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Incontro con padre Thomas Spidlik: La preghiera del cuore

dal sito:

http://www.figlididio.it/approfondimenti/2003/preghiera07.html

LA PREGHIERA DEL CUORE
Incontro con padre Thomas Spidlik

(2003)
 
Padre Tomas Spidlik
 
Nel mese di settembre 2000 padre Thomas Spidlik è venuto a Casa San Sergio, dove ha tenuto un incontro dal titolo « La preghiera del cuore ». Padre Spidlik è considerato il più grande conoscitore vivente della spiritualità orientale russa, ha scritto molti libri di grande successo sulla preghiera e sulla spiritualità, ed è quindi una delle persone più autorevoli per la trattazione di questo tema. Siamo molto onorati che sia venuto da noi a parlarci, e l’ha fatto per noi della Comunità.
Riportiamo il testo della conversazione, prodotto della sbobinatura. Abbiamo lasciato volutamente il tono parlato, che rende più immediato il tono dell’incontro. Consigliamo a tutti la lettura di queste pagine, che possono davvero aiutarci e farci progredire nella via della preghiera.
Il patrono degli studenti di teologia, sapete chi è? San Giuseppe, perché ha ricevuto la rivelazione mentre dormiva. Allora se voi volete dormire, io parlerò, e se volete seguire, alla fine avrete l’indulgenza.
Da dove cominciamo? Sapete che i Padri della Chiesa quando volevano parlare della preghiera usavano molte metafore, per esempio un apoftegma etiopico dice: « La preghiera è la sposa del monaco » (… se non la tiene sotto braccio deve divorziare!). San Giovanni Crisostomo diceva: « Nel paradiso terrestre non pioveva mai, ma c’era una sorgente e per questa sorgente tutto era pieno di fiori. Questa sorgente è la preghiera; da questa preghiera tutto deriva ».
Un autore del quale ho scritto tanto, il russo Teofane il Recluso, ha come schema la classica tricotomia orientale: l’uomo è composto dal corpo, dall’anima e se è cristiano dallo Spirito Santo. Cosa fa il corpo? Mangia, soffre i reumatismi ecc. Che cosa fa l’anima? Pensa, decide, studia, ecc., e cosa fa lo Spirito Santo? Dice: Abbà Padre.
Dunque lo Spirito Santo è l’elemento che dentro di noi prega, che prega dentro di noi. Dice che è come l’ossigeno che va in tutto il corpo nel sangue. E dove risiede lo Spirito Santo? Nel cuore. I russi hanno sostituito la vecchia definizione occidentale della preghiera: « elevazione della mente a Dio » in: « elevazione del cuore a Dio » e questo cambiamento è molto interessante.
Dunque le definizioni della preghiera presso i padri sono moltissime, ma soprattutto tre. San Basilio diceva: la preghiera è la domanda di quello che è conveniente a Dio, esempio: Signore, per la tua carità, donami questo o quest’altro… ecc. La seconda definizione è l’elevazione della mente a Dio e la terza è il colloquio con Dio, perché se fosse solo l’elevazione, sarebbe lo studio semplicemente.
Questa « elevazione dell’anima a Dio » da dove proviene? non dalla Sacra Scrittura, ma da Platone. I templi greci erano posti sempre sulle colline, per andarvi in pellegrinaggio bisognava salire sulla collina. Dunque, per andarvi bisogna fare « anabasys » (salire sopra) e Platone dice: « A Dio non si arriva con i piedi; a Dio si arriva con la mente ». Dunque l’elevazione della mente a Dio ha ricevuto il nome di contemplazione.
Ora che cos’è la contemplazione? Voi che siete contemplativi, che cos’è la contemplazione? Come si dice in greco contemplazione? Tutti lo sapete, solo per modestia, non volete dirmelo, no? Si dice « teoria ». È la stessa radice come teatro. « Tean » significa vedere, e la visione è una cosa importante per la psicologia. Gli ebrei erano tipi piuttosto acustici, ascoltavano ciò che dicevano gli anziani, ciò che si dice, perché nel deserto non si vedeva niente e le cose si raccontavano: « ascolta i precetti »; è la Parola di Dio che bisogna ascoltare, e il documento dove vi sono le Parole di Dio è la Bibbia.
Invece i greci erano, per così dire, « visuali », e già nel IV sec. a. C. si diceva: « ciò che non hai visto, non crederlo ». Bisogna vedere con gli occhi propri. Vedere, vedere.., e così sono nate le scienze naturali. La parola « fisica » vuole dire « natura » (phisis = natura); è fisico, è natura ciò che si vede o con gli occhi o con gli strumenti; questo è vero e così sono nate le scienze naturali e guardate quanto progresso hanno fatto le scienze!
Nel IV sec a.C. è venuta una crisi con i cosiddetti « Scettici ». Che cosa affermavano questi? « Io vedo che l’erba è verde. Tu vedi che l’erba è verde. La mucca la mangia perché è verde, ma vediamo lo stesso? Ci sono i daltonici che lo chiamano verde, ma chissà cosa vedono! Allora se è vero solo ciò che si vede, ognuno vede soltanto secondo se stesso; dunque non si può conoscere la verità, ma solo le opinioni! Si dice verde, ma non possiamo controllare né verificare nulla. Dunque l’uomo non può conoscere la verità. Anche i grandi filosofi alla fine riconoscono: È vero, ognuno vede per conto suo.
Per fortuna abbiamo un occhio interiore; c’è la mente, l’intelletto e l’intelletto è uguale per tutti; sei cieco? Sei sordo? Due più due fanno quattro per entrambi. Dunque la verità non si conosce con gli occhi ma con l’intelletto, con la mente.
Dopo la fisica è nata la metafisica; cioè la verità si conosce con l’intelletto e l’intelletto può conoscere tutta la verità. Anche Dio? Sì, anche Dio. Aristotele nel suo trattato sulla morale parla dei tre gradi di vita. La prima vita è utilitaria: si lavora per mangiare, si mangia per lavorare (poveri uomini, non sono felici…!) Il secondo grado della vita è la vita politica: quelli che lavorano per il bene degli altri (in quel tempo, ancora credevano che i politici lavorassero per gli altri; beati loro), ma si direbbe anche la vita apostolica: che lavora per gli altri ma non per se stesso. La più perfetta è la vita contemplativa: quando utilizzo la migliore facoltà che ho a disposizione, la mente, ed io offro il miglior oggetto che esiste: Dio. L’elevazione della mente a Dio è la vita più felice che può esistere. Questo è passato perfino nel Codice di diritto canonico, dicendo che la vita contemplativa è più perfetta della vita pratica, apostolica. Ma viene da Aristotele.
Voi sapete che in Europa ci sono tutte le teorie empiriche (è vero ciò che si vede), o idealistiche (è vero ciò che si pensa). Questa elevazione della mente a Dio piaceva molto ai cristiani; S. Agostino spesso dice : « ho elevato la mente a Te… ».
Nel IV sec d. C. viene una nuova difficoltà: il famoso arianesimo. Questi ariani erano speculativi al cento per cento; sapevano tutto, indagavano tutto, erano sicuri su tutto, ecc… e hanno negato la divinità di Gesù Cristo. Allora eleva la mente a Dio e il risultato può essere: eresia. San Gregorio Nazianzeno si arrabbiava: « Parlassero meglio delle donne e dei cavalli e lasciassero in pace la Santissima Trinità! » (Io ho avuto un grande successo con questa frase perché l’ho detta all’Università Gregoriana e non mi sono reso conto che il professore che insegnava la Teologia della SS. Trinità sedeva nel primo posto e gli studenti applaudivano freneticamente: la « cattiveria » degli studenti…).
Cosa rispondevano i Padri cappadoci agli ariani? « Ragionate come volete, ma a Dio con l’intelletto umano non si arriva ». Allora siamo fritti! Con gli occhi Dio non si può conoscere; i padri greci erano molto contrari alla visione immaginativa. Dicevano: « se uno dice che ha visto Dio, ha visto la propria fantasia. » Uno disse a Giovanni Climaco: « Beati gli occhi che hanno visto un angelo », e lui: « molto più beati quelli che hanno visto il proprio peccato, almeno può confessarsi ». Quindi non credevano che Dio si può vedere con gli occhi; ma se ora viene detto che Dio non si può vedere neanche con l’intelletto – l’elevazione della mente a Dio – allora tutto è perduto. Come si fa?

