Archive pour la catégorie 'PADRI DELLA CHIESA, SCRITTORI ECCLESIASTICI E DOTTORI'

19 settembre 2008 – liturgia

19 SETTEMBRE 2008

MESSA DEL GIORNO

Prima Lettura 1 Cor 15, 12-20
ratelli, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo, mentre non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono. Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini. Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti.

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dal «Discorso sui pastori» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 46, 10-11; CCL 41, 536-538)

Prepara la tua anima alla tentazione
Avete già sentito che cosa abbiano principalmente a cuore i pastori cattivi, considerate ora che cosa trascurino: «Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite» (Ez 34,4), e quelle che erano sane le avete fatte perire, le avete ammazzate, trucidate. La pecora è soggetta a malattie, ha il cuore debole, cosicché facilmente potrà soccombere alla tentazione, se questa la trova indifesa, impreparata. Il pastore negligente, quando scorge uno del suo gregge, non gli dice: Figlio, se ti presenti per servire il Signore, stà saldo nella giustizia e nel timore, e preparati alla tentazione (cfr. Sir 2,1). Chi parla così conforta chi è debole e lo rende saldo, perché egli, avendo abbracciato la fede, non speri nella prosperità di questo mondo. Se infatti gli verrà insegnato a sperare nella felicità del mondo, sarà rovinato dalla felicità stessa: al sopraggiungere delle avversità, rimarrà sconvolto o addirittura perirà, e perciò il pastore che così costruisce il fedele, lo costruisce sulla sabbia e non sulla roccia, che è Cristo (cfr. 1Cor 10,4). I cristiani, infatti, devono imitare le sofferenze di Cristo e non andare in cerca dei piaceri. Il debole invece viene rinfrancato quando gli si predica: Aspettati pure le tentazioni di questo mondo, ma il Signore ti libererà da tutte, se il tuo cuore non si allontanerà da lui. Egli infatti proprio per confortare il tuo cuore venne a patire, venne a morire, venne ad essere coperto di sputi, venne ad essere coronato di spine, venne a subire gli insulti e, in fine, venne a farsi inchiodare in croce. Tutto questo egli l’ha sofferto per te, e tu nulla. L’ha sofferto non per il suo vantaggio, ma per il tuo. Ma che razza di pastori sono invece quelli che, temendo di offendere gli uditori, non solo non li preparano alle tentazioni future, ma anzi promettono loro la felicità di questo mondo, felicità che Dio non promise neppure al mondo stesso! Egli predice che verranno sino alla fine sopra questo mondo dolori su dolori e tu vorresti che il cristiano ne sia esente? Proprio perché è cristiano soffrirà qualcosa di più in questo mondo! Lo afferma l’Apostolo: «Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù, saranno perseguitati» (2Tim 3,12). Ora tu, pastore, che cerchi i tuoi interessi e non quelli di Cristo, permetti, bontà tua, a Cristo di dire: Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù, saranno perseguitati. Ma tu per tuo conto ritieni di poter dire al fedele: Se vivrai piamente in Cristo, avrai abbondanza di ogni cosa. E se non hai figli, ne avrai e li nutrirai tutti e nessuno di essi ti morrà. È in questo modo che tu edifichi? Bada a ciò che fai, dove poni il fondamento! Tu poni sulla sabbia colui che stai cercando di edificare. Verrà la pioggia, strariperà il fiume, soffierà il vento, si abbatteranno su questa casa, ed essa cadrà e sarà grande la sua rovina. Toglilo dalla sabbia, mettilo sulla roccia, abbia il suo fondamento in Cristo colui che vuoi far diventare cristiano. Fa’ che volga lo sguardo alle sofferenze immeritate del Cristo, che guardi a colui che, senza peccato, paga i debiti non suoi. Fa’ che creda alla Scrittura la quale dice: «Egli sferza chiunque riconosce come figlio» (Eb 12,6). E allora o si prepari ad essere sferzato, o rinunzi ad essere accettato.

LODI

Lettura Breve Gal 2, 20
Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita che vivo nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me.

VESPRI

Lettura breve Rm 8, 1-2
Non c’è più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. Poiché la legge dello Spirito che da’ vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte.

18 settembre 2008 – liturgia

18 SETTEMBRE 2008

MESSA DEL GIORNO

Prima Lettura 1 Cor 15, 1-11
Vi rendo noto, fratelli, il vangelo che vi ho annunziato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi, e dal quale anche ricevete la salvezza, se lo mantenete in quella forma in cui ve l’ho annunziato. Altrimenti, avreste creduto invano! Vi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Io infatti sono l’infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. Pertanto, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto.

