Archive pour la catégorie 'CHIESA ORTODOSSA'

San Nicola Cabasilas: « Il frutto più eccelso della redenzione » (Vaticano II ; SC 103)

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100815

Assunzione della B.V. Maria, solennità : Lc 1,39-56
Meditazione del giorno
San Nicola Cabasilas (circa 1320-1363), teologo greco
Omelia sulla dormizione della Madre di Dio ; PG 19, 390-391

« Il frutto più eccelso della redenzione » (Vaticano II ; SC 103)

        Bisognava che la Vergine fosse compagna del Figlio in tutto quello che riguardava la nostra salvezza. E come avendogli dato il sangue e la carne, in cambio fu resa partecipe dei suoi benefici, allo stesso modo condivise anche la sua angoscia e tutti i suoi dolori. Egli fu confitto alla croce ed ebbe il cuore trafitto dalla lancia ; a lei, come predisse il profeta Simeone, una spada trapassò il cuore.

        Così, per prima divenne conforme, in una morte simile a quella del Salvatore (Rm 6, 5). Perciò prima di tutti fu partecipe anche della risurrezione. Infatti, dopo aver goduto della visione e del saluto del Figlio risorto che aveva annientato la tirannide dell’inferno, lo accompagnò quanto le fu possibile finché salì al cielo. E dopo l’ascensione del Salvatore fu reputata a tenere il posto di lui in mezzo agli apostoli e gli altri discepoli, aggiungendo così ai tanti benefici concessi agli uomini, quello di completare quel che mancava del Cristo (Col 1, 24), molto meglio di chiunque altro. A chi infatti conveniva tutto questo più che alla Madre ?

        Ma bisognava che quell’anima santissima si staccasse da quel corpo altrettanto sacro. Lo lascia infatti, e si unisce all’anima del Figlio, luce creata alla luce increata. Il corpo poi, rimasto per poco sulla terra, salì anch’esso al cielo.

La Santa Vergine Maria nel culto e nella vita della Chiesa Ortodossa

dal sito:

http://digilander.libero.it/ortodossia/Theotokos.htm

La Santa Vergine Maria nel culto e nella vita della Chiesa Ortodossa

Breve esposizione confrontata con alcune corrispondenti convinzioni del Cristianesimo Occidentale

La Santa Vergine Maria ha nella Chiesa Ortodossa un’attenzione particolare. Essa è venerata come Madre di Dio secondo la carne ed esistono molte con le quali l’Ortodossia chiede la composizioni poetiche sua intercessione presso Dio. Un esempio è l’Inno Akathistos alla Madre di Dio scritto da San melode. In questa composizione innografica Romano il che non ha eguali nel Cristianesimo, si trovano riflessi in forma precisa ed esaustiva i sentimenti e la dottrina della Chiesa Ortodossa sulla Theotokos (= la Genitrice di Dio). Un’altra composizione poetica Deìpara o particolarmente significativa è il Canone paracletico del quale esiste una forma sintetica e una estesa. Tale Canone viene celebrato ogni giorno lungo i quindici giorni che precedono la Dormizione della Theotokos (15 agosto).

La Chiesa Ortodossa preferisce chiamare Theotokos Colei che ha partorito Gesù Cristo. Definirla in termini più confidenziali, come talora alcuni fanno nella Chiesa Romano-Cattolica (« Maria » senz’alcun altro termine aggiuntivo) crea, nel credente ortodosso, la sensazione di trovarsi davanti ad un’espressione banale e secolarizzata.

Nonostante il grande rispetto e l’alta considerazione che l’Ortodossia Le attribuisce, la Theotokos non è assolutamente considerata una « super donna ». La sua natura non è per nulla differente da quella umana poiché Essa è dono dell’umanità a Dio in cambio del Dio che in Lei si è donato all’uomo.

Per i teologi ortodossi la Deìpara non è « superiore » o « diversa » dagli uomini ma è « luminosa », ossia, « deificata ».

La Theotokos è l’unica creatura appartenente all’umanità che si unisce strettamente a Dio dopo la caduta di Adamo portando in grembo « Quanto i Cieli non possono contenere », come afferma la Liturgia. Per questo la Chiesa Ortodossa La definisce con titoli di particolare onore e, a differenza di altri santi, Le rivolge la richiesta di salvezza: « Tuttasanta Genitrice di Dio salvaci! ». Con quest’affermazione non si attribuisce alla Tuttasanta il potere di salvare ma d’intercedere particolarmente verso Cristo, dal momento che ha un’intima comunione con Lui. La Theotokos è l’umanità deificata, rappresenta una pienezza di disponibilità verso Dio alla quale tutti i cristiani devono tendere. La sua obbedienza viene rinnovata in ogni persona che abbandona l’uomo vecchio con le sue abitudini e si riveste di Cristo (Gal 3, 27). Di Lei, lungo la storia del Cristianesimo, sono state tracciate molte immagini e discorsi edificanti. Tuttavia non sempre si è stati attenti a non cadere in evidenti esagerazioni. Così si è finiti per affermare due realtà opposte con le quali la Vergine Maria o viene declassata a « donna qualunque », (come suggerirebbe l’utilizzo confidenziale del solo appellativo « Maria »), o viene esaltata come una semidea (ogni attributo di Cristo ha un suo corrispondente attributo nella Santa Vergine).

Il Cattolicesimo, oggi come ieri, tende ad attribuire alla Theotokos dei concetti sconosciuti alla Tradizione della Cristianità indivisa perché tende a fare gravitare il cristianesimo in concetti astratti. È per questo che pensa di poter pervenire ad una comprensione più profonda della Rivelazione divina. Questa mentalità si riflette inevitabilmente anche nelle cosiddette « devozioni a Maria ». Naturalmente tutto ciò suggerisce che la Rivelazione di Dio non si è data interamente il giorno di Pentecoste o che, in quel giorno, gli Apostoli non l’abbiano potuta « approfondire » bene, nonostante agisse in loro direttamente il Sigillo del Santo Spirito!