Il « cuore » come centro dell’uomo

Io dico che per fortuna abbiamo ancora la terza visione. « Beati i puri di cuore perché vedranno Dio ».
Dunque sono tre visioni: la prima con gli occhi, vede la superficie. La seconda visione è quella con l’intelletto, quella con la mente che vede queste idee. Poi c’è la terza visione che vede Dio in tutte le cose.
La Sapienza di Dio. I russi parlano di sofiologia. Dio creando tutte le cose ha lasciato le sue tracce, la sua sapienza divina dentro tutte le cose. E i contemplativi nel senso cristiano non sono come i contemplativi greci perché questi ragionano, invece quelli cristiani vedono « con il cuore ». E cosa vedono? È difficile descriverlo, perché se si vede si può dipingere, se si pensa si può dire, ma vedere con il cuore che cosa è? Rispondo dicendo che nella mia vita io ho conosciuto una persona molto contemplativa. Mi chiedono se fosse una carmelitana, un padre certosino o un monaco, e io rispondo: era la mia mamma. Come ho fatto a capirlo? Come ho fatto non lo so, ma adesso l’ho capito. Quando ero studente per guadagnare soldi per mantenermi davo lezioni a quelli che erano bocciati e dovevano rifare l’esame dopo le vacanze. Un ricco commerciante mi promise molti soldi se il figlio passava. Io ho lavorato molto e il ragazzo è stato promosso. Al momento della paga il padre mi ha dato molto poco, dicendo: « Basta così per te che sei ancora un ragazzo ». Io sono tornato a casa molto arrabbiato e mia madre mi disse: « Non è bene trattare un giovane così, non mi piace, ma, senti, ti dico una cosa: quando ti succede qualcosa di simile tu devi soffermarti e dire: « che cosa voleva dirmi Dio quando mi è successo ciò? »
Tutte le cose sono state create dalla Parola di Dio e i contemplativi sono quelli che sentono questa parola o vedono. Con il Signore, vedere o ascoltare è la stessa cosa, perché è metaforico, no? Essi sentono questa parola di Dio. Voi sapete che il bambino parla con il cagnolino, con il gatto, con i fiori, ecc., poi più tardi scopre che il cagnolino non parla, abbaia e allora si rivolge solo agli uomini. Quando uno è vecchio, come me, dice che anche gli uomini abbaiano, no? Il mondo diventa muto e io non posso tornare a parlare con il cagnolino, ma devo parlare con qualcuno che sta dentro in tutte le cose.
I contemplativi sono coloro che vedono Dio in tutte le cose, sentono Dio in tutte le cose, scoprono la Sapienza di Dio in tutte le cose. Voi sapete che la grande chiesa di Costantinopoli si chiama « Aghia Sophia », la Santa Sapienza (adesso è moschea o museo). È una costruzione molto interessante perché le finestre sono un po’ nascoste e quando uno sta nel mezzo, dicono gli artisti che la cupola « vola nell’aria ». Io sono stato là; mi sono messo a sedere, ma non avevo questa impressione, dovevo zittire tutte le guide che volevano spiegarmelo, ma ad un tratto ho capito: la chiesa sembra piena di luce e non si sa da dove viene. Viene dal dentro. Nelle icone la luce viene dal dentro. Dal dentro. Dentro in tutte le cose c’è la luce.
Gli artisti slavi che sono più personali hanno immaginato la sapienza come un angelo, in forma femminile che siede sul mondo e accanto vi è la Madonna e S. Giovanni Battista: i primi due contemplativi. La Madonna sapeva che Gesù era il Figlio di Dio e S. Giovanni disse: « Ecco l’Agnello di Dio ». Hanno visto che dentro quel velo del corpo abita Dio. Allora Dio abita in tutte le cose, e scoprirlo in tutto ciò che esiste è la contemplazione.
Quando ero in noviziato, chiesi al padre maestro: « Posso prendere per la meditazione anche l’Antico Testamento o devo necessariamente meditare secondo il Nuovo Testamento? » Mi rispose: « Carissimo, se non sai meditare sul cavolo che oggi hai mangiato a pranzo non lo farai nemmeno sul Nuovo Testamento! »
Tutte le cose sono state create affinché siano scuola dell’anima.

