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AGOSTINO CONTEMPLA LA PAROLA DI DIO

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AGOSTINO CONTEMPLA LA PAROLA DI DIO

Posted by Padre Eugenio Cavallari on 28 November 2012

I tre pani
Quando sarai giunto ai tre pani, cioè a cibarti della Trinità e a intenderla, avrai di che vivere e nutrire gli altri. Non devi temere un forestiero che arriva da un viaggio, ma accogliendolo cerca di farne un concittadino, un membro della tua famiglia, senza temere d’esaurire i tuoi viveri. Quel pane non avrà fine, ma porrà fine alla tua indigenza. E’ pane Dio Padre, è pane Dio Figlio, è pane Dio Spirito Santo. Eterno è il Padre, coeterno il Figlio, coeterno lo Spirito Santo. Immutabile è il Padre, immutabile il Figlio, immutabile lo Spirito Santo. E’ creatore non solo il Padre ma anche il Figlio e lo Spirito Santo. E’ pastore e datore di vita non solo il Padre ma anche il Figlio e lo Spirito Santo. E’ cibo e pane eterno sia il Padre che il Figlio e lo Spirito Santo. Impara e insegna: vivi e nutri. Dio, il quale dà a te, non ti dà di meglio che se stesso. O avaro, che cosa cercavi di più e di meglio? Anche se chiedessi un’altra cosa, come ti basterebbe se non ti basta Dio (Discorso 105, 3, 4)?
Vuoi altercare con me? Piuttosto con me ammira ed esclama: O profondità della ricchezza! Spaventiamoci tutti e due e ripetiamolo insieme. Siamo uniti nel timore, per non perire nell’errore: O profondità della ricchezza della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e impervie le sue vie (Rm 11, 33)! Scruta le cose inscrutabili, fa’ le cose impossibili, corrompi le cose incorruttibili, vedi le cose invisibili (Discorso 26, 13)!
La parola senza alcun suono di parola
Voi ricordate, fratelli miei, il racconto evangelico, che narra come le due sorelle Marta e Maria accolsero il Signore. Marta si dedicava alle faccende del servizio e si agitava nella cura della casa. Infatti aveva accolti in casa, quali ospiti, il Signore e i suoi discepoli. Si affannava con attenzione, scrupolo e devozione perché Gesù e gli apostoli non venissero turbati da alcuna mancanza di riguardo. Invece Maria sedeva ai piedi del Signore e ne ascoltava la parola. Marta, in affanno per il servizio, vedendo quella seduta e del tutto incurante del suo affaccendarsi, si rivolse al Signore: Ti sembra giusto, Signore, che mia sorella mi abbia lasciata sola, mentre sono sola a servirvi? E il Signore: Marta, Marta, tu ti preoccupi di molte cose. Ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta (Lc 10, 38-42). Tu hai scelto una parte buona, ma questa è la parte migliore. Inoltre ciò che tu hai scelto passa: servi chi ha fame e sete, provvedi letti a chi ha sonno, offri ospitalità a chi vuol entrare in casa. Tutto ciò passa. Verrà l’ora in cui nessuno avrà fame e sete, nessuno dovrà dormire; perciò ti sarà tolta ogni preoccupazione. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà mai tolta: ha scelto la contemplazione, ha scelto di vivere della Parola. Che sarà mai il vivere della Parola senza alcun suono di parola? Ora costei viveva della parola, ma della parola che ha un suono. Un giorno il vivere della Parola sarà senza alcun suono di parola. La Parola è di per sé la vita. Saremo quindi simili a lui, poiché lo vedremo così come egli è (1 Gv 3, 2). Questa era ed è la sola cosa necessaria: gustare la dolcezza del Signore. Non ci è ancora del tutto possibile questo nella notte del mondo (Discorso 169, 14, 17).
La Parola di Dio è il mio avversario
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario, finché sei per via (Mt 5, 25). Ma chi è questo avversario? Non è il diavolo: mai la Scrittura ti esorterebbe a metterti d’accordo con il diavolo. E’ un altro l’avversario, che l’uomo stesso rende suo avversario. Lui, se ti fosse avversario, non sarebbe con te per via; mentre invece proprio per questo è con te per via: per mettersi d’accordo con te. Sa che se non ti metti d’accordo con lui per via, cioè durante questa vita, ti porterà un giorno davanti al giudice, il giudice ti consegnerà alla guardia, la guardia ti porterà in carcere. Chi è dunque l’avversario? La Parola di Dio. Essa è il tuo avversario. Perché è avversario? Perché comanda cose contrarie a quelle che fai tu. Essa ti dice: Unico è il tuo Dio, adora l’unico Dio. Tu invece, abbandonato l’unico Dio, che è il legittimo sposo della tua anima, vuoi fornicare con gli errori e il male, con ess vuoi convivere, senza ripudiare Dio apertamente. Da anima adultera, non abbandoni la casa dello sposo, ma ti dai all’adulterio, pur rimanendo sposata con lui. Ora chi fa il male, non vorrebbe che io dicessi queste cose. Ma, lo vogliano o non lo vogliano, io parlerò. Se non vi esorto a mettervi d’accordo con l’avversario, rimarrò io in lite con lui. Chi comanda a voi di agire, comanda a me di parlare: voi, non facendo quanto comanda di fare, siete suoi avversari. Io e voi saremo suoi avversari se non diciamo quanto comanda di dire (Discorso 9, 3).
La Parola di Dio è l’avversario della tua volontà finché non sarà autore della tua salvezza. Oh, quant’è buono e utile questo avversario! Esso non desidera la nostra volontà, ma la nostra utilità. E’ nostro avversario finché noi stessi lo siamo di noi. Fino a quando tu sarai nemico di te stesso, avrai come nemica la parola di Dio: sii amico di te stesso e andrai d’accordo con essa. Dalle ascolto e andrai d’accordo. Non solo non ci perdi nulla, ma in essa ritrovi te stesso, che ti eri perduto. La via è la vita presente; se saremo andati d’accordo e avremo acconsentito alla parola di Dio, al termine della via non avremo paura del giudice, delle guardie, del carcere (Discorso 109, 3).
Maestro della Parola, Maestro la Parola
Alla vostra dolcissima Carità, come ho potuto e con la grazia di Dio, ho mostrato la sua Parola. Attualmente voi fate ciò che in cielo faremo tutti. Lassù non ci sarà più alcun maestro della parola, ma maestro sarà la Parola. Ne deriva, quindi, che a voi spetta attuarla, a noi esortarvi a viverla. Voi siete infatti gli ascoltatori della parola, noi i predicatori. Ma nell’intimo, dove nessuno vede, siamo ascoltatori tutti: interiormente, nel cuore, nella mente, dove è nostro maestro Colui che vi esorta a lodare. Io parlo dall’esterno, egli vi anima all’interno. Interiormente, quindi, siamo tutti ascoltatori; ma tutti, sia all’esterno sia nell’intimo alla presenza di Dio, dobbiamo essere realizzatori. Certo io che vi parlo o chiunque vi predica la parola non vede il vostro cuore: non si può giudicare che cosa fate all’interno dei vostri pensieri. Cosa impossibile all’uomo, ma a Dio non si può nascondere il cuore umano. Egli nota con quale impegno ascolti, a che cosa pensi, che cosa comprendi, quanto profitto fai del suo aiuto, con quanta insistenza preghi, come implori Dio per ottenere ciò che non hai e come lo ringrazi di ciò che hai (Discorso 179, 7).
Creare con le parole
Mosè, quando parla della creazione, dice che è opera di Dio: In principio Dio creò il cielo e la terra (Gn 1, 1). L’evangelista Giovanni afferma semplicemente: In principio era il Verbo (Prologo). Quindi se era fin dal principio, Egli non fu creato, poiché con il Verbo Dio il Padre creò l’universo: Il Verbo parlò e le cose furono fatte; ordinò e furono create (Sal 148, 5). Una cosa è creare con la parola, un’altra essere creati da essa; ma colui che pronuncia la Parola ha la Parola, e quindi crea con la Parola, e se crea con la Parola, non ha creato la Parola. Lui è la Parola (Discorso 380, 3).
Molte parole, una sola parola
Signore nostro Dio, crediamo in te, Padre e Figlio e Spirito Santo. Perché la Verità non avrebbe detto: Andate, battezzate tutte le genti nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo (Mt 28, 19), se Tu non fossi Trinità. Né avresti ordinato, Signore Dio, che fossimo battezzati nel nome di chi non fosse Signore Dio. Dirigendo la mia attenzione verso questa regola di fede, per quanto ho potuto, per quanto tu mi hai concesso di potere, ti ho cercato e ho desiderato di vedere con l’intelligenza ciò che ho creduto, ed ho molto disputato e faticato. Signore mio Dio, mia unica speranza, esaudiscimi e fa’ sì che non cessi di cercarti per stanchezza, ma cerchi sempre il tuo volto con ardore. Dammi Tu la forza di cercare, Tu che hai fatto sì di essere trovato e mi hai dato la speranza di trovarti con una conoscenza sempre più perfetta. Davanti a Te sta la mia forza e la mia debolezza: conserva quella, guarisci questa. Davanti a Te sta la mia scienza e la mia ignoranza; dove mi hai aperto, ricevimi quando entro; dove mi hai chiuso, aprimi quando busso. Fa’ che mi ricordi di te, che comprenda te, che ami te. Aumenta in me questi doni, fin quando Tu mi avrai riformato interamente. Liberami, Dio mio, dalla moltitudine di parole di cui soffro nell’interno della mia anima, misera alla tua presenza, e che si rifugia nella tua misericordia. Infatti non tace il pensiero, anche quando tace la mia bocca. Molti sono i miei pensieri vani: concedimi di non consentirvi e, anche quando vi trovo qualche diletto, di condannarli almeno e di non abbandonarmi ad essi come in una specie di sonno. Né essi prendano su di me tanta forza da influire in qualche modo sulla mia attività, ma siano al sicuro dal loro influsso i miei giudizi e la mia coscienza con la tua protezione. Parlando di Te un sapiente ha detto: Molto potremmo dire senza giungere alla meta, la somma di tutte le parole è: Lui è tutto (Eccli 43, 29). Quando dunque arriveremo alla tua presenza, cesseranno queste molte parole che diciamo senza giungere a Te. Tu resterai, solo, tutto in tutti (cf 1 Cor 15, 28), e senza fine diremo una sola parola, lodandoti in un solo slancio e divenuti anche noi una sola cosa in Te. Signore, unico Dio e Trinità (Trinità 15, 28, 15).
Parlare, tacere, ascoltare
L’uomo maldicente non durerào sulla terra, il male lo spingerà verso la rovina (Sal. 139, 12). Che cosa infatti lo attrae, se non il vuoto parlare? Non bada a ciò che dice: basta che parli. Impossibile quindi che costui righi dritto. Come invece dovrà essere il servo di Dio, acceso da quei carboni ardenti della parola di Dio e diventato lui stesso carbone salutare? Come si comporterà? Deve imparare ad ascoltare più che parlare (cf. Gc 1, 19). Anzi, nei limiti del possibile, desideri non essere posto nella necessità di dover parlare, predicare e insegnare. Miei fratelli, in questo momento noi stiamo parlando a voi per insegnarvi qualcosa; ma quanto sarebbe meglio se tutti sapessimo tutto e nessuno dovesse far da maestro agli altri; se non ci fosse uno che parla e un altro che ascolta, ma tutti fossimo all’ascolto di quell’unico a cui è detto: Al mio udito farai sentire esultanza e letizia (Sal 50, 10)! Riponi la tua gioia nell’ascoltare Dio; nel parlare ti muova solo la necessità. E poi, perché voler parlare piuttosto che ascoltare? Uscire sempre fuori di sé e provar tanta difficoltà a tornare dentro? Il tuo maestro è dentro, mentre quando vuoi far da maestro esci fuori per avvicinarti a coloro che sono fuori. In effetti, è dall’interno che si fa udire la verità a noi; quando invece parliamo ci rivolgiamo a chi è fuori del nostro cuore. Non amiamo, dunque, le cose esteriori ma quelle interiori! Dei beni interiori godiamo, di quelli esteriori usiamone nella misura in cui sono necessari. Non attacchiamo ad essi la volontà (Esposizione Salmo 139, 15).
Il significato mistico della parola
Questa frase: Quando la sua terra fu a lui restituita (Sal 96, 3) potremmo intenderla così: Quando la carne di Gesù fu risuscitata dalla terra della morte. In tal modo coglieremmo il significato mistico, non in contrasto con l’insegnamento di Cristo. « Terra restituita » potrebbe corrispondere a « carne risuscitata ». Infatti tutto ciò che cantiamo nel salmo, si realizzò dopo la resurrezione del Signore. Ascoltiamo, quindi, questo salmo ridondante di gioia per la restituzione della terra al cielo, dalla morte alla vita. E il Signore nostro Dio voglia suscitare in noi un’attesa e un’esultanza che corrisponda alla grandezza degli eventi. Egli ci sia guida nel nostro parlare in modo che risulti adeguato ai bisogni del vostro cuore. Ciò che attraverso la contemplazione di tante meraviglie riempie di gaudio il nostro cuore, lo faccia salire sulla nostra lingua, e dalla nostra lingua passi ai vostri orecchi, e da qui nel vostro cuore e nella vostra vita (Esposizione Salmo 96, 3).

