Archive pour la catégorie 'PADRI DELLA CHIESA, SCRITTORI ECCLESIASTICI E DOTTORI'

MARTEDÌ 30 SETTEMBRE 2008 – San Girolamo (m)

MARTEDÌ 30 SETTEMBRE 2008

SAN GIROLAMO (m)

 

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla lettera ai Filippesi di san Paolo, apostolo 1, 27 – 2, 11

Esortazione ad imitare il Cristo
Fratelli, comportatevi da cittadini degni del vangelo, perché nel caso che io venga e vi veda o che di lontano senta parlare di voi, sappia che state saldi in un solo spirito e che combattete unanimi per la fede del vangelo, senza lasciarvi intimidire in nulla dagli avversari. Questo è per loro un presagio di perdizione, per voi invece di salvezza, e ciò da parte di Dio; perché a voi è stata concessa la grazia non solo di credere in Cristo; ma anche di soffrire per lui, sostenendo la stessa lotta che mi avete veduto sostenere e che ora sentite dire che io sostengo. Se c’è pertanto qualche consolazione in Cristo, se c’è conforto derivante dalla carità, se c’è qualche comunanza di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con l’unione dei vostri spiriti, con la stessa carità, con i medesimi sentimenti. Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso, senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri.
Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù,
il quale, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso
la sua uguaglianza con Dio;
ma spogliò se stesso,
assumendo la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini;
apparso in forma umana,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e alla morte di croce.
Per questo Dio l’ha esaltato
e gli ha dato il nome
che è al di sopra di ogni altro nome;
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi (Is 45, 24)
nei cieli, sulla terra e sotto terra;
e ogni lingua proclami
che Gesù Cristo è il Signore (1 Cor 8, 6),
a gloria di Dio Padre.
Seconda Lettura
Dal «Prologo al commento del Profeta Isaia» di san Girolamo, sacerdote
(Nn. 1. 2; CCL 73, 1-3)

L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo
Adempio al mio dovere, ubbidendo al comando di Cristo: «Scrutate le Scritture» (Gv 5, 39), e: «Cercate e troverete» (Mt 7, 7), per non sentirmi dire come ai Giudei: «Voi vi ingannate, non conoscendo né le Scritture, né la potenza di Dio» (Mt 22, 29). Se, infatti, al dire dell’apostolo Paolo, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio, colui che non conosce le Scritture, non conosce la potenza di Dio, né la sua sapienza. Ignorare le Scritture significa ignorare Cristo. Perciò voglio imitare il padre di famiglia, che dal suo tesoro sa trarre cose nuove e vecchie, e così anche la Sposa, che nel Cantico dei Cantici dice: O mio diletto, ho serbato per te il nuovo e il vecchio (cfr. Ct 7, 14 volg.). Intendo perciò esporre il profeta Isaia in modo da presentarlo non solo come profeta, ma anche come evangelista e apostolo. Egli infatti ha detto anche di sé quello che dice degli altri evangelisti: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi, che annunzia la pace» (Is 52, 7). E Dio rivolge a lui, come a un apostolo, la domanda: Chi manderò, e chi andrà da questo popolo? Ed egli risponde: Eccomi, manda me (cfr. Is 6, 8). Ma nessuno creda che io voglia esaurire in poche parole l’argomento di questo libro della Scrittura che contiene tutti i misteri del Signore. Effettivamente nel libro di Isaia troviamo che il Signore viene predetto come l’Emmanuele nato dalla Vergine, come autore di miracoli e di segni grandiosi, come morto e sepolto, risorto dagli inferi e salvatore di tutte le genti. Che dirò della sua dottrina sulla fisica, sull’etica e sulla logica? Tutto ciò che riguarda le Sacre Scritture, tutto ciò che la lingua può esprimere e l’intelligenza dei mortali può comprendere, si trova racchiuso in questo volume. Della profondità di tali misteri dà testimonianza lo stesso autore quando scrive: «Per voi ogni visione sarà come le parole di un libro sigillato: si dà a uno che sappia leggere, dicendogli: Leggilo. Ma quegli risponde: Non posso, perché è sigillato. Oppure si dà il libro a chi non sa leggere, dicendogli: Leggi, ma quegli risponde: Non so leggere» (Is 29, 11-12). (Si tratta dunque di misteri che, come tali, restano chiusi e incomprensibili ai profani, ma aperti e chiari ai profeti. Se perciò dai il libro di Isaia ai pagani, ignari dei libri ispirati, ti diranno: Non so leggerlo, perché non ho imparato a leggere i testi delle Scritture. I profeti però sapevano quello che dicevano e lo comprendevano). Leggiamo infatti in san Paolo: «Le ispirazioni dei profeti devono essere sottomesse ai profeti» (1 Cor 14, 32), perché sia in loro facoltà di tacere o di parlare secondo l’occorrenza. I profeti, dunque, comprendevano quello che dicevano, per questo tutte le loro parole sono piene di sapienza e di ragionevolezza. Alle loro orecchie non arrivavano soltanto le vibrazioni della voce, ma la stessa parola di Dio che parlava nel loro animo. Lo afferma qualcuno di loro con espressioni come queste: L’angelo parlava in me (cfr. Zc 1, 9), e: (lo Spirito) «grida nei nostri cuori: Abbà, Padre» (Gal 4, 6), e ancora: «Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore» (Sal 84, 9).

