Archive pour la catégorie 'Padri della Chiesa – Sant’Agostino'

Sant’Agostino: « Egli è venuto per rendere testimonianza alla luce »

dal sito: 

http://www.levangileauquotidien.org/www/main.php?language=FR&localTime=12/14/2008#

Sant’Agostino (354-430), vescovo d’Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Commento al vangelo di Giovanni, n° 4, n°2, §5-7

« Egli è venuto per rendere testimonianza alla luce »

Come è venuto, Cristo? Nella sua visibile umanità. E siccome era talmente uomo da nascondere la sua divinità, fu mandato innanzi a lui un grande uomo, affinché mediante la sua testimonianza si potesse scoprire colui che era più che un uomo… Quale personalità è mai questa, venuta per rendere testimonianza alla luce? E’ senz’altro straordinario questo Giovanni, uomo di grande valore, dotato di un carisma speciale, figura davvero sublime. Contemplatelo, sì, contemplatelo come si contempla una montagna. Se non che una montagna, se non viene inondata dal sole, è nelle tenebre. «Non era lui la luce»; e ciò perché non si scambi la montagna con la luce, perdendovi nella montagna, invece di trovarvi rifugio.

Ma che cosa si deve ammirare? La montagna in quanto montagna. Ma, subito, elevatevi fino a colui che illumina la montagna, che per questo è stata innalzata, perché accolga per prima i raggi, e ne dia l’annunzio ai nostri occhi… Così, siamo soliti chiamare anche i nostri occhi luce del corpo; tuttavia, se di notte non si accende la lucerna e di giorno non esce il sole, queste nostre luci restano aperte invano. Così anche Giovanni era luce, ma non la luce vera: senza essere illuminato non era che tenebre; mediante l’illuminazione, è diventato luce. Se non fosse stato illuminato, egli sarebbe stato tenebra, come tutti…

Ma dov’è questa luce? «C’era la luce vera, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo» (Gv 1, 9). Se illumina ogni uomo che viene nel mondo, allora ha illuminato anche Giovanni. Dunque il Verbo illuminava colui dal quale voleva essere testimoniato… Egli veniva in soccorso degli spiriti deboli, dei cuori feriti, per curare la vista malata dell’anima… Poiché tutti quelli per i quali Cristo veniva non sarebbero stati capaci di vederlo, egli inviò i suoi raggi su Giovanni; e dichiarando questi che non era lui a irradiare e illuminare ma era egli stesso irradiato e illuminato, fu conosciuto colui che illumina, che rischiara, che inonda tutti della sua luce.

Sant’Agostino : « Gli camminerà innanzi con lo spirito e la forza di Elia » (Lc 1,17)

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/www/main.php?language=FR&localTime=12/13/2008

Sant’Agostino (354-430), vescovo d’Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Commento al vangelo di Giovanni, n° 4

« Gli camminerà innanzi con lo spirito e la forza di Elia » (Lc 1,17)

«Perché dunque gli scribi – gli scribi erano gli esperti della legge – dicono che prima deve venire Elia?» E il Signore risponde: «Elia è già venuto, e lo hanno trattato come hanno voluto: e, se volete saperlo, egli è Giovanni Battista». Il Signore Gesù Cristo dunque disse: «Elia è già venuto», ed è Giovanni Battista; tuttavia Giovanni, interrogato, risponde di non essere Elia, così come risponde di non essere il Cristo (Gv 1,20s)… Perché dunque egli afferma: «Non sono Elia», mentre il Signore dice: Egli è Elia? Ecco, in lui, il Signore Gesù Cristo volle prefigurare il suo futuro avvento, e sottolineare che Giovanni era venuto nello spirito di Elia. E ciò che è stato Giovanni per il primo avvento, lo sarà Elia per il secondo. Come ci sono due avventi del giudice, così ci sono due araldi. Il giudice è lo stesso, mentre gli araldi sono due… Il Signore che giudicherà, doveva venire una prima volta per essere giudicato, e mandò innanzi a sé il primo araldo, e lo chiamò Elia, perché Elia sarà nel secondo avvento ciò che Giovanni è stato nel primo.