L’Ortodossia, invece, mantenendo l’antica prassi, pensa che sin dall’inizio tutto fosse chiaro e dato in totale pienezza. Tale pienezza deve essere scoperta purificandosi asceticamente e vissuta incarnandola, non intellettualizzandola! I concetti e i ragionamenti sono utili solo nel caso in cui si debba confutare un insegnamento errato che, in luogo di condurre all’incontro ineffabile con Dio, porta all’illusione o al narcisistico sentimentalismo religioso.

Le barocche immaginazioni e i romantici sentimenti sono molto pericolosi nell’ascesi e nella vita spirituale al punto che sono severamente condannati in quella raccolta di scritti spirituali denominata Filocalia. Ne consegue che l’atteggiamento del cristiano orientale verso la Theotokos è naturale, non artefatto o sdolcinato. Alla preghiera non vengono mai sovrapposte meditazioni o immaginazioni (come nel caso dei Misteri del Rosario) dal momento che l’unica attenzione da porre è alle parole che vengono scandite dalle labbra.

Contrariamente alla prevalente convinzione patristica, il Cristianesimo occidentale, da un certo periodo storico in poi, ha pensato di poter « approfondire » intellettualmente la Rivelazione e di poter far evolvere il suo pensiero e la sua conoscenza come fa la scienza. Così ogni affermazione potrebbe essere riformulata con maggiore profondità ed esattezza dopo ogni ulteriore approfondimento.

Questa prospettiva si è applicata in un certo senso anche al Dogma dell’Immacolata Concezione, dal momento che quest’ultimo è scaturito direttamente dalla considerazione agostiniana del Peccato originale.

Sant’Agostino sosteneva che l’umanità eredita la colpa del peccato originale, e che tale colpa viene eliminata dal battesimo. L’Ortodossia con tutta la tradizione cristiana (ad eccezione di quella franco-agostiniana) ha sempre ritenuto che l’umanità non eredita una colpa ma le conseguenze della colpa stessa. Il presupposto della colpa ereditata ha posto la Cristianità occidentale agostiniana davanti ad una questione: « Come può la Madre di Dio avere questa colpa e incarnare il Salvatore? ». Tale dilemma se lo ponevano, ad esempio, all’Università di Parigi nel XIV secolo e, in quell’epoca, c’era chi negava l’idea d’una concezione « immacolata ». La risposta non tardò a venire e si basava su concetti agostiniani: la Deìpara sarebbe nata senza questa colpa in previsione dell’incarnazione e così « sarebbe stata predestinata » dalla nascita ad essere Madre del Salvatore.

Le apparizioni di Lourdes, nelle quali una veggente incontrava una « Donna vestita di bianco », l’ »Immacolata concezione », sembrano quasi voler confermare una definizione che, in pieno XIX secolo, non pareva ancora totalmente assimilata.

A differenza di questa definizione nella quale si riscontra anche una certa mentalità giuridica, l’Ortodossia ha una concezione antropologica totalmente diversa. L’umanità di tutti i tempi, essendo della stirpe di Adamo, subisce le conseguenze del peccato originale. La maggiore di tali conseguenze è la morte. Da questa situazione viene strappata quando si unisce con il battesimo nella morte e risurrezione di Cristo e, quindi, si rende coerede e compartecipe d’una futura vita che si pregusta già in questo mondo. Tale vita futura non conosce il germe della corruzione.

L’Ortodossia confessa, dunque, che la Theotokos è nata da un vero rapporto tra i progenitori di Dio Gioachino ed Anna. Essa è naturalmente stirpe di Adamo anche se il suo seme, come afferma San Gregorio Palamas, è stato « purificato ». La purificazione non significa diversificazione rispetto all’umanità. L’affermazione cattolica dell’Immacolata concezione, crea un grosso problema all’Ortodossia poiché tale concetto è posto in un quadro di comprensione agostiniano. L’Ortodossia non nega che la nascita della Santa Vergine sia stata miracolosa, visto che è provenuta da persone d’una certa età. Aggiunge pure che il suo seme è stato purificato. Ma non può condividere l’idea che l’umanità prima della Theotokos vivesse separata da Dio, dal momento che lungo tutto l’Antico Testamento si riscontrano una serie di uomini giusti, santi e profeti. Nella Scrittura si giunge addirittura ad affermare che Elia non è morto!

Per Agostino, e soprattutto per l’agostinismo, l’uomo è un « imputato » davanti a Dio e, come tale, non può fare nulla per essere assolto. Prima di Cristo l’uomo viveva nettamente separato da Dio. Per i Padri, invece, l’uomo non è mai stato un imputato ma ha patito le conseguenze delle sue scelte. Questo fatto non ha impedito ai giusti d’essere uniti a Dio. Così, lungo la linea genealogica della Theotokos, i Padri trovano tutta una serie di giusti che, in qualche modo, ne preparano l’avvento. La Deìpara non gode del privilegio d’essere unita a Dio per essere stata immacolata concezione, cioè senza peccato originale, mentre tutti gli altri uomini continuavano (e continuano!) a nascere con tale macchia senza meritarsela. Essa non ha ereditato una colpa come nessuno, in verità, la eredita. Essa ha ricevuto un corpo che, come quello di tutti, era soggetto al limite della stanchezza, del declino, della fame e del dolore. La Santa Vergine aveva ereditato, in ciò, una creazione indebolita dalla conseguenza della disobbedienza adamitica. A differenza della maggioranza degli altri uomini, si manteneva aderente ai comandi di Dio e « li meditava nel suo cuore ». Questo fatto unito alla particolare benedizione di Dio sul suo seme e all’evento catarchico (= purificatore) dell’incarnazione del Verbo di Dio in Lei La esalta come « Immacolata ». Attraverso questi concetti si vede come i Padri, pur chiamando qualche volta la Theotokos con il termine di « Immacolata », termine che ogni tanto ricorre pure nella Liturgia orientale, la considerino in maniera abbastanza diversa rispetto alla prospettiva giuridica franco-latina.