VENERDÌ 26 SETTEMBRE 2008 – XXVI SETTIMANA DEL T.O.

VENERDÌ 26 SETTEMBRE 2008 – XXVI SETTIMANA DEL T.O.

SS. COSMA E DAMIANO (mf)

UFFICIO DELLE LETTURE

questa è la lettura di oggi tratta dal T.O., la lettura dell’Ufficio per la memoria facoltativa è tratta sempre da Sant’Agostino, non ci sono riferimenti a San Paolo;

Seconda Lettura
Dal «Discorso sui pastori» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 46, 29-30; CCL 41, 555-557)

I buoni pastori nell’unico Pastore
Cristo ti pasce come è giusto, con giudizio, e distingue le sue pecore da quelle non sue. Le mie pecore, egli dice, ascoltano la mia voce e mi seguono (cfr. Gv 10, 27). Qui trovo tutti i buoni pastori come concretizzati nell’unico Pastore. Non mancano infatti i buoni pastori, ma tutti si trovano impersonati in uno solo. Sarebbero molti, se fossero divisi, ma qui si dice che è uno solo, perché viene raccomandata l’unità. Per questo solo motivo ora non si parla di pastori, ma dell’unico Pastore, non perché il Signore non trovi uno al quale affidare le sue pecore. Un tempo le affidò, perché trovò Pietro. Anzi proprio nello stesso Pietro ha raccomandato l’unità. Molti erano gli apostoli, ma ad uno solo disse: «Pasci le mie pecorelle» (Gv 21, 17). Dio voglia che non manchino ai nostri giorni i buoni pastori; Dio non permetta che ne rimaniamo privi; la sua misericordia bontà li faccia germogliare e li costituisca a capo delle chiese. Certo, se vi sono delle buone pecore, vi saranno anche buoni pastori; perché dalle buone pecore si formano i buoni pastori. Ma tutti i buoni pastori si identificano con la persona di uno solo, sono una sola cosa. In essi che pascolano, è Cristo che pascola. Gli amici infatti dello sposo non fanno risuonare la loro voce, ma esultano di gioia alla voce dello sposo. Perciò è lui stesso che pascola, quando essi pascolano, e dice: Sono io che pascolo, perché è in essi la sua voce, in essi il suo amore. Quando Cristo affidò le pecorelle a Pietro, certo gliele affidò come fa uno che le dà a un altro, distinto da sé. Tuttavia lo volle rendere una cosa sola con sé. Cristo capo affida le pecorelle a Pietro, come figura del corpo, cioè della Chiesa. In questa maniera si può affermare che Cristo e Pietro vennero a formare una cosa sola, come lo sposo e la sposa. Perciò per affidargli le pecore, non come ad altri che a sé, che cosa gli chiede prima? Pietro, mi ami? E rispose: Ti amo. E di nuovo: Mi ami? E rispose: Ti amo. E per la terza volta: Mi ami? E rispose: Ti amo (cfr. Gv 21, 15-17). Vuole renderne saldo l’amore per consolidarlo nell’unità con se stesso. Egli solo pertanto pascola nei