Vedere tutto in Dio

Massimo il Confessore, quando la teoria secondo Platone fu più o meno conosciuta, ha utilizzato il suo modello, e diceva: ci sono tre tipi d’uomini: l’uomo volgare, nel senso del popolo; l’uomo scienziato e l’uomo spirituale.
Hanno tre visioni diverse. Prendiamo ad esempio un giglio; cosa dice un uomo volgare? « Profumato ». Uno scienziato? « Questo appartiene, secondo la linea alla famiglia botanica, alla famiglia delle liliacee »; fa la scienza botanica. Uno spirituale quando vede un giglio che cosa dice? « Mamma mia, se Dio ha tanta cura di questa erba, come deve essere bella l’anima umana! » Diventa lettura spirituale. Nel Vangelo Gesù dice: « Guardate gli uccelli del cielo…, guardate il giglio… » Tutto racconta la Gloria di Dio.
Altro esempio: si legge la Sacra Scrittura. L’uomo semplice dice: « Questa traduzione italiana è brutta, ma la voce della ragazza che la legge è bella ». Questo è un uomo volgare, semplice. Cosa fa un scientifico? Va a Roma, studia all’Istituto biblico e scopre che quel versetto non è autentico. Cosa fa l’uomo spirituale? « Parola di Dio, Dio mi dice questo; ecco se Dio mi dice questo, io l’accetto: è Parola di Dio ». Un esempio ancora. Un ragazzo incontra una ragazza. L’uomo volgare: « che bella bionda! » Vede la bellezza del corpo. Lo scientifico, un professore: « Questo non mi commuove; signorina, come siete preparata per l’esame »? L’uomo scientifico guarda le doti dell’anima. L’uomo spirituale dice: « Immagine di Dio. Ciò che avete fatto agli altri lo avete fatto a me ».

Dio lo si conosce con tutta la nostra persona

Dunque il contemplativo è colui che in tutte le cose scopre Dio e, come ho detto, con il cuore. Ma cos’è questo cuore?
Quando ho scritto il libro sul cuore ho avuto tante difficoltà; il mio censore non voleva in nessun modo lasciarlo passare. Per fortuna c’era un altro superiore che mi disse: « Troveremo il modo per farlo pubblicare ». Perché tante difficoltà? Perché la nostra psicologia distingue: la ragione, l’intelletto, la volontà e il sentimento. Gli autori russi dicono che tutta la religione sta nel sentimento – e immaginatevi che prima del Concilio dovevamo fare sempre giuramento contro il modernismo e i modernisti dicevano che la religione è soltanto una questione di subconscio, di sentimento -; dicono che la religione è del cuore e si conosce come sentimento del cuore. Ora, lasciar passare questo nella Chiesa cattolica non era facile.
Adesso posso spiegare che cos’è il cuore, ma in quel tempo era difficile. Una volta ho avuto una conferenza a Roma sul cuore e quando al termine è venuto a me un giovane greco e mi dice: « Padre, noi due siamo colleghi » Come mai? » « Io sono un cardiologo, lei è un cardiologo spirituale! »
Allora che cos’è questo cuore? Non possiamo cercare la nostra risposta nella psicologia moderna, perché altrimenti siamo perduti.
Le difficoltà sono gravi, perché gli orientali, tutti, soprattutto i russi, dicono: « la religione è questione del cuore ». Sentimento del cuore, preghiera del cuore, e la vera preghiera è la preghiera del cuore non della testa; questa non è preghiera. Bisogna scendere dalla testa nel cuore, allora soltanto pregherai, altrimenti è tutto inutile. Come spiegare questo cuore? Per gli orientali c’è una doppia difficoltà perché dicono che voi occidentali siete tutti razionalisti: tutto è con la testa. Ho tradotto San Francesco di Sales in russo perché è un maestro molto pratico, ma poi ho preso un libro di meditazioni francese di un altro autore, e quando sono arrivato alla quinta pagina l’ho buttato sotto il tavolo dicendo: « Questo è un libro cattolico, e i cattolici non capiscono cos’è la preghiera ». Sempre tutto nella testa, ragionamenti, ragionamenti; non capiscono che la preghiera vera è quella del cuore. In alcuni giornali ci sono quelle caricature: piccolo ometto e la grande testa: questo è l’uomo occidentale.
Per noi la vera difficoltà è piuttosto la mente che si eleva a Dio. La stessa difficoltà era nei testi biblici: elevazione del cuore a Dio, « sursum corda ». Un autore medioevale diceva: « la Bibbia dice cuore, ma questo significa lo stesso come l’intelletto ». S. Francesco ai suoi seguaci, S. Bonaventura: questo significa la stessa cosa come la volontà. La psicologia non poteva dare migliori risposte, perché nella Bibbia il cuore è dappertutto: il cuore ricorda, il cuore decide, il cuore si innalza, ecc. I mistici sempre affermavano: abbiamo occhi per vedere il mondo esterno, abbiamo intelletto per ragionare e abbiamo il cuore che ha il contatto con Dio; Dio risiede nel cuore.
Ma, santo cielo, che cos’è questo cuore? Quando il mio censore leggeva quel libro, arrivato a pagina cinquanta, scrisse con la matita rossa: « Quando spiegherai cos’è questo cuore »?
Come spiegarlo? Che cos’è? È la facoltà con la quale si raggiunge Dio.
Dio si raggiunge con una sola facoltà: con l’uomo intero. Per andare a Dio si va con tutta la persona umana, indivisa. Già Eckart, nel medioevo, scriveva: « Dio come concetto si conosce con l’intelletto, ma Dio come Dio si conosce con tutta la personalità: intelletto, volontà e sentimento ».
La Scrittura dice: « Amerai Dio con tutto il cuore, con tutta la tua mente, con tutta la tua volontà…, con tutto ». Dunque il cuore non è una facoltà, ma è l’uomo intero, tale com’è.