Dio non parla agli angeli così come parliamo fra noi o a Dio o agli angeli o gli angeli stessi a noi o Dio a noi con il loro intervento. Comunque è sempre in modo inesprimibile, sebbene a noi venga comunicato nel nostro solito modo d’intendere. La parola di Dio più alta, prima di aver agito nel mondo, è la ragione immutabile e intima dell’azione stessa, perché non ha un suono che colpisce l’udito e passa, ma possiede una forza che rimane al di là del tempo ed opera nel tempo. Con essa parla agli angeli, con noi parla in altra maniera perché siamo nello spazio. Quando anche noi con l’udito della coscienza afferriamo qualche vibrazione di questa parola, siamo simili agli angeli. Io non devo ad ogni momento rendere ragione del modo di parlare di Dio. E’ la non diveniente Verità che parla da sé in modo ineffabile alla coscienza della creatura ragionevole o parla mediante una creatura che muta, tanto al nostro pensiero con concetti della ragione quanto ai sensi con suoni sensibili (Città di Dio 16, 6, 1).
Varie modalità del parlare di Dio
Molti sono i modi con cui Dio parla a noi. A volte ci parla tramite qualche documento, per esempio il libro delle sacre Scritture, o parla tramite una stella come ai magi (cf. Mt 2, 2). Che cosa è infatti il parlare se non la manifestazione della volontà? Parla anche tramite il sorteggio, parla per mezzo di un essere umano, ad esempio un profeta; parla tramite l’angelo, come ad alcuni patriarchi, profeti e apostoli. Parla infine tramite una qualsiasi creatura, fatta voce e suono, come leggiamo e crediamo siano scese voci dal cielo cantando. Infine Dio parla direttamente all’uomo stesso, non esternamente attraverso orecchi e occhi, ma interiormente, nell’anima, in varie maniere: in sogno, inebriando lo spirito dell’uomo con l’estasi, oppure nella mente, quando ciascuno intuisce l’autorità o la volontà di Dio. Nessuno può mai conoscere ciò che Dio vuole, se non risuona interiormente in lui un certo tacito grido della verità. Dio parla inoltre nella coscienza dei buoni e dei cattivi: nessuno può rettamente approvare quanto fa di bene e disapprovare quanto fa di male se non per quella voce della verità che loda o disapprova queste cose nel silenzio del cuore. E la verità è Dio in persona (Discorso 12, 4).
Agostino spiega il mistero del pensiero con la parola
Dio disse: Sia…e quella cosa fu (cf. Gn 1, 1 s). Per ciascuna creatura egli disse e quella fu. In quale lingua parlò? Dio non va immaginato come un corpo, come un uomo o come un angelo; anche se ai padri si è degnato di manifestarsi così. Non era questa la sua natura, ma si serviva di una sua creatura a lui soggetta; in nessun altro modo infatti colui che è l’invisibile si sarebbe potuto manifestare agli sguardi degli uomini. Ora, come la parte migliore di noi è la mente, così chi è migliore di ogni realtà è Dio. Ciò che è superiore, come puoi concepirlo attraverso una cosa inferiore? In te il corpo è inferiore alla mente; fra gli esseri nulla è migliore di Dio. Ora, sollevati a ciò attraverso il meglio di te, per arrivare, se puoi, a colui che di tutti è il migliore. Io adesso sto parlando, a delle menti; sì, certo, anch’io, visibile nel corpo, guardo delle facce visibili; però attraverso ciò che vedo io parlo a ciò che non vedo. Io dentro di me porto il pensiero concepito nel cuore e quel che ho concepito nel cuore voglio partorirlo nelle tue orecchie; voglio comunicare a te quello che ho dentro, manifestare a te quel che è nascosto e cerco di farlo giungere fino alla tua mente. Prima mi raccolgo davanti ai tuoi orecchi, come se fossi alla porta della tua mente, e poiché il pensiero che ho concepito con la mente è invisibile, e non posso condurlo fino a te, gli metto a disposizione il suono come se fosse un veicolo. Il pensiero è invisibile, il suono è percepibile; io pongo ciò che è invisibile sopra ciò che è percepibile e così posso arrivare fino a chi ascolta. In tal modo il pensiero è uscito da me ed è arrivato a te, ma non si è allontanato da me. Ora – se è lecito paragonare le cose piccole alle grandi, le basse alle alte, le umane alle divine – Dio ha fatto proprio così. Il Verbo era invisibile presso il Padre; per arrivare fino a noi assunse un veicolo, prese la carne; arrivò fino a noi, ma non si allontanò dal Padre (Discorso 223 A, 2).

