Archive pour la catégorie 'PADRI DELLA CHIESA, SCRITTORI ECCLESIASTICI E DOTTORI'

San Giovanni Crisostomo: La debolezza di Dio è più forte della fortezza degli uomini (1Cor)

dal sito: 

http://www.prayerpreghiera.it/padri/padri.html

Dalle « Omelie sulla prima lettera ai Corinzi » di san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Om. 4,3.4; PG 61,34-36)
La debolezza di Dio è più forte della fortezza degli uomini

 

La croce ha esercitato la sua forza di attrazione su tutta la terra e lo ha fatto servendosi non di mezzi umanamente imponenti, ma dell’apporto di uomini poco dotati. Il discorso della croce non è fatto di parole vuote, ma di Dio, della vera religione, dell’ideale evangelico nella sua genuinità, del giudizio futuro. Fu questa dottrina che cambiò gli illetterati in dotti. Dai mezzi usati da Dio si vede come la stoltezza di Dio sia più saggia della sapienza degli uomini, e come la sua debolezza sia più forte della fortezza umana. In che senso più forte? Nel senso che la croce, nonostante gli uomini, si è affermata su tutto l’universo e ha attirato a sé tutti gli uomini. Molti hanno tentato di sopprimere il nome del Crocifisso, ma hanno ottenuto l’effetto contrario. Questo nome rifiorì sempre di più e si sviluppò con progresso crescente. I nemici invece sono periti e caduti in rovina. Erano vivi che facevano guerra a un morto, e ciononostante non l’hanno potuto vincere. Perciò quando un pagano dice a un cristiano che è fuori della vita, dice una stoltezza. Quando mi dice che sono stolto per la mia fede, mi rende persuaso che sono mille volte più saggio di uno che si ritiene sapiente. E quando mi pensa debole non si accorge che il debole è lui. I filosofi, i re e, per così dire, tutto il mondo, che si perde in mille faccende, non possono nemmeno immaginare ciò che dei pubblicani e dei pescatori poterono fare con la grazia di Dio. Pensando a questo fatto, Paolo esclamava: « Ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini » (1Cor 1,25). Questa frase è chiaramente divina. Infatti come poteva venire in mente a dodici poveri uomini, e per di più ignoranti, che avevano passato la loro vita sui laghi e sui fiumi, di intraprendere una simile opera? Essi forse mai erano entrati in una città o in una piazza. E allora come potevano pensare di affrontare tutta la terra? Che fossero paurosi e pusillanimi l’afferma chiaramente chi scrisse la loro vita senza dissimulare nulla e senza nascondere i loro difetti, ciò che costituisce la miglior garanzia di veridicità di quanto asserisce.
Costui, dunque, racconta che quando Cristo fu arrestato dopo tanti miracoli compiuti, tutti gli apostoli fuggirono e il loro capo lo rinnegò. Come si spiega allora che tutti costoro, quando il Cristo era ancora in vita, non avevano saputo resistere a pochi giudici, mentre poi, giacendo lui morto e sepolto e, secondo gli increduli, non risorto, e quindi non in grado di parlare, avrebbero ricevuto da lui tanto coraggio da schierarsi vittoriosamente contro il mondo intero? Non avrebbero piuttosto dovuto dire: E adesso? Non ha potuto salvare se stesso, come potrà difendere noi? Non è stato capace di proteggere se stesso, come potrà tenderci la mano da morto? In vita non è riuscito a conquistare una sola nazione, e noi, col solo suo nome, dovremmo conquistare il mondo? Non sarebbe da folli non solo mettersi in simile impresa, ma perfino solo pensarla? È evidente perciò che, se non lo avessero visto risuscitato e non avessero avuto una prova inconfutabile della sua potenza, non si sarebbero esposti a tanto rischio.