I due orizzonti della preghiera del cuore

Per Sant’Ignazio di Loyola quando si prega bisogna immaginare il Signore, l’ambiente, pensarlo con l’intelletto, e decidere con la volontà; devi essere intero dentro e se non sei intero dentro non è una vera preghiera. Questa integrità della persona umana si può prendere sotto due aspetti. Io non so come chiamarli, li chiamerà uno orizzontale, statico, e l’altro dinamico.
Quello statico significa adesso, in questo momento. Vado per strada e penso alla conferenza che farò a Firenze: viene un mendicante e mi dice: « padre mi dia mille lire », e io: « devo pensare alla conferenza, lasciami in pace », « padre mi dia mille lire », « va bene, ma ora lasciami in pace ». Gli ho dato mille lire, ma è stato un atto buono? Ho deciso, sì, era un atto buono, ma andava fatto con tutto il cuore. Sto scrivendo e devo finire entro oggi l’articolo: « Mamma mia, mamma mia, non ce la faccio… », qualcuno bussa alla porta… « Avanti », ed entra proprio quella persona chiacchierona che non sopporto; il primo pensiero che viene è di mandarlo a quel paese, ma sono asceta, mi dominerò e dico: « Vieni, che piacere che sei venuto! », devo tenere il sorriso, che non caschi! – e lui resta e poi… se ne va. Dico al padre spirituale che mi sono dominato perfettamente. Lui dice: « Bene, bene, così fanno gli asceti ». Ma è normale? È buono, ma non è normale, Qualche volta bisogna fare così, ma non è normale. Quando dico ad uno che è un piacere vederlo, deve essere anche piacere. Ci deve essere tutto dentro, no? Certi sforzi sono educativi, ma non è uno stato normale se si fanno continuamente cose diverse da ciò che si sentono.
Teofane il Recluso dice: « è come il teatro ».
Allora noi dobbiamo sforzarci affinché l’uomo sia tutto intero, affinché sia normale, perché la divisione è la cosa più grave che esista. Schizofrenia: una cosa si pensa, un’altra si vive. È la spiritualità del cuore: significa rendere l’uomo proprio, sano, così che quando sorride, davvero sorride è contento e non dice: « Che piacere, mentre dentro pensa: ti darei un calcio ».
Dunque questa è l’integrità orizzontale, l’aspetto statico. Lo schema ignaziano prevede l’immaginazione dei luoghi, delle condizioni, di Colui al quale si parla, eccetera. E io ho detto che per capirlo occorre cominciare da dentro. Il colloquio? La preghiera è un colloquio con Dio e affinché quel colloquio sia davvero sincero, bisogna saper che cosa dire, bisogna decidere anche, immaginare. Tutto è dentro.
Questo era il primo aspetto del cuore, diciamo statico; l’altro io lo chiamo dinamico. Cosa sono io? Ciò che sono oggi, ciò che ero dieci anni fa, quando avevo quattordici anni e… adesso chi sono io? Ciò che sono oggi o ciò che ero? Dio ci giudicherà secondo l’ultimo momento? Io sono nervoso ultimamente, dico spropositi… e Dio mi giudicherà secondo questi spropositi? Non va. Gli orientali usavano l’immagine della bilancia: da una parte le opere buone, dall’altra quelle cattive e se erano uguali veniva l’Arcangelo Michele, metteva la mano su quelle buone, così erano più pesanti e si andava in Paradiso. Anche questo non va. Chi sono dunque io? L’uomo può sempre cambiare; oggi è e domani no.
Santa Teresa d’Avila pensava: « Se immagino che ancora nell’ultimo giorno posso fare un peccato mortale, che pericolosa è mai la vita… » Ma pensate voi che santa Teresa, a settant’anni, nel suo ultimo giorno potesse compiere un peccato mortale? C’è qualcosa che non va.
Quando mi preparavo per la prima comunione, il cappellano ci raccontava un esempio: « C’era un ragazzo, puro, casto, innocente, come S. Luigi Gonzaga; quando aveva quattordici anni fece il suo primo peccato mortale, andò a fare il bagno, annegò e ora è nell’Inferno ». Mi sembrava che in ciò ci fosse qualcosa che non andasse… Voi forse sorridete, ma con il peccato mortale si va all’inferno, no? Ora, è tanto facile quando uno è casto, puro, innocente fare un peccato mortale? L’uomo può convertirsi, ma questo è il miracolo della grazia. L’uomo normale ha una certa continuità. È naturale che un musicista, da giovane fino alla morte acquisti una certa sensibilità musicale; quando uno ama il calcio, subito si volge spontaneamente ad ascoltare notizie che riguardano il calcio, ecc., ecc… Allora il cuore non vuol dire atto, ma uno stato normale dell’uomo, una certa disposizione stabile. San Tommaso dice: « La devozione è inclinazione ad ogni bene »; un musicista subito suona e un appassionato di sport subito cerca notizie sportive. Il cuore è uguale, è del tutto stabile. Una bellissima descrizione è: stato di preghiera
. Quando abbiamo pregato a Ora sesta, abbiamo compiuto un atto di preghiera, ma lo stato di preghiera significa: la disposizione normale.
Quando c’è occasione, uno prega, e nella vita di san Francesco d’Assisi scritta da Tommaso da Celano c’è scritto: Franciscus, not orabat -Francesco non pregava – Franciscus factus est oratio – Francesco divenne preghiera.
Questo è stato del cuore e questa è la perfezione più grande che esiste. Ora la grande difficoltà è che gli atti si conoscono; esempio: « Oggi ho pregato l’Ufficio? Si. Non sapevo che celebravo, ma ho pregato »… ma qual è io stato della mia anima?
Voi lo sapete, nelle confessioni in passato le penitenze furono codificate dai moralisti; tutte regole morali: fare questo, fare questo. Confesso: « ho gettato sassi dalla finestra. Quanto pesavano quei sassi?, Un chilo. Peccato mortale, perché potevano uccidere qualcuno ». « Ho rubato. Quanto? Centomila lire. Peccato grave, se ti fossi accontentato di novantacinquemila, poteva ancora essere veniale… »
Il moralista dice precisamente: questo è perfetto, questo è meno perfetto, questo è così, questo è cosà, ecc., ecc… Io giudico gli atti, e qui sta il guaio. Oggi tutta la morale si può mettere nel computer… perché dover mettere un padre cappuccino dietro al cartello: Confessioni? Si potrebbe mettere un gran computer, ognuno batte i propri peccati… ed esce la penitenza precisa. Sarebbe molto più preciso, no?

