesciarvi!…
Quanto, poi, al crescere in questo edificio, lo si fa con affetto devoto, con sincera religione, con la fede, la speranza e la carità. La città celeste viene edificata mediante i suoi stessi cittadini: i cittadini ne sono le pietre. Essi, infatti, sono pietre viventi. Dice l’apostolo Pietro: «Voi, come pietre viventi, siate edificati in una dimora spirituale» (1 Pt 2,5)… Ma, perché sono fondamenta gli Apostoli e i Profeti? Perché la loro autorità sorregge la nostra debolezza. Perché attraverso loro noi entriamo nel regno di Dio: sono essi che ce lo annunciano. E, quando noi entriamo attraverso loro, entriamo attraverso Cristo, dato che egli è la porta (Gv 10,9).

SANT’AGOSTINO COMMENTO ALLA LETTERA DI SAN GIOVANNI – È LA SECONDA LETTURA DI DOMENICA

http://www.augustinus.it/italiano/commento_lsg/index2.htm

SANT’AGOSTINO COMMENTO ALLA  LETTERA DI SAN GIOVANNI

OMELIA 4 – (GV 3, 1-2)

4. Ascoltate: Ecco quale amore ci mostrò il Padre: che siamo chiamati figli di Dio e lo siamo in realtà (1 Gv 3, 1). Chi di figlio ha soltanto il nome, non è vero figlio, che vantaggio ha da tal nome, se nulla significa per lui? Quanti si dicono medici ma non sanno curare i malati! Quanti hanno il nome di guardia, ma dormono tutta la notte! Allo stesso modo molti si dicono cristiani, ma in definitiva non lo sono, non sono ciò che il loro nome significa, non lo sono nella vita, non nei costumi, nella fede, nella speranza, nella carità. Ricordate, o fratelli, quanto avete udito: Ecco quale amore ci ha dimostrato il Padre: che siamo chiamati figli di Dio e lo siamo in realtà. Per questo il mondo non ci conosce; dal momento che il mondo non ha conosciuto il Padre, non conosce neanche noi (1 Gv 3, 1). Il mondo è tutto cristiano e in pari tempo è tutto empio; gli empi infatti sono sparsi in tutto il mondo e lo stesso si verifica per le persone pie: gli uni non conoscono gli altri. Come sappiamo che non si conoscono a vicenda? Da questo: che gli empi lanciano insulti contro coloro che vivono bene. Fate bene attenzione perché costoro si trovano forse anche in mezzo a voi. Ciascuno di voi già vive religiosamente, già disprezza le cose del secolo, non va agli spettacoli, non si ubriaca come si trattasse di un rito, non si rende impuro (e la cosa è molto importante) nelle feste dei santi, col pretesto di ottenere il loro patrocinio. Perché mai, dunque, chi non compie tali azioni viene insultato da chi le compie? Ma come potrebbe essere oggetto di insulto, se fosse conosciuto? Perché allora non sono conosciuti? Perché il mondo non conosce il Padre. Chi sono coloro che formano il mondo? Evidentemente quelli che abitano il mondo, così come, dicendo casa, si intende parlare dei suoi abitatori. Queste cose già le abbiamo dette e ripetute, né ci stanchiamo di ripeterle. Quando sentite parlare del mondo in senso cattivo, dovete intendere solo gli amatori del mondo. Essi abitano nel mondo in quanto lo amano; e poiché lo abitano, hanno anche meritato di assumerne il nome. Il mondo perciò non ci conosce, perché non conosce il Padre. Gesù stesso camminava per le strade del mondo ed era Dio in carne umana, Dio nascosto nella debolezza della carne. Perché mai non fu riconosciuto? Perché rimproverava a ciascuno i suoi peccati. Gli uomini che amavano i piaceri del peccato, non potevano riconoscere Dio: amando ciò che la febbre suggeriva loro, facevano ingiuria al medico.