LA PREGHIERA DEL SIGNORE – S. CIPRIANO DI CARTAGINE

http://www.vatican.va/spirit/documents/spirit_20000818_cipriano_it.html

LA PREGHIERA DEL SIGNORE – S. CIPRIANO DI CARTAGINE

« « Sia fatta la tua volontà in cielo e in terra ». E con ciò intendiamo dire: non che faccia Dio ciò che egli vuole, ma che possiamo farlo noi, ciò che Dio vuole. Infatti, chi mai potrebbe opporsi a che Dio faccia ciò che egli vuole? Quanto a noi, invece, poiché siamo ostacolati dal diavolo a conformarci totalmente a Dio nel pensiero e nelle azioni, perciò preghiamo affinchè si faccia in noi la sua volontà. Ed essa in noi si potrà compiere solo col concorso della stessa volontà di Dio, e cioè col suo aiuto e la sua protezione: nessuno infatti è forte per le proprie forze, è però al sicuro per la bontà e la misericordia di Dio.
D’altronde, lo stesso Signore, mostrando la debolezza dell’umanità che lui portava, dice: Padre, se è possibile, passi da me questo calice (Mt. 26, 39). E aggiunge, per dare così ai suoi discepoli l’esempio affinchè essi facciano non la volontà propria ma quella di Dio: Tuttavia, non ciò che voglio io, ma ciò che tu vuoi (ib.); e altrove: Non sono disceso dal cielo per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha inviato (Gv. 6, 38). Se ha ubbidito il Figlio a fare la volontà del Padre, quanto più non deve ubbidire il servo a fare la volontà del Signore!
Così, pure Giovanni, nella sua lettera, ci esorta e ci insegna a compiere la volontà del Signore, dicendo: Non vogliate amare il mondo, né le cose del mondo. Se qualcuno ama il mondo, non è in lui la carità del Padre, poiché tutto ciò che è nel mondo è concupiscenza della carne e concupiscenza degli occhi e superbia della vita, e non viene dal Padre ma dalla concupiscenza del mondo. E il mondo passerà e la sua concupiscenza: ma chi avrà fatto la volontà di Dio rimane in eterno, così come Dio rimane in eterno (1 Gv. 2, 15 ss.).
Se dunque noi vogliamo avere la vita eterna, dobbiamo fare la volontà di Dio, che è eterno. Ora la volontà di Dio è ciò che Cristo ha fatto e insegnato : l’umiltà nella condotta, la fermezza nella fede, la modestia nelle parole, la giustizia nell’agire, la misericordia nelle opere, la rettitudine nei costumi, e neppur sapere cos’è un’ingiuria agli altri, e tollerare l’offesa, mantenere la pace coi fratelli, amare Dio con tutto il cuore, amarlo come padre e temerlo come Dio, tutto posporre a Cristo poiché lui ogni cosa pospose a noi, stare uniti inseparabilmente al suo amore, tenersi stretti alla sua croce con forza e fiducia, e quando è tempo di lottare per il suo nome e la sua gloria essere apertamente fermi nel confessarlo e fiduciosi nella tortura e pazienti nella morte per la quale riceviamo la corona. Questo significa voler essere coeredi di Cristo (cf. Rom. 8, 17), questo è attuare il comandamento di Dio, sì, questo è adempiere la volontà del Padre.
Domandiamo che la volontà di Dio si faccia in cielo e in terra: che l’una e l’altra cosa riguarda il perfetto compimento della nostra giustificazione e salute. Infatti, noi possediamo un corpo che viene dalla terra e uno spirito che viene dal cielo: così, siamo terra e cielo. E, quindi, in realtà, chiediamo che la volontà di Dio sia fatta nell’uno e nell’altro, cioè nel corpo e nello spirito…
Così, ogni giorno, o meglio a ogni istante, preghiamo che in noi sia fatta la volontà di Dio in cielo e in terra: perché questa è la volontà di Dio, che le cose terrene cedano alle celesti, e prevalga ciò che è spirituale e divino.
Si può pensare anche a un altro significato, fratelli carissimi. Il Signore ci ha dato il comandamento di amare anche i nemici e di pregare pure per coloro che ci perseguitano (cf. Mt. 5, 44): sicché noi preghiamo per quelli che sono ancora terra e che non hanno cominciato a essere del cielo, affinchè la volontà di Dio si faccia in loro, quella volontà che Cristo ha perfettamente compiuto col salvare e riscattare l’uomo. In realtà i discepoli da lui non sono più chiamati terra, ma sale della terra (cf. Mt. 5, 13), e l’Apostolo dice che mentre il primo uomo fu tratto dal fango della terra il secondo è dal cielo (cf. 1 Cor. 15, 47). Dunque noi, se vogliamo pregare ricordandoci che dobbiamo essere simili a Dio, il quale fa sorgere il suo sole su buoni e cattivi e fa piovere su giusti e ingiusti (cf. Mt. 5, 45), dietro l’ordine di Cristo dobbiamo farlo per la salvezza di tutti, affinchè come la volontà di Dio è fatta in cielo, cioè in noi per la nostra fede, essendo noi dal cielo, cosi pure si faccia in terra, cioè in quelli che non credono; cosicché coloro i quali per la loro prima nascita sono ancora terreni, diventino celesti nascendo dall’acqua e dallo Spirito (cf. Gv. 3, 5). »
S. Cipriano di Cartagine, La preghiera del Signore, 14 –17

Preghiera:
O Dio, Tu hai rivelato la Tua Volontà per ciascuno di noi, con le parole e le azioni del Tuo divino Figlio. Ti supplichiamo ardentemente di assisterci, per poter seguire il Suo esempio nella nostra vita e giungere a contemplarti e lodarti per sempre nella Tua eterna dimora. Te lo chiediamo per mezzo dello stesso Gesù Cristo, Tuo Figlio, che vive e regna nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

A cura dell’Ateneo Pontificio « Regina Apostolorum »

IN COSA CONSISTE LA FELICITÀ DELL’UOMO – S. AMBROGIO – PREGHIERA

http://www.vatican.va/spirit/documents/spirit_20010605_ambrogio_it.html

IN COSA CONSISTE LA FELICITÀ DELL’UOMO – S. AMBROGIO – PREGHIERA

I. 1. « Nel libro precedente abbiamo trattato dei doveri che giudicavamo attinenti all’onestà, nella quale nessuno ha mai dubitato sia posta la vita felice che la Scrittura chiama vita eterna. Lo splendore dell’onestà è così grande che la tranquillità della coscienza e la certezza d’ essere senza colpa, che ne conseguono, rendono felice la vita. Come il sole, una volta sorto, nasconde il globo lunare e la luce delle altre stelle, così il fulgore dell’onestà, quando brilla di una bellezza autentica ed incorrotta, oscura tutte le altre cose che, secondo il piacere dei sensi, sono ritenute buone o, secondo il giudizio del mondo, sono stimate motivo di onore e di gloria.
2. Certamente felice è tale vita che non si valuta secondo i giudizi altrui, ma con autonomo giudizio si intuisce per mezzo del proprio sentimento interiore. Non cercando giudizi popolari come ricompensa ne temendoli come pena, quanto meno segue la gloria, tanto più si eleva sopra di essa. Coloro infatti che cercano la gloria, ottengono, quale ombra dei beni futuri, una tale ricompensa di beni presenti che è di ostacolo alla vita eterna, perché nel Vangelo sta scritto: In verità vi dico, hanno ricevuto la loro ricompensa. Ciò si dice evidentemente, di coloro che sono smaniosi di divulgare, quasi a suon di tromba, la loro generosità verso i poveri. Similmente è detto di coloro che digiunano per ostentazione: Hanno ricevuto la loro ricompensa.
3. È proprio dell’onestà, dunque, o esercitare la misericordia o digiunare in segreto, perché appaia che si cerca la ricompensa unicamente da Dio, non anche dagli uomini. Chi la vuole dagli uomini, ha già la sua ricompensa; chi la chiede a Dio, ha la vita eterna che può esserci data unicamente dal Creatore dell’eternità, come afferma il ben noto passo: In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso. Con maggior chiarezza, la Scrittura chiamò vita eterna la vita felice, per non lasciarne la valutazione ai giudizi degli uomini, ma per affidarla invece al giudizio di Dio.
II. 4. I filosofi posero la felicità, alcuni nell’assenza del dolore, come Ieronimo, altri nella scienza, come Erillo, il quale, sentendola lodare mirabilmente da Aristotele e da Teofrasto, la considerò sommo bene, mentre essi la esaltarono come un bene, non come l’unico bene. Altri la dissero piacere, come Epicuro, altri, come Callifonte e, dopo di lui, Diodoro, la intesero così da aggiungere l’uno al piacere, l’altro all’assenza di dolore la partecipazione dell’onestà, pensando che senza di questa non possa esistere vita felice. Zenone Stoico affermò che il solo e sommo bene consiste nell’onestà; Aristotele, invece, e Teofrasto e gli altri peripatetici sostennero che la felicità consiste bensì nella virtù, cioè nell’onestà, ma che la felicità di questa è resa completa anche dai beni del corpo e da quelli esteriori.
5. La Scrittura divina invece pose la vita eterna nella conoscenza di Dio e nel premio delle opere buone. Di entrambe le affermazioni abbiamo la testimonianza evangelica. Così disse il Signore della conoscenza di Dio: Questa è la vita eterna, che conoscano te solo vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo. E a proposito delle opere così rispose: Ognuno che lascerà la casa e i fratelli o le sorelle o il padre o la madre o i figli o i campi per il mio nome, riceverà il centuplo e possiederà la vita eterna. « 

S. AMBROGIO, I doveri, II, I [1-3] – II [4-5].

Preghiera
Ti supplico, Signore,
dammi la felicità da sempre cercata,
struggente desiderio,
inappagato sogno.

