Archive pour la catégorie 'Padri della Chiesa – Sant’Agostino'

BAUSOLA, AGOSTINO E IL PROBLEMA DELLA LIBERTÀ

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BAUSOLA, AGOSTINO E IL PROBLEMA DELLA LIBERTÀ

Adriano Bausola è professore ordinario di filosofia teoretica nell’Università Cattolica di Milano. Nella pagina che segue è messa bene in evidenza la complessità del fenomeno libertà; quello che preme evidenziare è come il piano filosofico, l’esigenza di una chiarezza tutta razionale (alla quale Agostino teneva moltissimo), entri in conflitto con il piano piú squisitamente religioso. Agostino filosofo cristiano non ha dubbi: di fronte alla scelta tra fede e ragione sceglie la fede. Il problema del libero arbitrio – oltre che per gli autori indicati da Bausola – è fondamentale anche per Lutero, già monaco agostiniano, autore di un De servo arbitrio in polemica con il filosofo umanista Erasmo da Rotterdam.           

Agostino affronta il problema della libertà nel De libero arbitrio, una delle sue opere filosofiche piú significative. Agostino l’aveva scritta per far luce sulle vere ragioni che lo avevano portato, pochi anni prima, a un completo abbandono del manicheismo; e il manicheismo, con la sua tendenziale negazione della libertà, in effetti giace come sullo sfondo del dialogo (composto in un lungo arco di tempo e completato nel 395, a Ippona, quando Agostino era già vescovo), da dove giustifica l’insistenza dell’autore nel sottolineare [...] i motivi morali e religiosi che gli imponevano di credere nella libertà dell’uomo. A sospingere Agostino in questa direzione era soprattutto il fermo convincimento che, senza una reale autonomia da Dio, noi non saremmo propriamente responsabili del male che compiamo né meritevoli del premio promessoci da Cristo: non potremmo cioè peccare, volendolo, né salvarci con pieno merito; e ciò toglierebbe credibilità alla Parola. Quanto al problema della prescienza divina, Agostino si limitava a osservare, sempre nel De libero arbitrio, che il sapere ab aeterno se un uomo si salverà, o se sarà dannato, non priva ancora l’individuo della sua libertà di iniziativa, infatti Dio nei nostri confronti si atteggia costantemente a Spettatore, non funge da Attore: vede ab aeterno come noi ci comporteremo e ab aeterno giudica i nostri atti, senza tuttavia costringerci a un corso di azione piuttosto che a un altro.         

Le conclusioni del De libero arbitrio erano rassicuranti per la fede, però non conservarono a lungo il loro valore agli occhi di Agostino, che non lesinava gli sforzi, nel tentativo di capire sempre piú a fondo la natura del messaggio cristiano. Dopo il 395, il vescovo di Ippona riscoprí – tra gli altri – l’apostolo Paolo; e i testi paolini gli schiusero nuovi orizzonti. Riflettendo su quelle pagine, egli a poco a poco comprese che un’eccessiva esaltazione dell’uomo va a discapito dell’importanza di Cristo, e ne rende quasi superfluo il sacrificio. Tutto considerato, incominciava a chiedersi Agostino, se non è per grazia ricevuta che noi possiamo salvarci, perché mai il Verbo si sarebbe fatto carne e sarebbe morto per i nostri peccati? A che cosa è servita la Croce, se noi ci procuriamo la salvezza in virtú dei nostri meriti? E una creatura immersa nel peccato, potrebbe mai trovarsi in una situazione del genere, potrebbe mai acquistare meriti sufficienti dinanzi a Dio?          A rendere ancora piú incisive le sue riflessioni provvide poi la filosofia neoplatonica. Essa indicava nell’Uno non soltanto il principio ontologico per eccellenza, ma la stessa luce che illumina il mondo e, contemporaneamente, il Sommo Bene che ordina a sé ogni cosa; e Agostino, che aveva cristianizzato ormai da tempo le idee dei neoplatonici, dopo il 395 ricavò da esse nuove implicazioni. In particolare, ora egli giunse a intravedere in Dio anche la ragione prima e unica del nostro tendere verso il bene, della nostra capacità di operare con spirito di giustizia, in definitiva, dell’impulso interiore che ci conduce alla salvezza; e la libertà dell’uomo, a questo punto, dovette proprio sembrargli, oltreché un ostacolo, un’illusione. Poteva davvero sussistere, in fondo, la libertà di arbitrio, in un universo neoplatonicamente incentrato su Dio, principio motore e allo stesso tempo causa finale del tutto?         

Deciso ad andare alla radice del problema, Agostino non ebbe tentennamenti: non si spaventò davanti alla “durezza” della risposta che gli veniva suggerita da Paolo, e rivelò con decisione, anzi con nettezza sempre maggiore man mano che trascorrevano gli anni, il carattere gratuito e soprannaturale della grazia (a partire, appunto, dal De diversis quaestionibus ad Simplicianum). Contemporaneamente, egli si impegnò in una vigorosa polemica contro i seguaci di Pelagio, sostenitori della tesi opposta, e la battaglia combattuta contro di loro non ebbe certo poco peso nel determinare l’esito finale della sua speculazione.         

Secondo Pelagio, Dio aiuta l’uomo, ma solo nel senso che in Cristo rende noto ciò che tutti debbono fare per salvarsi; invece, la decisione di ottemperare ai decreti divini pertiene al singolo, come al singolo spetta di scegliere la fede o la miscredenza, sicché la responsabilità di una eventuale perdizione ricade esclusivamente su di noi, non coinvolge Dio: Dio è del tutto innocente. Ma Agostino la pensava in modo diverso, e contro Pelagio ribadí che, dopo la caduta di Adamo, senza un intervento della grazia l’uomo non consegue la fede e non si incammina, in essa, verso la vita eterna. Per di piú, egli aggiunse, la penetrazione dell’Onnipotente in noi segue una strategia imperscrutabile e misteriosa che sollecita e sostiene con infinita misericordia la nostra volontà, senza tener conto della stessa né dei meriti acquisiti in precedenza.         

Se, e in qual misura, questo dono gratuito possa comportare per l’uomo un’effettiva perdita di libertà, è questione controversa e di difficile soluzione; non la si affronterà qui. Serve però ricordare che Agostino non uscí del tutto vincitore dalla contesa. Infatti, dopo alterne vicende i pelagiani furono finalmente condannati da papa Zosimo, nel 418: tuttavia il vescovo di Ippona venne quasi subito accusato, a sua volta, di aver sottolineato con troppa foga l’intervento della grazia, a danno della nostra libertà; e gli si fece inoltre carico di aver contraddetto, con ciò, la tradizione dei Padri della Chiesa.         

Invertitisi i ruoli, ora era Agostino a doversi difendere. Non esitò a lungo, e nel breve volgere di tre anni scrisse il De correptione et gratia (426 o 427), il De praedestinatione sanctorum e il De dono perseverantiae (429), cerando con i suoi ultimi due lavori di rispondere, in particolare, alle obiezioni di Cassiano, del monastero di San Vittore, in Marsiglia. Questi sosteneva che la grazia, pur se indispensabile per compiere il bene, a volte segue a ricompensa della nostra buona volontà, e non predestina affatto. Agostino non era d’accordo; a suo giudizio ciò costituiva anzi un errore: meno grave di quello pelagiano, eppure non molto distante da esso e parimenti pericoloso, poiché tendeva a conciliare l’inconciliabile (l’autonomia umana con la radicale decisività del sacrificio compiuto da Cristo). Pertanto, nelle sue repliche, il vescovo di Ippona fu drastico: radicalizzò le tesi sostenute in precedenza e introdusse espressioni, già presenti nel De correptione et gratia, che, secondo alcuni, costituiscono una conferma (e sono una giustificazione) della lettura deterministica della teologia agostiniana poi tentata da Thomas Bradwardine (1290 ca-1349), Calvino (1509-1564) e Giansenio (1595-1638). Secondo altri, invece, tali affermazioni risultano solo accentuazioni polemiche, infelici, certo, ma non cosí gravi da escludere la possibile conciliazione di grazia e libertà in una superiore prospettiva religiosa: quella per cui la grazia libera l’uomo dal peccato agendo sulla sua volontà con soavità e leggerezza, senza dispotismi e prescindendo da qualsiasi forma di coazione (cfr. per quest’ultima interpretazione, in particolare, De correptione et gratia, c. VIII, sez. 17).   (A. Bausola, La libertà, Editrice La Scuola, Brescia, 19862, pagg. 84-86)

SANT’AGOSTINO : DISCORSO 333 NEL NATALE DEI MARTIRI

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SANT’AGOSTINO : DISCORSO 333

NEL NATALE DEI MARTIRI (LA PAROLA DELL’APOSTOLO PAOLO ALL’APPROSSIMARSI DEL SUO MARTIRIO)

La pazienza è propria dei martiri, ma l’hanno in dono da Dio. Cristo, Pane eterno e quotidiano, dà vigore ai martiri.

1. Il Signore nostro Gesù Cristo ai testimoni – cioè, ai suoi martiri, posti in ansia, comportandolo l’umana debolezza, dal dubbio di sopravvivere se lo confessassero e morissero – dette piena sicurezza dicendo loro: Nemmeno un capello del vostro capo perirà 1. Temi dunque che sia tu a perire, quando un tuo capello non perirà? Se quanto di superfluo è così custodito, sotto qual grande protezione non è la tua vita? Non perisce un capello, del cui taglio non avverti sensazione alcuna, e perisce l’anima per la quale sono attivi i tuoi sensi? È vero che predisse loro che avrebbero patito molte tribolazioni, ma per renderli più disposti con la predizione, così che quelli potessero dire: Il mio cuore è deciso 2. Che vuol dire: Il mio cuore è deciso, se non che la mia volontà è decisa? I martiri, nella passione, hanno perciò una volontà ben disposta, ma la volontà è predisposta dal Signore 3. E, fatti conoscere tutti questi futuri mali crudeli e dolorosi, aggiunse: Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime 4. Con la vostra perseveranza, disse. Non vi sarebbe certo la tua perseveranza là ove non fosse anche la tua volontà. Con la vostra perseveranza: ma, come può essere nostra? È cosa nostra quel che si ha da noi ed è cosa nostra pure quel che si dona a noi. Se infatti non si vuole che sia cosa nostra, non si dona. Come dunque doni qualcosa, se non perché sia di chi la riceve in dono da te? È espressiva quella confessione: Non riposa solo in Dio l’anima mia? È infatti da lui la mia perseveranza 5. Egli dice a noi: Con la vostra perseveranza. Anche noi possiamo dire a lui: Da lui è la mia perseveranza. È diventata tua per donazione: non essere ingrato attribuendola a te. Nella preghiera del Signore, non diciamo che è anche nostro ciò che ci viene da Dio? Ogni giorno diciamo: Nostro pane quotidiano. Hai già detto nostro, ma dici: Dacci 6. Ecco il nostro, ecco il dacci: per il fatto che è donato da lui, diventa nostro. Poiché è nostro in quanto donato da lui, se pertanto insorge la nostra superbia, diventa proprietà altrui. Tu dici: Nostro, e dici: Dacci: come dunque ti attribuisci ciò che non ti sei dato da te? Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? 7 Tu dici: Nostro, e: Dacci. Riconosci il donatore, ammetti di ricevere, così che egli volentieri si degni elargire. Che saresti se non ti trovassi nel bisogno tu che vai elemosinando e sei superbo? tu che chiedi il pane, non sei forse un mendicante? Cristo, nell’uguaglianza del Padre: il nostro Pane eterno; Cristo nella carne: il nostro Pane quotidiano; eterno, fuori del tempo; quotidiano, nel tempo. Tuttavia egli è il Pane che è disceso dal cielo 8. I martiri sono forti, i martiri sono saldi nella fede: ma il Pane sostiene il vigore dell’uomo 9.

La mercede è gratuita; all’opera partecipa Dio.
2. Perciò, ascoltiamo ora la parola dell’apostolo Paolo all’approssimarsi del suo martirio, quando si attendeva la corona che gli era stata preparata: Ho combattuto la buona battaglia – disse – ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione 10. Mi consegnerà – egli dice – il Signore, giusto giudice, la corona. È un debito, quindi, ciò che consegnerà. Pertanto, il giusto giudice consegnerà; non può infatti negare la mercede dopo aver valutato l’opera. Che opera osserva? Ho combattuto la buona battaglia, è un’opera; ho terminato la corsa, è un’opera; ho conservato la fede, è un’opera. Mi resta la corona di giustizia: è la mercede. Quanto alla ricompensa, tu non vi prendi parte per nulla; nel compimento dell’opera, non sei solo ad agire. La corona ti viene da lui, ma l’opera viene da te, non senza però l’aiuto di lui. Al contrario, quando l’apostolo Paolo, Saulo un primo tempo, era un persecutore accanitissimo e inesorabile, non meritava affatto alcunché di bene, anzi un’infinità di male: meritava senz’altro di essere condannato, non di essere scelto. Ed ecco improvvisamente, mentre era intento a compiere il male e a meritare mali, viene atterrato da un solo richiamo dal cielo: è gettato a terra persecutore, si risolleva evangelizzatore. Ascoltalo, egli riconosce apertamente proprio questo: Io che per l’innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento, ho ricevuto misericordia 11. È stato forse a questo punto che ha detto: Il giusto giudice mi consegnerà? Qui dice: Ho ricevuto misericordia: meritavo dei mali, ho ricevuto dei beni. Non ci ha trattato secondo i nostri peccati 12. Io ho ricevuto misericordia, non sono stato trattato secondo quanto mi era dovuto: infatti, se mi fosse stato reso il dovuto, mi sarebbe spettata la pena eterna. Non ho ricevuto, dice, quel che mi si doveva. ma ho ricevuto misericordia. Non ci ha trattato secondo i nostri peccati.