La vostra Carità può avere la conferma di quanto dico. Quando Giovanni fu concepito… lo Spirito Santo fece su di lui questa profezia: «Egli sarà precursore dell’Altissimo nello spirito e nella potenza di Elia» (Lc 1, 17)… Ma chi riuscirà a capire? Chi avrà imitato l’umiltà dell’araldo e conosciuto la grandezza del giudice. Nessuno infatti fu più umile dell’araldo. Fratelli miei, il merito più grande di Giovanni fu questa umiltà, per cui, mentre poteva ingannare gli uomini, mentre poteva essere creduto e farsi passare per il Cristo (tanto grande era la grazia che aveva ricevuto, e altrettanto grande la sua statura morale), apertamente dichiarò: «Non sono io il Cristo. – Sei dunque Elia tu ?… – Non sono Elia.»

XXXIV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO – SABATO 29 NOVEMBRE 2008

XXXIV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

SABATO 29 NOVEMBRE 2008

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 256,1.2.3; PL 38,1191-1193)

Cantiamo l’alleluia a Dio che è buono, che ci libera da ogni male
Cantiamo qui l’alleluia, mentre siamo ancora privi di sicurezza, per poterlo cantare un giorno lassù, ormai sicuri. Perché qui siamo nell’ansia e nell’incertezza. E non vorresti che io sia nell’ansia, quando leggo: Non è forse una tentazione la vita dell’uomo sulla terra? (cfr. Gb 7,1). Pretendi che io non stia in ansia, quando mi viene detto ancora: «Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione»? (Mt 26,41). Non vuoi che io mi senta malsicuro, quando la tentazione è così frequente, che la stessa preghiera ci fa ripetere: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori»? (Mt 6,12).
 Tutti i giorni la stessa preghiera e tutti i giorni siamo debitori! Vuoi che io resti tranquillo quando tutti i giorni devo domandare perdono dei peccati e aiuto nei pericoli? Infatti, dopo aver detto per i peccati passati: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori», subito, per i pericoli futuri, devo aggiungere: «E non ci indurre in tentazione» (Mt 6,13).
E anche il popolo, come può sentirsi sicuro, quando grida con me: «Liberaci dal male»? (Mt 6,13).
E tuttavia, o fratelli, pur trovandoci ancora in questa penosa situazione, cantiamo l’alleluia a Dio che è buono, che ci libera da ogni male.
Anche quaggiù tra i pericoli e le tentazioni, si canti dagli altri e da noi l’alleluia. «Dio infatti è fedele; e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze» (1Cor 10,13). Perciò anche quaggiù cantiamo l’alleluia. L’uomo è ancora colpevole, ma Dio è fedele. Non dice: «Non permetterà che siate tentati», bensì: «Non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla» (1Cor 10,13). Sei entrato nella tentazione, ma Dio ti darà anche il modo di uscirne, perché tu non abbia a soccombere alla tentazione stessa: perché, come il vaso del vasaio, tu venga modellato con la predicazione e consolidato con il fuoco della tribolazione : Ma quando vi entri, pensa che ne uscirai, «perché Dio è fedele». «Il Signore proteggerà la tua entrata e la tua uscita» (Sal 120,8).
Ma quando questo corpo sarà diventato immortale e incorruttibile, allora cesserà anche ogni tentazione, perché «il corpo è morto». Perché è morto? «A causa del peccato». Ma «lo Spirito è vita». Perché? «A causa della giustificazione» (Rm 8,10). Abbandoneremo dunque come morto il corpo? No, anzi ascolta: «Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Cristo dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti, darà la vita anche ai vostri corpi mortali» (Rm 8,10-11). Ora infatti il nostro corpo è nella condizione terrestre, mentre allora sarà in quella celeste. O felice quell’alleluia cantato lassù! O alleluia di sicurezza e di pace! Là nessuno ci sarà nemico, là non perderemo mai nessun amico. Ivi risuoneranno le lodi di Dio. Certo risuonano anche ora qui. Qui però nell’ansia, mentre lassù nella tranquillità. Qui cantiamo da morituri, lassù da immortali. Qui nella speranza, lassù nella realtà. Qui da esuli e pellegrini, lassù nella patria. Cantiamo pure ora, non tanto per goderci il riposo, quanto per sollevarci dalla fatica. Cantiamo da viandanti. Canta, ma cammina. Canta per alleviare le asprezze della marcia, ma cantando non indulgere alla pigrizia. Canta e cammina. Che significa camminare? Andare avanti nel bene, progredire nella santità. Vi sono infatti, secondo l’Apostolo, alcuni che progrediscono sì, ma nel male. Se progredisci è segno che cammini, ma devi camminare nel bene, devi avanzare nella retta fede, devi progredire nella santità. Canta e cammina