pastori, ed essi pascolano in lui solo. Da una parte non si parla di pastori e nello stesso tempo vengono menzionati. Si gloriano i pastori, ma: «Chi si vanta, si vanti nel Signore» (2 Cor 10, 17). Questo vuol dire pascere Cristo, pascere per Cristo, pascere in Cristo, non pascere per sé al di fuori di Cristo. Non certo per mancanza di pastori. Quando Dio per bocca del profeta diceva: Pascolerò io stesso le mie pecorelle perché non trovo a chi affidarle, non intendeva preannunziare tempi tanto calamitosi da vederci privi di pastori. Infatti anche quando Pietro e gli stessi apostoli erano in questo corpo e in questa vita, egli, il solo che nella sua persona compendia tutti gli altri pastori, pronunziò parole consimili: «E ho altre pecore che non sono di questo ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore» (Gv 10, 16). Cristo dunque è lui solo che pasce il gregge, ma lo fa impersonandosi nei singoli pastori. Tutti dunque si trovino nell’unico pastore, ed esprimano l’unica voce del pastore. Le pecore ascoltino questa voce e seguano il loro pastore, e non questo o quell’altro, ma uno solo. E tutti in lui facciano sentire una sola voce, non abbiano voci diverse. «Vi esorto, fratelli, ad essere tutti unanimi nel parlare perché non vi siano divisioni tra voi» (1 Cor 1, 10). Questa voce, purificata da ogni divisione e da ogni eresia, ascoltino le pecore e seguano il loro pastore che dice: «Le mie pecore ascoltano la mia voce… ed esse mi seguono» (Gv 10, 27).

LODI

Lettura Breve Ef 4, 29-32
Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma piuttosto parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano. E non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, col quale foste segnati per il giorno della redenzione. Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.

VESPRI

Lettura breve Rm 15, 1-3
Noi che siamo i forti abbiamo il dovere di sopportare l’infermit
à
dei deboli, senza compiacere noi stessi. Ciascuno di noi cerchi di compiacere il prossimo nel bene, per edificarlo. Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso, ma come sta scritto: gli insulti di coloro che ti insultano sono caduti sopra di me (Sal 68, 10).

GIOVEDÌ 25 SETTEMBRE 2008 – XXV SETTIMANA DEL del T.O

GIOVEDÌ 25 SETTEMBRE 2008 – XXV SETTIMANA DEL del T.O

UFFICIO DELLE LETTURE

c’è ancora il discorso di Sant’Agostino « sui Pastori », in questo stralcio non ci sono riferimenti a San Paolo, ma tutto il « discorso » sembra fondato sull’Apostolo, come sempre

Seconda Lettura
Dal «Discorso sui pastori» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 46, 24-25. 27; CCL 41, 551-553)