San Giovanni Crisostomo: Paolo sopportò ogni cosa per amore di Cristo (lettere)

dal sito: 

http://www.prayerpreghiera.it/padri/padri.html

Dalle « Omelie » di san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Om. 2, Panegirico di san Paolo, apostolo; PG 50,477-480)
Paolo sopportò ogni cosa per amore di Cristo

Che cosa sia l’uomo e quanta la nobiltà della nostra natura, di quanta forza sia capace questo essere pensante lo mostra in un modo del tutto particolare Paolo. Ogni giorno saliva più in alto, ogni giorno sorgeva più ardente e combatteva con sempre maggior coraggio contro le difficoltà che incontrava. Alludendo a questo diceva: Dimentico il passato e sono proteso verso il futuro (cfr. Fil 3,13). Vedendo che la morte era ormai imminente, invitava tutti alla comunione di quella sua gioia dicendo: « Gioite e rallegratevi con me » (Fil 2,18). Esulta ugualmente anche di fronte ai pericoli incombenti, alle offese e a qualsiasi ingiuria e, scrivendo ai Corinzi, dice: Sono contento delle mie infermità, degli affronti e delle persecuzioni (cfr. 2Cor 12,10). Aggiunge che queste sono le armi della giustizia e mostra come proprio di qui gli venga il maggior frutto, e sia vittorioso dei nemici. Battuto ovunque con verghe, colpito da ingiurie e insulti, si comporta come se celebrasse trionfi gloriosi o elevasse in alto trofei. Si vanta e ringrazia Dio, dicendo: Siano rese grazie a Dio che trionfa sempre in noi (cfr. 2Cor 2,14). Per questo, animato dal suo zelo di apostolo, gradiva di più l’altrui freddezza e le ingiurie che l’onore, di cui invece noi siamo così avidi. Preferiva la morte alla vita, la povertà alla ricchezza e desiderava assai di più la fatica che non il riposo. Una cosa detestava e rigettava: l’offesa a Dio, al quale per parte sua voleva piacere in ogni cosa.
Godere dell’amore di Cristo era il culmine delle sue aspirazioni e, godendo di questo suo tesoro, si sentiva più felice di tutti. Senza di esso al contrario nulla per lui significava l’amicizia dei potenti e dei principi. Preferiva essere l’ultimo di tutti, anzi un condannato però con l’amore di Cristo, piuttosto che trovarsi fra i più grandi e i più potenti del mondo, ma privo di quel tesoro.
Il più grande ed unico tormento per lui sarebbe stato perdere questo amore. Ciò sarebbe stato per lui la geenna, l’unica sola pena, il più grande e il più insopportabile dei supplizi.
Il godere dell’amore di Cristo era per lui tutto: vita, mondo, condizione angelica, presente, futuro, e ogni altro bene. All’infuori di questo, niente reputava bello, niente gioioso. Ecco perché guardava alle cose sensibili come ad erba avvizzita. Gli stessi tiranni e le rivoluzioni di popoli perdevano ogni mordente. Pensava infine che la morte, la sofferenza e mille supplizi diventassero come giochi da bambini quando si trattava di sopportarli per Cristo.

Dal «Commento sulla seconda lettera ai Corinzi» di san Cirillo di Alessandria, (2Cor)

DOMENICA VI DI PASQUA

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dal «Commento sulla seconda lettera ai Corinzi» di san Cirillo di Alessandria, vescovo     (Cap. 5, 5 – 6; PG 74, 942-943)

Dio ci ha riconciliati per mezzo di Cristo 
e ci ha affidato il ministero della riconciliazione