Felicità che è pace del cuore,
frutto di vita onesta,
sguardo misericorde sul cosmo.

Felicità che è gioia della conoscenza,
disvelamento saporoso del mistero,
cammino senza inciampo verso la pienezza.

Felicità che è bellezza,
armonia delle forme,
inebriante cascata di luce.

Felicità che è amore corrisposto,
riposo dell’amante nell’amato,
ebbrezza reciproca,
parola divenuta silenzio,
silenzio mutato in verginale sguardo.

Ma, Signore,
se tu sei la Pace,
se tu, la Sapienza,
se tu, la Bellezza,
se tu, l’Amore,
perché cerco la felicità fuori di te?
e se tu sei in me,
perché la cerco fuori di me?

Ti supplico, Signore,
manifestati a me tu che vivi in me:
la tua pace inondi il mio cuore,
lo rallegri la tua luminosa sapienza,
lo diletti la tua trasparente bellezza,
arda del tuo amore, che placa e consuma.

Manifestati a me tu che vivi in me:
perché comprenda che tu sei la sola Felicità,
posseduta fin d’ora,
seme immarcescibile che fiorirà nei secoli senza confini.

ADAMUS, episc. Jennesis
sec. XII

SANT’AGOSTINO – NELLA FESTA DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO

http://www.augustinus.it/italiano/discorsi/discorso_569_testo.htm

Discorso 299/A augm.

DISCORSO AL POPOLO TENUTO DA SANT’AGOSTINO

NELLA FESTA DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO

Ricavare frutti dalla celebrazione degli Apostoli.

1. Ci raduna oggi la solennità di un giorno santo: una solennità, ben nota al vostro orecchio, alla vostra mente e alla vostra vita vissuta. Vogliamo commemorarla partecipando alla vostra allegrezza e assaporando la medesima vostra letizia. Brilla al nostro animo la luce del giorno natalizio degli apostoli Pietro e Paolo, quando essi nacquero non per essere imbrigliati dal mondo presente ma per esserne liberati. In effetti quando l’uomo nasce nella miseria della sua umanità nasce per la sofferenza; i martiri al contrario mediante la carità di Cristo nascono per la corona. Ebbene questo giorno nel quale esaltiamo i meriti degli apostoli ci viene offerto perché mentre celebriamo la loro festa ne imitiamo la santità, perché ricordando la gloria dei Martiri amiamo in loro ciò che in loro odiavano i persecutori e onoriamo il martirio, innamorati della loro virtù. In effetti con la virtù essi guadagnarono i meriti dei quali nel martirio ottennero la ricompensa. Il medesimo giorno fu dedicato alla glorificazione dei due martiri e apostoli, sebbene, a quanto sappiamo dalla tradizione della Chiesa, non siano stati martirizzati tutti e due in uno stesso giorno [cioè nello stesso anno] ma comunque nel medesimo giorno. In antecedenza in questo giorno subì il martirio Pietro; successivamente, ma sempre in questo giorno, lo subì Paolo: il merito li rese uguali nel martirio, l’amore li volle abbinati nel medesimo giorno. Ciò ha operato nei loro riguardi Colui che risiedeva in loro, che pativa in loro, che al loro fianco sosteneva il martirio, che li aiutava nella lotta e li coronava nella vittoria. Eccoci dunque offerto -come dicevamo – un giorno di festa, e noi non vogliamo celebrarlo senza ricavarne i frutti né per procurarci una gioia solo materiale ma piuttosto vogliamo attraverso l’imitazione conseguire la corona spirituale. Noi tutti in realtà vogliamo essere coronati ma pochi vogliamo lottare. Ebbene, procediamo seguendo la successione cronologica del martirio e non l’ordine del lezionario, e ascoltiamo prima dal Vangelo i meriti di Pietro e poi dalla lettera dell’Apostolo i meriti di Paolo.

Pietro pasce le pecore di Cristo. 2. Or ora ci è stato letto il Vangelo e noi abbiamo ascoltato questo episodio: Il Signore disse a Pietro:  » Simon Pietro, mi ami tu? « . Rispose:  » Ti amo « ; e il Signore a lui:  » Pasci le mie pecore « . E di nuovo il Signore:  » Simon Pietro, mi ami tu? « . E l’apostolo:  » Signore, ti amo « ; e un’altra volta il Signore:  » Pasci le mie pecore « . Lo interroga per la terza volta su ciò che gli aveva chiesto già per due volte: al Signore sembrò opportuno interrogarlo tre volte, mentre Pietro si sentì come infastidito per dover rispondere tre volte. Infatti – così riferisce il Vangelo – Pietro fu rattristato dal fatto che il Signore lo interrogasse per la terza volta ed esclamò:  » Signore, tu sai tutto; tu sai che io ti amo « . E il Signore:  » Pasci le mie pecore  » 1. Uno che ti interroga su una cosa che già conosce lo fa certamente per insegnarti qualcosa. Cosa dunque si proponeva il Signore d’insegnare a Pietro quando per tre volte lo interrogò su cose che egli già conosceva? Cosa penseremo, fratelli, se non questo: che cioè l’amore doveva cancellare la debolezza? Pietro doveva rendersi conto che per la forza dell’amore doveva confessare tre volte [il Signore] come prima lo aveva rinnegato tre volte mosso dal timore. E fu gran merito per Pietro essere incaricato di pascere le pecore del Signore. Se avesse condotto al pascolo pecore di sua proprietà, mai avrebbe conseguito la corona del martirio. Non fu infatti senza motivo che il Signore precisò le mie pecore; ma così egli disse perché sarebbero sorti certuni che avrebbero preteso di ottenere la gloria del martirio pascendo le loro proprie pecore. Al contrario chi ha l’anima apostolica e cattolica, un’anima semplice, umile e sottomessa a Dio, chi non cerca la propria gloria ma quella di Lui, sicché chi si vanta si vanti nel Signore 2, costui pasce il gregge per amore del Pastore, e in questo Pastore è pastore anche lui. Gli eretici pascolano le loro proprie pecore, ma in queste pecore imprimono il contrassegno del Signore, non certo per amore della verità ma per potersi difendere. Si regolano come quei tali – e sono in molti, lo sappiamo, anzi di questi esempi è pieno il mondo -, come quei tali che, temendo di perdere le loro proprietà, vi collocano le insegne di qualche potente, in modo che uno ne sia il padrone e l’altro incuta timore. Così gli eretici, non vedendo che il loro nome è in gloria dappertutto nel mondo, hanno imposto alle loro pecore il nome di Cristo; e magari le avessero da lui ottenute e non gliele avessero rapinate! Uno solo le comprò; gli altri le hanno rubate. Le comprò colui che le redense dal potere del diavolo e come prezzo versò il suo sangue: prezzo veramente inestimabile, capace di redimere tutto il mondo. Fu dato un prezzo superiore a quello che noi valevamo, ma il nostro compratore era innamorato di noi. Or ecco che dei servi dannati alla perdizione si sono impossessati delle pecore: non dico delle pecore loro proprie ma che essi pretendono fare proprie; e a queste pecore rubate imprimono il marchio del Signore. Ma il vero Padrone delle pecore non rimane inerte: per mezzo di altri suoi servi rivolge alle sue pecore parole di verità affinché riconoscano la voce del Pastore e tornino all’ovile 3: tornino al [resto del] gregge e vi tornino senza titubanze. Noi pertanto, allorché riammettiamo nell’ovile una qualche pecora, ci guardiamo dal cancellare il marchio [del suo padrone].