LODI

Lettura Breve   Rm 12, 14-16a
Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili.

XXXIV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO – GIOVEDÌ 27 NOVEMBRE 2008

XXXIV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

GIOVEDÌ 27 NOVEMBRE 2008

DAL SITO FRANCESE EAQ:

http://www.levangileauquotidien.org/www/main.php?language=FR&localTime=11/27/2008#

Sant’Agostino (354-430), vescovo d’Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Esposizione sui salmi, Sal 95, §14

« Alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina »
« Esulteranno allora tutte le piante dei boschi, alla presenza del Signore, poiché egli viene: viene a giudicare la terra » (Sal 95, 12). È venuto una prima volta e verrà ancora. La prima volta è venuto con la sua presenza nella Chiesa e a portarlo erano le nubi (Mt 26, 64). E quali sono le nubi che l’hanno portato? Gli Apostoli, che ci hanno recato il messaggio evangelico… È venuto una prima volta per bocca dei suoi evangelizzatori e ha riempito l’universo. Non opponiamo resistenza alla sua prima venuta, per non dover temere nella seconda…

Cosa farà, allora, il cristiano? Si servirà del mondo, ma non diverrà schiavo del mondo. Cosa significa? Pur avendo le cose, si comporterà come se non le avesse. Così dice l’Apostolo; … « Quanto al resto, fratelli, il tempo è breve… coloro che comprano, siano come se non conservassero avidamente; e coloro che usano delle cose del mondo, come se non ne usassero. Passa, infatti, la figura di questo mondo, e io vorrei che voi foste senza preoccupazioni (1Cor 7,29-30): Chi non ha preoccupazioni aspetta sereno la venuta del Signore. Difatti, che sorta di amore abbiamo per Cristo se temiamo che venga? E non ce ne vergogniamo, fratelli? Noi l’amiamo ed abbiamo paura che venga. Ma l’amiamo per davvero? O non amiamo, per caso, più che non Cristo i nostri peccati? Ebbene, odiamo i peccati, e amiamo colui che verrà …

« Allora esulteranno tutte le piante dei boschi dinanzi al volto del Signore, poiché egli viene »… È venuto una prima volta: verrà in seguito a giudicare la terra, e troverà colmi di gioia coloro che hanno creduto alla sua prima venuta.

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dalle «Omelie sul vangelo di Matteo» di san Giovanni Crisostomo, vescovo   (Om. 33,1.2; PG 57,389-390)