Paolo, da persecutore a pastore: come distribuisce le parti.
3. Quanto dista l’oriente dall’occidente così allontana da noi le nostre colpe 13. Allontanati dall’occidente, volgiti all’oriente. Ecco, in uno stesso uomo, Saulo e Paolo: Saulo in occidente, Paolo in oriente; il persecutore in occidente, l’evangelizzatore in oriente. Di là danno la morte i peccati, di qui nasce la giustizia. In occidente l’uomo vecchio, in oriente l’uomo nuovo: in occidente Saulo, in oriente Paolo. Donde viene questo Saulo, donde questo crudele, donde questo persecutore, donde questo tutt’altro che pastore? Costui era appunto il lupo rapace della tribù di Beniamino 14 egli stesso lo ha affermato. Ma era stato già detto in profezia: Beniamino è un lupo rapace: al mattino divora, e alla sera spartisce il bottino 15. Prima divorò, in seguito fece il pastore. Rapiva, rapiva veramente. Leggete, rapiva: leggete il libro degli Atti degli Apostoli 16. Dai sommi sacerdoti aveva ricevuto lettere che lo autorizzavano a condurre in catene, per la condanna, quanti avesse scoperti seguaci di Cristo. Andava, infieriva, bramoso di strage e di sangue: ecco rapisce. Ma è ancora mattino, c’è vanità sotto il sole 17; gli accade di trovarsi a sera appena è colpito da cecità. I suoi occhi si chiudono alla vanità di questo mondo, altri occhi, quelli interiori, sono resi capaci di vedere. Il vaso che poco prima era di perdizione, è fatto vaso di elezione, ecco, quindi, l’adempiersi di spartisce il bottino: giornalmente si dà lettura delle ‘parti’ del suo bottino. Osserva in qual modo egli divide le ‘parti’. Sa che cosa spetti ed a chi: spartisce, non distribuisce indistintamente, senza criterio. Spartisce, cioè distribuisce, discerne; non dispensa a caso, senza ordine. Parla di sapienza tra i perfetti 18: ad alcuni, invece, non essendo capaci di assumere cibo solido, nel distribuire dice: A voi ho dato da bere latte 19.

Paolo rivede prima beni per mali, poi corrisponde ai beni con opere buone.
4. Ecco che cosa fa colui che poco prima faceva… che cosa? non voglio tornarci su. Al contrario, voglio ricordare la perversità dell’uomo, per attestare la misericordia di Dio. Soffre tribolazioni per Cristo colui dal quale Cristo aveva ricevuto tribolazioni: da Saulo diventa Paolo, da falso diventa autentico testimone. Egli che disperdeva raccoglie nell’unità; chi aggrediva, è fatto ora difensore. Da un tale Saulo, come risulta ciò che diciamo? Ascoltiamo lui. Volete sapere, dice, donde mi viene questo? Non viene da me egli dice: Ho ricevuto misericordia. Questo, egli afferma, non proviene da me: Ho ricevuto misericordia. Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato? 20 Ha ricambiato infatti, non però mali per mali; ha senza dubbio ricambiato, ma non mali per mali: ha rimunerato con beni i mali. Che renderò dunque? Prenderò il calice della salvezza 21. Ricambiavi veramente? Continui a prendere. Ma ora, proprio all’approssimarsi della passione, corrisponderà beni per le opere buone, non beni per le cattive. Un primo tempo il Signore doveva evidentemente rimunerare i mali con dei mali: ma non volle rendere mali per mali, rese invece dei beni per i mali. Ricambiando i mali con beni, trovò in qual modo rimunerare con beni le opere buone.

Le stesse opere buone sono dono di Dio.
5. Infatti, ecco che niente di buono trovò in Paolo, già stato Saulo. Non avendo trovato niente di buono in lui, condonò i mali, rese dei beni. Fu perciò preveniente nel rendergli dei beni prima; ma attraverso il dono di beni, con i quali rimunerare le opere buone, proprio con tali beni corrispose una ricompensa alle opere buone: a lui che combatteva la buona battaglia, che terminava la corsa, che conservava la fede, rimunerò le opere buone. Ma con quali beni? Quelli che donò egli stesso. E che, non venne da lui di combattere la buona battaglia? E se non è dato da lui, che sta a significare quel che dici in altro passo: Ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me 22? Ecco tu dici pure: Ho terminato la corsa 23. Non ti è stato concesso anche da lui di terminare la corsa? Se egli non ha dato che tu terminassi la corsa, com’è che in altro passo tu dici: Non dipende dalla forza di volontà, né dalla perizia di chi corre, ma viene da Dio che usa misericordia 24. Ho conservato la fede 25. L’hai conservata, l’hai conservata: lo ammetto, lo accetto: riconosco che l’hai conservata; ma, se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode 26. Appunto per l’aiuto di lui, quindi, per concessione di lui e hai combattuto la buona battaglia e hai terminato la corsa e hai conservato la fede. Permetti, Apostolo, di tuo proprio non conosco che il male. Permetti, Apostolo: se ne parliamo è perché tu ci hai informati; vado ascoltando uno che confessa, non scopro un ingrato. Sappiamo bene che, da parte tua, non ti sei procurato altro che mali: perciò, quando Dio corona i tuoi meriti, nient’altro corona che i suoi doni.

Autorità della Sacra Scrittura circa la grazia di Dio.
6. Questa fede e vera pietà – perché nessuno si vanti del libero arbitrio nelle opere buone (chiunque ne è debitore veda di farne conto in modo da riconoscere chi le concede, perché non sia ingrato verso il donatore né sia, nei confronti del medico, altezzoso, se tuttora non sano, o sano non di suo potere) -, questa fede e vera pietà, ripeto, da nessun genere di argomentazioni sia divelta dai vostri cuori. Conservate quel che avete ricevuto. Che cosa avete infatti, che non avete ricevuto? 27 Questa è la testimonianza da rendere a Dio: ripetere quel che l’apostolo Paolo afferma: Ora noi non abbiamo ricevuto lo spirito di questo mondo. Lo spirito di questo mondo fa i superbi, lo spirito di questo mondo fa i boriosi, lo spirito di questo mondo fa in modo che uno pensi di essere qualcosa mentre non è nulla 28. Ma che afferma l’Apostolo contro lo spirito di questo mondo? Contro lo spirito di questo mondo, borioso, superbo, pieno di sé, altezzoso, non verace, che afferma? Ora noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo spirito di Dio. Come lo provi? Per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato 29. Ascoltiamo perciò il Signore che dice: Senza di me non potete far nulla 30. Ed anche: Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stato dato dal cielo 31. Ed anche: Nessuno viene a me se non lo avrà attirato il Padre che mi ha mandato 32. Ed anche: Io sono la vite, voi i tralci: come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me 33. Ed anche quel che attesta l’apostolo Giacomo, dicendo: Ogni buon regalo e dono perfetto viene dall’alto e discende dal Padre della luce 34. È quanto attesta l’Apostolo Paolo, a rintuzzare la presunzione di quelli, che si gloriano del libero arbitrio, col dire: Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E, se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come non l’avessi ricevuto? 35 E ancora: Per grazia siamo salvi mediante la fede; e ciò non viene da noi, ma è dono di Dio perché nessuno possa vantarsene 36. E inoltre: A voi è stata concessa in Cristo la grazia non solo di credere in lui, ma anche di soffrire per lui 37. E ancora: Dio che ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento 38. Perciò, meditando con serietà e coscienza tali espressioni ed altre simili a queste, non condividiamo gli argomenti di coloro che, esaltando il libero arbitrio fino a montare in superbia, si fanno assai più strumenti di rovina che di elevazione. Vediamo invece di riflettere umilmente su quel che dice l’Apostolo: È Dio infatti che suscita in voi e il volere e l’operare 39.

Rendimento di grazie a Dio.
7. Rendiamo grazie al Signore e Salvatore nostro il quale, senza che mai avessimo avuto meriti precedenti, ci ha curati perché feriti, e ci ha riconciliati perché nemici e riscattati dalla schiavitù, ricondotti dalle tenebre alla luce, dalla morte richiamati alla vita. Confessando quindi umilmente la nostra debolezza, supplichiamo la sua misericordia dal momento che, secondo il salmista, la sua grazia ci previene 40; si degni non solo di custodire, ma anche di accrescere in noi quelli che sono i suoi doni o i suoi benefici e che ha avuto la bontà di concedere di sua iniziativa; egli che con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

AGOSTINO CONTEMPLA LA PAROLA DI DIO

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AGOSTINO CONTEMPLA LA PAROLA DI DIO