Di fronte alla violenza dei circoncellioni. 3. È probabile che alcuni dei nostri fratelli, conoscendo il nostro zelo nel recuperare e distogliere dal loro mortifero errore i nostri fratelli, siano rimasti sorpresi del fatto che nei discorsi tenuti in antecedenza non abbiamo mai parlato degli eretici. Ci è stato anzi riferito che gli eretici stessi, miseri e miserabili come sono, siano andati dicendo che un tale silenzio è stato a noi imposto dal timore che abbiamo dei circoncellioni. È infatti una realtà che questi tali non cessano d’intimorirci affinché non predichiamo la parola della pace, ma, se ci lasciamo intimorire dai lupi, cosa risponderemo a colui che ha detto: Pasci le mie pecore 4? Loro tiran fuori i denti per sbranare, noi tiriamo fuori la lingua per guarire. E di fatto noi parliamo apertamente, non ci teniamo in silenzio: ripetiamo le stesse cose e le ripetiamo di frequente. Ascoltino ciò che non vorrebbero ascoltare ed eseguano ciò che debbono eseguire. A chi ricusa d’ascoltare siamo, certo, importuni ma a chi gradisce l’ascolto siamo ben accetti, e se trovandoci fra gli oppositori corriamo dei pericoli, abbiamo fiducia di poter continuare nell’annunzio della parola di Dio 5 poiché lo facciamo nel nome di Cristo e perché voi ci aiutate con le vostre preghiere. È infatti nostra convinzione che quando venite a sapere dei nostri pericoli e come siamo esposti ai furiosi assalti di questi briganti voi pregate per noi. Ne è prova l’amore che ci lega gli uni agli altri. Non che siamo penetrati all’interno del vostro cuore ma ce l’attesta Colui che è in voi come anche in noi. Voglio peraltro ricordarvi che, quando pregate per noi, preghiate soprattutto perché Dio, al di sopra di ogni altra cosa, voglia proteggerci nella nostra salute, intendendo con ciò la salute eterna. Per quanto invece si riferisce alla salute che si gode in questa vita, faccia lui quel che conosce essere vantaggioso e a noi e alla sua Chiesa. Da lui infatti, che è nostro maestro e pastore, anzi principe e capo dei pastori, ci siamo sentiti dire che non dobbiamo temere coloro che uccidono il corpo ma non possono uccidere l’anima 6; e dalle parole del salmo abbiamo ascoltato quella efficacissima orazione: Signore, non consegnarmi al peccatore in base al mio desiderio 7. È una brutta cosa infatti che uno venga consegnato al peccatore a motivo del suo desiderio. Ai peccatori furono certo consegnati i martiri, furono consegnati gli apostoli di cui oggi celebriamo la festa, e prima di loro fu consegnato nelle mani dei peccatori il Signore dei martiri e degli apostoli. Tutti costoro sono stati consegnati nelle mani dei peccatori, ma non per il loro desiderio. Chi sono dunque coloro che vengono consegnati ai peccatori dal loro proprio desiderio? Senza dubbio coloro che condividono i sentimenti dei loro persecutori sospinti da un qualche desiderio di ordine temporale. E voglio farvi un esempio senza andare lontano dall’argomento che stiamo trattando. Ecco che il persecutore ricorre alle minacce e nella sua ferocia ci tormenta con nerbate o sottopone alla spada o al fuoco. Se noi desiderando conservare la vita presente ce ne restiamo in silenzio, siamo consegnati al peccatore dal nostro desiderio e pur vivendo siamo morti: abbiamo la salute del corpo ma perdiamo l’anima, cioè la carità. Per vivere la vita buona dobbiamo amare e voi, impedendo che siate sedotti, e loro, cercando di conquistarli [alla vita]. Se ci minacciano rimproveriamoli; se ci maltrattano preghiamo per loro; se ci respingono seguitiamo a istruirli.

Seguire l’esempio degli Apostoli. 4. Sul merito di Paolo abbiamo già ascoltato qualcosa, ma ora voglio parlarvi dei suoi meriti, seguendo l’ordine che vi avevo promesso di seguire. Predicendo al suo discepolo il martirio ormai prossimo, per togliergli dal cuore mediante il suo esempio ogni timore, gli diceva: Attesto dinanzi a Dio e a Cristo Gesù, giudice dei vivi e dei morti, per la sua manifestazione e il suo regno. Lo vincolò con giuramento e poi gli ingiunse: Predica la parola, insisti in modo opportuno e non opportuno 8. Ascoltando questo richiamo, anche noi, nel nostro piccolo, compiamo ciò che è gradito a voi, ma è sgradito agli avversari. Comunque, nel nome di Cristo non cessiamo di predicare e ripetere in modo opportuno e non opportuno l’annunzio della pace. A chi ha fame giunge opportuno colui che gli porge un pane; quando invece contro voglia si vuol far mangiare un malato, gli si è inopportuni. All’uno si offre un’attesa vivanda, all’altro la si caccia in gola per forza. Il mangiare è gradito dall’uno e intollerabile all’altro; tuttavia la carità non ci fa abbandonare né l’uno né l’altro. Prendiamo dunque ad esempio le gesta degli Apostoli, e non lasciamoci intimorire dalle sofferenze ma, se necessario, accogliamole con fortezza. Ascoltate le parole che al riguardo dice lo stesso Apostolo: Io ormai sto per essere immolato, ovvero offerto in libagione, dato che alcuni codici leggono offerto in libagione mentre altri sto per essere immolato 9; ma sia l’essere offerto in libagione che l’essere immolato rientrano nel linguaggio sacrificale. Egli dunque sapeva che la sua morte era un sacrificio offerto a Dio. Un tale sacrificio aveva offerto al Padre non coloro che lo uccidevano ma quel sommo Sacerdote che aveva detto a noi di non temere coloro che uccidono il corpo 10. E l’Apostolo: È imminente il tempo della mia dipartita 11. Cosa ti attendi, o Paolo, per quando arriverà l’ora della dipartita? Per quale riposo ti sei tanto affaticato? Dice: È imminente il tempo della mia dipartita. Cosa hai fatto durante la vita? Cosa speri? Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede 12. In che senso si conservò fedele [a Cristo] se non perché non si lasciò spaventare dai persecutori, trascurando perciò di predicare la parola di Dio in modo opportuno e non opportuno 13? Quale colpa inaudita sarebbe quindi per noi se per timore non ci mantenessimo fedeli a Colui che al di sopra di tutto c’insegna d’amare i beni più alti e di temere i mali più gravi!

Cristo, medico sapiente. 5. Qualunque dolcezza possa offrire la vita presente, essa non è il paradiso, non è il cielo, non è il regno di Dio, non è la compagnia degli angeli, non è la società dei beati cittadini della Gerusalemme celeste. Eleviamo in alto il cuore, calpestiamo col corpo la terra! Il Signore infatti ci ha insegnato a disprezzare ciò che passa e ad amare ciò che è eterno. Ce l’ha insegnato e ce ne ha dato la medicina, anzi ce la dà ancora per sua degnazione. Egli infatti non ci trovò sani ma venne, medico pietoso, a curare i malati. Il calice dei patimenti è amaro ma cura fin dalla radice tutti i mali; il calice dei patimenti è amaro ma l’ha bevuto per primo lo stesso medico, perché il malato non ricusasse di berlo. Se dunque a Lui piacerà, beviamolo. Il desiderio che Egli ha del nostro bene supera il nostro desiderio. Egli è più sapiente di noi e sa meglio di noi ciò che più ci giova, come sa meglio di noi il valore di quanto ci accade. Ripensa al caso del malato e del medico. Il primo si sente male ma non conosce di che male si tratti; il secondo osserva i disturbi dell’altro e sentenzia secondo verità. Eccoti dunque un uomo che, per sapere cosa gli stia succedendo, si rivolge a un altro uomo e riguardo al suo interno desidera avere la testimonianza di un estraneo. Orbene, se a tanto arrivano la scienza e l’arte di un medico-uomo, quanto di più potrà la potenza del Signore! La stessa festa che oggi celebriamo mi suggerisce un esempio che voglio presentarvi. Prima della passione del Signore, e anche quando questa passione era imminente, san Pietro, di cui oggi celebriamo la nascita al cielo, era un malato che non conosceva di qual male soffrisse nel suo interno. Non conoscendo completamente la sua debolezza interiore, presumeva d’affrontare la morte insieme col Signore 14. Si arrogava risorse superiori a quelle che possedeva. Il malato si sentiva capace di subire la morte; il medico gli prediceva che l’avrebbe rinnegato. E c’è da stupirsi che, in quello stato di infermità, il parere del medico sia risultato più veritiero che non l’opinione del malato? La febbre giunse al punto critico, per dire così, e Pietro non ce la fece a seguire il Signore nella passione. Beviamo quindi il calice della passione quando ce l’invia Colui che conosce cosa invia e a chi l’invia. Se viceversa non vuole che lo beviamo, troverà un’altra maniera di guarirci: l’importante è che ci guarisca. Quanto a noi, abbandoniamoci docilmente e serenamente nelle mani del medico, con l’assoluta certezza che non ci somministrerà nulla che non sia vantaggioso alla nostra salute.