Se saremo agnelli vinceremo, se lupi saremo vinti
Finché saremo agnelli, vinceremo e, anche se saremo circondati da numerosi lupi, riusciremo a superarli. Ma se diventeremo lupi, saremo sconfitti, perché saremo privi dell’aiuto del pastore. Egli non pasce lupi, ma agnelli. Per questo se ne andrà e ti lascerà solo, perché gli impedisci di manifestare la sua potenza.
È come se Cristo avesse detto: Non turbatevi per il fatto che, mandandovi tra i lupi, io vi ordino di essere come agnelli e colombe. Avrei potuto dirvi il contrario e risparmiarvi ogni sofferenza, impedirvi di essere esposti come agnelli ai lupi e rendervi più forti dei leoni. Ma è necessario che avvenga così, poiché questo vi rende più gloriosi e manifesta la mia potenza. La stessa cosa diceva a Paolo: «Ti basta la mia grazia, perché la mia potenza si manifesti pienamente nella debolezza» (2 Cor 12,9). Sono io dunque che vi ho voluto così miti. Per questo quando dice: «Vi mando come agnelli» (Lc 10,3), vuol far capire che non devono abbattersi, perché sa bene che con la loro mansuetudine saranno invincibili per tutti. E volendo poi che i suoi discepoli agiscano spontaneamente, per non sembrare che tutto derivi dalla grazia e non credere di esser premiati senza alcun motivo, aggiunge: «Siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe» (Mt 10,16). Ma cosa può fare la nostra prudenza, ci potrebbero obiettare, in mezzo a tanti pericoli? Come potremo essere prudenti, quando siamo sbattuti da tante tempeste? Cosa potrà fare un agnello con la prudenza quando viene circondato da lupi feroci? Per quanto grande sia la semplicità di una colomba, a che le gioverà quando sarà aggredita dagli avvoltoi? Certo, a quegli animali non serve, ma a voi gioverà moltissimo.
E vediamo che genere di prudenza richieda: quella «del serpente». Come il serpente abbandona tutto, anche il corpo, e non si oppone pur di risparmiare il capo, così anche tu, pur di salvare la fede, abbandona tutto, i beni, il corpo e la stessa vita. La fede è come il capo e la radice. Conservando questa, anche se perderai tutto, riconquisterai ogni cosa con maggiore abbondanza. Ecco perché non ordina di essere solamente semplici o solamente prudenti, ma unisce queste due qualità, in modo che diventino virtù. Esige la prudenza del serpente, perché tu non riceva delle ferite mortali, e la semplicità della colomba, perché non ti vendichi di chi ti ingiuria e non allontani con la vendetta coloro che ti tendono insidie. A nulla giova la prudenza senza la semplicità. Nessuno pensi che questi comandamenti non si possano praticare. Cristo conosce meglio di ogni altro la natura delle cose. Sa bene che la violenza non si arrende alla violenza, ma alla mansuetudine.

LODI

Lettura Breve   Rm 14, 17-19
Il regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo: chi serve il Cristo in queste cose, è bene accetto a Dio e stimato dagli uomini. Diamoci dunque alle opere della pace e alla edificazione vicendevole.

XXXIV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO – MARTEDÌ 25 NOVEMBRE 2008

XXXIV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

MARTEDÌ 25 NOVEMBRE 2008

UFFICIO DELLE LETTURE

(dal Tempo Ordinario)

Seconda Lettura
Dai «Trattati su Giovanni» di sant’ Agostino, vescovo
(Tratt. 35,8-9; CCL 36,321-323)