Tutti i giusti dell’Antico Testamento e la Theotokos stessa, che ne è il vertice, sono prototipo dell’umanità ascetica. Nella Deìpara non c’è peccato perché l’unione con Dio l’ha totalmente purificata rendendola modello per gli asceti. E’ in questi termini che viene descritta da vari autori patristici.

Nella considerazione della vita della Theotokos, l’Ortodossia ha una visione completamente cristocentrica, non « mariocentrica » come alcune recenti devozioni occidentali che mettono in rilievo l’esperienza del parto di Maria quale « prassi » d’unione con Dio.

Secondo queste devozioni, il cristiano deve fare crescere Cristo in sé per poi partorirlo come ha fatto la Deìpara. Quest’espressione presa come si presenta, coltiva solo pericolosi « dolci sentimentalismi ». Nella prospettiva patristica, si indicano modi concreti di vivere il cristianesimo, non immagini sentimentali! Così, l’uomo non deve pensare di poter « costruire » Cristo vicino a sé o dentro di sé (come in un utero), dal momento che può solo cercare di unirsi a Lui sul modello dell’obbedienza a Dio da parte della Santa Vergine. Solo in questo caso l’unione, come dice l’Apostolo Paolo, è profonda: « Non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me » (Gal 2, 20). Essa non avviene attraverso fantastiche pie ed edulcorate aspirazioni ma attraverso la quotidiana lotta dell’ascesi, nella pratica dei comandamenti, nella costante preghiera e nella prassi sacramentale della Chiesa.

Il dogma dell’Assunzione della Deìpara prima della morte è una logica conseguenza del dogma dell’Immacolata concezione. La morte è entrata nella creazione e nell’uomo a causa del peccato originale. La Theotokos è nata priva di peccato originale e quindi l’Occidente è tentato a credere che fosse priva della possibilità di morire. Dopo aver eseguito il suo compito sulla terra la Tuttasanta è stata rapita in cielo con il corpo. Pio XII, nella bolla con la quale proclamava il dogma dell’Assunzione, non affermava esplicitamente che la Santissima Vergine non sarebbe morta ma molti, al suo tempo, erano propensi a pensarlo e in quest’atmosfera fu redatta la bolla stessa. La Curia romana desiderava che le facoltà teologiche sottoscrivessero compatte una petizione per la dogmatizzazione dell’assunzione corporea di Maria in cielo ma ciò non avvenne. Dal punto di vista scientifico l’opposizione più netta alla possibilità d’una tale definizione venne da parte del patrologo di Würzburg, Berthold Altaner. Per una tale visione, secondo Altaner, non esiste alcun fondamento né nella Bibbia né nella tradizione. Nei primi cinque secoli del cristianesimo non si trova traccia di questa dottrina. Solo uno scritto apocrifo del sesto secolo il Transitus Mariae inizia a far circolare quest’idea. Tale scritto è però privo di qualsiasi valore storico. Altre fonti storiche, secondo Altaner, non esistono. Nonostante tali gravi obiezioni, la costituzione Munificentissimus Deus parla di « fede unanime della Chiesa fin dai primissimi tempi » e di prove tratte dalla Scrittura, dai Padri e dai teologi.

Tale costituzione evita prudenzialmente di affermare che la Tuttasanta sia morta ma non lo nega neppure; evita il problema lasciando ad ognuno la libertà di pensare come meglio ritiene.

Questa è la posizione cattolica difesa dal Magistero papale e alla quale i cattolici sono tenuti ad aderire, nonostante tutto. Esponiamo ora quella Ortodossa.

A parte l’esistenza della tomba di Maria, si sà che la devozione della sua morte è antichissima. Nella Scrittura è scritto che tutti gli uomini passeranno attraverso la morte. Cristo stesso non l’ha evitata anche se non ha potuto essere trattenuto da essa ed è risuscitato dai morti tracciando la Via che dalla terra porta al Cielo, dal buio alla luce, dalla Morte alla Vita. La morte non è più la realtà definitiva perché è stata distrutta. « Cristo è risorto dai morti diventando primizia dei defunti », afferma il Crisostomo.

Così come Cristo, la Theotokos è morta ed è risorta. Se si leggono i testi liturgici della Dormizione e le splendide omelie dei Padri per questa festa (particolarmente quella di San Giovanni Damasceno) la morte e la risurrezione della Vergine appaiono come una grande celebrazione pasquale del Cristo risorto che dà vita all’umanità intera. La Vergine è perciò la prima fra i redenti.

Papa Giovanni Paolo II ha cercato di accorciare la distanza tra queste due posizioni affermando che la Vergine è morta per condividere l’amara sorte del Figlio. Quest’affermazione presuppone una certa « revisione » se non delle basi del dogma dell’Assunzione almeno della mentalità ad esso soggiacente. Comunque è lecito porsi una domanda: tale revisione va nel tradizionale senso antico dove si conservano certi equilibri o cerca di forzare le espressioni per fare un’ulteriore non richiesta equivalenza-parallelo tra Cristo e la Theotokos (affermando che esiste una Corredentrice perché c’è un Redentore)?