Chi ha il pegno dello Spirito e possiede la speranza della risurrezione, tiene come già presente ciò che aspetta e quindi può dire con ragione di non conoscere alcuno secondo la carne, di sentirsi, cioè, fin d’ora partecipe della condizione del Cristo glorioso. Ciò vale per tutti noi che siamo spirituali ed estranei alla corruzione della carne. Infatti, brillando a noi l’Unigenito, siamo trasformati nel Verbo stesso che tutto vivifica. Quando regnava il peccato eravamo tutti vincolati dalle catene della morte. Ora che è subentrata al peccato la giustizia di Cristo, ci siamo liberati dall’antico stato di decadenza. 
Quando diciamo che nessuno è più nella carne intendiamo riferirci a quella condizione connaturale alla creatura umana che comprende, fra l’altro, la particolare caducità propria dei corpi. Vi fa cenno san Paolo quando dice: «Infatti anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così» (2 Cor 5, 16). In altre parole: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14), e per la vita di noi tutti accettò la morte del corpo. La nostra fede prima ce lo fa conoscere morto, poi però non più morto, ma vivo; vivo con il corpo risuscitato al terzo giorno; vivo presso il Padre ormai in una condizione superiore a quella connaturale ai corpi che vivono sulla terra. Morto infatti una volta sola non muore più, la morte non ha più alcun potere su di lui. Per quanto riguarda la sua morte egli morì al peccato una volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio (cfr. Rm 6, 8-9).
Pertanto se si trova in questo stato colui che si fece per noi antesignano di vita, è assolutamente necessario che anche noi, calcando le sue orme, ci riteniamo vivi della sua stessa vita, superiore alla vita naturale della persona umana. Perciò molto giustamente san Paolo scrive: «Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le vecchie cose sono passate, ecco ne sono nate di nuove!» (2 Cor 5, 17). Fummo infatti giustificati in Cristo per mezzo della fede, e la forza della maledizione è venuta meno. Poiché egli è risuscitato per noi, dopo essersi messo sotto i piedi la potenza della morte, noi conosciamo il vero Dio nella sua stessa natura, e a lui rendiamo culto in spirito e verità, con la mediazione del Figlio, il quale dona al mondo, da parte del Padre, le benedizioni celesti.
Perciò molto a proposito san Paolo scrive: «Tutto questo viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo» (2 Cor 5, 18). In realtà il mistero dell’incarnazione e il conseguente rinnovamento non avvengono al di fuori della volontà del Padre. Senza dubbio per mezzo di Cristo abbiamo acquistato l’accesso al Padre, dal momento che nessuno viene al Padre, come egli stesso dice, se non per mezzo di lui. Perciò «tutto questo viene da Dio, che ci ha riconciliati mediante Cristo, ed ha affidato a noi il ministero della riconciliazione» (2 Cor 5, 18).

Sant’Agostino, Lettera a Proba: « Non sappiamo che cosa sia conveniente domandare »

dal sito:

http://www.prayerpreghiera.it/padri/padri.html

Dalla « Lettera a Proba » di sant’Agostino, vescovo
(Lett. 130, 14,25-26; CSEL 44,68-71)
Non sappiamo che cosa sia conveniente domandare