Dio misericordioso corona i meriti di Paolo. 6. Quanto a Paolo, egli esigeva il compenso e se lo riprometteva come cosa dovuta al suo merito. Merito in che senso? Ho terminato la corsa, ho combattuto la buona battaglia, ho conservato la fede 15. Questo hai fatto, e cosa ti attendi? Per il rimanente, mi è riservata la corona di giustizia che in quel giorno mi consegnerà il Signore, giudice giusto 16. Il giudice giusto [la] consegnerà; ma chi lo rese capace di meritarla fu il Padre che gli usò misericordia. Com’era infatti quel Saulo che poi divenne Paolo? Come lo trovò Cristo [quando gli si fece incontro]? Non era forse più che malato, anzi in pericolo [di morte], in preda a un male che, come pazzia, lo rendeva furioso più degli altri giudei? Non era quel Saulo che presente alla lapidazione di Stefano, custodiva le vesti di tutti i lapidatori 17, come per lanciare pietre con le mani di tutti? Non era colui che dai sommi sacerdoti aveva ricevuto lettere e si recava dovunque gli era possibile per incatenare i cristiani e condurli al supplizio? Non fu lui che, come leggiamo, mentre andava [a Damasco] con il cuore fremente di minacce e di stragi fu chiamato per nome e gettato per terra dalla voce celeste 18, cioè dal Verbo che lo chiamava [a dedicarsi] al Verbo? Ebbene, perché il Signore lo chiamasse con una simile vocazione, quali meriti si era egli acquistato con la sua vita precedente? Non dico:  » Cosa c’era in lui che potesse meritare la corona « , ma:  » Cosa c’era che non meritasse la condanna? « . Ebbene, Dio prese il persecutore della Chiesa e ne fece un messaggero di pace. Gli perdonò tutti i peccati e lo collocò in un ministero dove egli avrebbe potuto perdonare i peccati altrui. Ora questi furono doni della divina misericordia, non mercede dovuta ai meriti dell’uomo. Ascolta lo stesso Paolo, non più ingrato ai doni della bontà di Dio; ascolta com’egli ricordi tutto questo e come lo proclami apertamente. Dice: Un tempo io ero bestemmiatore e persecutore e violento, ma ho ottenuto misericordia 19. Dice forse in questo passo:  » Mi è stato assegnato [il compenso dovuto] « ? Se avesse detto: Un tempo io ero bestemmiatore e persecutore e violento ma  » mi è stato assegnato [il compenso dovuto] « , cosa gli si sarebbe dovuto assegnare in compenso se non la dannazione? Egli però dice:  » Ho ottenuto misericordia. Non mi fu applicata la pena meritata perché in seguito mi fosse concessa la corona « . Ecco dunque fratelli! A uno che meritava la pena viene data come ricompensa la corona. Dice: Un tempo io ero bestemmiatore e persecutore e violento. Tu vedi cosa si sarebbe meritato: certamente la pena. Ma questa pena non gli viene inflitta: in vece della pena ottiene la misericordia. Ottenuta la misericordia, non volendo essere ingrato [a Dio], combatte la buona battaglia, porta a termine la corsa e conserva la fede 20. Facendo questo, rese debitore nei suoi confronti colui che gli aveva rimesso i peccati. Dice: Mi è riservata la corona di giustizia che in quel giorno mi consegnerà il Signore, giudice giusto 21. Non dice:  » Mi dà « , ma: Mi consegnerà. Se gliela consegnerà vuol dire che gli era dovuta. Lo dico con estrema convinzione:  » Se gliela consegnerà è segno che gli era dovuta « . Ma che forse Dio aveva ricevuto un prestito da Paolo per essergli debitore? Gli deve dare la corona, gli consegna la corona. Egli è diventato nostro debitore non per un prestito che noi abbiamo fatto a lui ma per una promessa da lui fatta a noi. Quando infatti coronava i meriti di Paolo, altro non coronava se non i suoi doni.

La fedeltà di Dio nel mantenere le promesse. 7. Dunque, fratelli, Dio s’è reso debitore nei nostri confronti in forza delle sue promesse. In realtà quando uno ci ha promesso qualcosa, allorché andiamo da lui per ritirarla gli diciamo:  » Consegnami quel che hai promesso « . Dicendogli:  » Consegnami  » lo consideriamo un debitore dal quale esigiamo il dovuto; ma riconosciamo la sua generosità quando aggiungiamo:  » Quanto hai promesso  » e non:  » Quanto hai da me ricevuto « . Orbene, Dio ha promesso a noi tutti e all’intero mondo creato alcune cose, che sono veramente grandiose. Per non farla troppo lunga, egli ci ha promesso il Cristo, la passione di Cristo, il sangue che Cristo avrebbe versato per noi: e ciò ha promesso per bocca dei profeti, l’ha promesso attraverso i suoi libri. Inoltre ha promesso che la Chiesa si sarebbe sparsa in tutto il mondo, ha promesso ai martiri la vittoria, ha promesso alla Chiesa la distruzione degli idoli e, per la fine, ha promesso il giudizio e la vita eterna. Per non ricordare troppe cose – anche perché sarebbe veramente difficile elencare tutte le sue promesse – soffermiamoci a considerare le cose a cui ho ora accennato. Ha promesso il Cristo dicendo: Ecco la Vergine concepirà e partorirà un figlio, e voi lo chiamerete Emmanuele, che significa  » Dio con noi  » 22, con tutto il resto, che voi conoscete e sarebbe lungo riferire. Promise la sua passione, la sua resurrezione e glorificazione; e tutto questo è accaduto. Promise che ci sarebbero stati martiri per il suo nome, forti nell’affrontare i patimenti e vincitori mediante la perseveranza. Il mondo si accanisce contro di loro e gli si consente d’infuriare, non perché il seme venga calpestato ma perché ne germogli la messe. In ogni parte del mondo è stato versato il sangue dei martiri e la messe della Chiesa ha riempito la terra. Son cose accadute. Nelle Scritture si prometteva alla Chiesa che avrebbe conquistato il regno, ma ciò non appariva ancora nella realtà dei fatti. Gli apostoli la predicavano e ne gettavano la semente per ogni dove, ma non si erano ancora avverate le parole: Lo adoreranno tutti i re della terra, tutte le genti lo serviranno 23. Non si era ancora avverata la cosa ma se ne aveva la garanzia. Volle infatti Dio rendere sicura la debolezza dell’uomo nei confronti della sua promessa, e per questo si servì non solo della parola ma anche dello scritto. La confermò a chi vi credeva, la garantì a chi ne dubitava, e tutte le sue parole erano conservate in un manoscritto, la sacra Scrittura: non le si poteva constatare nella loro realizzazione. E poi ecco che anche i re hanno abbracciato la fede; così infatti era contenuto nel manoscritto di Dio: Lo adoreranno tutti i re della terra, lo serviranno tutte le genti. E difatti la Chiesa si è estesa a tal segno che tutte le genti ormai lo servono. In quel manoscritto trovi ancora: E tra gli idoli delle nazioni [straniere] regnerà il panico 24. E così pure vi leggi: Signore Dio, mio rifugio, verranno a te le genti fin dalle estremità della terra e diranno: I nostri padri hanno realmente venerato simulacri menzogneri, dai quali non ottennero alcunché di utile 25. In effetti essi non adoravano i simulacri. È vero tuttavia che, proprio per questi simulacri, demoni e uomini divennero feroci e uccisero i martiri, facendoli trionfare su di loro. Ma ricade su Babilonia il male che ha fatto [alla Chiesa].