In pascoli ubertosi pascolerò le mie pecore
«Le ritirerò dai popoli e le radunerò da tutte le regioni. Le ricondurrò nella loro terra e le farò pascolare sui monti di Israele» (Ez 34, 13). Per «monti di Israele» devono intendersi le pagine delle Sacre Scritture. Lì pascolate, se volete pascolare con sicurezza. Tutto quello che ascolterete da quella fonte, gustatelo con piacere; tutto quello invece che è al di fuori, rigettarlo. Per non andare errando nella nebbia, ascoltate la voce del pastore. Radunatevi sui monti delle Sacre Scritture. Ivi troverete le delizie del vostro cuore, ivi non c’è nulla di velenoso, nulla di dannoso: solo pascoli ubertosi. Venite solamente voi; pecore sane, venite; voi solo pascolate sui monti di Israele. «E lungo i ruscelli e in ogni luogo abitato del paese» (Ez 34, 13 volg.). Infatti dai monti, di cui abbiamo parlato, sono scaturiti i fiumi della predicazione evangelica quando per tutta la terra si è diffusa la loro voce (cfr. Sal 18, 5) ed ogni contrada della terra è diventata rigogliosa e fertile per pascervi le pecore. «Le condurrò in ottime pasture e il loro ovile sarà sui monti alti d’Israele: lì riposeranno in un buon ovile» (Ez 34, 14) cioè dove possano trovare riposo, dove possano dire: Si sta bene. Dove possano riconoscere: E’ vero, è chiaro, non ci inganniamo. Troveranno riposo nella gloria di Dio, come in casa propria: «E dormiranno», cioè riposeranno, in grandi delizie.
«E avranno rigogliosi pascoli sui monti di Israele» (Ez 34, 14). Ho già parlato di questi monti di Israele, monti floridi, verso i quali leviamo gli sguardi perché di là ci venga l’aiuto. Ma il nostro aiuto ci viene dal Signore, «che ha fatto il cielo e la terra» (Sal 123, 8). Infatti perché la nostra speranza non si arrestasse ai monti floridi, dopo aver detto: «Pascolerò le mie pecore sui monti di Israele», soggiunse subito: «Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo» (Ez 34, 15). Leva pure il tuo sguardo verso i monti, donde verrà il tuo aiuto, ma non dimenticare chi dice: «Io le condurrò al pascolo». Perché l’aiuto ti viene dal Signore, che ha fatto il cielo e la terra. E conclude così: E le pascolerò come è giusto, con giudizio (cfr. Ez 34, 16). Considera come egli solo sappia pascolare il gregge, perché solo lui lo pascola come è giusto, con giudizio. Quale uomo infatti è in grado di giudicare un altro uomo? Il mondo è pieno di giudizi avventati. Colui del quale dovremmo disperare, ecco che all’improvviso si converte e diviene ottimo. Colui dal quale ci saremmo aspettati molto, ad un tratto si allontana dal bene e diventa pessimo. Né il nostro timore, né il nostro amore sono stabili e sicuri. Che cosa sia oggi ciascun uomo, a stento lo sa lo stesso uomo. Tuttavia fino a un certo punto egli sa che cosa è oggi, ma non già quello che sarà domani. Dio solo dunque pascola con giudizio, distribuendo a ciascuno il suo: a chi questo, a chi quello, secondo che gli è dovuto. Egli infatti sa quello che fa. Pascola con giudizio coloro che ha redento, lui che si è sottoposto a un giudizio umano. Dunque è lui solo che pascola con giudizio.

EAQ – 24 settembre S. Giovanni Crisostomo

Commento alle letture della messa del: 24 settembre ’08

http://www.levangileauquotidien.org/www/main.php?language=FR&ordo=&localTime=09/24/2008#

San Giovanni Crisostomo (circa 345-407), vescovo d’Antiochia poi di Costantinopoli, dottore della Chiesa

Omelie sulla prima lettera ai Corinzi (PG 61, 34-36)  « Con la bocca dei bimbi e dei lattanti » (Sal 8,3)