Nell’Ortodossia non è mai stato dogmatizzato questo punto. Perché si formuli un dogma è indispensabile che ci sia un’eresia e quindi la negazione d’una verità. Il dogma ha tutto il suo senso solo in questa situazione. Nella Liturgia la Chiesa Ortodossa celebra la Dormizione di Maria con un’allusione alla sua assunzione al terzo giorno dalla morte. È per questo che nell’icona della Dormizione di Maria gli apostoli circondano il suo corpo defunto che viene portato in processione. Dietro a tutti sta Cristo con in braccio una bambina in vesti bianche.

L’uso russo per questa festa prevede un epitafio (= un drappo sul quale è ricamata l’icona della S. Vergine dormiente) per Maria, simile a quello usato per il Cristo defunto nella Settimana Santa. Tale epitafio si colloca in mezzo al tempio. Dopo tre giorni, al Vespro, si celebra il « Funerale della Theotokos ». L’epitafio viene portato in processione e, dopo avergli fatto fare tre giri attorno al tempio, viene innalzato sotto la porta d’ingresso in modo da fare passare tutti i fedeli sotto di esso. Infine viene ricollocato nel luogo in cui era stato precedentemente disposto e, in tale posizione, innalzato verso il cielo. Attraverso questo gesto si indica esplicitamente l’assunzione e tutti sanno che la Vergine Maria è stata assunta con il corpo quale primizia dell’umanità. Non serve nulla di più.

Molti dei titoli alla Santa Vergine che hanno marcato la devozione occidentale sono totalmente sconosciuti all’Oriente cristiano. In ciò l’Ortodossia ha lasciato la Theotokos in quell’ombra di discrezione nella quale i Vangeli la collocano. Non c’è quindi il bisogno di parlare di un Cuore Immacolato di Maria, come succede nelle apparizioni di Fatima (Cuore che fa pandant al Sacro Cuore di Gesù), di Maria Corredentrice, come succede nelle apparizioni di Amsterdam (corredenzione che fa pandant a quella di Cristo) e della richiesta di molti vescovi americani di proclamare il dogma di Maria « consustanziale a Dio »: Figlia del Padre, Madre del Figlio, Sposa del Santo Spirito.

Non caratterizza l’Ortodossia neppure quella devozione mariana con la quale i fedeli cercano il sensazionale, i messaggi strani e segreti (Megjugorie), le rivelazioni terroristiche d’una Santa Vergine che trattiene a stento il braccio vendicatore di un Figlio divino antropomorficamente adirato contro l’umanità!

Tutto ciò esce dall’equilibrata prospettiva evangelica e patristica e non è né importante né essenziale.

La Theotokos è sempre stata conosciuta dal popolo di Dio attraverso le discrete testimonianze evangeliche. Per l’Ortodossia è prudente conoscerLa com’essa è sempre stata conosciuta dalla Tradizione del Cristianesimo indiviso senza pretendere di diventarLe più intimi di coloro che ne condividevano la vita. 

Publié dans:CHIESA ORTODOSSA, MARIA VERGINE |on 13 août, 2010 |Pas de commentaires »

VENERDÌ 6 AGOSTO 2010 – XVIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

VENERDÌ 6 AGOSTO 2010 – XVIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla seconda lettera ai Corinzi di san Paolo, apostolo 3, 7 – 4, 6

La gloria della Nuova Alleanza risplende nel Cristo
Fratelli, se il ministero della morte, inciso in lettere su pietre, fu circonfuso di gloria, al punto che i figli d’Israele non potevano fissare il volto di Mosè a causa dello splendore pure effimero del suo volto, quanto più sarà glorioso il ministero dello Spirito? Se già il ministero della condanna fu glorioso, molto di più abbonda di gloria il ministero della giustizia. Anzi sotto quest’aspetto, quello che era glorioso non lo è più a confronto della sovraeminente gloria della Nuova Alleanza. Se dunque ciò che era effimero fu glorioso, molto più lo sarà ciò che è duraturo.
Forti di tale speranza, ci comportiamo con molta franchezza e non facciamo come Mosè che poneva un velo sul suo volto, perché i figli di Israele non vedessero la fine di ciò che era solo effimero. Ma le loro menti furono accecate; infatti fino ad oggi quel medesimo velo rimane, non rimosso, alla lettura dell’Antico Testamento, perché è in Cristo che esso viene eliminato. Fino ad oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso sul loro cuore; ma quando ci sarà la conversione al Signore, quel velo sarà tolto. Il Signore è lo Spirito e dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà. E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore.
Perciò, investiti di questo ministero per la misericordia che ci è stata usata, non ci perdiamo d’animo; al contrario, rifiutando le dissimulazioni vergognose, senza comportarci con astuzia né falsificando la parola di Dio, ma annunziando apertamente la verità, ci presentiamo davanti a ogni coscienza, al cospetto di Dio.
E se il nostro vangelo rimane velato, lo è per coloro che si perdono, ai quali il dio di questo mondo ha accecato la mente incredula, perché non vedano lo splendore del glorioso vangelo di Cristo che è immagine di Dio. Noi infatti non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore; quanto a noi, siamo i vostri servitori per amore di Gesù. E Dio che disse: Rifulga la luce dalle tenebre (Gn 1, 3), rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo.

Responsorio   1 Gv 3, 1. 2
R. Quale grande amore ci ha mostrato il Padre! * Siamo chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente.
V. Sappiamo che, quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è.
R. Siamo chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente.