Le due città. 8. Nella Scrittura troviamo descritta una città empia, una specie di agglomerato dell’empietà umana disseminata su tutta la terra e, nella stessa Scrittura, a questa città si dà il nome simbolico di Babilonia. Dal lato opposto è collocata un’altra città, che qui sulla terra è in pellegrinaggio ed è diffusa fra tutti i popoli, concorde nella vera pietà. A questa si dà il nome di Gerusalemme. Queste due città al presente sono mescolate, alla fine però saranno separate. In molti passi la divina Scrittura rivolge loro il discorso, e uno di questi è là dove, rivolgendosi a Gerusalemme, le dice: Ripagate con doppia misura colei che [le] fece [il male], ripagatela 26. Indica che Gerusalemme deve ripagare con doppia misura Babilonia. Cos’è questa doppia misura? Come intenderemo quest’ordine di ripagare la città di Babilonia con doppia misura? Per l’attaccamento ai suoi idoli costei uccideva i cristiani ma non poteva uccidere Cristo, il nostro Dio. Lacerava la carne dei cristiani ma non poteva far del male allo spirito: quindi non poteva raggiungere il nostro Dio. Ora la si ripaga con doppia misura: negli uomini e negli dèi. Loro uccidevano gli uomini ma non potevano uccidere il nostro Dio; al presente viceversa accade che gli uomini, uccisa la loro incredulità, vengono accolti dentro le mura di Gerusalemme, mentre i loro simulacri vengono abbattuti. Gli idolatri cercano i loro adepti ma non li trovano 27, poiché da pagani si son fatti cristiani. Ora, di uno che non è più di quello che era, diciamo che è stato ucciso, come possiamo dire di Paolo antecedentemente Saulo: egli viveva in quanto era diventato predicatore ma come persecutore della Chiesa la sua vita era finita. Di fronte al furore dei pagani un tempo i cristiani cercavano nascondigli per rifugiarsi, oggi i pagani cercano luoghi dove nascondere i loro dèi. E quando questi vengono abbattuti, i loro patrocinatori non si rassegnano ancora a tacere e, nell’ambito delle loro fazioni, continuano a brontolare. Nelle rare volte però che osano far questo cos’altro fanno se non quanto ci ha promesso il nostro Padrone? Se poi un tempo attuavano [i loro propositi], ci riuscivano forse per il loro potere? Osservate: i cristiani, se arrestati, confessavano Cristo e venivano uccisi. Venga ora uno che crede in Mercurio e invochi Mercurio nei suoi giuramenti. Se si imbatte in una guardia, anche in borghese, eccolo gridare:  » Non ho fatto la tal cosa, non ero presente, non ho sacrificato. Dove mi hai visto? « . Al contrario, se ai nostri santi, ai servi di Dio [si chiede]:  » Sei stato in quel raduno dei cristiani? « , subito rispondevano:  » Sì, c’ero « . Per questo, quando noi leggiamo le dichiarazioni dei martiri, ci rallegriamo per la gioia che ci procurano i loro esempi. E son fatti accaduti: condotti a termine dal Signore che li aveva in antecedenza promessi. Un tempo erano racchiusi nella Scrittura, ora si mostrano nei fatti. Così anche quanto ho detto a proposito degli idoli è un fatto palese, di ieri e di oggi. Parimenti la Chiesa si è diffusa in tutto il mondo e ha ormai conquistato tutti i popoli. Quelli che non ha conquistati li conquisterà, poiché è in continua crescita e nel nome di Cristo aumenta per ogni dove il popolo cristiano.

Conclusione. 9. Eppure i cristiani che vivono bene sono pochi, molti quelli che vivono male. Tuttavia quei pochi sono pochi in confronto con la paglia. Lo ripeto: Sono pochi in confronto con la paglia. Quando si arriverà alla vagliatura apparirà il gigantesco mucchio della paglia ma apparirà anche la fulgida accolta dei santi. La paglia andrà al fuoco, il grano nel granaio 28, ma ora son dappertutto mescolati. Perché questo? Ci furono, o fratelli, dei seminatori, come coloro di cui oggi celebriamo la memoria. Per loro mezzo Dio ha mostrato come si sia verificato quanto aveva promesso a loro e, per loro mezzo, anche noi. Cosa aveva promesso? Per il rimanente mi è riservata la corona di giustizia, che in quel giorno mi consegnerà il Signore, giudice giusto 29. E a noi cosa ha promesso? Nella tua discendenza saranno benedette tute le genti 30. Ma come si è adempiuto questo per opera degli apostoli? Per tutta la terra s’è diffuso il loro grido e fino agli estremi confini della terra la loro parola 31. Contro queste affermazioni quale scrittura potranno citare gli eretici? Credo che anch’essi oggi celebrino la nascita al cielo degli apostoli. In realtà anche se fingono di celebrare questo giorno, non hanno certo il coraggio di cantare il salmo che noi cantiamo.

DALLE «OMELIE» DI SAN GIOVANNI CRISOSTOMO » PAOLO SOPPORTÒ OGNI COSA PER AMORE DI CRISTO »

http://antoniobortoloso.blogspot.it/2014/01/dalle-omelie-di-san-giovanni.html

DALLE «OMELIE» DI SAN GIOVANNI CRISOSTOMO »PAOLO SOPPORTÒ OGNI COSA PER AMORE DI CRISTO »

Che cosa sia l\’uomo e quanta la nobiltà della nostra natura, di quanta forza sia capace questo essere pensante lo mostra in un modo del tutto particolare Paolo. Ogni giorno saliva più in alto, ogni giorno sorgeva più ardente e combatteva con sempre maggior coraggio contro le difficoltà che incontrava. Alludendo a questo diceva: Dimentico il passato e sono proteso verso il futuro (cfr. Fil 3,13). Vedendo che la morte era ormai imminente, invitava tutti alla comunione di quella sua gioia dicendo: «Gioite e rallegratevi con me» (Fil
2,18). Esulta ugualmente anche di fronte ai pericoli incombenti, alle offese e a qualsiasi ingiuria e, scrivendo ai Corinzi, dice: Sono contento delle mie infermità, degli affronti e delle persecuzioni (cfr. 2 Cor 12,10). Aggiunge che queste sono le armi della giustizia e mostra come proprio di qui gli venga il maggior frutto, e sia vittorioso dei nemici. Battuto ovunque con verghe, colpito da ingiurie e insulti, si comporta come se celebrasse trionfi gloriosi o elevasse in alto trofei. Si vanta e ringrazia Dio, dicendo: Siano rese grazie a Dio che trionfa sempre in noi (cfr. 2 Cor 2,14). Per questo, animato dal suo zelo di apostolo, gradiva di più l\’altrui freddezza e le ingiurie che l\’onore, di cui invece noi siamo così avidi. Preferiva la morte alla vita, la povertà alla ricchezza e desiderava assai di più la fatica che non il riposo. Una cosa detestava e rigettava: l\’offesa a Dio, al quale per parte sua voleva piacere in ogni cosa.
Godere dell\’amore di Cristo era il culmine delle sue aspirazioni e, godendo di questo suo tesoro, si sentiva più felice di tutti. Senza di esso al contrario nulla per lui significava l\’amicizia dei potenti e dei principi. Preferiva essere l\’ultimo di tutti, anzi un condannato però con l\’amore di Cristo, piuttosto che trovarsi fra i più grandi e i più potenti del mondo, ma privo di quel tesoro.
Il più grande ed unico tormento per lui sarebbe stato perdere questo amore. Ciò sarebbe stato per lui la geenna, l\’unica sola pena, il più grande e il più insopportabile dei supplizi.
Il godere dell\’amore di Cristo era per lui tutto: vita, mondo, condizione angelica, presente, futuro, e ogni altro bene. All\’infuori di questo, niente reputava bello, niente gioioso. Ecco perché guardava alle cose sensibili come ad erba avvizzita. Gli stessi tiranni e le rivoluzioni di popoli perdevano ogni mordente. Pensava infine che la morte, la sofferenza e mille supplizi diventassero come giochi da bambini quando si trattava di sopportarli per Cristo.

IL VERBO DEL PADRE TUTTO ABBELLISCE, DISPONE E CONTIENE – DI SANT’ATANASIO

http://www.meditazionecristiana.it/meditare-con-i-padri-dela-chiesa/meditare-con-i-padri-della-chiesa

DAL «DISCORSO CONTRO I PAGANI» DI SANT’ATANASIO, VESCOVO

Nn. 40-42; PG 25, 79-83)

IL VERBO DEL PADRE TUTTO ABBELLISCE, DISPONE E CONTIENE

Il Padre del Signore nostro Gesù Cristo, nella sua bontà infinita, è di gran lunga superiore a tutte le cose create. Ottimo sovrano qual è , con la sua sapienza e con il suo Verbo, cioè con il Signore nostro e Salvatore Gesù Cristo, governa, ordina e crea in ogni luogo tutte le cose, secondo che si addice alla sua giustizia. Infatti è giusto che le cose siano fatte così come lo sono, e che si compiano come noi le vediamo compiute. Poiché è lui che ha voluto che tutto accada in questo modo e nessuno può avere un motivo ragionevole per negarlo. Infatti se il movimento delle cose create avvenisse senza ragione e il mondo girasse alla cieca, non si dovrebbe più credere nulla di quanto è stato detto. Ma se il mondo è stato organizzato con sapienza e conoscenza ed è stato riempito di ogni bellezza, allora si deve dire che il creatore e l’artista è il Verbo di Dio.Io penso al Dio vivente e operante, al Verbo del Dio buono, del Dio dell’universo, al Dio che è distinto e differente da tutte le cose create e da tutta la creazione.
E’ lui il solo e proprio Verbo del Padre, lui che ha ordinato l’universo e lo ha illuminato con la sua provvidenza. E’ lui il Verbo buono del Padre buono. E’ lui che ha dato ordine a tutto il creato, conciliando fra loro gli opposti elementi e componendo ogni cosa armonicamente. Egli è l’unico, l’Unigenito, il Dio buono, che procede dal Padre come da fonte di bontà e ordina e contiene l’universo.Dopo aver fatto tutte le cose per mezzo del verbo eterno e aver dato esistenza alla creazione, Dio Padre non lascia andare ciò che ha fatto alla deriva, né lo abbandona a un cieco impulso naturale che lo faccia ricadere nel nulla. Ma, buono com’è, con il suo Verbo, che è anche Dio, guida e sostenta il mondo intero, perché la creazione, illuminata dalla sua guida, dalla sua provvidenza e dal suo ordine, possa persistere nell’essere. Anzi il mondo diviene partecipe del Verbo del Padre, per essere da questi sostenuto e non cessare di esistere. Ciò certamente accadrebbe se non fosse conservato dal Verbo, perché egli è «immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura» (Col 1, 15); poiché per mezzo di lui e in lui hanno consistenza tutte le cose sia quelle visibili che quelle invisibili, poiché egli è il capo della Chiesa, come nelle Sacre Scritture insegnano i ministri della verità (cfr. Col 1, 16-189.L’onnipotente e santissimo Verbo del Padre penetrando tutte le cose, e arrivando ovunque con la sua forza, dà luce ad ogni realtà.