Leggere nel cuore

Allora che difficoltà c’è? I veri padri spirituali avevano il dono della cardiognosia, leggevano nel cuore: questo è il padre spirituale. Il confessore invece giudica gli atti: tre volte ho parlato male del mio superiore: tre Ave Maria. Puoi andare.
Io non io posso dire, ma il padre spirituale poteva dire: per te questo è molto grave, perché nella tua situazione, perché ti conosco e queste piccole cose… perché conosco il cuore.
Nella storia, non solo in Oriente, ma anche in Occidente, si sa di molti padri che leggevano nel cuore come un libro aperto. Nei moderni occidentali potremmo citare don Bosco. Don Bosco diceva i peccati e i ragazzi dicevano: si, si, si. Un ragazzo diceva a don Bosco: « Posso andare a Torino per confessarmi? » e don Bosco: « Si, ma non dimenticare quel peccato » e il ragazzo: « Allora non ho più bisogno di andare a Torino ».
Ciò è miracoloso? È interessante che non lo consideravano mai come miracolo, dicevano anzi che questi è lo stato naturale dell’uomo: Dio ci ha creato affinché uno capisse un altro; il peccato ha eretto un muro e quando uno si purifica dal peccato si aprono i cuori. I cuori si aprono soprattutto con la carità. Per mostrarlo con un esempio quasi profano: una volta ero in Alto Adige da un parroco, e da buon romano nel pomeriggio facevo la siesta. Per fare la siesta avevo bisogno di un libro noioso, quindi ho trovato nella biblioteca del parroco un libro: erano ricordi di un poliziotto canadese che faceva servizio tra gli indiani. Era così interessante che non ho dormito più. Questi indiani hanno fama d’essere uomini molto selvaggi e quando si sposano non rivolgono mai la parola alla moglie (tutte le donne dovrebbero protestare all’ONU per questa a situazione). L’autore scrive: « Questi due devono amarsi tanto che si capiscono perfettamente senza dirsi una parola. Perfettamente si capiscono e se non si capiscono vuole dire che non si amano ». L’amore apre la porta; allora si conosce il prossimo e si conosce anche Dio, perché nel cuore vi è lo Spirito Santo e questo ha una voce. Allora quando tutto è rivolto al cuore, la persona sente una voce.
Una volta a Bose sentii un russo che parlava della preghiera del cuore e diceva che gli occidentali assolutamente non riescono a comprendere perché è una preghiera tipicamente orientale; poi io ho spiegato all’ambasciatore russo che cosa è questa preghiera del cuore e lui mi ha detto: « Finalmente uno me l’ha spiegata! ». A Creta abbiamo avuto contatti con i teologi greci; io ho proposto la preghiera del cuore in San Francesco d’Assisi e in Sant’Ignazio di Loyla, e lui, mio amico, mi ha detto che non si potevano trovare in questi autori accenni di preghiera del cuore; e io gli ho proposto: « Se li trovo accetterai di pagare una bottiglia di vino? » Ha accettato, e io ho vinto.
Dunque ho detto San Francesco e Sant’Ignazio di Loyola. Negli esercizi spirituali si parla della distinzione degli spiriti e si dice: se il pensiero viene dal da fuori, cioè uno me lo ha detto, questo è dono vocativo, devo stare attento; o lo leggo nei libri, buono o cattivo; o ho visto qualche cosa, buono o cattivo. Ma se un pensiero non ha nessuna causa esterna, viene certamente da Dio, perché solo Dio può parlare dal di dentro degli uomini. Ora mi viene questo esempio: le mamme sentono sempre con il cuore ciò che succede ai loro figli. È difficile ingannare la mamma. Io quando sono andato via da casa, sono andato dai gesuiti, e per non spaventare i miei dicevo che avevo trovato una famiglia per studiare e tutti erano contenti. Solo mi scrisse mia sorella: « Chi sta con te? La mamma ha pianto tutta la giornata dicendo che tu non saresti più tornato a casa ». No, non si inganna la mamma. Lo sentono nel loro cuore.
Ci si può fidare di questo? Incontro uno e lui parla così bene che si potrebbe canonizzare, ma c’è qualcosa che non mi va. Ci si può fidare di questo? Io ho conosciuto un superiore di un seminario che aveva veramente un sesto senso per i seminaristi, ma come provarlo? Non si può dire soltanto: « Io lo sento » e così lui dava ragioni che erano sbagliate e tutti lo prendevano per matto. Egli diceva: « Io vedo come lui beve il vino: non ha vocazione ». Dicevano: »È matto ». No non era matto, lo sentiva. Ma ci si può fidare di questo?
La risposta è sì se abbiamo il cuore è puro, ma se non è puro la bilancia pesa male. Dunque purificare il cuore per ascoltare.
Questo è quello che il mondo d’oggi ha bisogno, perché tutti vogliono indottrinarci. Quando finì la guerra, io stavo in Moravia presso un monastero. Continuamente passavano squadre di soldati. Un giorno suonò una signora russa, e poiché io conoscevo un poco il russo, mi chiamarono; era ben vestita, e io ebbi paura che fosse una spia. Proveniva dall’Ucraina, il villaggio era stato bruciato dai tedeschi, i suoi fratelli erano soldati e lei lavora in Germania. Là conobbe un ragazzo ceko che la chiese in moglie. Quando il giovane la portò a casa, i genitori si arrabbiarono perché aveva portato una russa, sconosciuta, e la cacciarono di casa. Lei andò su un ponte, voleva buttarsi; disse che non era mai stata tanto sicura come quella volta. Dicono che si ha paura in quegli istanti, lei invece affermava che non aveva nessuna paura, solo un sentimento: tutto finisce, santo cielo, tutto finisce. « Quando -continuò – sono arrivai sul quel ponte, ad un tratto mi venne una cosa in mente; sentii: Tu non devi farlo! Era così forte che sono mi sono fermata. Dopo decisi di andare a parlare con un prete, perché queste cose sono cose di cui parlare con un prete. « Mi dica che cosa è questo che ho sentito? » Il sacerdote disse che quelle cose erano tutte sciocchezze. Invece non erano affatto sciocchezze: era la voce di Dio nel cuore.
Dio parla nel cuore. Insegnare alla gente ad ascoltare la voce del cuore secondo me è veramente il problema del nostro tempo. Evidentemente, questa era la direzione spirituale; quando si andava dal padre spirituale non si confessavano i peccati: si dicevano queste voci che si sentono. La direzione spirituale non la facevano solo sacerdoti, ma anche le donne; donne famose. La donna che ha il senso materno può molto aiutare le ragazze, no? Per confessare andavano dal prete, questo è il sacramento, ma il sacramento può non identificarsi con la direzione spirituale.

DOMANDE

- Per ascoltare la voce di Dio, lei ha detto che bisogna purificarsi dentro, ma come ci si fa a purificarsi dentro?
Risposta: questa purificazione viene sicuramente dalla preghiera; perché la voce di Dio viene all’improvviso senza qualsiasi ragione. Alcuni mi dicono: « Padre non so perché mi viene sempre questo pensiero, non lo so perché non è giustificato per niente ».
La ragazza vuol entrare nel monastero. Per il momento no, può essere l’entusiasmo che viene durante gli esercizi. Il ragazzo o la ragazza continua: « Ma io non so veramente perché mi viene questo pensiero »; allora che effetto produce? Produce un effetto molto tranquillizzante, se il pensiero disturba si vede, ma prima si consiglia, no? La direzione spirituale è consigliarsi. Quando San Teodoro stilita aveva trecento monaci, a sera, li confessava tutti quanti; ma, santo cielo, come faceva? Non si trattava di confessione, si trattava di questo: « Che c’è di nuovo? No, niente » ecc…; la direzione diventa colloquio spirituale…

- È sempre feconda la preghiera?
Risposta: Una volta ho citato a scuola Evagrio che scrisse: « Chi non ha visto Dio, non ha diritto di parlare di Dio » e siccome gli studenti sono furbi, dopo la scuola uno mi ha detto: « Padre, lei ha visto Dio »? Ed io « Sì! », « Ha avuto una visione? » « Sì », « Ma come…? »
Una volta una signora mi ferma per strada e mi dice che mi conosce e che si era confessata da me. Poi aggiunge: « Lei mi ha detto una cosa che mi ha colpito tanto che mi ha cambiato la vita ». Io non mi ricordavo neanche di averla mai vista, figuriamoci se mi ricordavo che cosa le avessi detto… Sarebbe stupido pensare che io abbia convertito qualche sconosciuta con qualche parola; è Dio che la convertì! La provvidenza di Dio ha attraversato la mia povera bocca. Ma dire che ho fatto io… sarebbe stupido, no?