Posted by Padre Eugenio Cavallari on 28 November 2012

I tre pani
Quando sarai giunto ai tre pani, cioè a cibarti della Trinità e a intenderla, avrai di che vivere e nutrire gli altri. Non devi temere un forestiero che arriva da un viaggio, ma accogliendolo cerca di farne un concittadino, un membro della tua famiglia, senza temere d’esaurire i tuoi viveri. Quel pane non avrà fine, ma porrà fine alla tua indigenza. E’ pane Dio Padre, è pane Dio Figlio, è pane Dio Spirito Santo. Eterno è il Padre, coeterno il Figlio, coeterno lo Spirito Santo. Immutabile è il Padre, immutabile il Figlio, immutabile lo Spirito Santo. E’ creatore non solo il Padre ma anche il Figlio e lo Spirito Santo. E’ pastore e datore di vita non solo il Padre ma anche il Figlio e lo Spirito Santo. E’ cibo e pane eterno sia il Padre che il Figlio e lo Spirito Santo. Impara e insegna: vivi e nutri. Dio, il quale dà a te, non ti dà di meglio che se stesso. O avaro, che cosa cercavi di più e di meglio? Anche se chiedessi un’altra cosa, come ti basterebbe se non ti basta Dio (Discorso 105, 3, 4)?
Vuoi altercare con me? Piuttosto con me ammira ed esclama: O profondità della ricchezza! Spaventiamoci tutti e due e ripetiamolo insieme. Siamo uniti nel timore, per non perire nell’errore: O profondità della ricchezza della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e impervie le sue vie (Rm 11, 33)! Scruta le cose inscrutabili, fa’ le cose impossibili, corrompi le cose incorruttibili, vedi le cose invisibili (Discorso 26, 13)!
La parola senza alcun suono di parola
Voi ricordate, fratelli miei, il racconto evangelico, che narra come le due sorelle Marta e Maria accolsero il Signore. Marta si dedicava alle faccende del servizio e si agitava nella cura della casa. Infatti aveva accolti in casa, quali ospiti, il Signore e i suoi discepoli. Si affannava con attenzione, scrupolo e devozione perché Gesù e gli apostoli non venissero turbati da alcuna mancanza di riguardo. Invece Maria sedeva ai piedi del Signore e ne ascoltava la parola. Marta, in affanno per il servizio, vedendo quella seduta e del tutto incurante del suo affaccendarsi, si rivolse al Signore: Ti sembra giusto, Signore, che mia sorella mi abbia lasciata sola, mentre sono sola a servirvi? E il Signore: Marta, Marta, tu ti preoccupi di molte cose. Ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta (Lc 10, 38-42). Tu hai scelto una parte buona, ma questa è la parte migliore. Inoltre ciò che tu hai scelto passa: servi chi ha fame e sete, provvedi letti a chi ha sonno, offri ospitalità a chi vuol entrare in casa. Tutto ciò passa. Verrà l’ora in cui nessuno avrà fame e sete, nessuno dovrà dormire; perciò ti sarà tolta ogni preoccupazione. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà mai tolta: ha scelto la contemplazione, ha scelto di vivere della Parola. Che sarà mai il vivere della Parola senza alcun suono di parola? Ora costei viveva della parola, ma della parola che ha un suono. Un giorno il vivere della Parola sarà senza alcun suono di parola. La Parola è di per sé la vita. Saremo quindi simili a lui, poiché lo vedremo così come egli è (1 Gv 3, 2). Questa era ed è la sola cosa necessaria: gustare la dolcezza del Signore. Non ci è ancora del tutto possibile questo nella notte del mondo (Discorso 169, 14, 17).
La Parola di Dio è il mio avversario
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario, finché sei per via (Mt 5, 25). Ma chi è questo avversario? Non è il diavolo: mai la Scrittura ti esorterebbe a metterti d’accordo con il diavolo. E’ un altro l’avversario, che l’uomo stesso rende suo avversario. Lui, se ti fosse avversario, non sarebbe con te per via; mentre invece proprio per questo è con te per via: per mettersi d’accordo con te. Sa che se non ti metti d’accordo con lui per via, cioè durante questa vita, ti porterà un giorno davanti al giudice, il giudice ti consegnerà alla guardia, la guardia ti porterà in carcere. Chi è dunque l’avversario? La Parola di Dio. Essa è il tuo avversario. Perché è avversario? Perché comanda cose contrarie a quelle che fai tu. Essa ti dice: Unico è il tuo Dio, adora l’unico Dio. Tu invece, abbandonato l’unico Dio, che è il legittimo sposo della tua anima, vuoi fornicare con gli errori e il male, con ess vuoi convivere, senza ripudiare Dio apertamente. Da anima adultera, non abbandoni la casa dello sposo, ma ti dai all’adulterio, pur rimanendo sposata con lui. Ora chi fa il male, non vorrebbe che io dicessi queste cose. Ma, lo vogliano o non lo vogliano, io parlerò. Se non vi esorto a mettervi d’accordo con l’avversario, rimarrò io in lite con lui. Chi comanda a voi di agire, comanda a me di parlare: voi, non facendo quanto comanda di fare, siete suoi avversari. Io e voi saremo suoi avversari se non diciamo quanto comanda di dire (Discorso 9, 3).
La Parola di Dio è l’avversario della tua volontà finché non sarà autore della tua salvezza. Oh, quant’è buono e utile questo avversario! Esso non desidera la nostra volontà, ma la nostra utilità. E’ nostro avversario finché noi stessi lo siamo di noi. Fino a quando tu sarai nemico di te stesso, avrai come nemica la parola di Dio: sii amico di te stesso e andrai d’accordo con essa. Dalle ascolto e andrai d’accordo. Non solo non ci perdi nulla, ma in essa ritrovi te stesso, che ti eri perduto. La via è la vita presente; se saremo andati d’accordo e avremo acconsentito alla parola di Dio, al termine della via non avremo paura del giudice, delle guardie, del carcere (Discorso 109, 3).
Maestro della Parola, Maestro la Parola
Alla vostra dolcissima Carità, come ho potuto e con la grazia di Dio, ho mostrato la sua Parola. Attualmente voi fate ciò che in cielo faremo tutti. Lassù non ci sarà più alcun maestro della parola, ma maestro sarà la Parola. Ne deriva, quindi, che a voi spetta attuarla, a noi esortarvi a viverla. Voi siete infatti gli ascoltatori della parola, noi i predicatori. Ma nell’intimo, dove nessuno vede, siamo ascoltatori tutti: interiormente, nel cuore, nella mente, dove è nostro maestro Colui che vi esorta a lodare. Io parlo dall’esterno, egli vi anima all’interno. Interiormente, quindi, siamo tutti ascoltatori; ma tutti, sia all’esterno sia nell’intimo alla presenza di Dio, dobbiamo essere realizzatori. Certo io che vi parlo o chiunque vi predica la parola non vede il vostro cuore: non si può giudicare che cosa fate all’interno dei vostri pensieri. Cosa impossibile all’uomo, ma a Dio non si può nascondere il cuore umano. Egli nota con quale impegno ascolti, a che cosa pensi, che cosa comprendi, quanto profitto fai del suo aiuto, con quanta insistenza preghi, come implori Dio per ottenere ciò che non hai e come lo ringrazi di ciò che hai (Discorso 179, 7).
Creare con le parole
Mosè, quando parla della creazione, dice che è opera di Dio: In principio Dio creò il cielo e la terra (Gn 1, 1). L’evangelista Giovanni afferma semplicemente: In principio era il Verbo (Prologo). Quindi se era fin dal principio, Egli non fu creato, poiché con il Verbo Dio il Padre creò l’universo: Il Verbo parlò e le cose furono fatte; ordinò e furono create (Sal 148, 5). Una cosa è creare con la parola, un’altra essere creati da essa; ma colui che pronuncia la Parola ha la Parola, e quindi crea con la Parola, e se crea con la Parola, non ha creato la Parola. Lui è la Parola (Discorso 380, 3).
Molte parole, una sola parola
Signore nostro Dio, crediamo in te, Padre e Figlio e Spirito Santo. Perché la Verità non avrebbe detto: Andate, battezzate tutte le genti nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo (Mt 28, 19), se Tu non fossi Trinità. Né avresti ordinato, Signore Dio, che fossimo battezzati nel nome di chi non fosse Signore Dio. Dirigendo la mia attenzione verso questa regola di fede, per quanto ho potuto, per quanto tu mi hai concesso di potere, ti ho cercato e ho desiderato di vedere con l’intelligenza ciò che ho creduto, ed ho molto disputato e faticato. Signore mio Dio, mia unica speranza, esaudiscimi e fa’ sì che non cessi di cercarti per stanchezza, ma cerchi sempre il tuo volto con ardore. Dammi Tu la forza di cercare, Tu che hai fatto sì di essere trovato e mi hai dato la speranza di trovarti con una conoscenza sempre più perfetta. Davanti a Te sta la mia forza e la mia debolezza: conserva quella, guarisci questa. Davanti a Te sta la mia scienza e la mia ignoranza; dove mi hai aperto, ricevimi quando entro; dove mi hai chiuso, aprimi quando busso. Fa’ che mi ricordi di te, che comprenda te, che ami te. Aumenta in me questi doni, fin quando Tu mi avrai riformato interamente. Liberami, Dio mio, dalla moltitudine di parole di cui soffro nell’interno della mia anima, misera alla tua presenza, e che si rifugia nella tua misericordia. Infatti non tace il pensiero, anche quando tace la mia bocca. Molti sono i miei pensieri vani: concedimi di non consentirvi e, anche quando vi trovo qualche diletto, di condannarli almeno e di non abbandonarmi ad essi come in una specie di sonno. Né essi prendano su di me tanta forza da influire in qualche modo sulla mia attività, ma siano al sicuro dal loro influsso i miei giudizi e la mia coscienza con la tua protezione. Parlando di Te un sapiente ha detto: Molto potremmo dire senza giungere alla meta, la somma di tutte le parole è: Lui è tutto (Eccli 43, 29). Quando dunque arriveremo alla tua presenza, cesseranno queste molte parole che diciamo senza giungere a Te. Tu resterai, solo, tutto in tutti (cf 1 Cor 15, 28), e senza fine diremo una sola parola, lodandoti in un solo slancio e divenuti anche noi una sola cosa in Te. Signore, unico Dio e Trinità (Trinità 15, 28, 15).
Parlare, tacere, ascoltare
L’uomo maldicente non durerào sulla terra, il male lo spingerà verso la rovina (Sal. 139, 12). Che cosa infatti lo attrae, se non il vuoto parlare? Non bada a ciò che dice: basta che parli. Impossibile quindi che costui righi dritto. Come invece dovrà essere il servo di Dio, acceso da quei carboni ardenti della parola di Dio e diventato lui stesso carbone salutare? Come si comporterà? Deve imparare ad ascoltare più che parlare (cf. Gc 1, 19). Anzi, nei limiti del possibile, desideri non essere posto nella necessità di dover parlare, predicare e insegnare. Miei fratelli, in questo momento noi stiamo parlando a voi per insegnarvi qualcosa; ma quanto sarebbe meglio se tutti sapessimo tutto e nessuno dovesse far da maestro agli altri; se non ci fosse uno che parla e un altro che ascolta, ma tutti fossimo all’ascolto di quell’unico a cui è detto: Al mio udito farai sentire esultanza e letizia (Sal 50, 10)! Riponi la tua gioia nell’ascoltare Dio; nel parlare ti muova solo la necessità. E poi, perché voler parlare piuttosto che ascoltare? Uscire sempre fuori di sé e provar tanta difficoltà a tornare dentro? Il tuo maestro è dentro, mentre quando vuoi far da maestro esci fuori per avvicinarti a coloro che sono fuori. In effetti, è dall’interno che si fa udire la verità a noi; quando invece parliamo ci rivolgiamo a chi è fuori del nostro cuore. Non amiamo, dunque, le cose esteriori ma quelle interiori! Dei beni interiori godiamo, di quelli esteriori usiamone nella misura in cui sono necessari. Non attacchiamo ad essi la volontà (Esposizione Salmo 139, 15).
Il significato mistico della parola
Questa frase: Quando la sua terra fu a lui restituita (Sal 96, 3) potremmo intenderla così: Quando la carne di Gesù fu risuscitata dalla terra della morte. In tal modo coglieremmo il significato mistico, non in contrasto con l’insegnamento di Cristo. « Terra restituita » potrebbe corrispondere a « carne risuscitata ». Infatti tutto ciò che cantiamo nel salmo, si realizzò dopo la resurrezione del Signore. Ascoltiamo, quindi, questo salmo ridondante di gioia per la restituzione della terra al cielo, dalla morte alla vita. E il Signore nostro Dio voglia suscitare in noi un’attesa e un’esultanza che corrisponda alla grandezza degli eventi. Egli ci sia guida nel nostro parlare in modo che risulti adeguato ai bisogni del vostro cuore. Ciò che attraverso la contemplazione di tante meraviglie riempie di gaudio il nostro cuore, lo faccia salire sulla nostra lingua, e dalla nostra lingua passi ai vostri orecchi, e da qui nel vostro cuore e nella vostra vita (Esposizione Salmo 96, 3).

Dio non parla agli angeli così come parliamo fra noi o a Dio o agli angeli o gli angeli stessi a noi o Dio a noi con il loro intervento. Comunque è sempre in modo inesprimibile, sebbene a noi venga comunicato nel nostro solito modo d’intendere. La parola di Dio più alta, prima di aver agito nel mondo, è la ragione immutabile e intima dell’azione stessa, perché non ha un suono che colpisce l’udito e passa, ma possiede una forza che rimane al di là del tempo ed opera nel tempo. Con essa parla agli angeli, con noi parla in altra maniera perché siamo nello spazio. Quando anche noi con l’udito della coscienza afferriamo qualche vibrazione di questa parola, siamo simili agli angeli. Io non devo ad ogni momento rendere ragione del modo di parlare di Dio. E’ la non diveniente Verità che parla da sé in modo ineffabile alla coscienza della creatura ragionevole o parla mediante una creatura che muta, tanto al nostro pensiero con concetti della ragione quanto ai sensi con suoni sensibili (Città di Dio 16, 6, 1).
Varie modalità del parlare di Dio
Molti sono i modi con cui Dio parla a noi. A volte ci parla tramite qualche documento, per esempio il libro delle sacre Scritture, o parla tramite una stella come ai magi (cf. Mt 2, 2). Che cosa è infatti il parlare se non la manifestazione della volontà? Parla anche tramite il sorteggio, parla per mezzo di un essere umano, ad esempio un profeta; parla tramite l’angelo, come ad alcuni patriarchi, profeti e apostoli. Parla infine tramite una qualsiasi creatura, fatta voce e suono, come leggiamo e crediamo siano scese voci dal cielo cantando. Infine Dio parla direttamente all’uomo stesso, non esternamente attraverso orecchi e occhi, ma interiormente, nell’anima, in varie maniere: in sogno, inebriando lo spirito dell’uomo con l’estasi, oppure nella mente, quando ciascuno intuisce l’autorità o la volontà di Dio. Nessuno può mai conoscere ciò che Dio vuole, se non risuona interiormente in lui un certo tacito grido della verità. Dio parla inoltre nella coscienza dei buoni e dei cattivi: nessuno può rettamente approvare quanto fa di bene e disapprovare quanto fa di male se non per quella voce della verità che loda o disapprova queste cose nel silenzio del cuore. E la verità è Dio in persona (Discorso 12, 4).
Agostino spiega il mistero del pensiero con la parola
Dio disse: Sia…e quella cosa fu (cf. Gn 1, 1 s). Per ciascuna creatura egli disse e quella fu. In quale lingua parlò? Dio non va immaginato come un corpo, come un uomo o come un angelo; anche se ai padri si è degnato di manifestarsi così. Non era questa la sua natura, ma si serviva di una sua creatura a lui soggetta; in nessun altro modo infatti colui che è l’invisibile si sarebbe potuto manifestare agli sguardi degli uomini. Ora, come la parte migliore di noi è la mente, così chi è migliore di ogni realtà è Dio. Ciò che è superiore, come puoi concepirlo attraverso una cosa inferiore? In te il corpo è inferiore alla mente; fra gli esseri nulla è migliore di Dio. Ora, sollevati a ciò attraverso il meglio di te, per arrivare, se puoi, a colui che di tutti è il migliore. Io adesso sto parlando, a delle menti; sì, certo, anch’io, visibile nel corpo, guardo delle facce visibili; però attraverso ciò che vedo io parlo a ciò che non vedo. Io dentro di me porto il pensiero concepito nel cuore e quel che ho concepito nel cuore voglio partorirlo nelle tue orecchie; voglio comunicare a te quello che ho dentro, manifestare a te quel che è nascosto e cerco di farlo giungere fino alla tua mente. Prima mi raccolgo davanti ai tuoi orecchi, come se fossi alla porta della tua mente, e poiché il pensiero che ho concepito con la mente è invisibile, e non posso condurlo fino a te, gli metto a disposizione il suono come se fosse un veicolo. Il pensiero è invisibile, il suono è percepibile; io pongo ciò che è invisibile sopra ciò che è percepibile e così posso arrivare fino a chi ascolta. In tal modo il pensiero è uscito da me ed è arrivato a te, ma non si è allontanato da me. Ora – se è lecito paragonare le cose piccole alle grandi, le basse alle alte, le umane alle divine – Dio ha fatto proprio così. Il Verbo era invisibile presso il Padre; per arrivare fino a noi assunse un veicolo, prese la carne; arrivò fino a noi, ma non si allontanò dal Padre (Discorso 223 A, 2).