[Cristo è venuto per essere giudicato, tornerà per giudicare.]
5. Ma noi che faremo? Già siamo nati da lui, ma poiché restiamo ancora nella speranza, l’Apostolo ha aggiunto: Dilettissimi, ora siamo figli di Dio. Lo siamo già fin d’ora? Che cosa allora dobbiamo aspettare, se già siamo figli di Dio? Non ancora ci è stato rivelato ciò che saremo. Saremo qualcosa di diverso da ciò che sono i figli di Dio? Ascoltate le parole che seguono: Sappiamo che quando apparirà, saremo simili a lui, poiché lo vedremo così come egli è (1 Gv 3, 2). Comprenda la vostra Carità questa grande cosa: sappiamo che quando apparirà, saremo simili a lui, poiché lo vedremo così come egli è. Fate attenzione e vedete chi è qui indicato con la parola: è. Già voi sapete chi viene così chiamato. Viene detto è non soltanto chi è di nome ma chi è anche di fatto; chi ha un essere immutabile, eterno, incorruttibile; un essere che non migliora, perché già perfetto, né diminuisce perché eterno. Che cosa significa questo? In principio era il Verbo ed il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio (Gv 1, 1). Che cosa significano queste altre parole? Egli pur sussistendo in forma divina non giudicò un’usurpazione essere uguale a Dio (Fil 2, 6). I cattivi non possono vedere Cristo nella sua forma divina, come il Verbo di Dio, l’Unigenito del Padre, uguale al Padre. Anche i cattivi invece potevano vederlo come Verbo fatto carne: nel giorno del giudizio lo vedranno anche i cattivi; egli verrà a giudicare, così come era venuto per essere giudicato. Egli è, nella medesima forma, uomo e Dio. Dice la Scrittura: Sia maledetto l’uomo che mette la sua speranza nell’uomo (Ger 17, 5). Egli venne come uomo, per essere giudicato, e come uomo verrà a giudicare. Se fosse impossibile vederlo, perché mai è stato scritto: Guarderanno a colui che hanno trafitto (Gv 19, 37)? Degli empi infatti è detto che lo vedranno e saranno confusi. In che senso allora non potranno vederlo, quando il Signore metterà alcuni alla sua destra ed altri alla sua sinistra? A quelli che metterà alla destra dirà: Venite, benedetti del Padre mio, possedete il Regno (Mt 25, 34). A quelli di sinistra dirà invece: Andate al fuoco eterno (Mt 25,.41). Essi vedranno in Cristo solo l’aspetto di servo, non vedranno la sua forma di Dio. Perché? Perché sono empi ed il Signore stesso dice: Beati i puri di cuore perché vedranno Dio (Mt 5, 8). Godremo dunque di una visione, o fratelli, mai contemplata dagli occhi, mai udita dalle orecchie, mai immaginata dalla fantasia (cf. 1 Cor 2, 9): una visione che supererà tutte le bellezze terrene, quella dell’oro, dell’argento, dei boschi e dei campi, del mare e del cielo, del sole e della luna, delle stelle e degli angeli; la ragione è questa: che essa è la fonte di ogni altra bellezza.