UFFICIO DELLE LETTURE

continua per diversi giorni il discorso di Sant’Agostino « sui pastori »


 «Discorso sui pastori» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 46, 9; CCL 41, 535-536)

Sii di esempio ai fedeli
Avendo il Signore detto che cosa abbiano a cuore certi pastori, aggiunge anche quali doveri essi trascurino. I difetti delle pecore, infatti, sono largamente diffusi. Pochissime sono le pecore sane e prosperose. Sono rare cioè quelle ben salde nel cibo della verità, che usufruiscono con vantaggio dei pascoli donati da Dio. Ma quei pastori malvagi non risparmiano neppure queste. Non basta che essi trascurino le pecore malate o deboli, sbandate e smarrite. Per quanto sta in loro, uccidono anche quelle che sono forti e in buona salute. Tu forse dirai: Però queste vivono. Sì, vivono, ma per la misericordia di Dio. Tuttavia, per quanto sta in loro, i pastori cattivi le uccidono. Come le uccidono? dirai. Vivendo male, dando loro cattivo esempio. Fu detto forse senza ragione a quel servo di Dio che eccelleva tra le membra del sommo Pastore: Offri te stesso come esempio in tutto di buona condotta? (cfr. Tt 2, 7). E ancora: Sii modello ai fedeli (cfr. 1 Tm 4, 12). Una pecora infatti, anche se sana, osservando che il suo pastore abitualmente vive male, se distoglie gli occhi dalla legge del Signore e guarda l’uomo, comincia a dire in cuor suo: Se il mio superiore vive così, chi mi vieta di fare altrettanto? In tal modo il pastore uccide la pecora sana. Dunque se uccide la pecora sana, che farà mai della altre pecore? Che farà questo pastore che, vivendo male, fa perire la pecora, che egli non aveva resa sana, ma che anzi aveva trovata forte e vigorosa? Dico e ripeto alla vostra carità: Vi sono pecore che vivono, sono salde nella parola del Signore e si attengono a quella norma che hanno udito da lui: «Quanto vi dicono fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere» (Mt 23, 3). Tuttavia il pastore, che dinanzi al popolo si comporta male, per quanto sta in lui, uccide colui dal quale viene osservato. Non si illuda quindi perché quel tale non è morto. Quel tale vive, ma il pastore si rende ugualmente un omicida. In modo analogo, quando un uomo corrotto guarda una donna con desiderio, essa rimane casta, ma lui ha già commesso adulterio. Rimane infatti vera e trasparente la parola del Signore al riguardo: «Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Mt 5, 28). Non è entrato nella stanza di lei, ma nel suo intimo già sfoga la sua passione. Così, chiunque si comporta male dinanzi a coloro ai quali è preposto, per quanto dipende da lui uccide anche i sani. Chi lo imita, muore; chi non lo imita continua a vivere. Ma per quanto sta in lui, uccide entrambi. E’ questo il rimprovero che fa il Signore: «Ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il mio gregge» (Ez 34, 3).

LODILettura Breve Rm 8, 18-21
Io ritengo, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi. La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità — non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa — e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio.

VESPRI

Lettura breve Cfr. Col 1, 23
Rimanete fondati e fermi nella fede e non vi lasciate allontanare dalla speranza promessa nel Vangelo che avete ascoltato, il quale è stato annunziato ad ogni creatura sotto il cielo.

Sant’Agostino: Sublimità del sacrificio di Cristo, sacerdote e vittima. (San Paolo, molte citazioni, note)

come scrivo nei testi di Agostino tratti dalla liturgia delle ore direi: come sempre sant’Agostino; in questo discorso San Paolo – appunto come sempre – si trova profondamente nel pensiero del santo, dal sito:

http://www.sant-agostino.it/italiano/discorsi/index2.htm

SANT’AGOSTINO

DISCORSO 228/B

NEL GIORNO DI PASQUA SUI SACRAMENTI

Sublimità del sacrificio di Cristo, sacerdote e vittima.