Verrai alla sorgente, vedrai la stessa luce
A paragone degli infedeli, noi cristiani siamo ormai luce. Perciò dice l’Apostolo: «Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore; comportatevi perciò come i figli della luce» (Ef 5,8). E altrove disse: «La notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente come in pieno giorno» (Rm 13, 12-13). Ma poiché, in confronto di quella luce alla quale stiamo per giungere, anche il giorno in cui ci troviamo è quasi notte, ascoltiamo l’apostolo Pietro. Egli ci dice che a Cristo Signore dalla divina maestà fu rivolta questa parola: «Tu sei il mio Figlio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Questa voce, prosegue, noi l’abbiamo udita scendere dal cielo, mentre eravamo con lui sul santo monte» (2 Pt 1, 17-18). Noi però non c’eravamo sul monte e non abbiamo udito questa voce scendere dal cielo e perciò lo stesso Pietro soggiunge: Noi abbiamo una conferma migliore nella parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino non si levi nei vostri cuori (cfr. 2 Pt 1,19).
Quando dunque verrà nostro Signore Gesù Cristo e, come dice l’apostolo Paolo, «metterà in luce i segreti delle tenebre, e manifesterà le intenzioni dei cuori: allora ciascuno avrà la sua lode da Dio» (1 Cor  4,5). Allora, essendo un tal giorno così luminoso, non saranno più necessarie le lucerne. Non ci verrà più letto il profeta, non si aprirà più il libro dell’Apostolo; non andremo più a cercare la testimonianza di Giovanni, non avremo più bisogno del vangelo stesso. Saranno perciò eliminate tutte le Scritture, che nella notte di questo secolo venivano accese per noi come lucerne, perché non restassimo nelle tenebre. Eliminate tutte queste cose, giacché non avremo più bisogno della loro luce, e venuti meno anche gli stessi uomini di Dio, che ne furono i ministri, perché anch’essi vedranno con noi quella luce di verità in tutta la sua chiarezza, messi da parte insomma tutti questi mezzi sussidiari, che cosa vedremo? Di che cosa si pascerà la nostra mente? Di che cosa si delizierà la nostra vista? Da dove verrà quella gioia, che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrò in cuore d’uomo? (cfr. 1Cor 2,9). Che cosa vedremo? Vi scongiuro, amate con me, correte con me saldi nella fede: aneliamo alla patria del cielo, sospiriamo alla patria di lassù; consideriamoci quali semplici pellegrini quaggiù. Che vedremo allora? Ce lo dica ora il vangelo: «In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio» (Gv 1,1). Verrai alla sorgente, da cui ti sono giunte poche stille di rugiada. Vedrai palesemente quella luce, di cui solo un raggio, per vie indirette e oblique, ha raggiunto il tuo cuore, ancora avvolto dalle tenebre e che ha ancora bisogno di purificazione. Allora potrai vederla quella luce e sostenerne il fulgore. «Carissimi, dice lo stesso san Giovanni, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1Gv 3,2). Mi accorgo che i vostri affetti si levano con me verso l’alto; ma «un corpo corruttibile appesantisce l’anima e questa abitazione terrena grava la mente dai molti pensieri» (Sap 9,15). Ecco che io sto per deporre questo libro e voi per tornarvene ciascuno a casa sua. Ci siamo trovati assai bene sotto questa luce comune, ne abbiamo davvero gioito, ne abbiamo davvero esultato: ma, mentre ci separiamo gli uni dagli altri, badiamo bene a non allontanarci da lui.

DAL SITO FRANCESE EAQ:

http://www.levangileauquotidien.org/www/main.php?language=FR&localTime=11/25/2008#

Origene (circa 185-253), sacerdote e teologo
Discorsi su Giovanni, 10, 39 ; PG 14, 369s

 » Non sapete che siete tempio di Dio ?  » (1Cor 3,16)
 » Gesù disse ai Giudei: ‘Distruggete questo Tempio e in tre giorni lo farò risorgere’… Egli parlava del tempio del suo Corpo » (Gv 2,21)… Alcuni pensano che sia impossibile applicare al corpo di Cristo quanto è stato detto del Tempio; ritengono che il suo corpo è stato chiamato tempio perché, come il primo Tempio è stato abitato dalla gloria di Dio, così Colui che è stato generato prima di ogni creatura è l’immagine e la gloria di Dio (Col 1,15), e che, perciò, è giusto che il suo Corpo, cioè la Chiesa, sia chiamato tempio di Dio, poiché contiene l’immagine della divinità… Noi invece abbiamo imparato da Pietro che la Chiesa è il corpo e la casa di Dio, costruita con pietre vive, una casa spirituale per un sacerdozio santo (1 Pt 2,5).

Per cui possiamo guardare Salomone, il figlio di Davide che ha costruito il Tempio, come una figura di Cristo: dopo la guerra, mentre regnava una grande pace, Salomone costruì un tempio alla gloria di Dio nella Gerusalemme terrena… Infatti, quando tutti i nemici di Cristo saranno « stati posti sotto i suoi piedi, l’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte » (1 Cor 15,25-26). Allora la pace sarà perfetta, allora Cristo sarà « Salomone » il cui nome significa « pacifico »; in lui si compierà questa profezia: « Io ho dimorato con chi detesta la pace; io sono per la pace » (Sal 119, 6-7). Allora ciascuna delle pietre vive, a seconda dei meriti della sua vita presente, sarà una pietra del tempio: uno, apostolo o profeta, posato nelle fondamenta, porterà le pietre posate sopra; un altro venuto dopo coloro che sono nelle fondamenta, portato lui stesso dagli apostoli ne porterà insieme con loro altri più deboli; uno sarà una pietra all’interno, dove si trova l’arca con i cherubuni (1 R 6,19); un altro, la pietra dell’atrio (vs 3), e un altro ancora, fuori dall’atrio dei sacerdoti e dei Leviti, sarà la pietra dell’altare dove vengono fatte le offerte dei raccolti… Lo svolgimento della costruzione, con l’organizzazione dei ministeri, sarà affidata agli angeli di Dio, queste potenze sante prefigurate dai capi dei cantieri di Salomone… Tutto questo si compierà quando la pace sarà perfetta, quando regnerà una grande pace.