Forse hai da farmi una domanda: Come mai l’Apostolo ha detto: « Noi non sappiamo che cosa sia conveniente domandare »? (Rm 8,26). Non possiamo davvero supporre che colui che diceva ciò, o coloro ai quali egli si rivolgeva, non conoscessero la preghiera del Signore. Eppure da questa ignoranza non si dimostrò esente neppure l’Apostolo, benché egli forse sapesse pregare convenientemente. Infatti, quando gli fu conficcata una spina nella carne e un messo di satana fu incaricato di schiaffeggiarlo, perché non montasse in superbia per la grandezza delle rivelazioni, per ben tre volte pregò il Signore di liberarlo dalla prova. E così dimostrò di non sapere in questo caso che cosa gli era più conveniente domandare. Alla fine però sentì la risposta di Dio, che gli spiegava perché non avveniva quello che un uomo così santo chiedeva, e perché non conveniva che l’ottenesse: « Ti basta la mia grazia: la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza » (2Cor 12,9).Pertanto nelle tribolazioni, che possono giovare come anche nuocere, non sappiamo quello che ci conviene chiedere, e tuttavia, perché si tratta di cose dure, moleste e contrarie all’inclinazione della natura, seguendo un desiderio comune a tutti gli uomini, noi preghiamo che ci vengano tolte. Dobbiamo però mostrare di fidarci del Signore. Se egli non allontana da noi le prove, non per questo dobbiamo credere di esser da lui dimenticati, ma piuttosto, con la santa sopportazione dei mali, dobbiamo sperare beni maggiori. Così infatti « la potenza si manifesta pienamente nella debolezza ».Questo è stato scritto perché nessuno si insuperbisca se viene esaudito quando chiede con impazienza quanto gli sarebbe più utile non ottenere. D’altra parte non si perda d’animo né disperi della divina misericordia se non viene esaudito quando domanda un benessere, che, a conti fatti, potrebbe amareggiarlo di più o mandarlo completamente in rovina. In queste cose dunque non sappiamo davvero quello che ci conviene chiedere. Perciò, se accade proprio il contrario di quanto abbiamo chiesto nella preghiera, noi, sopportando pazientemente e rendendo grazie per ogni evenienza, non dobbiamo affatto dubitare che era più conveniente per noi quello che Dio ha voluto, che non quello che volevamo noi.Ce ne dà la prova il nostro divino mediatore, il quale avendo detto: « Padre, se è possibile, passi da me questo calice », subito dopo, modificando la volontà umana, che aveva in sé dalla umanità assunta, soggiunse: « Però non come voglio io, ma come vuoi tu, o Padre » (Mt 26,39). Ecco perché giustamente per l’obbedienza di uno solo tutti sono costituiti giusti (Cfr Rm 5,19).

SABATO 19.4.08- Ufficio delle Letture, San Cirillo d’Alessandria: Dal «Commento sulla lettera ai Romani»

SABATO 19 APRILE 2008

UFFICIO DELLE LETTURE – SECONDA LETTURA
Dal «Commento sulla lettera ai Romani» di san Cirillo d’Alessandria, vescovo
(Cap. 15, 7; PG 74, 854-855)

Il mondo intero è stato salvato per la clemenza superna estesa a tutti
In molti formiamo un solo corpo e siamo membra gli uni degli altri, stringendoci Cristo nell’unità con il legame della carità, come sta scritto: «Egli è colui che ha fatto di due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, annullando la legge fatta di prescrizioni e di decreti» (Ef 2, 14). Bisogna dunque che tutti abbiamo gli stessi sentimenti. Se un membro soffre, tutte le membra ne soffrano e se un membro viene onorato, tutte le membra gioiscano.
«Perciò accoglietevi», dice, «gli uni gli altri, come Cristo accolse voi per la gloria di Dio» (Rm 15, 7). Ci accoglieremo vicendevolmente se cercheremo di aver gli stessi sentimenti, sopportando l’uno il peso dell’altro e conservando «l’unità dello spirito nel vincolo della pace» (Ef 4, 3). Allo stesso modo Dio ha accolto anche noi in Cristo. Infatti è veritiero colui che disse: Dio ha tanto amato il mondo da dare per noi il Figlio suo (cfr. Gv 3, 16).
Cristo fu sacrificato per la vita di tutti e tutti siamo stati trasferiti dalla morte alla vita e redenti dalla morte e dal peccato.
Cristo si è fatto ministro dei circoncisi per dimostrare la fedeltà di Dio. Infatti Dio aveva promesso ai progenitori degli Ebrei che avrebbe benedetto la loro discendenza e l’avrebbe moltiplicata come le stelle del cielo. Per questo Dio, il Verbo che crea e conserva ogni cosa creata e dà a tutti la sua salvezza divina, si fece uomo e apparve visibilmente come tale. Venne in questo mondo nella carne non per farsi servire, ma piuttosto, come dice egli stesso, per servire e dare la sua vita a redenzione di tutti.
Asserì con forza di essere venuto appositamente per adempire le promesse fatte a Israele. Disse infatti: «Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele» (Mt 15, 24). Con tutta verità Paolo dice che Cristo fu ministro dei circoncisi per ratificare le promesse fatte ai padri. L’Unigenito fu sacrificato da Dio Padre perché i pagani ottenessero misericordia e lo glorificassero come creatore e pastore di tutti, salvatore e redentore. La clemenza superna fu dunque estesa a tutti anche ai pagani e così il mistero della sapienza in Cristo non fallì il suo scopo di bontà. Al posto di coloro che erano decaduti, fu salvato, per la misericordia di Dio, il mondo intero!