Seconda Lettura
Dal «Discorso tenuto il giorno della Trasfigurazione del Signore» da Anastasio sinaita, vescovo
(Nn. 6-10; Mélanges d’archéologie et d’histoire, 67 [1955] 241-244)
 
E’ bello restare con Cristo!
Il mistero della sua Trasfigurazione Gesù lo manifestò ai suoi discepoli sul monte Tabor. Egli aveva parlato loro del regno di Dio e della sua seconda venuta nella gloria. Ma ciò forse non aveva avuto per loro una sufficiente forza di persuasione. E allora il Signore, per rendere la loro fede ferma e profonda e perché, attraverso i fatti presenti, arrivassero alla certezza degli eventi futuri, volle mostrare il fulgore della sua divinità e così offrire loro un’immagine prefigurativa del regno dei cieli. E proprio perché la distanza di quelle realtà a venire non fosse motivo di una fede più languida, li preavvertì dicendo: Vi sono alcuni fra i presenti che non morranno finché non vedranno il Figlio dell’uomo venire nella gloria del Padre suo (cfr. Mt 16, 28).
L’evangelista, per parte sua, allo scopo di provare che Cristo poteva tutto ciò che voleva, aggiunse: «Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E là fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui» (Mt 17, 1-3).
Ecco le realtà meravigliose della solennità presente, ecco il mistero di salvezza che trova compimento per noi oggi sul monte, ecco ciò che ora ci riunisce: la morte e insieme la gloria del Cristo.
Per penetrare il contenuto intimo di questi ineffabili e sacri misteri insieme con i discepoli scelti e illuminati da Cristo, ascoltiamo Dio che con la sua misteriosa voce ci chiama a sé insistentemente dall’alto. Portiamoci là sollecitamente. Anzi, oserei dire, andiamoci come Gesù, che ora dal cielo si fa nostra guida e battistrada. Con lui saremo circondati di quella luce che solo l’occhio della fede può vedere. La nostra fisionomia spirituale si trasformerà e si modellerà sulla sua. Come lui entreremo in una condizione stabile di trasfigurazione, perché saremo partecipi della divina natura e verremo preparati alla vita beata.
Corriamo fiduciosi e lieti là dove ci chiama, entriamo nella nube, diventiamo come Mosè ed Elia come Giacomo e Giovanni.
Come Pietro lasciamoci prendere totalmente dalla visione della gloria divina. Lasciamoci trasfigurare da questa gloria divina. Lasciamoci trasfigurare da questa gloriosa trasfigurazione, condurre via dalla terra e trasportare fuori del mondo. Abbandoniamo la carne, abbandoniamo il mondo creato e rivolgiamoci al Creatore, al quale Pietro in estasi e fuori di sé disse: «Signore, è bello per noi restare qui» (Mt 17, 4).
Realmente, o Pietro, è davvero «bello stare qui» con Gesù e qui rimanervi per tutti i secoli. Che cosa vi è di più felice, di più prezioso, di più santo che stare con Dio, conformarsi a lui, trovarsi nella sua luce?
Certo ciascuno di noi sente di avere con sé Dio e di essere trasfigurato nella sua immagine. Allora esclami pure con gioia: «E’ bello per noi restare qui», dove tutte le cose sono splendore, gioia, beatitudine e giubilo. Restare qui dove l’anima rimane immersa nella pace, nella serenità e nelle delizie; qui dove Cristo mostra il suo volto, qui dove egli abita col Padre. Ecco che gli entra nel luogo dove ci troviamo e dice: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa» (Lc 19, 9). Qui si trovano ammassati tutti i tesori eterni. Qui si vedono raffigurate come in uno specchio le immagini delle primizie e della realtà dei secoli futuri.

Simeone il Nuovo Teologo: « Gesù lo toccò dicendo : ‘ Lo voglio, sii sanato ’ »

du site:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100625

Venerdì della XII settimana delle ferie delle ferie del Tempo Ordinario : Mt 8,1-4
Meditazione del giorno
Simeone il Nuovo Teologo (circa 949-1022), monaco ortodosso
Inno 30 ; SC 174, 357

« Gesù lo toccò dicendo : ‘ Lo voglio, sii sanato ’ »

Prima che brillasse la luce divina,
io non conescevo me stesso.
Allora, al vedere me nelle tenebre e in carcere,
rinchiuso in un pantano,
coperto di imondizie, ferito, la carne gonfia…,
sono caduto ai piedi di colui che mi aveva illuminato.

E colui che mi aveva illuminato tocca con le sue mani
i miei legami e le mie ferite;
là dove la sua mano tocca e il suo dito si avvicina,
subito cadono i miei legami,
scompaiono le ferite, e ogni sporcizia.
L’impurità della mia carne scompaia…
sicché egli la rende simile alla sua mano divina.
Strana meraviglia: la mia carne, la mia anima e il mio corpo
partecipano della gloria divina.

Appena sono stato purificato e liberato dai miei legami,
ecco che stende verso di me la sua mano divina,
mi tira fuori del pantano interamente,
mi abbraccia, mi si getta al collo,
mi bacia (Lc 15,20).
Mi prende sulle spalle
io che ero completamente esausto,
e avevo perso le mie forze,
e mi porta fuori dall’inferno…
La luce stessa mi porta e mi sostiene;
mi trascina verso una grande luce…
Egli mi dona di contemplare con quale strano rimodellare
lui stesso mi ha plasmato nuovamente (Gen 2,7)
e mi ha strappato dalla corruzione.
Mi ha fatto il dono di una vita immortale
e mi ha rivestito di una tunica immateriale e luminosa
e mi ha dato dei sandali, un anello e una corona
incorruttibili e eterni (Lc 15,22).