1. Rinati ormai dall’acqua e dallo Spirito, voi vedete sotto una luce nuova e percepite con novella pietà questo cibo e questa bevanda che sono sulla mensa del Signore. L’impegno di questo discorso e la premura con cui vi abbiamo partorito perché in voi sia formato il Cristo 1 ci spinge a mettere in evidenza alla vostra infanzia il significato di questo sacramento così grande e divino, di questa medicina così splendida e nobile, di questo sacrificio così sublime e accessibile. Questo sacrificio ormai non viene più immolato nella sola città terrena di Gerusalemme, non in quel tabernacolo che costruì Mosè o in quel tempio che costruì Salomone (questi erano l’ombra dei beni futuri 2) ma, com’era stato predetto dai Profeti, viene immolato dall’Oriente fino all’Occidente 3, e offerto a Dio quale vittima di lode secondo la grazia del Nuovo Testamento. Non più tra mandrie di animali si sceglie la vittima da uccidere; non più pecore o capri vengon menati ai sacri altari; ormai il sacrificio dei nostri tempi è il corpo e il sangue del Sacerdote stesso. E già da tanto tempo nei suoi riguardi era stato profetizzato nei Salmi: Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech 4. E come Melchisedech, sacerdote del Dio altissimo, abbia offerto pane e vino quando benedisse il nostro padre Abramo, lo leggiamo e lo sappiamo dal libro della Genesi 5.Presenza reale del corpo e del sangue di Cristo.

2. Cristo Signore nostro dunque, che nel patire offri per noi quel che nel nascere aveva preso da noi, divenuto in eterno il più grande dei sacerdoti, dispose che si offrisse il sacrificio che voi vedete, cioè il suo corpo e il suo sangue. Infatti il suo corpo, squarciato dalla lancia, effuse acqua e sangue, con cui rimise i nostri peccati. Ricordando questa grazia, operando la vostra salute (che poi è Dio che la opera in voi 6), con timore e tremore accostatevi a partecipare di quest’altare. Riconoscete nel pane quello stesso [corpo] che pendette sulla croce, e nel calice quello stesso [sangue] che sgorgò dal suo fianco. Anche gli antichi sacrifici del popolo di Dio, nella loro molteplice varietà, prefiguravano quest’unico sacrificio che doveva venire. E Cristo è nel medesimo tempo la pecora, per l’innocenza della sua anima pura, e il capro, per la sua carne somigliante a quella del peccato 7. E qualsiasi altra cosa che in molte e diverse maniere sia prefigurata nei sacrifici dell’Antico Testamento si riferisce soltanto a questo [sacrificio] che è stato rivelato nel Nuovo Testamento.Con l’eucarestia diventiamo corpo di Cristo.

3. Prendete dunque e mangiate il corpo di Cristo, ora che anche voi siete diventati membra di Cristo nel corpo di Cristo; prendete e abbeveratevi col sangue di Cristo. Per non distaccarvi, mangiate quel che vi unisce; per non considerarvi da poco, bevete il vostro prezzo. Come questo, quando ne mangiate e bevete, si trasforma in voi, così anche voi vi trasformate nel corpo di Cristo, se vivete obbedienti e devoti. Egli infatti, già vicino alla sua passione, facendo la Pasqua con i suoi discepoli, preso il pane, lo benedisse dicendo: Questo è il mio corpo che sarà dato per voi 8. Allo stesso modo, dopo averlo benedetto, diede il calice, dicendo: Questo è il mio sangue della nuova alleanza, che sarà versato per molti in remissione dei peccati 9. Questo già voi lo leggevate o lo ascoltavate dal Vangelo, ma non sapevate che questa Eucarestia è il Figlio stesso; ma adesso, col cuore purificato in una coscienza senza macchia e col corpo lavato con acqua monda 10, avvicinatevi a lui e sarete illuminati, e i vostri volti non arrossiranno 11. Perché se voi ricevete degnamente questa cosa che appartiene a quella nuova alleanza mediante la quale sperate l’eterna eredità, osservando il comandamento nuovo di amarvi scambievolmente 12, avrete in voi la vita. Vi cibate infatti di quella carne di cui la Vita stessa dichiara: Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo 13, e ancora: Se uno non mangia la mia carne e non beve il mio sangue, non avrà la vita in se stesso 14.L’eucarestia segno di unità.

4. Se dunque avrete in lui la vita, sarete con lui in una sola carne. Non è infatti che questo sacramento dia il corpo di Cristo per poi lasciarvene separati. E l’Apostolo ricorda che questo era già stato predetto nella santa Scrittura: I due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande, soggiunge, lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa 15. E in un altro passo, riguardo a questa medesima Eucarestia, dice: Uno solo è il pane, e noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo 16. Voi quindi cominciate a ricevere quel che già avete cominciato ad essere, purché non lo riceviate indegnamente, mangiando e bevendo la vostra condanna. Così infatti soggiunge: Chiunque mangia il pane o beve il calice del Signore indegnamente sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno perciò esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve indegnamente mangia e beve la propria condanna 17.Riceve degnamente chi conserva l’unità della fede e della carità.