- Io credevo che lei ci avrebbe parlato oggi soprattutto della preghiera del cuore come tecnica, la ripetizione del nome di Gesù…
Risposta: È importante lo stato del cuore. È lo stato del cuore che deve essere formato e questo si forma con certi gesti e questo gesto può essere anche il battito del cuore; questo è il gesto della tua preghiera, questa è la preghiera. Allora possiamo dare un significato religioso anche ad un alito e al battito del cuore.

Publié dans:c.CARDINALI, CHIESA ORTODOSSA |on 4 mai, 2010 |Pas de commentaires »

Messa esequiale per il cardinale Špidlík. L’omelia del Papa

dal sito:

http://www.cardinalrating.com/cardinal_190__article_9686.htm

Messa esequiale per il cardinale Špidlík. L’omelia del Papa
Apr 26, 2010

Si è svolto stamani nella Basilica Vaticana la Messa esequiale per il cardinale Tomáš Špidlík, morto il 16 aprile scorso all’età di 90 anni. Alla fine della liturgia, Benedetto XVI ha rivolto la sua parola ai presenti. Ecco il testo dell’omelia:

Venerati Fratelli,
illustri Signori Signore,
cari fratelli e sorelle!

Tra le ultime parole pronunciate dal compianto Cardinale Špidlík, vi sono state queste: “Per tutta la vita ho cercato il volto di Gesù, e ora sono felice e sereno perché sto per andare a vederlo”. Questo stupendo pensiero – così semplice, quasi infantile nella sua espressione, eppure così profondo e vero – rimanda immediatamente alla preghiera di Gesù, che è risuonata poc’anzi nel Vangelo: “Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo” (Gv 17,24). E’ bello e consolante meditare questa corrispondenza tra il desiderio dell’uomo, che aspira a vedere il volto del Signore, e il desiderio di Gesù stesso. In realtà, quella di Cristo è ben più di un’aspirazione: è una volontà. Gesù dice al Padre: “voglio che quelli che mi hai dato siano con me”. Ed è proprio qui, in questa volontà, che noi troviamo la “roccia”, il fondamento solido per credere e per sperare. La volontà di Gesù in effetti coincide con quella di Dio Padre, e con l’opera dello Spirito Santo costituisce per l’uomo una sorta di “abbraccio” sicuro, forte e dolce, che lo conduce alla vita eterna.

Che immenso dono ascoltare questa volontà di Dio dalla sua stessa bocca! Penso che i grandi uomini di fede vivono immersi in questa grazia, hanno il dono di percepire con particolare forza questa verità, e così possono attraversare anche dure prove, come le ha attraversate Padre Tomáš Špidlík, senza perdere la fiducia, e conservando anzi un vivo senso dell’umorismo, che è certamente un segno di intelligenza ma anche di libertà interiore. Sotto questo profilo, era evidente la somiglianza tra il nostro compianto Cardinale e il Venerabile Giovanni Paolo II: entrambi erano portati alla battuta spiritosa e allo scherzo, pur avendo avuto in gioventù vicende personali difficili e per certi aspetti simili. La Provvidenza li ha fatti incontrare e collaborare per il bene della Chiesa, specialmente perché essa impari a respirare pienamente “con i suoi due polmoni”, come amava dire il Papa slavo.

Questa libertà e presenza di spirito ha il suo fondamento oggettivo nella Risurrezione di Cristo. Mi piace sottolinearlo perché ci troviamo nel tempo liturgico pasquale e perché lo suggeriscono la prima e la seconda lettura biblica di questa celebrazione. Nella sua prima predicazione, il giorno di Pentecoste, san Pietro, ricolmo di Spirito Santo, annuncia il compimento in Gesù Cristo del Salmo 16. E’ stupendo vedere come lo Spirito Santo riveli agli Apostoli tutta la bellezza di quelle parole nella piena luce interiore della Risurrezione: “Contemplavo il Signore innanzi a me, / egli sta alla mia destra, perché io non vacilli. / Per questo si rallegrò il mio cuore ed esultò la mia lingua, / e anche la mia carne riposerà nella speranza” (At 2,25-26; cfr Sal 16/15,8-9). Questa preghiera trova un compimento sovrabbondante quando Cristo, il Santo di Dio, non viene abbandonato negli inferi. Egli per primo ha conosciuto “le vie della vita” ed è stato colmato di gioia con la presenza del Padre (cfr At 2,27-28; Sal 16/15,11). La speranza e la gioia di Gesù Risorto sono anche la speranza e la gioia dei suoi amici, grazie all’azione dello Spirito Santo. Lo dimostrava abitualmente Padre Špidlík con il suo modo di vivere, e questa sua testimonianza diventava sempre più eloquente col passare degli anni, perché, malgrado l’età avanzata e gli inevitabili acciacchi, il suo spirito rimaneva fresco e giovanile. Che cos’è questo se non amicizia con il Signore Risorto?

Nella seconda lettura, san Pietro benedice Dio che “nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva”. E aggiunge: “Perciò siete ricolmi di gioia, anche se dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove” (1 Pt 1,3.6). Anche qui emerge chiaramente come la speranza e la gioia siano realtà teologali che promanano dal mistero della Risurrezione di Cristo e dal dono del suo Spirito. Potremmo dire che lo Spirito Santo le prende dal cuore di Cristo Risorto e le trasfonde nel cuore dei suoi amici.

Volutamente ho introdotto l’immagine del “cuore”, perché, come molti di voi sanno, Padre Špidlík la scelse per il motto del suo stemma cardinalizio: “Ex toto corde”, “con tutto il cuore”. Questa espressione si trova nel Libro del Deuteronomio, dentro il primo e fondamentale comandamento della legge, là dove Mosè dice al popolo: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze” (Dt 6,4-5). “Con tutto il cuore – ex toto corde” si riferisce dunque al modo con cui Israele deve amare il suo Dio. Gesù conferma il primato di questo comandamento, al quale abbina quello dell’amore per il prossimo, affermando che esso è “simile” al primo e che da entrambi dipendono tutta la legge e i profeti (cfr Mt 22,37-39). Scegliendo questo motto, il nostro venerato Fratello poneva, per così dire, la sua vita dentro il comandamento dell’amore, la inscriveva tutta nel primato di Dio e della carità.

C’è un altro aspetto, un ulteriore significato dell’espressione “ex toto corde”, che sicuramente Padre Špidlík aveva presente e intendeva manifestare col suo motto. Sempre a partire dalla radice biblica, il simbolo del cuore rappresenta nella spiritualità orientale la sede della preghiera, dell’incontro tra l’uomo e Dio, ma anche con gli altri uomini e con il cosmo. E qui bisogna ricordare che nello stemma del Cardinale Špidlík il cuore, che campeggia nello scudo, contiene una croce nei cui bracci si intersecano le parole PHOS e ZOE, “luce” e “vita”, che sono nomi di Dio. Dunque, l’uomo che accoglie pienamente, ex toto corde, l’amore di Dio, accoglie la luce e la vita, e diventa a sua volta luce e vita nell’umanità e nell’universo.