I canoni bizantini nell’iconografia di san Paolo

dal sito:

http://www.zenit.org/article-17297?l=italian

I canoni bizantini nell’iconografia di san Paolo

Come la tradizione orientale ha dipinto l’Apostolo

ROMA, lunedì, 23 febbraio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito un articolo di Giuseppe Lombardo e Mirella Roccasalva, dell’Associazione Russia Cristiana “San Vladimir” (Siracusa), apparso sull’ottavo numero della rivista « Paulus » (febbraio 2009), dedicato al tema della bellezza.

* * *

«Mentre il mio corpo era debilitato per il digiuno, a me che non dormivo ma ero in estasi essi apparvero insieme ad una persona che rassomigliava al beato apostolo Paolo, così come la pittura mostra chiaramente nelle immagini la figura di lui». Dalla citazione del breve passo di sant’Ambrogio nell’Epistola a tutta l’Italia, si evince la forza evocativa delle immagini; l’evocazione diventa più forte se si considera che sant’Ambrogio, citato da Giovanni Damasceno nel secondo discorso in “Difesa delle immagini sacre”, si riferisce a un’icona.

I canoni iconografici, dettati da Bisanzio, si individuano nelle raffigurazioni iconografiche dei vari personaggi dell’Antico e del Nuovo Testamento con l’intento di sollecitare alla contemplazione e alla preghiera e di accompagnare nella conoscenza del personaggio raffigurato, considerando che lo stesso viene proposto nel piano, proprio dell’icona, della raffigurazione visibile del Dio invisibile.

L’iconografia dell’apostolo Paolo entra a pieno titolo nel profondo linguaggio della pittura delle icone che non può prescindere dalla sua triplice genesi teologica, estetica e tecnica.

La tipologia raffigurativa, con la quale giunge a noi l’iconografia paolina, propone nei diversi modelli la figura di un uomo che ha acconsentito all’amore di Cristo di toccarlo per sempre. Un primo approccio, alla ricerca delle fonti, presenta pochi esempi di arte canonica dedicati all’Apostolo, ma uno studio più attento ne evidenzia le peculiari caratteristiche con le quali si può entrare in dialogo per penetrare aspetti singolari della profonda umanità di Paolo. Ogni tipologia iconografica, nel corso del tempo, ha conosciuto progressive trasformazioni dovute a cambiamenti epocali, evoluzioni artistiche, approfondimenti teologici.

Le raffigurazioni più antiche di san Paolo, con le quali lo studioso entra in relazione, sono quelle proposte dalle vetuste icone in avorio e smalto e dalla maestosità della rappresentazione musiva. Dallo studio delle varie fonti dell’iconografia paolina si può affermare che ci si trova di fronte a quattro tipologie figurative dominanti: il ritratto, la figura in piedi, l’abbraccio di Pietro e Paolo, alcune scene della vita.

Il ritratto presenta l’Apostolo con caratteristiche canoniche comuni alle varie interpretazioni degli artisti (fronte alta e stempiata, naso aquilino, barba lunga inanellata nella parte finale, collo robusto e ben visibile), ma con due caratteristiche espressive differenti. La prima è quella del pastore rigoroso, fermo nelle sue indicazioni, preoccupato per le comunità a lui affidate e la cui severità è sottolineata dal sopracciglio sinistro fortemente inarcato; un esempio è l’icona di Teofane il Greco. La seconda peculiarità espressiva è quella dell’uomo di Dio, del teologo profondamente immerso nel mistero della sua esistenza trasfigurata dall’amore di Dio. In questo ruolo è stupenda l’interpretazione iconografica di Andrej Rubl?v che ne rilegge i tratti e, si può anche asserire, ne reinterpreta i canoni più antichi.

Lo studioso Michail Alpatov, nel famoso saggio Le icone russe, offre un’interpretazione del linguaggio di Rubl?v degna di attenzione, soprattutto se la si legge nell’ottica della necessaria evoluzione di tipologie figurative più arcaiche: «L’originalità del San Paolo di Rubl?v non sta nel fatto che il volto è già espressivamente russo, che ha la carnagione meno olivastra e il naso meno aquilino di quello greco, che i suoi capelli non sono neri ma biondi: bisogna notare come sia stata raggiunta una felice congiunzione tra morbida modellatura della testa e rughe arrotondate sulla fronte e sulle guance. Questo dà un senso di rilievo e, contemporaneamente, la testa è ben strutturata sul corpo; i contorni sono disposti organicamente sul volto, tutta la testa si arrotonda a partire dalla fronte, le sopracciglia si innalzano, lo zigomo sporge, il naso è modellato, la vigorosa e morbida disposizione della testa corrisponde a quella del corpo, l’arrotondamento della testa all’arrotondamento della spalla. L’immagine si distingue per integrità del volume: il rapporto reciproco delle forme costituisce quel fascino, quell’armonia che emana dall’Apostolo di Rubl?v».

Il ritratto dell’Apostolo viene compreso con maggiore chiarezza se ci si ferma alla lettura del disegno di base delle varie icone. Infatti, il tratto essenziale del segno, madre di ogni opera d’arte che meriti questa definizione, assegna all’intera opera il tratto distintivo che viene completato dall’uso del colore. Riguardo a quest’ultimo elemento, l’iconografia bizantina raffigura l’Apostolo coperto da una veste di tonalità blu o blu-verde sulla quale vi è sempre un manto rosso. Esistono tuttavia delle varianti di colore proposte anche da grandi maestri, ma si può affermare che i colori canonici siano i primi.