[Il desiderio amplia le nostre capacità recettive.]
6. Che cosa saremo dunque, allorché potremo godere questa visione? Che cosa ci è stato promesso? Saremo simili a lui, perché lo vedremo come è. La lingua non è riuscita ad esprimersi meglio, ma il resto immaginatelo colla mente. Che cosa sono le rivelazioni di Giovanni messe a confronto con Colui che è? Che cosa possiamo esprimere noi che siamo creature assolutamente impari alla sua grandezza? Torniamo adesso a parlare della sua unzione, di quell’unzione che insegna interiormente ciò che a parole non possiamo esprimere. Non potendo voi ora vedere questa visione, vostro impegno sia desiderarla. La vita di un buon cristiano è tutta un santo desiderio. Ma se una cosa è oggetto di desiderio, ancora non la si vede, e tuttavia tu, attraverso il desiderio, ti dilati, cosicché potrai essere riempito quando giungerai alla visione. Ammettiamo che tu debba riempire un grosso sacco e sai che è molto voluminoso quello che ti sarà dato; ti preoccupi di allargare il sacco o l’otre o qualsiasi altro tipo di recipiente, più che puoi; sai quanto hai da metterci dentro e vedi che è piccolo; allargandolo lo rendi più capace. Allo stesso modo Dio con l’attesa allarga il nostro desiderio, col desiderio allarga l’animo e dilatandolo lo rende più capace. Viviamo dunque, o fratelli, di desiderio, poiché dobbiamo essere riempiti. Ammirate l’apostolo Paolo che dilata le capacità della sua anima, per poter accogliere ciò che avverrà. Egli dice infatti: Non che io abbia già raggiunto il fine o che io sia perfetto; non penso di avere già raggiunto la perfezione, o fratelli (Fil 3, 12-13). Ma allora che cosa fai, o Paolo, in questa vita, se non hai raggiunto la soddisfazione del tuo desiderio? Una sola cosa, inseguire con tutta l’anima la palma della vocazione celeste, dimentico di ciò che mi sta dietro, proteso invece a ciò che mi sta davanti (Fil 3, 13-14). Ha dunque affermato di essere proteso in avanti e di tendere al fine con tutto se stesso. Comprendeva bene di essere ancora incapace di accogliere ciò che occhio umano non vide, né orecchio intese, né fantasia immaginò. In questo consiste la nostra vita: esercitarci col desiderio. Saremo tanto più vivificati da questo desiderio santo, quanto più allontaneremo i nostri desideri dall’amore del mondo. Già l’abbiamo detto più volte: il recipiente da riempire deve essere svuotato. Tu devi essere riempito di bene: liberati dunque dal male. Supponi che Dio ti voglia riempire di miele: se sei pieno di aceto, dove metterai il miele? Bisogna gettar via il contenuto del vaso, anzi bisogna addirittura pulire il vaso, pulirlo faticosamente coi detersivi, perché si presenti atto ad accogliere questa realtà misteriosa. La chiameremo impropriamente oro, la chiameremo vino. Qualunque cosa diciamo intorno a questa realtà inesprimibile, qualunque cosa ci sforziamo di dire, è racchiuso in questo nome: Dio. Ma quando lo abbiamo pronunciato, che cosa abbiamo pronunciato, che cosa abbiamo detto? Sono forse queste due sillabe tutto quel che aspettiamo? Qualunque cosa dunque siamo capaci di dire, è al di sotto della realtà: dilatiamoci col desiderio di lui, cosicché ci possa riempire, quando verrà. Saremo infatti simili a lui, perché lo vedremo così com’è.

SANT’AGOSTINO – COMMENTO ALLA LETTERA DI SAN GIOVANNI (inizio)

http://www.augustinus.it/italiano/commento_lsg/index2.htm

SANT’AGOSTINO – COMMENTO ALLA LETTERA DI SAN GIOVANNI

(ho messo la prima parte, naturalmente segue)

OMELIA 1

Quello che era da principio…

Attraverso la fede possiamo pervenire al Verbo incarnato, esserne illuminati ed averne la vita, se confesseremo umilmente i nostri peccati ed obbediremo al comandamento nuovo della carità fraterna.

[Il Signore si è reso visibile per vivificare i nostri cuori.]

1. Quello che era da principio, quello che abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi e le nostre mani hanno toccato del Verbo di vita (1 Gv 1, 1). Quegli che colle sue mani tocca il Verbo, può farlo unicamente perché il Verbo si è fatto carne ed abitò tra noi (Gv 1, 14). Questo Verbo fatto carne fino a potersi toccare con le mani, incominciò ad essere carne nel seno della Vergine Maria. Non fu invece a quel tempo che egli incominciò ad essere Verbo, perché Giovanni dice che il Verbo era fin dall’inizio. Dal momento che avete appena sentito ripetere le parole: In principio era il Verbo ed il Verbo era presso Dio (Gv 1, 1), potete confrontare se Giovanni, nella sua Epistola, sia in perfetta armonia col suo Vangelo. Qualcuno potrebbe riferire l’espressione Verbo di vita a qualche particolare modo di parlare del Cristo e non allo stesso suo corpo che fu toccato con le mani. Ma osservate le parole che seguono: La vita stessa si è manifestata (1 Gv 1, 2). Dunque Cristo è il Verbo di vita. Ma come si è manifestata? Essa era fin dall’inizio, ma ancora non si era manifestata agli uomini; s’era invece manifestata agli angeli che la contemplavano e se ne cibavano come del loro pane. Ma che cosa afferma la Scrittura? L’uomo mangiò il pane degli angeli (Sal 77, 25). Dunque la vita stessa si è manifestata nella carne; perché si è manifestata affinché fosse visto anche dagli occhi ciò che solo il cuore può vedere e così i cuori avessero a guarire. Solo col cuore si vede il Verbo; cogli occhi del corpo invece si vede anche la carne. Noi potevamo vedere la carne, ma per vedere il Verbo non avevamo i mezzi. Allora il Verbo si è fatto carne e questa la potemmo vedere, onde ottenere la guarigione di quella vista interiore che sola ci può far vedere il Verbo.