IN COSA CONSISTE LA FELICITÀ DELL’UOMO – S. AMBROGIO – PREGHIERA

http://www.vatican.va/spirit/documents/spirit_20010605_ambrogio_it.html

IN COSA CONSISTE LA FELICITÀ DELL’UOMO – S. AMBROGIO – PREGHIERA

I. 1. « Nel libro precedente abbiamo trattato dei doveri che giudicavamo attinenti all’onestà, nella quale nessuno ha mai dubitato sia posta la vita felice che la Scrittura chiama vita eterna. Lo splendore dell’onestà è così grande che la tranquillità della coscienza e la certezza d’ essere senza colpa, che ne conseguono, rendono felice la vita. Come il sole, una volta sorto, nasconde il globo lunare e la luce delle altre stelle, così il fulgore dell’onestà, quando brilla di una bellezza autentica ed incorrotta, oscura tutte le altre cose che, secondo il piacere dei sensi, sono ritenute buone o, secondo il giudizio del mondo, sono stimate motivo di onore e di gloria.
2. Certamente felice è tale vita che non si valuta secondo i giudizi altrui, ma con autonomo giudizio si intuisce per mezzo del proprio sentimento interiore. Non cercando giudizi popolari come ricompensa ne temendoli come pena, quanto meno segue la gloria, tanto più si eleva sopra di essa. Coloro infatti che cercano la gloria, ottengono, quale ombra dei beni futuri, una tale ricompensa di beni presenti che è di ostacolo alla vita eterna, perché nel Vangelo sta scritto: In verità vi dico, hanno ricevuto la loro ricompensa. Ciò si dice evidentemente, di coloro che sono smaniosi di divulgare, quasi a suon di tromba, la loro generosità verso i poveri. Similmente è detto di coloro che digiunano per ostentazione: Hanno ricevuto la loro ricompensa.
3. È proprio dell’onestà, dunque, o esercitare la misericordia o digiunare in segreto, perché appaia che si cerca la ricompensa unicamente da Dio, non anche dagli uomini. Chi la vuole dagli uomini, ha già la sua ricompensa; chi la chiede a Dio, ha la vita eterna che può esserci data unicamente dal Creatore dell’eternità, come afferma il ben noto passo: In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso. Con maggior chiarezza, la Scrittura chiamò vita eterna la vita felice, per non lasciarne la valutazione ai giudizi degli uomini, ma per affidarla invece al giudizio di Dio.
II. 4. I filosofi posero la felicità, alcuni nell’assenza del dolore, come Ieronimo, altri nella scienza, come Erillo, il quale, sentendola lodare mirabilmente da Aristotele e da Teofrasto, la considerò sommo bene, mentre essi la esaltarono come un bene, non come l’unico bene. Altri la dissero piacere, come Epicuro, altri, come Callifonte e, dopo di lui, Diodoro, la intesero così da aggiungere l’uno al piacere, l’altro all’assenza di dolore la partecipazione dell’onestà, pensando che senza di questa non possa esistere vita felice. Zenone Stoico affermò che il solo e sommo bene consiste nell’onestà; Aristotele, invece, e Teofrasto e gli altri peripatetici sostennero che la felicità consiste bensì nella virtù, cioè nell’onestà, ma che la felicità di questa è resa completa anche dai beni del corpo e da quelli esteriori.
5. La Scrittura divina invece pose la vita eterna nella conoscenza di Dio e nel premio delle opere buone. Di entrambe le affermazioni abbiamo la testimonianza evangelica. Così disse il Signore della conoscenza di Dio: Questa è la vita eterna, che conoscano te solo vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo. E a proposito delle opere così rispose: Ognuno che lascerà la casa e i fratelli o le sorelle o il padre o la madre o i figli o i campi per il mio nome, riceverà il centuplo e possiederà la vita eterna. « 

S. AMBROGIO, I doveri, II, I [1-3] – II [4-5].

Preghiera
Ti supplico, Signore,
dammi la felicità da sempre cercata,
struggente desiderio,
inappagato sogno.

Felicità che è pace del cuore,
frutto di vita onesta,
sguardo misericorde sul cosmo.

Felicità che è gioia della conoscenza,
disvelamento saporoso del mistero,
cammino senza inciampo verso la pienezza.

Felicità che è bellezza,
armonia delle forme,
inebriante cascata di luce.

Felicità che è amore corrisposto,
riposo dell’amante nell’amato,
ebbrezza reciproca,
parola divenuta silenzio,
silenzio mutato in verginale sguardo.

Ma, Signore,
se tu sei la Pace,
se tu, la Sapienza,
se tu, la Bellezza,
se tu, l’Amore,
perché cerco la felicità fuori di te?
e se tu sei in me,
perché la cerco fuori di me?

Ti supplico, Signore,
manifestati a me tu che vivi in me:
la tua pace inondi il mio cuore,
lo rallegri la tua luminosa sapienza,
lo diletti la tua trasparente bellezza,
arda del tuo amore, che placa e consuma.

Manifestati a me tu che vivi in me:
perché comprenda che tu sei la sola Felicità,
posseduta fin d’ora,
seme immarcescibile che fiorirà nei secoli senza confini.

ADAMUS, episc. Jennesis
sec. XII

SANT’AGOSTINO – NELLA FESTA DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO

http://www.augustinus.it/italiano/discorsi/discorso_569_testo.htm

Discorso 299/A augm.

DISCORSO AL POPOLO TENUTO DA SANT’AGOSTINO

NELLA FESTA DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO

Ricavare frutti dalla celebrazione degli Apostoli.

1. Ci raduna oggi la solennità di un giorno santo: una solennità, ben nota al vostro orecchio, alla vostra mente e alla vostra vita vissuta. Vogliamo commemorarla partecipando alla vostra allegrezza e assaporando la medesima vostra letizia. Brilla al nostro animo la luce del giorno natalizio degli apostoli Pietro e Paolo, quando essi nacquero non per essere imbrigliati dal mondo presente ma per esserne liberati. In effetti quando l’uomo nasce nella miseria della sua umanità nasce per la sofferenza; i martiri al contrario mediante la carità di Cristo nascono per la corona. Ebbene questo giorno nel quale esaltiamo i meriti degli apostoli ci viene offerto perché mentre celebriamo la loro festa ne imitiamo la santità, perché ricordando la gloria dei Martiri amiamo in loro ciò che in loro odiavano i persecutori e onoriamo il martirio, innamorati della loro virtù. In effetti con la virtù essi guadagnarono i meriti dei quali nel martirio ottennero la ricompensa. Il medesimo giorno fu dedicato alla glorificazione dei due martiri e apostoli, sebbene, a quanto sappiamo dalla tradizione della Chiesa, non siano stati martirizzati tutti e due in uno stesso giorno [cioè nello stesso anno] ma comunque nel medesimo giorno. In antecedenza in questo giorno subì il martirio Pietro; successivamente, ma sempre in questo giorno, lo subì Paolo: il merito li rese uguali nel martirio, l’amore li volle abbinati nel medesimo giorno. Ciò ha operato nei loro riguardi Colui che risiedeva in loro, che pativa in loro, che al loro fianco sosteneva il martirio, che li aiutava nella lotta e li coronava nella vittoria. Eccoci dunque offerto -come dicevamo – un giorno di festa, e noi non vogliamo celebrarlo senza ricavarne i frutti né per procurarci una gioia solo materiale ma piuttosto vogliamo attraverso l’imitazione conseguire la corona spirituale. Noi tutti in realtà vogliamo essere coronati ma pochi vogliamo lottare. Ebbene, procediamo seguendo la successione cronologica del martirio e non l’ordine del lezionario, e ascoltiamo prima dal Vangelo i meriti di Pietro e poi dalla lettera dell’Apostolo i meriti di Paolo.

Pietro pasce le pecore di Cristo. 2. Or ora ci è stato letto il Vangelo e noi abbiamo ascoltato questo episodio: Il Signore disse a Pietro:  » Simon Pietro, mi ami tu? « . Rispose:  » Ti amo « ; e il Signore a lui:  » Pasci le mie pecore « . E di nuovo il Signore:  » Simon Pietro, mi ami tu? « . E l’apostolo:  » Signore, ti amo « ; e un’altra volta il Signore:  » Pasci le mie pecore « . Lo interroga per la terza volta su ciò che gli aveva chiesto già per due volte: al Signore sembrò opportuno interrogarlo tre volte, mentre Pietro si sentì come infastidito per dover rispondere tre volte. Infatti – così riferisce il Vangelo – Pietro fu rattristato dal fatto che il Signore lo interrogasse per la terza volta ed esclamò:  » Signore, tu sai tutto; tu sai che io ti amo « . E il Signore:  » Pasci le mie pecore  » 1. Uno che ti interroga su una cosa che già conosce lo fa certamente per insegnarti qualcosa. Cosa dunque si proponeva il Signore d’insegnare a Pietro quando per tre volte lo interrogò su cose che egli già conosceva? Cosa penseremo, fratelli, se non questo: che cioè l’amore doveva cancellare la debolezza? Pietro doveva rendersi conto che per la forza dell’amore doveva confessare tre volte [il Signore] come prima lo aveva rinnegato tre volte mosso dal timore. E fu gran merito per Pietro essere incaricato di pascere le pecore del Signore. Se avesse condotto al pascolo pecore di sua proprietà, mai avrebbe conseguito la corona del martirio. Non fu infatti senza motivo che il Signore precisò le mie pecore; ma così egli disse perché sarebbero sorti certuni che avrebbero preteso di ottenere la gloria del martirio pascendo le loro proprie pecore. Al contrario chi ha l’anima apostolica e cattolica, un’anima semplice, umile e sottomessa a Dio, chi non cerca la propria gloria ma quella di Lui, sicché chi si vanta si vanti nel Signore 2, costui pasce il gregge per amore del Pastore, e in questo Pastore è pastore anche lui. Gli eretici pascolano le loro proprie pecore, ma in queste pecore imprimono il contrassegno del Signore, non certo per amore della verità ma per potersi difendere. Si regolano come quei tali – e sono in molti, lo sappiamo, anzi di questi esempi è pieno il mondo -, come quei tali che, temendo di perdere le loro proprietà, vi collocano le insegne di qualche potente, in modo che uno ne sia il padrone e l’altro incuta timore. Così gli eretici, non vedendo che il loro nome è in gloria dappertutto nel mondo, hanno imposto alle loro pecore il nome di Cristo; e magari le avessero da lui ottenute e non gliele avessero rapinate! Uno solo le comprò; gli altri le hanno rubate. Le comprò colui che le redense dal potere del diavolo e come prezzo versò il suo sangue: prezzo veramente inestimabile, capace di redimere tutto il mondo. Fu dato un prezzo superiore a quello che noi valevamo, ma il nostro compratore era innamorato di noi. Or ecco che dei servi dannati alla perdizione si sono impossessati delle pecore: non dico delle pecore loro proprie ma che essi pretendono fare proprie; e a queste pecore rubate imprimono il marchio del Signore. Ma il vero Padrone delle pecore non rimane inerte: per mezzo di altri suoi servi rivolge alle sue pecore parole di verità affinché riconoscano la voce del Pastore e tornino all’ovile 3: tornino al [resto del] gregge e vi tornino senza titubanze. Noi pertanto, allorché riammettiamo nell’ovile una qualche pecora, ci guardiamo dal cancellare il marchio [del suo padrone].

Di fronte alla violenza dei circoncellioni. 3. È probabile che alcuni dei nostri fratelli, conoscendo il nostro zelo nel recuperare e distogliere dal loro mortifero errore i nostri fratelli, siano rimasti sorpresi del fatto che nei discorsi tenuti in antecedenza non abbiamo mai parlato degli eretici. Ci è stato anzi riferito che gli eretici stessi, miseri e miserabili come sono, siano andati dicendo che un tale silenzio è stato a noi imposto dal timore che abbiamo dei circoncellioni. È infatti una realtà che questi tali non cessano d’intimorirci affinché non predichiamo la parola della pace, ma, se ci lasciamo intimorire dai lupi, cosa risponderemo a colui che ha detto: Pasci le mie pecore 4? Loro tiran fuori i denti per sbranare, noi tiriamo fuori la lingua per guarire. E di fatto noi parliamo apertamente, non ci teniamo in silenzio: ripetiamo le stesse cose e le ripetiamo di frequente. Ascoltino ciò che non vorrebbero ascoltare ed eseguano ciò che debbono eseguire. A chi ricusa d’ascoltare siamo, certo, importuni ma a chi gradisce l’ascolto siamo ben accetti, e se trovandoci fra gli oppositori corriamo dei pericoli, abbiamo fiducia di poter continuare nell’annunzio della parola di Dio 5 poiché lo facciamo nel nome di Cristo e perché voi ci aiutate con le vostre preghiere. È infatti nostra convinzione che quando venite a sapere dei nostri pericoli e come siamo esposti ai furiosi assalti di questi briganti voi pregate per noi. Ne è prova l’amore che ci lega gli uni agli altri. Non che siamo penetrati all’interno del vostro cuore ma ce l’attesta Colui che è in voi come anche in noi. Voglio peraltro ricordarvi che, quando pregate per noi, preghiate soprattutto perché Dio, al di sopra di ogni altra cosa, voglia proteggerci nella nostra salute, intendendo con ciò la salute eterna. Per quanto invece si riferisce alla salute che si gode in questa vita, faccia lui quel che conosce essere vantaggioso e a noi e alla sua Chiesa. Da lui infatti, che è nostro maestro e pastore, anzi principe e capo dei pastori, ci siamo sentiti dire che non dobbiamo temere coloro che uccidono il corpo ma non possono uccidere l’anima 6; e dalle parole del salmo abbiamo ascoltato quella efficacissima orazione: Signore, non consegnarmi al peccatore in base al mio desiderio 7. È una brutta cosa infatti che uno venga consegnato al peccatore a motivo del suo desiderio. Ai peccatori furono certo consegnati i martiri, furono consegnati gli apostoli di cui oggi celebriamo la festa, e prima di loro fu consegnato nelle mani dei peccatori il Signore dei martiri e degli apostoli. Tutti costoro sono stati consegnati nelle mani dei peccatori, ma non per il loro desiderio. Chi sono dunque coloro che vengono consegnati ai peccatori dal loro proprio desiderio? Senza dubbio coloro che condividono i sentimenti dei loro persecutori sospinti da un qualche desiderio di ordine temporale. E voglio farvi un esempio senza andare lontano dall’argomento che stiamo trattando. Ecco che il persecutore ricorre alle minacce e nella sua ferocia ci tormenta con nerbate o sottopone alla spada o al fuoco. Se noi desiderando conservare la vita presente ce ne restiamo in silenzio, siamo consegnati al peccatore dal nostro desiderio e pur vivendo siamo morti: abbiamo la salute del corpo ma perdiamo l’anima, cioè la carità. Per vivere la vita buona dobbiamo amare e voi, impedendo che siate sedotti, e loro, cercando di conquistarli [alla vita]. Se ci minacciano rimproveriamoli; se ci maltrattano preghiamo per loro; se ci respingono seguitiamo a istruirli.