Le icone che raffigurano san Paolo in piedi, lo presentano sempre nella bellezza della sua energia interiore e ogni gesto sembra accompagnare i passi del Santo verso la costruzione della Chiesa: le mani che stringono e ,nel contempo, propongono la Parola, le mani che ammoniscono o benedicono, i piedi sempre posti su due livelli diversi per indicare la dinamica dell’azione. Dal punto di vista della struttura del corpo si nota il rispetto dei canoni bizantini: il corpo umano viene raffigurato nella dimensione della trasfigurazione e quindi privato dalle imperfezioni cui in natura è soggetto; è questa la ragione per cui le icone non rispondono facilmente ai princìpi naturali e, pertanto, qualsiasi modello appare stilizzato. Sia nella raffigurazione del volto (frontale o a tre quarti) che in quella del corpo, ci si trova di fronte al canone bizantino per cui non esiste profondità prospettica. La grandezza della testa, anch’essa costruita su rigorosi canoni elaborati con il principio della concentricità dei cerchi o del movimento  degli stessi su assi inclinati secondo misure dettate dall’armonia dell’insieme, assegna al corpo (generalmente misurato in sette o otto teste) l’eleganza necessaria alla raffigurazione e caratterizza il disegno con la precisione di linee che servono a dare finezza al movimento dell’insieme. Regola inequivocabile per la rappresentazione dell’apostolo Paolo, come per tutta l’arte delle icone, è che le linee del disegno, accompagnate poi dalle lumeggiature e rifinite dai dettagli, creino un’armonia particolare dell’insieme, deputata a dichiarare la regalità  del personaggio.

Con la tipologia iconografica dell’Abbraccio di san Pietro e san Paolo, conosciuta anche con il titolo di Incontro tra Pietro e Paolo e più raramente con quello di Bacio tra Pietro e Paolo, si è di fronte a un tema di grande attualità nella vita delle comunità cristiane. È di notevole interesse la forza dell’abbraccio, la spinta dei corpi dei Santi che si legge facilmente anche nelle raffigurazioni dei particolari dei due volti. Sembra la tappa conclusiva di un cammino vissuto nella ricerca di una reciprocità che possa parlare ai cristiani per rivolgere loro l’invito giovanneo: «Perché siano una cosa sola, come noi» (Gv 17,11). Quest’immagine può essere considerata un invito all’unità dei cristiani. Lo slancio dei corpi, sempre presente nel modello dell’Abbraccio, diventa canone della raffigurazione stessa, perché non venga meno il senso della stessa.

La tradizione iconografica propone anche dei modelli che evocano scene della vita di san Paolo, di cui le più diffuse sono quelle del battesimo, della predicazione, del naufragio e del martirio, ma non mancano anche episodi poco noti come quello della visione della Gerusalemme Celeste. Ci si trova sempre di fronte alle caratteristiche precipue dell’arte bizantina: assenza prospettica, sostituita dal principio della prospettiva rovesciata o inversa, che ha la forza di condurre il personaggio o l’intera scena verso lo sguardo dello spettatore; luce sullo sfondo perché possa essere data una spinta maggiore all’insieme verso l’esterno; disegno netto e pulito che sappia giocare con le sue tre dimensioni: verticale, orizzontale e diagonale e con il dinamismo del segno sorretto dalla progressione e dal ritmo. Tutto è completato dal linguaggio del colore. Studi approfonditi hanno dimostrato che l’arte delle icone è l’arte della luce, pertanto viene meno l’idea di immagini buie e prive di luce.

L’intensità della policromia bizantina, che utilizza abilmente i contrasti cromatici, consente di trovare una vibrazione che, dal punto di vista tecnico, serve per affermare gli equilibri e le armonie necessarie all’arte bizantina, ma, dall’altro, è necessaria per toccare la sensibilità del fedele che ad essa si accosta. L’iconografia delle scene della vita dell’Apostolo, nel rispetto della tradizione bizantina, fa riferimento ai testi biblici, alle fonti liturgiche, alla tradizione della Chiesa, ma anche alla testimonianza dei vangeli apocrifi.  Dalla  nascita dell’arte delle icone, gli artisti si sono ispirati,  per esigenze date dall’elaborazione scenica dell’insieme, ai testi apocrifi.  Ciò non svilisce la verità stessa dell’icona.

Analizzando il percorso dell’iconografia paolina, si legge anche il cammino della comunità cristiana accompagnata dalla parola di Dio, si avverte la presenza dell’Apostolo delle genti, se ne gusta l’avventura umana e cristiana che ha ispirato la creatività degli artisti.

IL presbiterio di una Chiesa Ortodossa

IL presbiterio di una Chiesa Ortodossa dans CHIESA ORTODOSSA Vima
http://digilander.libero.it/ortodossia/Vima.jpg

San Nettario di Egina: Inno all’amore divino

dal sito:

http://www.tradizione.oodegr.com/tradizione_index/insegnamenti/nettarioviafelicita.htm

San Nettario di Egina,

Inno all’amore divino

L’Eros divino – (noi usiamo la parola eros nel significato dei Padri. È l’amore operante, dinamico, che sospinge l’anima uscita fuori da sé, verso Dio) – è l’amore perfetto per Dio, manifestato come desiderio insaziabile del divino. L’eros divino nasce nel cuore purificato dove abita la grazia divina.

L’eros per Dio è un dono divino. Viene offerto all’anima innocente dalla grazia divina che la visita e a lei si rivela.

L’eros divino non si muove in una persona senza una rivelazione divina. L’anima, che non ha ricevuto rivelazione, non è sotto l’influenza della grazia e rimane insensibile all’amore divino.

Gli innamorati del divino sono stati spinti verso l’amore divino dalla grazia di Dio, rivelata all’anima e che agisce nel cuore purificato. È lei che li ha attirati a Dio.

Colui che si è innamorato di Dio è stato amato prima da Dio. Soltanto dopo egli ha amato il divino.