 La croce ha esercitato la sua forza di attrazione su tutta la terra e lo ha fatto non servendosi di mezzi umanamente imponenti, ma dell’apporto di uomini poco dotati. Il discorso della croce non è fatto di parole vuote, ma di Dio, della vera religione, dell’ideale evangelico nella sua genuinità, del giudizio futuro. Fu questa dottrina che cambiò gli illetterati in dotti. Dai mezzi usati da Dio si vede come « la stoltezza di Dio sia più saggia della sapienza degli uomini, e come la sua debolezza sia più forte della fortezza umana » (1 Cor 1, 25).  In che senso più forte ? Nel senso che la croce, nonostante gli uomini, si è affermata su tutto l’universo e ha attirato a sè tutti gli uomini. Molti hanno tentato di sopprimere il nome del Crocifisso, ma hanno ottenuto l’effetto contrario. Questo nome rifiorì sempre di più e si sviluppò con progresso crescente. I nemici invece sono periti e caduti in rovina. Erano vivi che facevano guerra a un morto, e ciononostante non l’hanno potuto vincere… I filosofi, i re e, per così dire, tutto il mondo che si perde in mille faccende, non possono nemmeno immaginare ciò che dei pubblicani e dei pescatori poterono fare con la grazia di Dio… Pensando a questo fatto, Paolo esclamava : « Ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini » (1 Cor 1, 25). Infatti come poteva venire in mente a dodici poveri uomini, e per di più ignoranti, che avevano passato la loro vita sui laghi e sui fiumi, di intraprendere una simile opera ?  

24 SETTEMBRE 2008 – liturgia

24 SETTEMBRE 2008

B.V.MARIA DELLA MERCEDE (memoria facoltativa)

 

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dal «Discorso sui pastori» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 46, 20-21; CCL 41, 564-548)

Fate quello che dicono, ma non fate quello che fanno
«Perciò, pastori, ascoltate la parola del Signore». Ma che cosa udite, o pastori? «Dice il Signore Dio: Eccomi contro i pastori: chiederò loro conto del mio gregge» (Ez 34, 9).
Udite e imparate, pecorelle di Dio. Ai pastori malvagi Dio chiede che rendano conto delle sue pecore e che rispondano della morte loro arrecata con le loro stesse mani. Dice altrove infatti per bocca dello stesso profeta: «O figlio dell’uomo, io ti ho costituito quale sentinella per gli Israeliti; ascolterai una parola dalla mia bocca e tu li avvertirai da parte mia. Se io dico all’empio: Empio, tu morrai, e tu non parli per distogliere l’empio dalla sua condotta, egli, l’empio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte chiederò conto a te. Ma se tu avrai ammonito l’empio della sua condotta perché si converta ed egli non si converte, egli morirà per la sua iniquità, tu invece sarai salvo» (Ez 33, 7-9). Che significa ciò, o fratelli? Vedete quanto è pericoloso tacere? Muore quell’empio e giustamente subisce la morte. Muore per la sua iniquità e per il suo peccato. E’ ucciso infatti dalla sua negligenza. Egli avrebbe potuto ben trovare il Pastore vivente che dice: «Io vivo, dice il Signore». Ma non lo ha fatto, anche perché non ammonito da chi era stato costituito capo e sentinella proprio a questo fine. Perciò giustamente morirà, ma anche chi ha trascurato di ammonirlo sarà giustamente condannato. Se invece, dice il Signore, avrai detto al malvagio, a cui io avevo minacciato la spada: «Morirai» e quegli avrà trascurato di evitare la spada incombente e la spada scenderà su di lui e l’ucciderà, egli morirà nel suo peccato, ma tu avrai liberato la tua anima. Perciò è nostro compito non tacere, ma a voi, anche se tacessimo, spetta ascoltare dalle Scritture le parole del Pastore. Vediamo dunque secondo quel che mi ero proposto, se mai egli liberi le pecore dai cattivi pastori per affidarle ai buoni pastori. Vedo infatti che libera le pecore dai cattivi pastori, quando dice: «Eccomi contro i pastori: chiederò loro conto del mio gregge e non li lascerò più pascolare il mio gregge, così i pastori non pasceranno più se stessi» (Ez 34, 10). Quando infatti dico: Pascolino il mio gregge, essi pascono se stessi e non il mio gregge. Lo toglierò loro perché non pascolino il mio gregge. In che modo lo toglie loro, perché essi non pascolino più il suo gregge? Dicendo: fate quello che dicono, ma non fate quello che fanno (cfr. Mt 23, 3). Come se dicesse: Proclamano la parola mia, ma fanno gli interessi loro. Quando non fate ciò che fanno i cattivi pastori, non sono essi che vi pascolano. Quando invece fate ciò che essi dicono, sono io che vi pascolo.