Seguire l’esempio degli Apostoli. 4. Sul merito di Paolo abbiamo già ascoltato qualcosa, ma ora voglio parlarvi dei suoi meriti, seguendo l’ordine che vi avevo promesso di seguire. Predicendo al suo discepolo il martirio ormai prossimo, per togliergli dal cuore mediante il suo esempio ogni timore, gli diceva: Attesto dinanzi a Dio e a Cristo Gesù, giudice dei vivi e dei morti, per la sua manifestazione e il suo regno. Lo vincolò con giuramento e poi gli ingiunse: Predica la parola, insisti in modo opportuno e non opportuno 8. Ascoltando questo richiamo, anche noi, nel nostro piccolo, compiamo ciò che è gradito a voi, ma è sgradito agli avversari. Comunque, nel nome di Cristo non cessiamo di predicare e ripetere in modo opportuno e non opportuno l’annunzio della pace. A chi ha fame giunge opportuno colui che gli porge un pane; quando invece contro voglia si vuol far mangiare un malato, gli si è inopportuni. All’uno si offre un’attesa vivanda, all’altro la si caccia in gola per forza. Il mangiare è gradito dall’uno e intollerabile all’altro; tuttavia la carità non ci fa abbandonare né l’uno né l’altro. Prendiamo dunque ad esempio le gesta degli Apostoli, e non lasciamoci intimorire dalle sofferenze ma, se necessario, accogliamole con fortezza. Ascoltate le parole che al riguardo dice lo stesso Apostolo: Io ormai sto per essere immolato, ovvero offerto in libagione, dato che alcuni codici leggono offerto in libagione mentre altri sto per essere immolato 9; ma sia l’essere offerto in libagione che l’essere immolato rientrano nel linguaggio sacrificale. Egli dunque sapeva che la sua morte era un sacrificio offerto a Dio. Un tale sacrificio aveva offerto al Padre non coloro che lo uccidevano ma quel sommo Sacerdote che aveva detto a noi di non temere coloro che uccidono il corpo 10. E l’Apostolo: È imminente il tempo della mia dipartita 11. Cosa ti attendi, o Paolo, per quando arriverà l’ora della dipartita? Per quale riposo ti sei tanto affaticato? Dice: È imminente il tempo della mia dipartita. Cosa hai fatto durante la vita? Cosa speri? Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede 12. In che senso si conservò fedele [a Cristo] se non perché non si lasciò spaventare dai persecutori, trascurando perciò di predicare la parola di Dio in modo opportuno e non opportuno 13? Quale colpa inaudita sarebbe quindi per noi se per timore non ci mantenessimo fedeli a Colui che al di sopra di tutto c’insegna d’amare i beni più alti e di temere i mali più gravi!

Cristo, medico sapiente. 5. Qualunque dolcezza possa offrire la vita presente, essa non è il paradiso, non è il cielo, non è il regno di Dio, non è la compagnia degli angeli, non è la società dei beati cittadini della Gerusalemme celeste. Eleviamo in alto il cuore, calpestiamo col corpo la terra! Il Signore infatti ci ha insegnato a disprezzare ciò che passa e ad amare ciò che è eterno. Ce l’ha insegnato e ce ne ha dato la medicina, anzi ce la dà ancora per sua degnazione. Egli infatti non ci trovò sani ma venne, medico pietoso, a curare i malati. Il calice dei patimenti è amaro ma cura fin dalla radice tutti i mali; il calice dei patimenti è amaro ma l’ha bevuto per primo lo stesso medico, perché il malato non ricusasse di berlo. Se dunque a Lui piacerà, beviamolo. Il desiderio che Egli ha del nostro bene supera il nostro desiderio. Egli è più sapiente di noi e sa meglio di noi ciò che più ci giova, come sa meglio di noi il valore di quanto ci accade. Ripensa al caso del malato e del medico. Il primo si sente male ma non conosce di che male si tratti; il secondo osserva i disturbi dell’altro e sentenzia secondo verità. Eccoti dunque un uomo che, per sapere cosa gli stia succedendo, si rivolge a un altro uomo e riguardo al suo interno desidera avere la testimonianza di un estraneo. Orbene, se a tanto arrivano la scienza e l’arte di un medico-uomo, quanto di più potrà la potenza del Signore! La stessa festa che oggi celebriamo mi suggerisce un esempio che voglio presentarvi. Prima della passione del Signore, e anche quando questa passione era imminente, san Pietro, di cui oggi celebriamo la nascita al cielo, era un malato che non conosceva di qual male soffrisse nel suo interno. Non conoscendo completamente la sua debolezza interiore, presumeva d’affrontare la morte insieme col Signore 14. Si arrogava risorse superiori a quelle che possedeva. Il malato si sentiva capace di subire la morte; il medico gli prediceva che l’avrebbe rinnegato. E c’è da stupirsi che, in quello stato di infermità, il parere del medico sia risultato più veritiero che non l’opinione del malato? La febbre giunse al punto critico, per dire così, e Pietro non ce la fece a seguire il Signore nella passione. Beviamo quindi il calice della passione quando ce l’invia Colui che conosce cosa invia e a chi l’invia. Se viceversa non vuole che lo beviamo, troverà un’altra maniera di guarirci: l’importante è che ci guarisca. Quanto a noi, abbandoniamoci docilmente e serenamente nelle mani del medico, con l’assoluta certezza che non ci somministrerà nulla che non sia vantaggioso alla nostra salute.

Dio misericordioso corona i meriti di Paolo. 6. Quanto a Paolo, egli esigeva il compenso e se lo riprometteva come cosa dovuta al suo merito. Merito in che senso? Ho terminato la corsa, ho combattuto la buona battaglia, ho conservato la fede 15. Questo hai fatto, e cosa ti attendi? Per il rimanente, mi è riservata la corona di giustizia che in quel giorno mi consegnerà il Signore, giudice giusto 16. Il giudice giusto [la] consegnerà; ma chi lo rese capace di meritarla fu il Padre che gli usò misericordia. Com’era infatti quel Saulo che poi divenne Paolo? Come lo trovò Cristo [quando gli si fece incontro]? Non era forse più che malato, anzi in pericolo [di morte], in preda a un male che, come pazzia, lo rendeva furioso più degli altri giudei? Non era quel Saulo che presente alla lapidazione di Stefano, custodiva le vesti di tutti i lapidatori 17, come per lanciare pietre con le mani di tutti? Non era colui che dai sommi sacerdoti aveva ricevuto lettere e si recava dovunque gli era possibile per incatenare i cristiani e condurli al supplizio? Non fu lui che, come leggiamo, mentre andava [a Damasco] con il cuore fremente di minacce e di stragi fu chiamato per nome e gettato per terra dalla voce celeste 18, cioè dal Verbo che lo chiamava [a dedicarsi] al Verbo? Ebbene, perché il Signore lo chiamasse con una simile vocazione, quali meriti si era egli acquistato con la sua vita precedente? Non dico:  » Cosa c’era in lui che potesse meritare la corona « , ma:  » Cosa c’era che non meritasse la condanna? « . Ebbene, Dio prese il persecutore della Chiesa e ne fece un messaggero di pace. Gli perdonò tutti i peccati e lo collocò in un ministero dove egli avrebbe potuto perdonare i peccati altrui. Ora questi furono doni della divina misericordia, non mercede dovuta ai meriti dell’uomo. Ascolta lo stesso Paolo, non più ingrato ai doni della bontà di Dio; ascolta com’egli ricordi tutto questo e come lo proclami apertamente. Dice: Un tempo io ero bestemmiatore e persecutore e violento, ma ho ottenuto misericordia 19. Dice forse in questo passo:  » Mi è stato assegnato [il compenso dovuto] « ? Se avesse detto: Un tempo io ero bestemmiatore e persecutore e violento ma  » mi è stato assegnato [il compenso dovuto] « , cosa gli si sarebbe dovuto assegnare in compenso se non la dannazione? Egli però dice:  » Ho ottenuto misericordia. Non mi fu applicata la pena meritata perché in seguito mi fosse concessa la corona « . Ecco dunque fratelli! A uno che meritava la pena viene data come ricompensa la corona. Dice: Un tempo io ero bestemmiatore e persecutore e violento. Tu vedi cosa si sarebbe meritato: certamente la pena. Ma questa pena non gli viene inflitta: in vece della pena ottiene la misericordia. Ottenuta la misericordia, non volendo essere ingrato [a Dio], combatte la buona battaglia, porta a termine la corsa e conserva la fede 20. Facendo questo, rese debitore nei suoi confronti colui che gli aveva rimesso i peccati. Dice: Mi è riservata la corona di giustizia che in quel giorno mi consegnerà il Signore, giudice giusto 21. Non dice:  » Mi dà « , ma: Mi consegnerà. Se gliela consegnerà vuol dire che gli era dovuta. Lo dico con estrema convinzione:  » Se gliela consegnerà è segno che gli era dovuta « . Ma che forse Dio aveva ricevuto un prestito da Paolo per essergli debitore? Gli deve dare la corona, gli consegna la corona. Egli è diventato nostro debitore non per un prestito che noi abbiamo fatto a lui ma per una promessa da lui fatta a noi. Quando infatti coronava i meriti di Paolo, altro non coronava se non i suoi doni.

La fedeltà di Dio nel mantenere le promesse. 7. Dunque, fratelli, Dio s’è reso debitore nei nostri confronti in forza delle sue promesse. In realtà quando uno ci ha promesso qualcosa, allorché andiamo da lui per ritirarla gli diciamo:  » Consegnami quel che hai promesso « . Dicendogli:  » Consegnami  » lo consideriamo un debitore dal quale esigiamo il dovuto; ma riconosciamo la sua generosità quando aggiungiamo:  » Quanto hai promesso  » e non:  » Quanto hai da me ricevuto « . Orbene, Dio ha promesso a noi tutti e all’intero mondo creato alcune cose, che sono veramente grandiose. Per non farla troppo lunga, egli ci ha promesso il Cristo, la passione di Cristo, il sangue che Cristo avrebbe versato per noi: e ciò ha promesso per bocca dei profeti, l’ha promesso attraverso i suoi libri. Inoltre ha promesso che la Chiesa si sarebbe sparsa in tutto il mondo, ha promesso ai martiri la vittoria, ha promesso alla Chiesa la distruzione degli idoli e, per la fine, ha promesso il giudizio e la vita eterna. Per non ricordare troppe cose – anche perché sarebbe veramente difficile elencare tutte le sue promesse – soffermiamoci a considerare le cose a cui ho ora accennato. Ha promesso il Cristo dicendo: Ecco la Vergine concepirà e partorirà un figlio, e voi lo chiamerete Emmanuele, che significa  » Dio con noi  » 22, con tutto il resto, che voi conoscete e sarebbe lungo riferire. Promise la sua passione, la sua resurrezione e glorificazione; e tutto questo è accaduto. Promise che ci sarebbero stati martiri per il suo nome, forti nell’affrontare i patimenti e vincitori mediante la perseveranza. Il mondo si accanisce contro di loro e gli si consente d’infuriare, non perché il seme venga calpestato ma perché ne germogli la messe. In ogni parte del mondo è stato versato il sangue dei martiri e la messe della Chiesa ha riempito la terra. Son cose accadute. Nelle Scritture si prometteva alla Chiesa che avrebbe conquistato il regno, ma ciò non appariva ancora nella realtà dei fatti. Gli apostoli la predicavano e ne gettavano la semente per ogni dove, ma non si erano ancora avverate le parole: Lo adoreranno tutti i re della terra, tutte le genti lo serviranno 23. Non si era ancora avverata la cosa ma se ne aveva la garanzia. Volle infatti Dio rendere sicura la debolezza dell’uomo nei confronti della sua promessa, e per questo si servì non solo della parola ma anche dello scritto. La confermò a chi vi credeva, la garantì a chi ne dubitava, e tutte le sue parole erano conservate in un manoscritto, la sacra Scrittura: non le si poteva constatare nella loro realizzazione. E poi ecco che anche i re hanno abbracciato la fede; così infatti era contenuto nel manoscritto di Dio: Lo adoreranno tutti i re della terra, lo serviranno tutte le genti. E difatti la Chiesa si è estesa a tal segno che tutte le genti ormai lo servono. In quel manoscritto trovi ancora: E tra gli idoli delle nazioni [straniere] regnerà il panico 24. E così pure vi leggi: Signore Dio, mio rifugio, verranno a te le genti fin dalle estremità della terra e diranno: I nostri padri hanno realmente venerato simulacri menzogneri, dai quali non ottennero alcunché di utile 25. In effetti essi non adoravano i simulacri. È vero tuttavia che, proprio per questi simulacri, demoni e uomini divennero feroci e uccisero i martiri, facendoli trionfare su di loro. Ma ricade su Babilonia il male che ha fatto [alla Chiesa].