San Pietro Crisologo: Sii sacrificio e sacerdote di Dio (Rm 12,1)

MARTEDÌ 15 APRILE 2008

UFFICIO DELLE LETTURE -SECONDA LETTURA

Dai «Discorsi» di san Pietro Crisologo, vescovo
(Disc. 108; PL 52, 499-500)

Sii sacrificio e sacerdote di Dio

«Vi prego per la misericordia di Dio» (Rm 12, 1). E’ Paolo che chiede, anzi è Dio per mezzo di Paolo che chiede, perché vuole essere più amato che temuto. Dio chiede perché vuol essere non tanto Signore, quanto Padre. Il Signore chiede per misericordia, per non punire nel rigore.
Ascolta il Signore che chiede: vedete, vedete in me il vostro corpo, le vostre membra, il vostro cuore, le vostre ossa, il vostro sangue. E se temete ciò che è di Dio, perché non amate almeno ciò che è vostro? Se rifuggite dal padrone, perché non ricorrete al congiunto?
Ma forse vi copre di confusione la gravità della passione che mi avete inflitto. Non abbiate timore. Questa croce non è un pungiglione per me, ma per la morte. Questi chiodi non mi procurano tanto dolore, quanto imprimono più profondamente in me l’amore verso di voi. Queste ferite non mi fanno gemere, ma piuttosto introducono voi nel mio interno. Il mio corpo disteso anziché accrescere la pena, allarga gli spazi del cuore per accogliervi. Il mio sangue non è perduto per me, ma è donato in riscatto per voi.
Venite, dunque, ritornate. Sperimentate almeno la mia tenerezza paterna, che ricambia il male col bene, le ingiurie con l’amore, ferite tanto grandi con una carità così immensa.
Ma ascoltiamo adesso l’Apostolo: «Vi esorto», dice, «ad offrire i vostri corpi» (Rm 12, 1). L’Apostolo così vede tutti gli uomini innalzati alla dignità sacerdotale per offrire i propri corpi come sacrificio vivente.
O immensa dignità del sacerdozio cristiano! L’uomo è divenuto vittima e sacerdote per se stesso. L’uomo non cerca fuori di sé ciò che deve immolare a Dio, ma porta con sé e in sé ciò che sacrifica a Dio per sé. La vittima permane, senza mutarsi, e rimane uguale a se stesso il sacerdote, poiché la vittima viene immolata ma vive, e il sacerdote non può dare la morte a chi compie il sacrificio.
Mirabile sacrificio, quello dove si offre il corpo senza ferimento del corpo e il sangue senza versamento di sangue. «Vi esorto per la misericordia di Dio ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente».
Fratelli, questo sacrificio è modellato su quello di Cristo e risponde al disegno che egli si prefisse, perché, per dare vita al mondo, egli immolò e rese vivo il suo corpo; e davvero egli fece il suo corpo ostia viva perché, ucciso, esso vive. In questa vittima, dunque, è corrisposto alla morte il suo prezzo. Ma la vittima rimane, la vittima vive e la morte è punita. Da qui viene che i martiri nascono quando muoiono, cominciano a vivere con la fine, vivono quando sono uccisi, brillano nel cielo essi che sulla terra erano creduti estinti.
«Vi esorto, dice, o fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo». Questo è quanto il profeta ha predetto: Non hai voluto sacrificio né offerta, ma mi hai dato un corpo (cfr. Sal 39, 7 volg.) . Sii, o uomo, sii sacrificio e sacerdote di Dio; non perdere ciò che la divina volontà ti ha dato e concesso. Rivesti la stola della santità. Cingi la fascia della castità. Cristo sia la protezione del tuo capo. La croce permanga a difesa della tua fronte. Accosta al tuo petto il sacramento della scienza divina. Fa’ salire sempre l’incenso della preghiera, come odore soave. Afferra la spada dello spirito, fà del tuo cuore un altare, e così presenta con ferma fiducia il tuo corpo quale vittima a Dio.
Dio cerca la fede, non la morte. Ha sete della tua preghiera, non del tuo sangue. Viene placato dalla volontà, non dalla morte.