5. E voi lo ricevete degnamente se vi terrete lontani dal fermento delle cattive dottrine, in modo che siate azzimi di sincerità e di verità 18; e se terrete caro quel fermento di carità che una donna ha nascosto in tre staia di farina, finché tutto sia fermentato 19. Questa donna è la Sapienza di Dio che, per mezzo della Vergine, si è fatta presente nella carne mortale; essa in tutto il mondo intero, che dopo il diluvio ha riparato attraverso i tre figli di Noè, va seminando il suo Vangelo come in tre staia di farina, finché tutto sia fermentato. Questo tutto in greco si dice olon; e voi, custodendo il vincolo della pace, sarete secondo questo tutto; il che si dice catholon, e da questo viene il nome di « cattolico ».

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1 – Cf. Gal 4, 18-19.

2 – Cf. Col 2, 17; Eb 10, 1.

3 – Ml 1, 11; cf. Sal 112, 3.

4 – Sal 109, 4.

5 – Cf. Gn 14, 18 s.

6 – Cf. Fil 2, 12-13.

7 – Cf. Rm 8, 3.

8 – 1 Cor 11, 24.

9 – Mt 26, 28.

10 – Cf. Eb 10, 22.

11 – Sal 33, 6.

12 – Cf. Gv 13, 34.

13 – Gv 6, 51.

14 – Gv 6, 53.

15 – Ef 5, 31-32.

16 – 1 Cor 10, 17.

17 – 1 Cor 11, 27-29.

18 – Cf. 1 Cor 5, 8.

19 – Cf. Lc 13, 21.

XXIV SETT. T.O. – LITURGIA DEL GIORNO – 17 SETTEMBRE 2008

17 settembre 2008

MESSA DEL GIORNO

1Cor 12,31-13,13
Fratelli, aspirate ai carismi più grandi. E io vi mostrerò una via migliore di tutte. Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova. La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!

UFFICIO DELLE LETTURE

il « Discorso ai Pastori » era incominciato domenica 14, solamente nella seconda lettura dell’Ufficio delle letture ci sono state le letture delle feste, per chi vuole leggere l’intero « Discorso ai Pastoria di Sant’Agostino po andare al sito di Sant’Agostino:

http://www.sant-agostino.it/italiano/index.htm

andare a Discorsi, lo metto io:

http://www.sant-agostino.it/italiano/discorsi/index2.htm

e poi cercare il discorso 46;

SECONDA LETTURA

Dal
«Discorso sui pastori» di santAgostino, vescovo

(Disc. 46,6-7; CCL 41,533-534)

Ciascuno cerchi non i propri interessi, ma quelli di Gesù Cristo
Poich
é abbiamo spiegato che cosa significhi «prendere il latte», cerchiamo di capire che cosa voglia dire «vestirsi di lana». Chi dà il latte offre il cibo, chi dà la lana offre l’onore. Questi sono i due beni che chiedono ai fedeli quei pastori che pensano a pascere se stessi e non il gregge: di provvedere alle loro necessità e di ricevere onore e lode. E in verità ben si comprende come il vestito stia a significare l’onore, per il fatto che copre la nudità. Ogni uomo infatti è fragile. E colui che vi governa non è certo diverso da voi. Anchegli ha un corpo, è mortale, mangia, dorme, si alza: è nato ed un giorno dovrà morire. Pertanto se consideri che cosa egli sia in se stesso, vedi che è un semplice uomo. Ma quando tu l’onori grandemente, ricopri, per così dire, ciò che in lui v’è di fragile. Vedete come lo stesso Paolo aveva ricevuto dal buon popolo di Dio un indumento di tal genere, quando diceva: «Mi avete accolto come un’angelo di Dio. Vi rendo testimonianza che, se fosse stato possibile, vi sareste cavati anche gli occhi per darmeli» (Gal 4,14.15). Ma, benché gli fosse stato tributato un onore così grande, risparmiò forse i peccati degli erranti, per timore che gli venisse tolto quell’onore e gli fosse diminuita la lode per i rimproveri che loro faceva? Se avesse agito così, si sarebbe messo tra coloro che pascono se stessi e non il loro gregge. Avrebbe pertanto detto fra sé: Che m’importa? Ciascuno faccia quel che vuole: il mio vitto è assicurato, il mio onore è salvo. Ho latte, lana e mi basta. Ognuno vada pure dove vuole. Ma davvero credi di essere a posto se ognuno va dove gli pare? Se così pensi, ti sbagli. Per dimostrartelo permettimi solo di prescindere dalla tua dignità e pensarti come fossi un semplice fedele. E allora non dovresti ricordare che «se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme»? (1Cor 12,26). Perciò l’Apostolo stesso, ricordando come si erano comportati verso di lui, per non sembrare dimentico dell’onore che gli avevano reso, attesta di essere stato accolto da loro come un angelo di Dio e che, se fosse stato possibile, si sarebbero tolti anche gli occhi per darglieli. Ma tuttavia si avvicina alla pecora malata, alla pecora infetta per incidere la ferita, non risparmiando l’infezione. «Sono dunque», soggiunge infatti, «sono diventato vostro nemico dicendovi la verità?» (Gal 4,16). Egli prese bensì il latte delle pecore, come abbiamo ricordato poco fa, si rivesti della lana delle pecore, ma non trascurò le sue pecore. Perché egli non cercava i suoi interessi, ma quelli di Gesù Cristo.