Le due città. 8. Nella Scrittura troviamo descritta una città empia, una specie di agglomerato dell’empietà umana disseminata su tutta la terra e, nella stessa Scrittura, a questa città si dà il nome simbolico di Babilonia. Dal lato opposto è collocata un’altra città, che qui sulla terra è in pellegrinaggio ed è diffusa fra tutti i popoli, concorde nella vera pietà. A questa si dà il nome di Gerusalemme. Queste due città al presente sono mescolate, alla fine però saranno separate. In molti passi la divina Scrittura rivolge loro il discorso, e uno di questi è là dove, rivolgendosi a Gerusalemme, le dice: Ripagate con doppia misura colei che [le] fece [il male], ripagatela 26. Indica che Gerusalemme deve ripagare con doppia misura Babilonia. Cos’è questa doppia misura? Come intenderemo quest’ordine di ripagare la città di Babilonia con doppia misura? Per l’attaccamento ai suoi idoli costei uccideva i cristiani ma non poteva uccidere Cristo, il nostro Dio. Lacerava la carne dei cristiani ma non poteva far del male allo spirito: quindi non poteva raggiungere il nostro Dio. Ora la si ripaga con doppia misura: negli uomini e negli dèi. Loro uccidevano gli uomini ma non potevano uccidere il nostro Dio; al presente viceversa accade che gli uomini, uccisa la loro incredulità, vengono accolti dentro le mura di Gerusalemme, mentre i loro simulacri vengono abbattuti. Gli idolatri cercano i loro adepti ma non li trovano 27, poiché da pagani si son fatti cristiani. Ora, di uno che non è più di quello che era, diciamo che è stato ucciso, come possiamo dire di Paolo antecedentemente Saulo: egli viveva in quanto era diventato predicatore ma come persecutore della Chiesa la sua vita era finita. Di fronte al furore dei pagani un tempo i cristiani cercavano nascondigli per rifugiarsi, oggi i pagani cercano luoghi dove nascondere i loro dèi. E quando questi vengono abbattuti, i loro patrocinatori non si rassegnano ancora a tacere e, nell’ambito delle loro fazioni, continuano a brontolare. Nelle rare volte però che osano far questo cos’altro fanno se non quanto ci ha promesso il nostro Padrone? Se poi un tempo attuavano [i loro propositi], ci riuscivano forse per il loro potere? Osservate: i cristiani, se arrestati, confessavano Cristo e venivano uccisi. Venga ora uno che crede in Mercurio e invochi Mercurio nei suoi giuramenti. Se si imbatte in una guardia, anche in borghese, eccolo gridare:  » Non ho fatto la tal cosa, non ero presente, non ho sacrificato. Dove mi hai visto? « . Al contrario, se ai nostri santi, ai servi di Dio [si chiede]:  » Sei stato in quel raduno dei cristiani? « , subito rispondevano:  » Sì, c’ero « . Per questo, quando noi leggiamo le dichiarazioni dei martiri, ci rallegriamo per la gioia che ci procurano i loro esempi. E son fatti accaduti: condotti a termine dal Signore che li aveva in antecedenza promessi. Un tempo erano racchiusi nella Scrittura, ora si mostrano nei fatti. Così anche quanto ho detto a proposito degli idoli è un fatto palese, di ieri e di oggi. Parimenti la Chiesa si è diffusa in tutto il mondo e ha ormai conquistato tutti i popoli. Quelli che non ha conquistati li conquisterà, poiché è in continua crescita e nel nome di Cristo aumenta per ogni dove il popolo cristiano.

Conclusione. 9. Eppure i cristiani che vivono bene sono pochi, molti quelli che vivono male. Tuttavia quei pochi sono pochi in confronto con la paglia. Lo ripeto: Sono pochi in confronto con la paglia. Quando si arriverà alla vagliatura apparirà il gigantesco mucchio della paglia ma apparirà anche la fulgida accolta dei santi. La paglia andrà al fuoco, il grano nel granaio 28, ma ora son dappertutto mescolati. Perché questo? Ci furono, o fratelli, dei seminatori, come coloro di cui oggi celebriamo la memoria. Per loro mezzo Dio ha mostrato come si sia verificato quanto aveva promesso a loro e, per loro mezzo, anche noi. Cosa aveva promesso? Per il rimanente mi è riservata la corona di giustizia, che in quel giorno mi consegnerà il Signore, giudice giusto 29. E a noi cosa ha promesso? Nella tua discendenza saranno benedette tute le genti 30. Ma come si è adempiuto questo per opera degli apostoli? Per tutta la terra s’è diffuso il loro grido e fino agli estremi confini della terra la loro parola 31. Contro queste affermazioni quale scrittura potranno citare gli eretici? Credo che anch’essi oggi celebrino la nascita al cielo degli apostoli. In realtà anche se fingono di celebrare questo giorno, non hanno certo il coraggio di cantare il salmo che noi cantiamo.

DISCORSO DI SANT’AGOSTINO VESCOVO SULL’AMORE DI DIO E DEL PROSSIMO – DISCORSO 90/A

http://www.augustinus.it/italiano/discorsi/discorso_576_testo.htm

DISCORSO DI SANT’AGOSTINO VESCOVO SULL’AMORE DI DIO E DEL PROSSIMO – DISCORSO 90/A

Chiediamo al fine di trovare.
1. Nella lettura del Vangelo che or ora è stata proclamata anche noi abbiamo potuto vedere il Signore, non con gli occhi del corpo ma con quelli della fede, cosa molto più vantaggiosa per la nostra salvezza. Prendiamo dunque l’atteggiamento spirituale di colui che andò a chiedergli quale fosse il più grande comandamento della legge 1. In effetti colui che pose al Signore questa domanda, non avendo per vedere gli occhi della fede ma solo quelli del corpo, più che per chiedere si presentò per mettere alla prova il Maestro; noi invece, che abbiamo la fede, presentiamoci per chiedere e, chiedendo, poter trovare. Diciamo anche noi: Signore, qual è il più grande comandamento della legge? 2 Diciamolo non con la furbizia di chi vuol tentare, ma con il desiderio di chi vuol apprendere. Il Signore risponderà a noi come rispose a quel tale; e, se egli non credette, la sua domanda è stata di grande utilità per noi. Se poi egli credette, chi la ode oggi ne venga ammaestrato più efficacemente di colui che, andato per tentare, poté essere raddrizzato nei suoi sentimenti.

La legge antica semplificata da Gesú Cristo.
2. Prima di tutto consideriamo il fatto che quel tale domandò [al Signore] quale fosse il primo comandamento della legge, desideroso di sapere non se fosse l’unico ma il più grande; il Signore invece nella risposta parlò non di un comandamento ma di due. È probabile che quell’uomo, udito quale fosse il comandamento [più] grande, avrebbe posto domande sui comandamenti successivi; ma il Signore, per impedire che dopo lo si interrogasse su molti comandamenti, ne aggiunse uno solo, il secondo. Si adempiva così quel che era stato profetizzato molto tempo prima: Il Signore pronunzierà sulla terra una parola breve ma esaustiva 3. È quel che si verifica adesso: con questa lezione viene adempiuta. Molti infatti sono i precetti della legge: essa, come un bosco impenetrabile, in ogni pagina pullula di ingiunzioni. E chi potrebbe adempierle se non si è in grado nemmeno di ritenerle a memoria? Ma Cristo Signore, pieno di misericordia, come volle rinchiudere la sua grandezza in un piccolo corpo, così volle racchiudere la legge, così ampia, in un breve precetto. Nella piccolezza di quel corpo noi possediamo tutto intero il Figlio di Dio; nella brevità di questi due precetti è contenuta tutta intera la legge di Dio. La misericordia ha sottratto ogni [scusa alla] nostra pigrizia. Non pensare quindi che ti occorra una lunga fatica per imparare: pensa piuttosto a mettere in pratica ciò che hai rapidamente imparato.

È compito difficile spiegare la parola di Dio.
3. Disse [il Signore]: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il primo e più importante comandamento. E continuò: Il secondo è simile a questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. In questi due comandamenti si compendia tutta la legge e i profeti 4. Perché volevi distenderti lungo l’apertura dei rami? Tieni strette queste radici e tutto l’albero è nelle tue mani. Come si può vedere, il Signore ci ha inculcato la sua dottrina con una breve frase; noi al contrario su questi due comandamenti siamo costretti a spendere molte parole. O forse non è vero che vi siamo costretti, mentre sarebbe sufficiente quel che abbiamo udito dal Signore? Non v’è dubbio che sarebbe sufficiente, non però a tutti. Difatti, quanto più uno è dotato d’ingegno, tanto più breve potrà essere l’esposizione che gli occorre. Gli uomini grandi amano le poche parole; i piccoli invece, essendo meno dotati d’intelligenza, desiderano discorsi più prolungati. Ora noi da un lato temiamo di urtare la suscettibilità degli uni, ma non vogliamo, dall’altro, gravare con pesi esagerati la debolezza degli altri. Dato dunque che, se restassimo in silenzio, si lamenterebbero quelli che comprendono di meno, vogliano quelli che già comprendono essere pazienti con noi, affinché comprendano anche coloro che fino ad ora non avevano compreso.

Il precetto dell’amore nel Vangelo e in Paolo.
4. O uomo, quale cosa più eccellente ti si poteva dire – e in forma così breve – del precetto di amare il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente 5? Mettilo in pratica, e sta’ sicuro della vita eterna e beata. Se infatti ami il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente, non rimane in te nulla con cui tu possa amare te stesso. Ama dunque, ama il tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente! Cosa ti rimarrà con cui possa amare te stesso? Ma se in te non rimane nulla con cui tu possa amare te stesso, in che maniera potrai amare il prossimo come te stesso 6, come prescritto nel secondo precetto? Ecco un primo problema. Ascoltatene un altro. Come abbiamo avvertito durante la proclamazione della lettura, il Signore dice: In questi due comandamenti si compendia tutta la legge e i profeti 7. D’altra parte voi avete certamente notato quel che dice l’apostolo Paolo mentre vi si leggeva una delle sue lettere. Egli afferma che adempie la legge colui che ama il prossimo 8, e non aggiunge alcunché sul primo e principale comandamento, che è quello di amare Dio con tutto il cuore, l’anima e la mente 9. Ecco le sue parole: In effetti il non commettere adulterio, non uccidere, non desiderare malamente e tutti gli altri comandamenti si compendiano in questa prescrizione: Ama il prossimo tuo come te stesso. L’amore del prossimo esclude ogni male: pertanto pieno adempimento della legge è la carità 10. Egli aveva detto: Chi ama il prossimo adempie [tutta] la legge 11. Se avesse menzionato i tre soli comandamenti: Non commettere adulterio, non uccidere, non desiderare, potremmo supporre che nell’amore del prossimo rientrino soltanto questi tre precetti; ma siccome aggiunge: E se c’è ancora qualche altro comandamento 12, ne segue che tutta la legge è inclusa nell’amore del prossimo. Cosa ci rimane per l’amore di Dio? Ascoltando le parole:  » [Ama] Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con la tua mente  » 13, sembra che non ci resti spazio per l’amore del prossimo; ascoltando viceversa:  » Ecco, questo e questo e questo e se c’è ancora qualche altro comandamento, tutto si compendia in questo precetto: Amerai il prossimo tuo come te stesso 14 « , sembra che non rimanga alcuno spazio per l’amore di Dio. Come fa pertanto il Signore ad asserire che non in uno ma in questi due comandamenti si compendia tutta la legge e i profeti 15?

Iniziare dal prossimo per arrivare a Dio.
5. Per quanto ci sarà possibile, con l’aiuto del Signore vogliamo esporre brevemente il problema ora formulato, cominciando dall’amore del prossimo. Noi infatti siamo uomini, e quindi mortali, soggetti all’ignoranza, non ancora divenuti simili agli angeli 16, anzi molto lontano da tutto ciò che è incorruttibile. Per questa dissimilitudine Dio è distante da noi, sebbene ci sia vicino con la sua misericordia. Essendo dunque quelli che siamo, con quali risorse del nostro pensiero oseremo formarci delle immagini nei riguardi del Signore? Il prossimo, invece l’abbiamo vicino: tendi dunque verso chi ti è vicino se vuoi amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente. O uomo, se non ami il tuo fratello che vedi, come potrai amare Dio che non vedi? 17 Voi conoscete bene queste parole prese dalla lettera di Giovanni. Sono una prescrizione data a noi: dobbiamo cominciare dal prossimo per arrivare a Dio.

L’amore naturale e l’amore cristiano.
6. A questo punto mi dirà qualcuno:  » Io amo Dio e il prossimo, e li amo non a parole ma con i fatti « . Dimostramelo! Risponde:  » Sì, io amo il prossimo « . E con questo, cosa fai di straordinario? Non vedi come l’amore reciproco regni anche fra gli animali irragionevoli? Come gli uccelli cerchino di stare insieme agli uccelli della stessa famiglia e sono tristi se rimangono soli? Non hai notato mai come certi altri animali, dopo aver condiviso la medesima stalla, mettendosi in cammino desiderano stare in fila uno dietro l’altro, e con molta difficoltà si riesce a separarli? Cosa fai dunque di straordinario se tu, uomo, desideri la compagnia di altri uomini? Lo fanno anche le bestie! Né saprei dirti se questo sia un amore che Dio richiede da noi. Ma tu forse continui:  » Io amo il prossimo mio – amo, ad esempio, mio figlio – e lo amo come me stesso « . È cosa normale anche questa. Perfino le tigri amano i propri figli! Infatti non si propagherebbe la loro specie se mancasse l’amore scambievole. Suvvia! Trascendi tutti questi esseri che sono stati messi in tuo potere: nessuno di loro è fatto ad immagine di Dio. È l’uomo che Dio ha fatto a propria immagine, perché esercitasse il potere sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su tutti i rettili che strisciano sulla terra 18. Osserva quali siano le creature a te sottoposte; tu invece sei stato formato con fattezze molto diverse: somigli al Creatore nell’amore per la sua immagine. E poi, come fai a dimostrare che ami tuo figlio? Ripeto: proprio tuo figlio, come fai a dimostrare che lo ami? Perché gli conservi l’eredità, che però egli non potrà possedere insieme con te? Non la possiede infatti insieme con te, ma succederà a te quando tu sarai deceduto. Non ricordi come in quella stessa eredità prima di te sia passato tuo padre e – se questa eredità risale a tempi più antichi – lo stesso tuo nonno? Tutti di passaggio, nessuno in maniera permanente. Tu dunque lasci cose mortali a un uomo mortale o, più esattamente, non sai neppure per chi le accumuli 19. E tuttavia osi proclamare che ami tuo figlio!