22 settembre 2008 – liturgia

22 settembre 2008

 

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dal «Discorso sui pastori» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 46, 14-15; CCL 41, 541-542)

Insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna
«E non avete riportato le disperse, non siete andati in cerca delle smarrite» (Ez 34, 4). Da questo momento ci troviamo come tra le mani di ladri e le zanne di lupi furiosi e per questi pericoli vi domandiamo preghiere. Per di più anche le pecore non sono docili. Se noi andiamo in cerca di loro quando si smarriscono, dicono, per loro errore e per loro rovina, che non ci appartengono. Perché ci desiderate, esse dicono, perché venite in cerca di noi? Come se il motivo per cui le desideriamo e le cerchiamo non sia proprio questo, proprio il fatto cioè che sono smarrite e si perdono. Se sono nell’errore, dicono, se sono vicino a morte, perché mi desideri? Perché mi cerchi? Rispondo: Perché sei nell`errore, voglio richiamarti; perché ti sei smarrito, voglio ritrovarti. Replicano: Voglio smarrirmi così, voglio perdermi così. Così vuoi smarrirti, così vuoi perderti? Ma io con tanta maggior forza non voglio questo. Te lo dico chiaramente: Voglio essere importuno. Poiché mi risuonano alla mente le parole dell’Apostolo che dice: «Annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna» (2 Tm 4, 2). Per chi a tempo opportuno e per chi a tempo non opportuno? Certamente a tempo opportuno, per chi vuole; a tempo inopportuno, per chi non vuole. Sono proprio importuno e oso dirtelo: Tu vuoi smarrirti, tu vuoi perderti, io invece non lo voglio. Alla fin fine non lo vuole colui che mi incute timore. Qualora io lo volessi, ecco che cosa mi direbbe, ecco quale rimprovero mi rivolgerebbe: «Non avete riportato le disperse, non siete andati in cerca delle smarrite». Devo forse avere più timore di te che di lui? «Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo» (2 Cor 5, 10). Riporterò quindi la pecora dispersa, andrò in cerca di quella smarrita; che tu voglia o no, lo farò. Anche se nella mia ricerca sarò lacerato dai rovi della selva, mi caccerò nei luoghi più stretti, cercherò per tutte le siepi, percorrerò ogni luogo, finché mi sosteranno quelle forze che il timore di Dio mi infonde. Riporterò la pecora dispersa, andrò in cerca di quella smarrita. Se non vuoi il fastidio di dovermi sopportare, non sperderti, non smarrirti: E’ troppo poco se io mi contento di affliggermi nel vederti smarrita o sperduta. Temo che, trascurando te, abbia ad uccidere anche chi è forte. Senti infatti che cosa viene dopo: E le pecore grasse le avete ammazzate (cfr. Ez 34, 3). Se trascurerò la pecora smarrita, la pecora che si perde, anche quella che è forte si sentirà trascinata ad andar vagando e a perdersi.

LODI

Lettura Breve 2 Ts 3, 10b-13
Chi non vuol lavorare neppure mangi. Sentiamo infatti che alcuni fra di voi vivono disordinatamente, senza far nulla e in continua agitazione. A questi tali ordiniamo, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, di mangiare il proprio pane lavorando in pace. Voi, fratelli, non lasciatevi scoraggiare nel fare il bene.

VESPRI

Lettura breve Col 1, 9b-11
Abbiate una piena conoscenza della volontà di Dio con ogni sapienza e intelligenza spirituale, perché possiate comportarvi in maniera degna del Signore, per piacergli in tutto, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio; rafforzandovi con ogni energia secondo la sua gloriosa potenza, per poter essere forti e pazienti in tutto.