XXIV SETT. T.O. LITURGIA DEL GIORNO 13 SETTEMBRE – SAN GIOVANNI CRISOSTOMO (m)

XXIV SETT. T.O. LITURGIA DEL GIORNO 13 SETTEMBRE - SAN GIOVANNI CRISOSTOMO (m) dans LETTURE DI SAN PAOLO NELLA LITURGIA DEL GIORNO ♥♥♥

 

13 SETTEMBRE 2008

SAN GIOVANNI CRISOSTOMO (m)

Vescovo e Dottore della Chiesa

moltissimi sono i « commenti » di San Giovanni Crisostomo a San Paolo, metto anche la biografia tratta da:

 

http://www.santiebeati.it/dettaglio/24400

Antiochia, 350? – 14 settembre 407

Educato dalla madre, S. Antusa, Giovanni (nato ad Antiochia, probabilmente nel 349) negli anni giovanili condusse vita monastica in casa propria. Poi, mortagli la madre, si recò nel deserto e vi rimase per sei anni, dei quali gli ultimi due li trascorse in solitario ritiro dentro una caverna, a scapito della salute fisica. Chiamato in città e ordinato diacono, dedicò cinque anni alla preparazione al sacerdozio e al ministero della predicazione. Ordinato sacerdote dal vescovo Fabiano, ne diventò zelante collaboratore nel governo della chiesa antiochena. La specializzazione pastorale di Giovanni era la predicazione, in cui eccelleva per doti oratorie e per la sua profonda cultura. Pastore e moralista, si mostrava ansioso di trasformare il comportamento pratico dei suoi uditori, più che soffermarsi sulla esposizione ragionata del messaggio cristiano. Nel 398 Giovanni di Antiochia – il soprannome di Crisostomo, cioè, Bocca d’oro, gli venne dato tre secoli dopo dai bizantini – fu chiamato a succedere al patriarca Nettario sulla prestigiosa cattedra di Costantinopoli. Nella capitale dell’impero d’Oriente Giovanni esplicò subito un’attività pastorale e organizzativa che suscita ammirazione e perplessità: evangelizzazione delle campagne, creazione di ospedali, processioni anti-ariane sotto la protezione della polizia imperiale, sermoni di fuoco con cui fustigava vizi e tiepidezze, severi richiami ai monaci indolenti e agli ecclesiastici troppo sensibili al richiamo della ricchezza. I sermoni di Giovanni duravano oltre un paio d’ore, ma il dotto patriarca sapeva usare con consumata perizia tutti i registri della retorica, non certo per vellicare l’udito dei suoi ascoltatori, ma per ammaestrare, correggere, redarguire. Predicatore insuperabile, Giovanni mancava di diplomazia per cautelarsi contro gli intrighi della corte bizantina. Deposto illegalmente da un gruppo di vescovi capeggiati da quello di Alessandria, Teofilo, ed esiliato con la complicità dell’imperatrice Eudossia, venne richiamato quasi subito dall’imperatore Arcadio, colpito da varie disgrazie avvenute a palazzo. Ma due mesi dopo Giovanni era di nuovo esiliato, dapprima sulla frontiera dell’Armenia, poi più lontano, sulle rive del Mar Nero. Durante quest’ultimo trasferimento, il 14 settembre 407, Giovanni morì. Dal sepolcro di Comana, il figlio di Arcadio, Teodosio il Giovane, fece trasferire i resti mortali del santo a Costantinopoli, dove giunsero la notte del 27 gennaio 438, tra una folla osannante. Dei numerosi scritti del santo ricordiamo il volumetto « Sul sacerdozio », un classico della spiritualità sacerdotale.
Autore: Piero Bargellini

MESSA DEL GIORNO

1Cor 10,14-22 Miei cari, fuggite l’idolatria. Parlo come a persone intelligenti; giudicate voi stessi quello che dico: il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane. Guardate Israele secondo la carne: quelli che mangiano le vittime sacrificali non sono forse in comunione con l’altare? Che cosa dunque intendo dire? Che la carne immolata agli idoli è qualche cosa? O che un idolo è qualche cosa? No, ma dico che i sacrifici dei pagani sono fatti a demoni e non a Dio. Ora, io non voglio che voi entriate in comunione con i demoni; non potete bere il calice del Signore e il calice dei demoni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demoni. O vogliamo provocare la gelosia del Signore? Siamo forse più forti di lui?