Il vero amore verso se stesso.
7. È scritto: Annunzieranno [le opere del Signore] ai propri figli perché ripongano in Dio la loro speranza 20. Se ami in questo modo, il tuo è amore; se ami in modo diverso, allora neppure ami, perché non ami neppure te stesso. Qual è in effetti il senso di ciò che hai udito: Amerai il prossimo tuo come te stesso 21? Ecco la norma che impongo; anzi, non la impongo ma la riconosco. È infatti una norma imposta a tutti noi; e io la medito e la ricordo. Orbene, la norma è questa: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Io non ti dico di amare come te stesso tuo figlio o tua moglie o il vicino che ti è amico o il vicino che ti è familiare, perché forse mi risponderesti:  » Li amo « . Voglio prima chiederti se ami te stesso. Sta qui infatti tutta la forza del comandamento, qui verte tutta la questione: non puoi infatti amare il prossimo come te stesso, se non ami nemmeno te stesso. Ribatti:  » C’è forse qualcuno che non ama se stesso? « . Eppure, io vorrei trovare uno che ami veramente se stesso. Io non guardo infatti a come può errare la creatura, ma a ciò che insegna il Creatore. Chi ci ha creati ci conosce meglio di ogni altro. Ascoltiamolo quindi. Tu mi dicevi che ami te stesso. Se ti avessi chiesto di dimostrarmelo, mi avresti risposto:  » Siccome amo me stesso, quando ho fame nutro il mio corpo; siccome amo me stesso, non voglio stancarmi con il lavoro; siccome amo me stesso, non voglio provare le strettezze della miseria; siccome amo me stesso, cerco di non buscarmi la febbre; siccome amo me stesso, scanso ogni dolore « . Vuoi ora ascoltare cosa ti dice Colui che ti ha creato? Osserva soltanto se ti ami in maniera completamente buona: se cioè non ami l’iniquità. Poiché chi ama l’iniquità odia la propria anima 22. Non ti interrogo io; intèrrogati da te stesso. Se vuoi affermarti a danno degli altri, se desideri che altri stia male perché tu ne abbia un bene, se così agisci, se così pensi, tu ami l’iniquità e pertanto odi la tua anima. Ma se odi la tua anima, non posso certo affidarti il tuo prossimo perché lo ami come te stesso! Posso forse affidarti un altro uomo, per dover poi ricercarne due!? Tu che hai portato te stesso alla rovina, come potrai dare a me la salvezza? Comincia dunque con l’amare te stesso: così saprai amare il prossimo come te stesso.

Amare il vero bene.
8. Aspetti forse da me che ti dica come tu debba amare te stesso? Ascoltiamo piuttosto Colui che ha creato sia te che me. Ecco dunque come devi amare te stesso. Cerca di capire il grande comandamento di amare te stesso. Infatti, a ciò che ami tu cerchi di trascinare anche colui che ami. E se ami l’iniquità, vi ci condurrai anche colui che tu ami come te stesso. Abbiamo tutti davanti agli occhi le moltissime predilezioni dell’uomo, sia in bene che in male. Tu, per esempio, sei appassionato per un auriga; naturalmente ti dài da fare perché quelli che ami partecipino con te agli spettacoli, con te facciano tifo, con te urlino, con te perdano la testa; se non si appassionano, li insulti, li chiami idioti, proprio come sei tu. Ancora. Anche se non te la senti di dividere a metà i tuoi beni 23 con colui che ami come te stesso, desideri comunque che egli ne abbia altrettanti; non vuoi infatti che egli si arricchisca a tuo danno, non vuoi il suo bene con la perdita dei tuoi beni. Perché? Perché tu consideri l’oro un bene e perciò ti consideri grande per il fatto che possiedi oro; e tu vuoi che l’altro cresca senza che tu cali 24. Ma perché ami cose che non puoi distribuire senza tuo danno? In tutti questi casi tu ami malamente: hai in odio la tua anima 25. Se vuoi tranquillamente attrarre il prossimo che ami come te stesso, attrailo a quel bene che non soffre diminuzioni per la moltitudine dei partecipanti: quel bene che – qualunque sia il numero dei possessori – rimane integro per tutti e per ciascuno. Se non ami un simile bene, come potrai amare il prossimo come te stesso?

Amando Dio, tuo vero bene, non perirai.
9. Ma qual è questo bene? Lo trovi nel primo e più grande precetto: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente 26. Quando infatti comincerai ad amare Dio, allora comincerai ad amare te stesso. Non temere: per quanto grande sia il tuo amore per Iddio, non lo amerai mai troppo. La misura di amare Dio è di amarlo senza misura. Amalo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, perché più di così non puoi. Cosa infatti hai di più, per amare il tuo Dio, che tutto te stesso? Non temere che, non lasciando a te stesso nulla con cui amarti, tu abbia a perderci. Non ci perdi, perché, amando Dio con tutto te stesso, ti vieni a trovare là dove non ci si perde. Piuttosto se volgerai il tuo amore da lui verso di te, non sarai più in lui ma in te; e così perirai, venendo a trovarti in chi è destinato a perire. Se non vuoi perire, rimani in colui che non può perire. Questo raggiunge la forza della carità, questo ottiene il fuoco dell’amore. Lo osserviamo nelle predilezioni luride e sconce di certa gente. I tifosi di un auriga sono totalmente presi dallo spettacolo, vivono solo della persona che stanno guardando. Chi è così appassionato non pensa più a se stesso, non sa più neppure dove si trovi. Tanto che, se gli sta vicino uno un po’ meno tifoso, al vederlo così accalorato dice subito:  » Costui non è in sé! « . Anche tu, che sei con Dio, per quanto ti è possibile, non voler essere con te. Se sei con te e ti affidi a te, ti perderai, perché tu non sei in grado di salvare te stesso.

Rientra in te e torna al Padre.
10. Ricordate come abbandonò la casa e finì col rovinarsi quel tale che, rivolto al padre premuroso di salvarlo, gli disse: Dammi la parte dei beni che mi spetta 27. Eccolo là: se ne andò, consumò ogni cosa, si ridusse a pascere i porci, costretto dalla miseria 28. Si allontanò dal padre, perché voleva stare con sé; ma mentre vuole stare con sé, non rimane nemmeno con sé. In effetti, se abbandoni il tuo Dio, immediatamente ti allontani anche da te, esci fuori di te e diventi estraneo anche a te stesso. Pertanto a persone come questa è detto: Tornate al vostro cuore, o prevaricatori 29. Tornate a voi, per poter tornare anche da Colui che vi ha creati. Al riguardo cosa si dice di quel figlio che, abbandonato il padre, si trovò lontano anche da se stesso e nella più nera miseria? Tornato in se stesso disse 30… Tornato in se stesso! Vedi come s’era allontanato anche da se stesso. Buon per te, figlio, che ti sei ravveduto e sei tornato a te! Ma non rimanere in te, se non vuoi perderti di nuovo. In realtà anche di questo si ricordò quel prodigo, tornato, almeno parzialmente, sulla buona strada. Tornato infatti in sé, non volle fermarsi in sé, ma, tornato in se stesso, disse: Mi leverò e andrò da mio padre 31. Debitamente ravveduto, comprese che la sua dimora era là donde era fuggito; si ricordò che era [figlio], anche se ora non meritava più d’essere considerato tale.

Attrai il prossimo a Dio.
11. Tu dunque amerai il sommo Bene e ad esso volgerai l’affetto del tuo cuore. In tal caso posso affidarti il prossimo. Vedo infatti dove tendi e dove vuoi risiedere. Conducilo da lui! E in effetti non potrai condurre da altri colui che ami come te stesso, ora che veramente ami te stesso. Conduci là il tuo prossimo, attrailo, rapiscilo insistendo in ogni maniera accettabile 32. Se si fosse all’alba di un giorno di gare circensi, tu, appassionato d’un concorrente nei giochi venatori, non riusciresti a prender sonno e non ti faresti sfuggire l’ora di correre all’anfiteatro. Giunta l’ora, andresti a svegliare con fastidiosa insistenza il tuo amico, per ipotesi ancora immerso nel sonno e desideroso più di dormire che d’andare ai giochi. Con la tua insistenza faresti pressione su quel pigro: se ti fosse possibile, lo vorresti buttar giù dal letto e piazzarlo nell’anfiteatro. Né, con tutto questo, recheresti a lui fastidio se non finché si sia destato dal sonno, poiché, scomparso il sonno, egli viene subito con te e ti ringrazia per la tua importunità. Ma cosa dire se, condotto quell’uomo all’anfiteatro, dove tutti e due siete andati in gran fretta, l’atleta da voi preferito venisse sconfitto e voi ve ne doveste andare a testa bassa? Ama dunque Dio con tutto il tuo essere: con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente 33. Così e soltanto così ami te stesso; e solo in questa maniera puoi amare il prossimo come te stesso. Lo attiri infatti con entusiasmo da colui del quale mai dovrai arrossire.

Ama se stesso solo colui che ama Dio.
12. Non essendo possibile che chi vuol amare il prossimo lo ami veramente se prima non ama Dio, per questo motivo fu necessario che i due precetti della carità venissero formulati insieme. Chi ama Dio non può amare l’iniquità poiché, amando l’iniquità, odierebbe la sua anima 34. Se non ama l’iniquità, amerà la giustizia, e amando la giustizia amerà Dio. Egli pertanto non cerchi Dio con gli occhi del corpo: lo cerchi con la mente e lo ami in maniera sempre crescente con l’affetto del cuore. Non costruiamoci [con la fantasia] divinità che non sono Dio, se non vogliamo amare anche chi non è Dio, se non vogliamo amare vani fantasmi. Non dobbiamo cadere in errore immaginando cose di questo genere; non dobbiamo formarci un Dio a misura delle nostre voglie naturali né costruircelo a nostro talento. Per distoglierci da queste fantasticherie ci dice la Scrittura: Dio è amore 35. Se dunque ami, ama chi ti dà il potere di amare, e allora ami Dio. Non hai udito che chi ama l’iniquità odia la sua anima 36? Ebbene, se ami, ama colui che ti dona di poter amare, e ami Dio. Il principio per cui ami è infatti la carità. Tu ami in forza della carità: ama dunque la carità e così ami Dio, perché Dio è carità, e chi dimora nella carità dimora in Dio 37. Ecco perché fu necessario che venissero inculcati distintamente i due precetti. Di per sé sarebbe stato sufficiente menzionarne uno: Amerai il prossimo tuo come te stesso 38, ma l’uomo si sarebbe potuto ingannare su questo amore del prossimo non sapendo amare rettamente se stesso. Per questo motivo il Signore, quando volle dare una forma all’amore con cui ami te stesso, la trovò nell’amore che si ha verso Dio. Stabilito questo, ti affidò il prossimo perché tu lo amassi come te stesso.

Unico oggetto del duplice comandamento.
13. A questo punto, se tu sei d’accordo, ti dovrebbe bastare anche l’unico precetto dell’Apostolo. Ora che hai compreso la portata dei due precetti te ne può bastare anche uno solo, mentre prima, quando non li comprendevi, uno non sarebbe bastato. Se infatti poni all’inizio un cattivo amore per te stesso, ami malamente anche colui che ami come te stesso. Anzi, non va detto:  » Ami male  » ma:  » Non ami affatto « . Se dunque ti si dice che non devi commettere adulterio, né uccidere, né desiderare maliziosamente 39, ti si richiama a [rientrare in] te stesso, là cioè dove ha sede la pienezza [dell'uomo]. Infatti tu puoi evitare l’adulterio per timore della punizione, non per amore della giustizia. Così per l’omicidio. Puoi avere la volontà di uccidere ma temi di più il castigo: nel qual caso con la mano non commetti l’omicidio ma nel cuore ne sei colpevole. Ti proponi di uccidere una persona ma temi; comunque vuoi uccidere. È segno che non ami il non uccidere. Il tuo agire all’esterno deve esistere già nel tuo interno, risiedere là dove ti vede Colui che ti darà la corona. Lì devi combattere e vincere, poiché lì risiede Colui che ti osserva. Con ragione quindi è detto: Non commettere adulterio, non uccidere, non desiderare malamente e tutti gli altri comandamenti si riassumono in questa parola: ama il prossimo tuo come te stesso 40. Tu certamente già ami Dio, poiché non potresti amare il prossimo senza amare Dio: il secondo precetto segue il primo. Sia dunque in te il primo, e questo porterà con sé anche il secondo, mentre il secondo non può esistere senza il primo. Se pensavi al perché dei due precetti, adempine pure uno; ma non potrai adempiere quest’uno se non osservandoli tutti e due. Tant’è vero che il secondo si chiama appunto secondo per il fatto che segue [l'altro]. È dunque un precetto conseguente. Ama il prossimo tuo come te stesso: ciò mi basta. Ma se tu a Dio non puoi giungere col pensiero, da dove comincerai per poter amare te stesso? L’amore del prossimo non commette alcun male. Pienezza della legge è dunque la carità 41. E questa carità in che cosa consiste? Nell’amore di Dio e nell’amore del prossimo. Scegli pure l’amore che preferisci! Se scegli l’amore del prossimo, esso non è vero se non ami anche Dio. Se scegli l’amore di Dio, esso non è vero se non v’includi anche il prossimo.

L’amore cristiano è dono di Dio.
14. Se ancora non hai l’amore, gemi e credi; chiedi e otterrai. Ciò che ti viene comandato, ciò che la legge impone, la fede ottiene. Se quanto devi impetrare già lo possiedi, [ricorda le parole]: Che cosa hai tu senza averlo ricevuto? 42 Se non lo possiedi, chiedilo per poterlo ottenere. Quel che noi chiediamo è la carità 43. Se ancora non l’abbiamo, chiediamola per non restarne privi. Come infatti potremmo attingerla in noi stessi se, essendo cattivi, non abbiamo nulla di buono per meritarla? La otterremo piuttosto da Colui al quale dice la nostra anima: Benedici il Signore, anima mia, e non dimenticare i tanti suoi benefici. Egli è misericordioso verso tutte le tue iniquità 44. Ciò avviene nel battesimo. Ma se avvenisse questo soltanto, come rimarremmo in seguito? Continua però [il salmo]: Egli sana tutte le tue malattie 45. Guarite le malattie, non rifiuteremo il nostro pane; e osserva cosa accadrà quando tutte le malattie saranno state guarite: Egli riscatterà la tua vita dalla corruzione 46. È quanto accadrà nella resurrezione dei morti. E dopo che la nostra vita sarà stata liberata dalla corruzione cosa accadrà? Egli ti corona. Forse per i tuoi meriti? Poni attenzione a quel che segue: Egli ti corona nella sua compassione e misericordia 47. Il giudizio infatti sarà senza misericordia per colui che non avrà usato misericordia 48. Ci saranno dunque rimessi i peccati e guarite le malattie; la nostra vita sarà sottratta alla corruzione e per la sua misericordia ci sarà consegnata la corona. Conseguito tutto questo, di che cosa ci occuperemo? Cosa avremo? Egli ti sazia di beni 49, senza alcun male. Eri avaro e l’oro non ti saziava perché, essendo avaro, non puoi trovare la sazietà nell’oro. Sii giusto, e troverai la sazietà in Dio. Non c’è infatti assolutamente nulla che possa saziarti all’infuori di Dio, nulla può bastarti all’infuori di Dio. Mostraci il Padre e questo ci basta! 50 Siamo dunque alacri nel compiere le opere di misericordia mentre veniamo curati dalle nostre malattie, affinché, guariti dalle malattie, acquistino vigore i nostri desideri. Facciamo sì che questi desideri, guariti dal male, crescano in vigore, e, diventati vigorosi, raggiungano la sazietà. Si compia allora il giudizio, ma sia un giudizio di misericordia, poiché sarebbe gravoso un giudizio non accompagnato dalla misericordia, essendo difficile che Dio non trovi in te nulla da punire. Tu forse ti compiacevi di te stesso, ma Lui sa scoprire in te colpe che tu non conosci; trova in te cose che tu volevi nascondere o che magari del tutto ignoravi. Siamo dunque zelanti nel compiere le opere di misericordia: amiamo il prossimo pur nell’attuale scarsità di beni temporali, perché ci sia dato di udire, nel giudizio, una sentenza di misericordia.