Ma chi è quest’uomo? Chi è questo “cuore” del mondo, se non Gesù Cristo? E’ Lui la Luce e la Vita, perché in Lui “abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9). E qui mi piace ricordare che il nostro defunto Fratello è stato un membro della Compagnia di Gesù, cioè un figlio spirituale di quel sant’Ignazio che pone al centro della fede e della spiritualità la contemplazione di Dio nel mistero di Cristo. In questo simbolo del cuore si incontrano Oriente e Occidente, in un senso non devozionistico ma profondamente cristologico, come hanno messo in luce altri teologi gesuiti del secolo scorso. E Cristo, figura centrale della Rivelazione, è anche il principio formale dell’arte cristiana, un ambito che ha avuto in Padre Špidlík un grande maestro, ispiratore di idee e di progetti espressivi, che hanno trovato una sintesi importante nella Cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico.

Vorrei concludere ritornando al tema della Risurrezione, citando un testo molto amato dal Cardinale Špidlík, un passo degli Inni sulla Risurrezione di sant’Efrem il Siro:

“Dall’alto Egli è disceso come Signore,
dal ventre è uscito come un servo,
la morte si è inginocchiata davanti a Lui nello Sheol,
e la vita l’ha adorato nella sua risurrezione.
Benedetta la sua vittoria!” (n. 1, 8).

La Vergine Madre di Dio accompagni l’anima del nostro venerato Fratello nell’abbraccio della Santissima Trinità, dove “con tutto il cuore” loderà in eterno il suo infinito Amore. Amen.

Omelai di Pasqua: del metropolita di Mosca Filarete Drozdow (†1867)

dal sito:

http://www.tradizione.oodegr.com/tradizione_index/commentilit/omeliapasquafilarete.htm

OMELIA DI PASQUA

del metropolita di Mosca Filarete Drozdow (†1867)

Cristo è risorto!

Quante volte abbiamo già ripetuto ora ed ancora non ci stanchiamo di ripetere, e speriamo che anche voi non vi stanchiate di ascoltare così spesso le stesse parole: “Cristo è risorto!”. Che meravigliose parole! Come per loro effetto si trasforma l’aspetto esterno di tutto ciò che esiste! Fin’ora molti tra gli uomini conoscevano solo la terra, sulla quale essi sono presenti per un breve periodo di tempo, e subito dopo scompaiono non si sa dove. Alcuni già hanno sentito parlare dell’inferno come di un abisso che minaccia di inghiottire tutti e non restituisce nessuno. Non molti hanno meditato sul cielo come se fosse una dimora posta in alto alla quale porta una scala, che qualcuno ha visto solo nel sogno e su cui si vedevano salire gli Angeli, ma non gli uomini.

Ora che il Cristo è risorto, che cosa è la terra? Essa è un luogo da cui ci si slancia verso il cielo, una vita di breve durata e destinata alla distruzione dell’uomo nel corpo, diremo con le parole ciò che in realtà esprime il rito pasquale nella reciproca manifestazione di gioia. La vita dell’uomo nel corpo è quella iniziale di un uccellino nell’uovo, al quale, nel momento in cui si spezza il guscio, si palesa un ambito di vita più alto e più ampio. È necessario solo che l’embrione dell’uccellino sia abbracciato, penetrato e svegliato dal tepore del sangue materno. In altri termini è necessario che l’embrione della vita celeste nell’uomo sia abbracciato, penetrato e svegliato dalla forza vitale del sangue di Cristo.

Ora che il Cristo è risorto e che a lui, in quanto Dio-Uomo “è stato dato ogni potere sui cieli e sulla terra” (Matteo 28, 18), non solo il cielo è giunto a nostro contatto, ma addirittura s’è unito con la terra, tanto che è difficile trovare tra loro un confine. Poiché anche sulla terra si manifesta la divinità ed in cielo l’umanità. Gli angeli, che Giacobbe vide salire e scendere sulla scala celeste, ora in schiere si muovono sulla terra, messaggeri del Figlio dell’Uomo, che domina sui cieli.

Che cos’è l’inferno dopo che il Cristo, il quale vi è sceso, è risorto? Una fortezza nella quale, sotto l’aspetto esteriore di un prigioniero, il Cristo è entrato come vincitore; un carcere, le cui porte sono state spezzate e le sentinelle disperse… Ora si comprende come qualcuno sperava di attraversare addirittura l’inferno senza alcun pericolo: “Anche se andrò tra le tenebre della morte, non temerò il male, poiché tu sei con me” (Salmo 22, 4). Tu, che per noi sei sceso dal cielo e, simile a noi, hai camminato sulla terra, sei sceso nell’ombra della morte per aprire ai tuoi seguaci la via nella luce della vita.

            Infine, la resurrezione del Cristo non ha reso diversi anche noi? Crediamo ad uno dei veraci testimoni della resurrezione che anche noi siamo stati rigenerati da essa, se non in realtà, almeno nella speranza. “Benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo – esclama l’Apostolo Pietro – il quale per la sua grande misericordia ci ha generati nella viva speranza grazie alla resurrezione dai morti di Gesù Cristo” (1 Pietro 1, 3). Ma, se noi siamo rigenerati per opera della resurrezione del Cristo solo ancora “nella speranza”, ed alla nostra speranza viene dietro la speranza di tutta la creazione, poiché “tutto l’universo aspetta con grande impazienza il momento in cui Dio mostrerà il suo vero volto agli uomini” (Romani 8, 19), tutti i miracoli che produsse la resurrezione del Cristo, sono solo l’inizio di ulteriori miracoli, che egli manifesterà successivamente, particolarmente alla fine dei tempi ed anche nell’eternità che non conosce limiti.

A causa di questi inesauribili miracoli che si sono compiuti e che dovranno compiersi, la resurrezione del Cristo è per noi fonte di meditazione, contemplazione, stupore, gioia, gratitudine. È una fonte da cui sgorga abbondante un’acqua nuova, ogniqualvolta noi da essa attingiamo. E perciò, per quanto siamo certi della resurrezione del Cristo, tuttavia desideriamo annunciare l’uno all’altro, come se fosse una notizia mai udita, che “Cristo è risorto”. Sebbene convinti della verità di questo avvenimento, testimoniato dai testimoni oculari della resurrezione e dimostrato da apparizioni e miracoli, e per di più non messo in discussione dai nemici del Cristianesimo, tuttavia desideriamo udire ripetute le parole: “Cristo è veramente risorto!”.