San Giovanni Crisostomo: Sovrabbondo di gioia in ogni tribolazione (2Cor 7,2; 6,12; 7,3; 7,4)

dal sito:

http://www.prayerpreghiera.it/padri/padri.html

Dalle « Omelie sulla seconda lettera ai Corinzi » di san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Om. 14,1-2; PG 61,497-499)
Sovrabbondo di gioia in ogni tribolazione (2Cor 7,2; 6,12; 7,3; 7,4)

Paolo riprende il discorso sulla carità, moderando l’asprezza del rimprovero. Dopo avere infatti biasimato e rimproverato i Corinzi per il fatto che, pur amati, non avevano corrisposto all’amore, anzi erano stati ingrati e avevano dato ascolto a gente malvagia, mitiga il rimprovero dicendo: « Fateci posto nei vostri cuori » (2Cor 7,2) cioè, amateci. Chiede un favore assai poco gravoso, anzi più utile a loro che a lui. Non dice « amate », ma con squisita delicatezza: « Fateci posto nei vostri cuori ». Chi ci ha scacciati, sembra chiedere, dai vostri cuori? Chi ci ha espulsi? Per quale motivo siamo stati banditi dal vostro spirito? Dato che prima aveva affermato: « È nei vostri cuori invece che siete allo stretto » (2Cor 6,12), qui esprime lo stesso sentimento dicendo: « Fateci posto nei vostri cuori ». Così li attira di nuovo a sé. Niente spinge tanto all’amore chi è amato quanto il sapere che l’amante desidera ardentemente di essere corrisposto. « Vi ho già detto poco fa, continua, che siete nel nostro cuore per morire insieme e insieme vivere » (2Cor 7,3). Espressione massima dell’amore di Paolo: benché disprezzato, desidera vivere e morire con loro. Siete nel nostro cuore non superficialmente, in modo qualsiasi, ma come vi ho detto. Può capitare che uno ami, ma fugga al momento del pericolo: non è così per me. « Sono pieno di consolazione » (2Cor 7,4). Di quale consolazione? Di quella che mi viene da voi: ritornati sulla buona strada mi avete consolato con le vostre opere. È proprio di chi ama prima lamentarsi del fatto che non è amato, poi temere di recare afflizione per eccessiva insistenza nella lamentela. Per questo motivo aggiunge: « Sono pieno di consolazione, pervaso di gioia ». In altre parole: sono stato colpito da grande dispiacere a causa vostra, ma mi avete abbondantemente compensato e recato gran sollievo; non avete solo rimosso la causa del dispiacere, ma mi avete colmato di più abbondante gioia. Paolo manifesta la sua grandezza d’animo non fermandosi a dire semplicemente « sovrabbondo di gioia », ma aggiungendo anche « in ogni mia tribolazione ». E così grande il piacere che mi avete arrecato che neppure la più grande tribolazione può oscurarlo, anzi è tale da farmi dimenticare con l’esuberanza della sua ricchezza, tutti gli affanni che mi erano piombati addosso e ha impedito che io ne rimanessi schiacciato.

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