LODI

Lettura Breve   1 Ts 5, 4-5
Voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che il giorno del Signore possa sorprendervi come un ladro: voi tutti infatti siete figli della luce e figli del giorno; noi non siamo della notte, né delle tenebre.

VESPRI

Lettura Breve   Rm 3, 23-25a
Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue, al fine di manifestare la sua giustizia.

XXXIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO – SABATO 22 NOVEMBRE 2008

XXXIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

SABATO 22 NOVEMBRE 2008

SANTA CECILIA (m)

(a me Santa Cecilia piace molto, non so bene perché, forse perché il canto mi ricorda la difficoltà a pregare e, in qualche modo, il tema del « gemito della creazione, del gemito dell’uomo e del gemito dello Spirito » in Rm 8, – c’è qualcosa su Père Lévêque – nella lettura dell’Ufficio non c’è un riferimento a San Paolo, l’ho cercato e ho l’ho trovato nell’Antifona al Benedictus »:

Antifona al Benedictus :
All’aurora Cecilia esclamò:
Soldati di Cristo,
gettate le opere delle tenebre,
e prendete le armi della luce!

(Rm 13,12)

quindi posto ugualmente la seconda lettura dell’Ufficio delle Letture, che, tra l’altro è di Sant’Agostino:

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dal «Commento sui salmi» di sant’Agostino, vescovo
(Sal 32, Disc. 1, 7-8; CCL 38, 253-254)

Cantate a Dio con arte nel giubilo
«Lodate il Signore con la cetra, con l’arpa a dieci corde a lui cantate. Cantate al Signore un canto nuovo!» (Sal 32, 2.3). Spogliatevi di ciò che è vecchio ormai; avete conosciuto il nuovo canto. Un uomo nuovo, un testamento nuovo, un canto nuovo. Il nuovo canto non si addice ad uomini vecchi. Non lo imparano se non gli uomini nuovi, uomini rinnovati, per mezzo della grazia, da ciò che era vecchio, uomini appartenenti ormai al nuovo testamento, che è il regno dei cieli. Tutto il nostro amore ad esso sospira e canta un canto nuovo. Elevi però un canto nuovo non con la lingua, ma con la vita. Cantate a lui un canto nuovo, cantate a lui con arte (cfr. Sal 32, 3). Ciascuno si domanda come cantare a Dio. Devi cantare a lui, ma non in modo stonato. Non vuole che siano offese le sue orecchie. Cantale con arte, o fratelli. Quando, davanti a un buon intenditore di musica, ti si dice: Canta in modo da piacergli; tu, privo di preparazione nell’arte musicale, vieni preso da trepidazione nel cantare, perché non vorresti dispiacere al musicista; infatti quello che sfugge al profano, viene notato e criticato da un intenditore dell’arte. Orbene, chi oserebbe presentarsi a cantare con arte a Dio, che sa ben giudicare il cantore, che esamina con esattezza ogni cosa e che tutto ascolta così bene? Come potresti mostrare un’abilità così perfetta nel canto, da non offendere in nulla orecchie così perfette? Ecco egli ti dà quasi il tono della melodia da cantare: non andare in cerca delle parole, come se tu potessi tradurre in suoni articolati un canto di cui Dio si diletti. Canta nel giubilo. Cantare con arte a Dio consiste proprio in questo: Cantare nel giubilo. Che cosa significa cantare nel giubilo? Comprendere e non saper spiegare a parole ciò che si canta col cuore. Coloro infatti che cantano sia durante la mietitura, sia durante la vendemmia, sia durante qualche lavoro intenso, prima avvertono il piacere, suscitato dalle parole dei canti, ma, in seguito, quando l’emozione cresce, sentono che non possono più esprimerla in parole e allora si sfogano in una modulazione di note. Questo canto lo chiamiamo «giubilo». Il giubilo è quella melodia, con la quale il cuore effonde quanto non gli riesce di esprimere a parole. E verso chi è più giusto elevare questo canto di giubilo, se non verso l’ineffabile Dio? Infatti è ineffabile colui che tu non puoi esprimere. E se non lo puoi esprimere, e d’altra parte non puoi tacerlo, che cosa ti rimane se non «giubilare»? Allora il cuore si aprirà alla gioia, senza servirsi di parole, e la grandezza straordinaria della gioia non conoscerà i limiti delle sillabe. Cantate a lui con arte nel giubilo (cfr. Sal 32,3).