XXV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO – domenica 21 settembre

XXV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

XXV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO - domenica 21 settembre dans LETTURE DI SAN PAOLO NELLA LITURGIA DEL GIORNO ♥♥♥

 

 

 http://santiebeati.it/ 

immagine della B.V. DELLA MERCEDE (memoria facoltiva mercoledì 24)

 

21 SETTEMBRE 2008 – DOMENICA

 

MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura Fil 1,20c-24.27a
Fratelli, Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia. Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa scegliere. Sono stretto infatti fra queste due cose: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; ma per voi è più necessario che io rimanga nel corpo. Comportatevi dunque in modo degno del vangelo di Cristo.

PRIMI VESPRI

Lettura breve Rm 11, 33-36
O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti, chi mai ha potuto conoscere il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo, sì che abbia a riceverne il contraccambio? (Is 40, 13; Ger 23, 18; Gb 41, 3). Poiché da lui, grazie a lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli. Amen.

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dal «Discorso sui pastori» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 46, 13; CCL 41, 539-540)

I cristiani deboli
Dice il Signore: «Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme» (Ez 34, 4). Parla ai cattivi pastori, ai falsi pastori, ai pastori che cercano i loro interessi, non quelli di Gesù Cristo, che sono molto solleciti dei proventi del loro ufficio, ma che non hanno affatto cura del gregge, e non rinfrancano chi è malato. Poiché si parla di malati e di infermi, anche se sembra trattarsi della stessa cosa, una differenza si potrebbe ammettere. Infatti, a considerare bene le parole in se stesse, malato è propriamente chi è già tocco dal male, mentre infermo è colui che non è fermo e quindi solo debole. Per chi è debole bisogna temere che la tentazione lo assalga e lo abbatta, Il malato invece è già affetto da qualche passione, e questa gli impedisce di entrare nella via di Dio, di sottomettersi al giogo di Cristo. Alcuni uomini, che vogliono vivere bene e hanno fatto già il proposito di vivere virtuosamente, hanno minore capacità di sopportare il male, che disponibilità a fare il bene. Ora invece è proprio della virtù cristiana non solo operare il bene, ma anche saper sopportare i mali. Coloro dunque che sembrano fervorosi nel fare il bene, ma non vogliono o non sanno sopportare le sofferenze che incalzano, sono infermi ossia deboli. Ma chi ama il mondo per qualche insana voglia e si distoglie anche dalla stesse opere buone, è già vinto dal male ed è malato. La malattia lo rende come privo di forze e incapace di fare qualcosa di buono. Tale era nell’anima quel paralitico che non poté essere introdotto davanti al Signore. Allora coloro che lo trasportavano scoprirono il tetto e di lì lo calarono giù. Anche tu devi comportarti come se volessi fare la stessa cosa nel mondo interiore dell’uomo: scoperchiare il suo tetto e deporre davanti al Signore l’anima stessa paralitica, fiaccata in tutte le membra ed incapace di fare opere buone, oppressa dai suoi peccati e sofferente per la malattia della sua cupidigia. Il medico c’è, è nascosto e sta dentro il cuore. Questo è il vero senso occulto della Scrittura da spiegare. Se dunque ti trovi davanti a un malato rattrappito nelle membra e colpito da paralisi interiore, per farlo giungere al medico, apri il tetto e fa’ calar giù il paralitico, cioè fallo entrare in se stesso e svelagli ciò che sta nascosto nelle pieghe del suo cuore. Mostragli il suo male e il medico che deve curarlo. A chi trascura di fare ciò, avete udito quale rimprovero viene rivolto? Questo: «Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite» (Ez 34, 4). Il ferito di cui si parla qui è come abbiamo già detto, colui che si trova come terrorizzato dalle tentazioni. La medicina da offrire in tal caso è contenuta in queste consolanti parole: «Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione ci darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla» (1 Cor 10, 13).

Responsorio 1 Cor 9, 22-23
R. Mi sono fatto debole con i deboli per guadagnarli a Dio. * Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare a ogni costo qualcuno.
V. Tutto io faccio per il Vangelo, per diventare partecipe con loro.
R. Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno.

SECONDI VESPRI

Lettura Breve 2 Cor 1, 3-4
Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio.

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