UFFICIO DELLE LETTURE

PRIMA LETTURA

Dalla lettera a Tito di san Paolo, apostolo 1,7-11; 2,1-8
Carissimo, il vescovo, come amministratore di Dio, dev’essere irreprensibile: non arrogante, non iracondo, non dedito al vino, non violento, non avido di guadagno disonesto, ma ospitale, amante del bene, assennato, giusto, pio, padrone di sé, attaccato alla dottrina sicura, secondo l’insegnamento trasmesso, perché sia in grado di esortare con la sua sana dottrina e di confutare coloro che contraddicono. Vi sono infatti, soprattutto fra quelli che provengono dalla circoncisione, molti spiriti insubordinati, chiacchieroni e ingannatori della gente. A questi tali bisogna chiudere la bocca, perché mettono in scompiglio intere famiglie, insegnando per amore di un guadagno disonesto cose che non si devono insegnare. Tu però insegna ciò che è secondo la sana dottrina: vecchi siano sobri, dignitosi, assennati, saldi nella fede, nell’amore e nella pazienza. Ugualmente le donne anziane si comportino in maniera degna dei credenti; non siano maldicenti né schiave di molto vino; sappiano piuttosto insegnare il bene, per formare le giovani all’amore del marito e dei figli, ad essere prudenti, caste, dedite alla famiglia, buone, sottomesse ai propri mariti, perché la parola di Dio non debba diventare oggetto di biasimo. Esorta ancora i più giovani a essere assennati, offrendo te stesso come esempio in tutto di buona condotta, con purezza di dottrina, dignità, linguaggio sano e irreprensibile, perché il nostro avversario resti confuso, non avendo nulla di male da dire sul conto nostro.

RESPONSORIO Cfr. At 20,28; 1Cor 4,2

R. Vegliate sul gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posto come vescovi, * per guidare la Chiesa di Dio, acquistata nel sangue del suo Figlio.
V. A chi amministra, si chiede di essere fedele,
R. per guidare la Chiesa di Dio, acquistata nel sangue del suo Figlio.

SECONDA LETTURA

Dalle «Omelie» di san Giovanni Crisostomo, vescovo

(Prima dell’esilio, nn. 1-3; PG 52,427*-430)
Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno

Molti marosi e minacciose tempeste ci sovrastano, ma non abbiamo paura di essere sommersi, perché siamo fondati sulla roccia. Infuri pure il mare, non potrà sgretolare la roccia. S’innalzino pure le onde, non potranno affondare la navicella di Gesù. Cosa, dunque, dovremmo temere? La morte? «Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno» (Fil 1,21). Allora l’esilio? «Del Signore è la terra e quanto contiene» (Sal 23,1). La confisca de beni? «Non abbiamo portato nulla in questo mondo e nulla possiamo portarne via» (1Tm 6,7). Disprezzo le potenze di questo mondo e i suoi beni mi fanno ridere. Non temo la povertà, non bramo ricchezze non temo la morte, né desidero vivere, se non per il vostro bene. È per questo motivo che ricordo le vicende attuali e vi prego di non perdere la fiducia. Non senti il Signore che dice: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro»? (Mt 18,20). E non sarà presente là dove si trova un popolo così numeroso, unito dai vincoli della carità? Mi appoggio forse sulle mie forze? No, perché ho il suo pegno, ho con me la sua parola: questa è il mio bastone, la mia sicurezza, il mio porto tranquillo. Anche se tutto il mondo è sconvolto, ho tra le mani la sua Scrittura, leggo la sua parola. Essa è la mia sicurezza e la mia difesa. Egli dice: «lo sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Cristo è con me, di chi avrò paura? Anche se si alzano contro di me i cavalloni di tutti i mari o il furore dei principi, tutto questo per me vale di meno di semplici ragnatele. Se la vostra carità non mi avesse trattenuto, non avrei indugiato un istante a partire per altra destinazione oggi stesso. Ripeto sempre: «Signore, sia fatta la tua volontà» (Mt 26,42). Farò quello che vuoi tu, non quello che vuole il tale o il tal altro. Questa è la mia torre, questa la pietra inamovibile, il bastone del mio sicuro appoggio. Se Dio vuole questo, bene! Se vuole ch’io rimanga, lo ringrazio. Dovunque mi vorrà, gli rendo grazie. Dove sono io, là ci siete anche voi. Dove siete voi, ci sono anch’io. Noi siamo un solo corpo e non si separa il capo dal corpo, né il corpo dal capo. Anche se siamo distanti, siamo uniti dalla carità; anzi neppure la morte ci può separare. Il corpo morrà, l’anima tuttavia vivrà e si ricorderà del popolo. Voi siete i miei concittadini, i miei genitori, i miei fratelli, i miei figli, le mie membra, il mio corpo, la mia luce, più amabile della luce del giorno. Il raggio solare può recarmi qualcosa di più giocondo della vostra carità? Il raggio mi è utile nella vita presente, ma la vostra carità mi intreccia la corona per la vita futura.