[Sposalizio tra il Verbo e la carne.]

2. Noi l’abbiamo veduto e ne siamo testimoni (1 Gv 1, 2). Forse alcuni di voi, fratelli, ignari di greco, non sanno quale significato ha in greco il termine testimonio, termine comunissimo del vocabolario religioso. Il greco chiama martiri quelli che il latino chiama testimoni. E chi mai non sentì parlare di martirio? su quali labbra di cristiano non risuona ogni giorno il nome dei martiri? Potesse quel nome stabilirsi anche nel cuore, tanto da farci imitare le sofferenze dei martiri e non metterle invece sotto i piedi. Per questo Giovanni ci ha detto: Noi abbiamo visto e ne siamo testimoni: noi abbiamo visto e siamo i suoi martiri. Questi, dando testimonianza sia di quanto videro, come di quanto udirono da testimoni oculari, sopportarono tutte le sofferenze del martirio perché quella testimonianza spiacque agli uomini contro i quali era diretta. I martiri sono i testimoni di Dio. Dio volle avere come suoi testimoni gli uomini affinché a sua volta gli uomini abbiano come loro testimone Dio stesso. Abbiamo visto – dice Giovanni – e siamo suoi testimoni. Dove videro? nella rivelazione; ma dire rivelazione è come dire sole; essi perciò videro in questa nostra luce. Ma colui che fece il sole, come poté essere visto, se non perché egli ha posto nel sole la sua tenda e, quale sposo che esce dal talamo, balzò innanzi, come un gigante, verso la sua meta (Sal 18, 6)? Chi fece il sole è prima del sole, prima della stella del mattino, prima degli astri tutti, prima di tutti gli angeli. Egli è il vero creatore poiché: tutto per mezzo di lui fu creato e senza di lui niente fu fatto (Gv 1, 3); ma perché anche con quegli occhi della carne che vedono il sole egli fosse visto, pose la sua dimora nel sole stesso, fece cioè vedere a noi la sua carne nel chiarore di questa luce terrena. L’utero della Vergine fu la sua stanza nuziale, poiché è là che si sono uniti lo sposo e la sposa, il Verbo e la carne. Poiché sta scritto: E saranno i due una sola carne (Gn 2, 24); ed anche il Signore dice nel Vangelo: Dunque non sono due ma una sola carne (Mt 19, 6). Molto opportunamente Isaia ricorda che quei due sono un solo essere; parlando in persona di Cristo dice: Egli pose sul mio capo una mitra come al suo sposo e mi arricchì di un ornamento come la sua sposa (Is 61, 10). Qui, come si vede, è uno solo che parla e si dichiara insieme sposo e sposa, poiché non sono due ma una sola carne. E ciò avviene perché il Verbo si è fatto carne ed abitò tra noi. La Chiesa si unisce a quella carne ed abbiamo il Cristo totale, capo e membra.

[Conosciamo il Verbo incarnato con gli occhi della fede.]

123456...32

Une Paroisse virtuelle en F... |
VIENS ECOUTE ET VOIS |
A TOI DE VOIR ... |
Unblog.fr | Annuaire | Signaler un abus | De Heilige Koran ... makkel...
| L'IsLaM pOuR tOuS
| islam01