 

DAL DE LAUDIBUS S. PAULI – SAN GIOVANNI CRISOSTOMO

http://oodegr.co/italiano/tradizione_index/esortazioni/delaudibuscrisost.htm

DAL DE LAUDIBUS S. PAULI

SAN GIOVANNI CRISOSTOMO

Noi potremmo, se solo volessimo, vincere ogni resistenza della natura con la forza della volontà. Non c’è nulla di impossibile per gli uomini in ciò che Cristo ha ordinato; se infatti mettiamo tutto l’impegno di cui siamo capaci, anche Dio ci da insieme molto aiuto, e così diventeremo invincibili contro tutte le avversità. Non è degno di biasimo l’aver paura dei colpi, ma, per la paura di questi, sottostare a qualcosa di indegno del comportamento religioso, in modo che la paura dei colpi mostra colui che rimane invincibile nelle prove, più ammirevole di chi non ne ha paura. In questo modo rifulge maggiormente la volontà, perché aver paura dei colpi è proprio della natura, mentre non sottostare a nulla di sconveniente per paura di essi dipende dalla volontà che corregge la deficienza della natura e vince la sua debolezza. Nemmeno l’afflizione è motivo di accusa, ma, a causa dell’afflizione, dire o fare qualche cosa che non piace a Dio. Se io dicessi che Paolo non era un uomo, giustamente mi addurresti le deficienze della natura, per confutare così il mio discorso; ma se dico e sostengo che era un uomo, in niente superiore a noi riguardo alla natura, mentre divenne migliore riguardo alla volontà, invano, mi presenti queste obiezioni, anzi non invano, ma a favore di Paolo. Infatti in virtù di esse dimostri quanto grande egli fosse, perché pur trovandosi in una natura siffatta, fu più forte di essa. Non solo lo esalti, ma chiudi anche la bocca a quelli che si sono perduti d’animo, non consentendo ad essi di rifugiarsi nella superiorità della sua natura, ma spingendoli invece all’impegno proveniente dalla volontà.
Ma, si potrebbe dire, non ebbe paura qualche volta anche della morte? Anche questo atteggiamento è naturale. Tuttavia egli stesso che temeva la morte diceva a sua volta: In realtà quanti siamo in questa tenda[1], sospiriamo come sotto un peso[2], e di nuovo: Anche noi gemiamo interiormente[3]. Vedi come ha presentato la forza proveniente dalla volontà quale contrappeso della debolezza della natura? Infatti anche molti martiri spesso, nell’essere condotti al supplizio, impallidirono e furono pieni di paura e di angoscia; però proprio per questo sono soprattutto degni di ammirazione, perché, pur avendo timore della morte, non l’hanno fuggita a causa di Gesù. Così anche Paolo, pur temendo la morte, non rifiuta neppure la geenna per amore di Gesù[4], e, pur trepidando al pensiero della propria fine, desidera essere sciolto dal corpo[5]. Non era solo lui a provare ciò, ma anche il capo degli apostoli, pur avendo spesso detto di essere pronto a dare la vita[6], temeva assai la morte. Ascolta che cosa gli dice Cristo parlandogli in merito: Quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi[7], fa riferimento alla deficienza della natura, non della volontà.
La natura mostra le sue proprietà anche contro noi, e non è possibile superare tali deficienze, neppure se si vuole e ci si impegna intensamente; pertanto da questo lato non siamo danneggiati, anzi siamo ammirati maggiormente. Che capo d’accusa è infatti aver paura della morte? Quale motivo di elogio non è invece, pur avendo paura della morte, non sottostare ad alcun atteggiamento meschino a causa di questa paura? Non è motivo d’accusa avere una natura con delle deficienze, bensì essere schiavi di queste; sicché chi resiste all’assalto che proviene da essa con il coraggio della volontà, è grande e ammirevole. Così mostra quanto grande sia la forza della volontà e tappa la bocca a quanti dicono: «Perché non siamo divenuti buoni per natura?». Che differenza c’è che questo si verifichi per natura o per volontà? Quanto è migliore questa condizione di quella? Per il fatto di procurare corone e una splendida rinomanza.
Ciò che è proprio della natura non è forse saldo? Ma se vuoi avere una forte volontà, questa condizione è più solida della prima. Non vedi che il corpo dei martiri è trapassato dalla spada e che, se la natura indietreggia davanti al ferro, la volontà non cede ad esso né si lascia sopraffare? Dimmi: non vedi che, nel caso di Abramo, la volontà ebbe il sopravvento sulla natura, quando gli fu ordinato di sacrificare il figlio[8], e la prima si manifestò più potente della seconda? Non vedi che si è verificata la medesima situazione nel caso dei tre giovani[9]? Non ascolti anche il proverbio che afferma che la volontà diventa una seconda natura in forza dell’abitudine? Anzi potrei dire che diventa la prima, come l’ha dimostrato ciò che è stato detto in precedenza. Vedi che è possibile acquistare anche la saldezza della natura, se la volontà è generosa e vigile, e che raccolga maggiori elogi chi sceglie e vuole essere buono più di chi vi è costretto?
Questo è bello soprattutto, come quando dice: Tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù[10]. Allora soprattutto lo lodo, vedendolo raggiungere la virtù non senza pena, in modo da non essere motivo di indolenza per quelli che sarebbero venuti dopo, per giustificare la loro mollezza. Quando dice ancora: Sono crocifisso per il mondo[11], incorono la sua volontà. È possibile infatti, è possibile imitare la forza della natura con il rigore della volontà. Se lo proponiamo come l’esempio stesso della virtù, troveremo che si sforzò di portare le buone qualità che aveva in conseguenza della volontà, al livello della saldezza della natura.
Soffriva certamente quando era percosso, ma non disprezzava i patimenti meno delle potenze incorporee che non soffrono, come si può apprendere dalle sue parole che non sembrerebbero far credere che appartenesse alla nostra natura. Quando infatti dice: Il mondo è crocifisso per me e io lo sono per il mondo[12], e ancora: Io vivo, o piuttosto non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me[13], che altro significa se non che ha abbandonato il corpo stesso? Che vuol dire, quando dice: Mi è stata messa una spina nella carne, un messo di satana[14]? Nient’altro se non mostrare che la sofferenza arrivava solo al corpo; non perché non passasse all’interno, ma perché egli la respingeva e l’allontanava per la sovrabbondanza della sua volontà. E che dire, quando fa molte affermazioni più meravigliose di queste, e gioisce di essere frustato e si vanta delle sue catene[15]? Che altro si potrebbe dire se non quanto ho detto, che cioè affermare: Tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù, nel timore che, dopo aver predicato agli altri, non venga io stesso squalificato[16], indica da un lato la debolezza della natura, ma dall’altro, mediante quanto ho detto, la nobiltà della volontà?
Perciò si trovano entrambi questi aspetti presso di lui, affinché né pensi che per le sue grandi virtù appartenesse ad una natura diversa e non ti scoraggi, né condanni quell’anima santa per le sue debolezze, anzi al contrario, scacciando in conseguenza di ciò lo scoraggiamento, ti volga verso una fiduciosa speranza. Per questo motivo presenta d’altra parte anche la grazia di Dio in termini amplificativi, anzi non in termini amplificativi, ma con saggezza, perché pensi che nulla viene da lui. Afferma però anche il suo impegno, perché, attribuendo tutto a Dio, tu non trascorra la vita nell’inoperosità e nell’incuria. E troverai rigorosamente in lui misura e regola di tutto.

[1] Il corpo.
[2] 2 Cor 5, 4.
[3] Rom 8, 23.
[4] Cf Rom 9, 3.
[5] Cf Fil 1, 23.
[6] Cf Mt 26, 35; Mc 14, 31; Lc 22, 33; Gv 13, 37.
[7] Gv 21, 18.
[8] Cf Gen 22, 1ss.
[9] Cf Dan 3, 12ss.
[10] 1 Cor 9, 27.
[11] Gal 6, 14.
[12] Ib.
[13] Gal 2, 20.
[14] 2 Cor 12, 7.
[15] Cf 2 Cor 11, 24-25; Fil 1, 12-14.
[16] 1 Cor 9, 27.

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