RESPONSORIO 2Tm 2,9-10; Sal 26,1

R. A causa del Vangelo io soffro fino a portare le catene come un malfattore; ma la parola di Dio non è incatenata! * Perciò sopporto ogni cosa per gli eletti.
V. Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò paura?
R. Perciò sopporto ogni cosa per gli eletti.

A SANT’AGOSTINO IL 28 AGOSTO – IL CANTO CON LE PAROLE DEL SANTO MI È RIMASTO DENTRO ED ANCORA OGGI LO CANTO QUASI SENZA ACCORGERMENE

 

Vi vorrei raccontare, perchè le emozioni della vita raggiungono anche i lavori che si fanno, ed alcune emozioni stanno, in un certo senso, raggiungendo anche questo…lavoretto…sul Blog, su San Paolo;

Le celebrazioni per Santa Monica e Sant’Agostino – memoria entrambe per la liturgia, rispettivamente festa e solennità per gli agostiniani – nella Chiesa di Sant’Agostino sono state bellissime, io ci vado…almeno… da vent’anni e sono sempre più belle e commoventi;

la Chiesa era pienissima per Santa Monica ed era straboccante di fedeli per Sant’Agostino, sicuramente non tutti agostiniani, ne’ tutti della parrocchia, perché la Chiesa è parrocchia; mi soffermo sulla clebrazione per la solennità di Sant’Agostino;

non c’è molto da dire dal punto di vista del racconto, sapete come è la celebrazione di una solennità, quello che è, in un certo modo, differente, è che per Sant’Agostino tutta l’assemblea si commuove veramente, come per uno che veramente e materialmente hai conosciuto ed amato;

i Padri agostiniani hanno composto – qualcuno di loro non so chi – oramai da molti anni perché io lo ricordo da sempre, da quando ci vado, un canto sulle parole di Sant’Agostino, buona parte tratte dal libro X, capitolo VII con l’aggiunta di passi tratti da altri libri; è un canto semplice, le parole di Sant’Agostino;

avevamo cantato tutti gli altri canti con l’organo, per questo canto abbiamo seguito un cantore e cantato a cappella; istintivamente, forse portati dal cantore, agostiniano, abbiamo cantato più lentamente del normale, molto dolcemente, durante il canto, cantato da tutta la chiesa pienissima, si sentiva che quasi si spezzava la voce in gola per la commozione; è sempre stato così da quando ci vado, ed io non piango facilmente neppure ai funerali, era commozione di poter ripetere quelle parole, di cantare l’amore per Dio e la stessa commozione di Sant’Agostino; è qualche cosa di indescrivibile;

queste parole, ancora oggi che è il 4 settembre, continuano a rimanermi nella mente e nel cuore e mi verrebbe di cantarle ad alta voce, comincio a cantare dentro di me senza accorgermene;

per questo Blog su San Paolo, non dico che cambia qualcosa, però mi viene in mente che, forse senza ben rendermene ben conto, sto prendendo almeno in parte la direzione dell’ interpretazione di San Paolo di Sant’Agostino, c’è in loro una comunanza di fede, nella conversione, nella passione, nell’amore; io qualche volta scegliendo dei testi, letture, interpretazioni, commenti su San Paolo, sto come rifiutando ciò che è troppo, come posso dire, arido: esegesi senza teologia per esempio, anche i migliori biblisti fanno un po’ di teologia biblica dopo l’esegesi, alcuni no, ed io non li scelgo; quello che posso fare, nel mare di documenti di tutti i generi su San Paolo è di scegliere, sì, gli autori più autorevoli, ma anche, di proporre quelli che, anche senza dirlo esplicitamente, amano San Paolo;

scrivo il testo del capitolo XXVII del libro X delle Confessioni, dal quale è preso quasi tutto il canto, copio dal libro che ho a casa, forse la traduzione in italiano moderno è stata migliorata nel tempo, ma io ho anche il testo latino e corrisponde perfettamente:

« Tardi ti ho amato, o bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato! Ecco, tu eri dentro me, io stavo a l di fuori, e qui ti cercavo, e deforme quale ero, mi buttavo su queste cose belle che tu hai creato. Tu eri meco, ed io non ero teco, tenuto lontano da Te proprio da quelle creature che non esisterebbero se non fossero in te. Mi chiamasti, gridasti, e vincesti la mia sordità; folgorasti il tuo splendore e mettesti in fuga la mia cecità; esalasti il tuo porfumo, lo aspirai ed anelo a te; ti degustai (gustavi in latino, esattamente), ed ora ho fame e sete; mi toccasti, ed ora brucio di desiderio per la tua pace. »

metto la categoria Sant’Agostino in maiuscolo e metto il link al sito di Sant’Agostino, c’è l’ « opera omnia »;

Sant’Ambrogio sulla preghiera (riferimento 1Tm 2,8)

stammattina avevo desiderio di leggere qualcosa di più, così sono andata avanti nella lettura della Liturgia delle ore e, un po’ a caso, mi sono fermata alla XVII settimana del tempo ordinario, lunedì, ed ho trovato questa bella lettura di Sant’Ambrogio sulla preghiera, c’è un solo riferimento a San Paolo ma mi sembra molto bello (1Tm 2,8):

Seconda Lettura
Dal trattato «Caino e Abele» di sant’Ambrogio, vescovo
(Lib. 1, 9. 34. 38-39; CSEL 32, 369. 371-372)

Si deve pregare in modo speciale per tutto il corpo della Chiesa
«Offri a Dio un sacrificio di lode e sciogli all’Altissimo i tuoi voti» (Sal 49, 14). Chi promette a Dio e mantiene quello che gli ha promesso, lo loda. Perciò viene privilegiato sugli altri quel samaritano il quale, mondato dalla lebbra per comando del Signore insieme agli altri nove, ritorna a Cristo da solo, magnifica Dio e lo ringrazia. Di esso Gesù affermò: «Non si è trovato chi tornasse a rendere gloria a Dio all’infuori di questo straniero? E gli disse: Alzati e và, la tua fede ti ha salvato!» (Lc 17, 18-19).
Il Signore Gesù ti ha fatto conoscere in modo divino la bontà del Padre che sa concedere cose buone, perché anche tu chieda a lui, che è buono, ciò che è buono. Ha raccomandato di pregare intensamente e frequentemente, non perché la nostra preghiera si prolunghi fino al tedio, ma piuttosto ritorni a scadenze brevi e regolari. Infatti la preghiera troppo prolissa spesso diventa meccanica e d’altra parte l’eccessivo distanziamento porta alla
negligenza.
Quando domandi perdono per te, allora è proprio quello il momento di ricordarti che devi concederlo agli altri. Così l’opera sarà una commendatizia alla tua preghiera. Anche l’Apostolo insegna che si deve pregare senza ira e senza contese perché la preghiera non venga turbata e falsata. Insegna anche che si deve pregare in ogni luogo (cfr. 1 Tm 2, 8), laddove il Salvatore dice: «Entra nella tua camera» (Mt 6, 6). Intendi non una camera delimitata da pareti dove venga chiusa la tua persona, ma la cella che è dentro di te dove sono racchiusi i tuoi pensieri, dove risiedono i tuoi sentimenti. Questa camera della tua preghiera è con te dappertutto, è segreta dovunque ti rechi, e in essa non c’è altro giudice se non Dio solo.
Ti si insegna ancora che si deve pregare in maniera tutta speciale per il popolo, cioè per tutto il corpo, per tutte le membra della tua madre: sta in questo il segno della carità vicendevole. Se, infatti, preghi per te, pregherai soltanto per il tuo interesse. E se i singoli pregano soltanto per se stessi, la grazia è solo in proporzione della preghiera di ognuno, secondo la sua maggiore o minore dignità. Se invece i singoli pregano per tutti, tutti pregano per i singoli e il vantaggio è maggiore. Dunque, per concludere, se preghi soltanto per te, pregherai per te, ma da solo, come abbiamo detto. Se invece preghi per tutti, tutti pregheranno per te. Perché nella totalità ci sei anche tu. La ricompensa è maggiore perché le preghiere dei singoli messe insieme ottengono a ognuno quanto chiede tutto intero il popolo. In questo non vi è alcuna presunzione, ma maggiore umiltà e frutto più abbondante.

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