LODI

Lettura Breve 2 Cor 1, 3-5
Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio. Infatti, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione.

XXXIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO – MERCOLEDÌ 19 NOVEMBRE 2008

XXXIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

MERCOLEDÌ 19 NOVEMBRE 2008

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo (Disc. 21, 1-4; CCL 41, 276-278)

Il cuore del giusto esulterà nel Signore
«Il giusto gioirà nel Signore e riporrà in lui la sua speranza, i retti di cuore ne trarranno gloria» (Sal 63, 11). Questo abbiamo cantato non solo con la voce, ma anche col cuore. Queste parole ha rivolto a Dio la coscienza e la lingua cristiana. «Il giusto gioirà», non nel mondo, ma «nel Signore». «Una luce si è levata per il giusto», dice altrove, «gioia per i retti di cuore» (Sal 96, 11). Forse vorrai chiedere donde venga questa gioia. Ascolta: «Si rallegrerà in Dio il giusto» e altrove: «Cerca la gioia nel Signore, esaudirà i desideri del tuo cuore» (Sal 36, 4). Che cosa ci viene ordinato e che cosa ci viene dato? Che cosa ci viene comandato e che cosa ci viene donato? Di rallegrarci nel Signore! Ma chi si rallegra di ciò che non vede? O forse noi vediamo il Signore? Questo è solo oggetto di promessa. Ora invece «camminiamo nella fede, finché abitiamo nel corpo siamo in esilio, lontano dal Signore» (2 Cor 5, 7. 6). Nella fede e non nella visione. Quando nella visione? Quando si compirà ciò che dice lo stesso Giovanni: «Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è » (1 Gv 3, 2). Allora conseguiremo grande e perfetta letizia, allora vi sarò gioia piena, dove non sarà più la speranza a sostenerci, ma la realtà stessa a saziarci. Tuttavia anche ora, prima che arrivi a noi questa realtà, prima che noi giungiamo alla realtà stessa, rallegriamoci nel Signore. Non reca infatti piccola gioia quella speranza a cui segue la realtà. Ora dunque amiamo nella speranza. Ecco perché la Scrittura dice: «Il giusto gioirà nel Signore» e subito dopo, perché questi ancora non vede la realtà, essa aggiunge: «e riporterà in lui la sua speranza».Abbiamo tuttavia le primizie dello spirito e forse già qualcosa di più. Infatti già ora siamo vicini a colui che amiamo. Già ora ci viene dato un saggio e una pregustazione di quel cibo e di quella bevanda, di cui un giorno ci sazieremo avidamente. Ma come potremo gioire nel Signore, se egli è tanto lontano da noi? Lontano? No. Egli non è lontano, a meno che tu stesso non lo costringa ad allontanarsi da te. Ama e lo sentirai vicino. Ama ed egli verrà ad abitare in te. «Il Signore è vicino: non angustiatevi per nulla» (Fil 4, 5-6). Vuoi vedere come egli sta con te, se lo amerai? «Dio è amore» (1 Gv 4, 8). Ma tu vorrai chiedermi: Che così è l’amore? L’amore è la virtù per cui amiamo. Che cosa amiamo? Un bene ineffabile, un bene benefico, il bene che crea tutti i beni. Lui stesso sia la tua delizia, poiché da lui ricevi tutto ciò che causa il tuo diletto. Non parlo certo del peccato. Infatti solo il peccato tu non ricevi da lui. Eccetto il peccato, tu hai da lui tutte le altre cose che possiedi.

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