L’innamorato del divino è divenuto prima figlio dell’amore, dopo egli ha amato il Padre Celeste.

Il cuore di colui che ama il Signore non dorme mai; veglia a causa dell’intensità del suo amore.

Se l’uomo dorme per necessità naturale, il cuore, esso, veglia per la lode di Dio.

L’anima ferita dall’eros divino non cerca più nulla oltre il Bene Supremo; si allontana da tutto, prova indifferenza per tutto.

L’anima, innamorata di Dio, si diletta delle parole di Dio e trascorre il tempo nei Suoi Tabernacoli.

Innalza la sua voce per raccontare le meraviglie di Dio e quando conversa, parla della Sua gloria e della Sua maestà.

Canta Dio e Lo loda incessantemente.

Lo serve con zelo.

L’eros divino diventa padrone di tutta quell’anima, la cambia e la fa sua.

L’anima, innamorata di Dio, è felice, perché ha incontrato il Giudice divino che ha colmato i suoi desideri.

Ogni desiderio, ogni affetto, ogni slancio estraneo all’amore divino, essa lo respinge lontano da lei, come spregevole e indegno di lei.

Oh quanto l’amore del divino, sostenuto dall’amore di Dio, innalza nei cieli l’anima innamorata di Dio! Quest’amore, come una nuvola leggera, s’impadronisce dell’anima e la trasporta verso la fonte eterna dell’amore, verso l’amore inesauribile e la riempie di luce eterna.

L’anima, colpita dall’amore divino, gioisce sempre. Permane nell’allegria, trasale di gioia, danza, perché si trova a riposare nell’amore del Signore come su un’acqua tranquilla.

Nulla di ciò in questo mondo che affligge può venire a turbare la sua tranquillità e la sua pace, nulla di triste può togliere la sua gioia e la sua allegria.

L’amore innalza nei cieli l’anima innamorata del divino. Meravigliata, essa si vede separata dai suoi sensi corporali, dal suo stesso corpo. Abbandonandosi totalmente a Dio, si dimentica di se stessa.

L’eros divino procura la familiarità con Dio; la familiarità procura l’audacia, l’audacia il gusto e il gusto la fame.

L’anima, toccata dall’eros divino, non può più pensare ad altra cosa, né desiderare alcunché.

Sospira senza posa e dice: “Signore, quando giungerò a Te e quando vedrò il tuo volto? La mia anima desidera venire da Te, o Dio, come la cerva anela verso i torrenti d’acqua”.

——————————–

Così è l’eros divino che fa dell’anima una prigioniera.

Oh amore, vero e costante!
Oh amore, somiglianza dell’immagine divina!
Oh amore, dolce gioia dell’anima mia!
Oh amore, divina pienezza del mio cuore!
Oh amore, meditazione incessante del mio spirito!
Tu possiedi sempre l’anima mia, tu l’avvolgi di premure e di calore.
La vivifichi e l’innalzi sino al divino affetto.
Riempi il mio cuore e lo fai ardere d’amore divino, ravvivi il mio desiderio del Giudice Supremo.
Con la tua potenza vivificante corrobori la forza della mia anima; la rendi capace di offrire all’amore divino il culto che gli si deve.
T’impadronisci del mio spirito e lo liberi dei suoi legami terreni.
Lo liberi perché salga senza ostacoli sino all’amore divino nei cieli.
Sei il tesoro più prezioso dei fedeli, il dono più onorabile dei carismi divini.
Sei lo splendore deiforme della mia anima e del mio cuore.
Sei colui che fa dei fedeli dei figli di Dio.
Sei l’ornamento dei credenti ed onori i tuoi amici.
Sei il solo bene perenne, perché sei eterno.
Sei l’abito della bellezza degli amici di Dio, che si presentano così vestiti davanti all’amore divino.
Sei le dolci delizie, perché sei il frutto del Santo Spirito.
Introduci i fedeli santificati nel regno dei cieli.
Sei il profumo soave dei credenti.
Grazie a te, i fedeli comunicano col paradiso delle delizie.
Grazie a te, la luce del sole spirituale s’innalza nell’anima.
Grazie a te, si aprono gli occhi spirituali dei credenti.
Grazie a te, i credenti partecipano alla gloria divina e alla vita eterna.
Grazie a te, nasce in noi il desiderio dei cieli.
Tu ristabilisci il regno di Dio sulla terra.
Tu diffondi la pace tra gli uomini.
Tu fai somigliare la terra ai cieli.
Tu unisci gli uomini agli angeli.
Tu fai salire i nostri canti armoniosi verso Dio.
Tu sei, in tutto, vincitore.
Tu sei al di sopra di tutte le cose.
Tu governi veramente l’universo.
Tu governi con saggezza il mondo.
Sei che tu sostieni e conservi ogni cosa.
TU, tu non cadi mai!
Oh amore, pienezza del mio cuore!
Oh amore, immagine dolcissima di Gesù dolcissimo.
Oh amore, emblema sacro dei discepoli del Signore.
Oh amore, simbolo del dolce Gesù.
Colpisci il mio cuore col tuo desiderio,
riempilo di beni e di bontà, e di gioia.
Fa’ di esso l’abitacolo del Santissimo Spirito.
Brucialo tutto intero con la fiamma divina, affinché consumate le sue miserabili passioni,
sia santificato trascinato alla tua lode senza fine.

Riempi il mio cuore della dolcezza del tuo amore, affinché ami solo il dolcissimo Gesù, il Cristo mio Signore e che gli canti l’inno senza fine, con tutta la mia anima, con tutto il mio cuore, con tutta la mia forza, con tutto il mio spirito. Amìn!

Traduzione dal francese del prof. G. M.

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