GIOVEDÌ E VENERDÌ SANTO CON SANT’AGOSTINO

http://www.augustinus.it/varie/pasqua/settimana_4.htm

GIOVEDÌ E VENERDÌ SANTO CON SANT’AGOSTINO

Io sono il pane vivo disceso dal cielo.
Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno
e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo.
(Gv 6, 51)

INTRODUZIONE

L’Eucarestia, « sacramento così grande e divino », è strettamente congiunta all’Incarnazione del Figlio di Dio: « Se il Signore degli angeli non si fosse fatto uomo non avremmo la sua carne; se non avessimo la sua carne, non mangeremmo il pane dell’altare ». (Serm.130, 2) Per conferire all’uomo la vita divina Cristo si è fatto sacerdote e sacrificio, offrendo – lui sommo sacerdote – il proprio corpo e sangue una volta per sempre, in un « sacrificio così sublime ed accessibile ». L’Eucarestia è la « medicina così splendida e nobile », (Serm.228/B, 1) che sprona il cristiano a seguire le orme di Cristo. Sull’altare infatti non offriamo solo la Vittima divina, ma anche noi stessi: « Questo è il sacrificio dei cristiani: Molti e un solo corpo in Cristo. La Chiesa celebra questo mistero con il sacramento dell’altare, noto ai fedeli, perché in esso si rivela che nella cosa che offre, essa stessa è offerta ». (De civ. Dei 10, 6)

Dai « Discorsi » di sant’Agostino, vescovo (Serm. 228/B, 2-3)
Il corpo di Cristo
Cristo Signore nostro dunque, che nel patire offrì per noi quel che nel nascere aveva preso da noi, divenuto in eterno il più grande dei sacerdoti, dispose che si offrisse il sacrificio che voi vedete, cioè il suo corpo e il suo sangue. Infatti il suo corpo, squarciato dalla lancia, effuse acqua e sangue, con cui rimise i nostri peccati. Ricordando questa grazia, operando la vostra salute – che poi è Dio che la opera in voi (cf. Fil 2, 12-13) -, con timore e tremore accostatevi a partecipare di quest’altare. Riconoscete nel pane quello stesso corpo che pendette sulla croce, e nel calice quello stesso sangue che sgorgò dal suo fianco. Anche gli antichi sacrifici del popolo di Dio, nella loro molteplice varietà, prefiguravano quest’unico sacrificio che doveva venire. E Cristo è nel medesimo tempo la pecora, per l’innocenza della sua anima pura, e il capro, per la sua carne somigliante a quella del peccato (cf. Rm 8, 3). E qualsiasi altra cosa che in molte e diverse maniere sia prefigurata nei sacrifici dell’Antico Testamento si riferisce soltanto a questo sacrificio che è stato rivelato nel Nuovo Testamento.
Prendete dunque e mangiate il corpo di Cristo, ora che anche voi siete diventati membra di Cristo nel corpo di Cristo; prendete e abbeveratevi col sangue di Cristo. Per non distaccarvi, mangiate quel che vi unisce; per non considerarvi da poco, bevete il vostro prezzo. Come questo, quando ne mangiate e bevete, si trasforma in voi, così anche voi vi trasformate nel corpo di Cristo, se vivete obbedienti e devoti. Egli infatti, già vicino alla sua passione, facendo la Pasqua con i suoi discepoli, preso il pane, lo benedisse dicendo: Questo è il mio corpo che sarà dato per voi (1 Cor 11, 24). Allo stesso modo, dopo averlo benedetto, diede il calice, dicendo: Questo è il mio sangue della nuova alleanza, che sarà versato per molti in remissione dei peccati (Mt 26, 28). Questo già voi lo leggevate o lo ascoltavate dal Vangelo, ma non sapevate che questa Eucarestia è il Figlio stesso; ma adesso, col cuore purificato in una coscienza senza macchia e col corpo lavato con acqua monda (cf. Eb 10, 22), avvicinatevi a lui e sarete illuminati, e i vostri volti non arrossiranno (Sal 33, 8). Perché se voi ricevete degnamente questa cosa che appartiene a quella nuova alleanza mediante la quale sperate l’eterna eredità, osservando il comandamento nuovo di amarvi scambievolmente (cf. Gv 13, 34), avrete in voi la vita. Vi cibate infatti di quella carne di cui la Vita stessa dichiara: Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo (Gv 6, 51), e ancora: Se uno non mangia la mia carne e non beve il mio sangue, non avrà la vita in se stesso (Gv 6, 53).

In breve…
Se uno vuol vivere per me, è necessario che entri in comunione con me mangiando di me; e come io, umiliato, vivo per il Padre, così egli, elevato, vive per me. (In Io. Ev. tr. 26, 19)

VENERDÌ
Il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?
Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo:
tutti infatti partecipiamo dell’unico pane.
(1 Cor 10, 16-17)

INTRODUZIONE
Centro della chiesa è l’Eucarestia: la Chiesa fa l’Eucarestia, ovvero celebra il memoriale della morte e risurrezione di Cristo; ma al tempo stesso l’Eucarestia edifica la Chiesa. L’Eucarestia è il sacramento dove si costruisce la comunità cristiana: i diversi io che in essa convergono sono raccolti e trasformati in noi. E’ una formula tanto cara ai Padri antichi, che spesso riportano l’esempio dei molti chicchi di frumento o degli acini di uva che, fondendosi insieme, costituiscono un solo pane e un solo vino. Il discorso eucaristico in Agostino non è mai disgiunto da quello cristologico ed ecclesiologico: l’unità del Christus totus, di Cristo Capo e della Chiesa corpo è pienamente simboleggiata nei segni sacramentali del banchetto eucaristico. Ne deriva come atto pratico la difesa e la ricerca strenua dell’amore per l’unità, nota caratteristica della Chiesa. A sua volta l’unità ecclesiale è il segno visibile della carità che unisce i fratelli. « Niente deve temere un cristiano, quanto l’essere separato dal corpo di Cristo ». (In Io. Ev. tr. 27, 6)
Dai « Discorsi » di sant’Agostino, vescovo (Serm. 227, 1)

Il pane dell’unità
Ricordo la mia promessa. A voi che siete stati battezzati avevo promesso un discorso in cui avrei esposto il sacramento della mensa del Signore, che ora voi vedete anche e a cui la notte scorsa avete preso parte. Bisogna che sappiate che cosa avete ricevuto, che cosa riceverete, che cosa ogni giorno dovrete ricevere. Quel pane che voi vedete sull’altare, santificato con la parola di Dio, è il corpo di Cristo. Il calice, o meglio quel che il calice contiene, santificato con le parole di Dio, è sangue di Cristo. Con questi segni Cristo Signore ha voluto affidarci il suo corpo e il suo sangue che ha sparso per noi per la remissione dei peccati. Se voi li avete ricevuti bene voi stessi siete quel che avete ricevuto. L’Apostolo infatti dice: Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo (1 Cor 10, 17). È così che egli espone il sacramento della mensa del Signore. Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo. E in questo pane vi viene raccomandato come voi dobbiate amare l’unità. Infatti quel pane è forse fatto di un sol chicco di grano? Non erano molti i chicchi di frumento? Ma prima di diventare pane erano separati e sono stati uniti per mezzo dell’acqua dopo essere stati in qualche modo macinati. Se il grano non viene macinato e impastato con l’acqua, non prende quella forma che noi chiamiamo pane. Così anche voi prima siete stati come macinati con l’umiliazione del digiuno e col sacramento dell’esorcismo. Poi c’è stato il battesimo e siete stati come impastati con l’acqua per prendere la forma del pane. Ma ancora non si ha il pane se non c’è il fuoco. E che cosa esprime il fuoco, cioè l’unzione dell’olio? Infatti l’olio, che è alimento per il fuoco, è il segno sacramentale dello Spirito Santo. Fateci caso negli Atti degli Apostoli, quando vengono letti; ora infatti comincia la lettura di questo libro: proprio oggi comincia il libro che s’intitola: Atti degli Apostoli. Chi vuol far progressi, qui ha modo di trarre profitto. Quando vi radunate nella chiesa, mettete da parte le chiacchiere frivole e state attenti alle Scritture. I vostri codici siamo noi. State dunque attenti e fate caso come verrà a Pentecoste lo Spirito Santo. Egli verrà così: si manifesta con lingue di fuoco. Infatti ispira quella carità che ci fa ardere del desiderio di Dio, ci fa disprezzare il mondo, fa bruciare le nostre scorie e purificare il cuore come l’oro. Dunque viene lo Spirito Santo, il fuoco dopo l’acqua e voi diventate pane, cioè corpo di Cristo. In questo modo è simboleggiata l’unità. I segni sacramentali, nel loro svolgimento, li conoscete. Anzitutto, dopo la preghiera, venite ammoniti di tenere in alto i vostri cuori; questo conviene a delle membra di Cristo. Se siete infatti diventati membra di Cristo, il vostro capo dov’è? Le membra hanno il capo. Se il capo non andasse avanti, le membra non potrebbero andargli dietro. Il nostro capo dov’è andato? Nel Simbolo che cosa avete recitato? Il terzo giorno risuscitò dai morti, sali al cielo, siede alla destra del Padre. Dunque il nostro capo è in cielo. Perciò quando vien detto: In alto i cuori, voi rispondete: Sono rivolti al Signore. E affinché questo avere il cuore in alto verso il Signore non lo attribuiate alle vostre forze, ai vostri meriti, ai vostri sforzi (l’avere il cuore in alto infatti è un dono di Dio), dopo che il popolo ha risposto: Sono in alto, rivolti al Signore, il vescovo o il presbitero che presiede continua dicendo: Rendiamo grazie al Signore nostro Dio; appunto per il fatto che noi teniamo il cuore in alto. Rendiamo grazie perché, se lui non ci avesse fatto questo dono, noi avremmo il cuore sulla terra. E anche voi confermate dicendo che è cosa buona e giusta rendergli grazie, per averci fatto tenere i cuori in alto presso il nostro capo. Quindi, dopo la santificazione del sacrificio di Dio, siccome egli ha voluto che anche noi fossimo coinvolti in questo sacrificio – e questo è chiaramente indicato nel momento in cui viene posto sull’altare il sacrificio di Dio e noi, ossia il segno e la cosa significata, che siamo noi -, ecco, dopo fatta la santificazione, diciamo l’Orazione del Signore che voi avete ricevuto e reso. E dopo si dice: La pace sia con voi, e i cristiani si scambiano un bacio santo. È il segno della pace; quel che esprimono le labbra deve essere nella coscienza; ossia come le tue labbra si accostano alle labbra del tuo fratello, così il tuo cuore non sia lontano dal suo cuore. Grandi misteri dunque, veramente grandi! Volete sapere come ci sono stati raccomandati? Dice l’Apostolo: Chi mangia il corpo di Cristo o beve il calice del Signore indegnamente sarà reo del corpo e del sangue del Signore (1 Cor 11, 27). Che vuol dire ricevere indegnamente? Ricevere con derisione, ricevere senza convinzione. Non ti sembri di poco valore per il fatto che lo vedi. Quel che tu vedi, passa; ma l’invisibile che viene espresso nel segno, quello non passa, rimane. Vedete, esso si riceve, si mangia, si consuma. Ma si consuma forse il corpo di Cristo? Si consuma la Chiesa di Cristo? Si consumano le membra di Cristo? Niente affatto. Qui esse vengono mondate, lassù coronate. Perciò quello che viene espresso nel segno rimarrà, anche se quel che lo esprime sembra che passi. Perciò ricevetelo, ma pensando a quel che siete, conservando l’unità nel cuore, tenendo il cuore sempre fisso in alto. La vostra speranza non sia sulla terra, ma nel cielo; la vostra fede sia ferma in Dio, accettevole da parte di Dio. E così quel che ora non vedete e tuttavia credete, lassù lo vedrete e senza fine ne godrete.

In breve…
O sacramento di pietà! O simbolo di unità! O vincolo di carità! Chi vuol vivere, ha dove vivere, ha di che vivere. S’avvicini, creda, entri a far parte del Corpo e sarà vivificato. Non disdegni di appartenere alla compagine della membra, non sia un membro infetto che si debba amputare, non sia un membro deforme di cui si debba arrossire. Sia bello, sia valido, sia sano, rimanga unito al corpo, viva di Dio per Iddio; sopporti ora la fatica in terra per regnare poi in cielo. (In Io. Ev. tr. 26, 13)

 

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