Se la parola è vita, poiché è detto che “non di solo pane vive l’uomo, ma chi vivrà di ogni parola che esce dalle labbra di Dio” (Deuteronomio 8, 3), così le parole che si riferiscono alla resurrezione del Cristo, come la manna – secondo le parole del Sapiente – “sono atte a procurare tutte le delizie ed a soddisfare tutti i gusti” (Sapienza 16, 1.20). Sei esaurito dal peccato ed hai fame di giustizia? Vieni, saziati: “Cristo è risorto, lui che fu consegnato ai suoi nemici per le nostre iniquità ed è risorto per la nostra giustificazione” (Romani 4, 25). Sei stanco per lo sconforto del giogo della legge e desideri passare da questo stato di schiavitù alla libertà della grazia? Accostati, gusta la Pasqua da te desiderata, “poiché il nostro agnello pasquale è stato già sacrificato” (1 Corinti 5, 7); “Cristo ci ha liberati per farci vivere effettivamente nella libertà” (Galati 5, 1). Sei turbato per la paura della morte? “Cristo è risorto dai morti, primizia di resurrezione per quelli che sono morti” (1 Corinti 15, 20). Sei esaurito nella lotta contro i nemici della tua salvezza? “Gusta la buona parola della resurrezione” ed in essa la vittoriosa potenza dell’età ventura: “risusciterà Dio e si disperderanno i suoi nemici” (Salmo 77, 2). Ti attira il gusto menzognero dell’anima e ti spinge a cercare il nutrimento ai desideri nelle cose corruttibili e vane di questo mondo? Correggilo partecipando alla potenza della resurrezione. “Se voi siete resuscitati con Cristo, cercate le cose del cielo, dove Cristo regna accanto al Padre” (Colossesi 3, 1). Oppure “l’anima tua ha sete del Dio vero e vivo, quando verrai e comparirai al cospetto di Dio?” (Salmo 41, 3). Viva è la speranza della resurrezione, sazia il tormento di questa sete e conserva questa stessa sete, poiché è sana ed apportatrice di salvezza considerando che “quando il Cristo apparirà, lui che è la nostra vita, allora anche voi vi manifesterete con lui nella gloria” (Colossesi 3, 4).

Vedi, Cristiano, quale abbondanza, quale varietà di cibo spirituale ci offre la nostra Pasqua, il Cristo risorto. Si nutre di lui ora la tua anima? Realmente “gusti quant’è buono il Signore?”. Senti nel tuo intimo la potenza della resurrezione del Cristo, che libera dai peccati e dalla maledizione per causa loro, resurrezione che distrugge le passioni ed i desideri dell’uomo vecchio, crea in te un cuore puro, rinnova nel tuo animo lo spirito di giustizia e ti rafforza nella fede e nella speranza che arde nell’amore per il Cristo datore della vita? Oppure alla mensa del Signore tu sei affamato ed assetato e la tua anima non è soddisfatta ed è vuota? – Del resto attraverso questo esame non volgiamo ridurti ad uno stato di turbamento ed avvilimento. No! Sebbene la tristezza per Dio sia apportatrice di salvezza, ora non è il momento di rattristarci, ma quello della gioia, la quale pure può avere una funzione salvatrice: “infatti la gioia del Signore è la nostra forza” (Neemia 8, 10). E così, hai gustato la bontà del Cristo risorto? “si rallegri la tua anima nel Signore” (Salmo 34, 9) e questa gioia ti spinga ad una più stretta unione con lui. Non hai ancora gustato la sua bontà? Tuttavia rallegrati, poiché egli non ti impedisce di provarla, ma anzi ti chiama ad essa dandoti la possibilità di udire la buona notizia della sua resurrezione e di trovarti tra coloro che si sono raccolti in nome di Colui che è risorto, dove, secondo la sua promessa “anche egli si troverà tra loro” (Matteo 18, 20). Se ti senti indegno della gioia, rallegrati per quella meravigliosa bontà che non allontana da sé neppure chi è indegno. Che la letizia per la resurrezione di nostro Signore dia a tutti noi nel nostro intimo anche la potenza della sua resurrezione apportatrice di vita e di salvezza! “Poiché la letizia del Signore è la nostra forza”. Amìn. 

Trad. A.S.

San Serafino di Sarov: « Nascere da acqua e da Spirito »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20100412

Lunedì della II settimana di Pasqua : Jn 3,1-8
Meditazione del giorno
San Serafino di Sarov (1759-1833), monaco russo
Colloqui con Motovilov

« Nascere da acqua e da Spirito »

        Il giorno di Pentecoste, il Signore mandò solennemente lo Spirito Santo con un rombo di tempesta… Questa grazia folgorante dello Spirito Santo è stata conferita a noi tutti, fedeli di Cristo, nel sacramento del battesimo. Essa è stata sigillata dalla cresima, l’unzione fatta con il sacro crisma sulle membra principali del nostro corpo… Si dice : « Il sigillo del dono dello Spirito ». Ora, dove apponiamo i nostri sigilli, se non sui recipienti il cui contenuto è particolarmente prezioso ? E cosa c’è di più prezioso al mondo, e di più sacro, dei doni dello Spirito Santo mandati dall’alto durante il sacramento del battesimo ?

        Questa grazia battesimale è così grande, così importante, così vivificante per l’uomo, da non poter essergli tolta, anche se  diventasse eretico, fino alla morte, cioè al termine della sua prova temporanea fissata dalla Provvidenza affinché egli abbia una possibilità di raddrizzarsi… Quando un peccatore, ricondotto alla vita dalla sapienza divina sempre in cerca della nostra salvezza, si è deciso di volgersi verso Dio per sfuggire alla perdizione, deve seguire la via del pentimento… e sforzarsi, operando nel nome di Cristo, di acquistare lo Spirito Santo, il quale, dentro di noi, prepara il Regno di Dio.

Venerdì Santo: la Croce (Chiesa Ortodossa)

dal sito:

http://www.tradizione.oodegr.com/tradizione_index/commentilit/venerdischmemann.htm

Protopresbitero A. Schmemann

5. Venerdì Santo:

La Croce

Dalla luce del Santo Giovedì, si entra nelle tenebre del Venerdì, il giorno della Passione di Cristo, della Morte e della Sepoltura. Nella Chiesa antica questo giorno veniva chiamato “Pasqua della Croce”, perché esso è davvero l’inizio di questa Pasqua o Passaggio il cui senso ci sarà progressivamente rivelato, in primo luogo, nella meravigliosa quiete del Grande e Benedetto Sabato, e, poi, nella gioia del giorno della Risurrezione.

Ma, in primo luogo, le Tenebre. Se solo riuscissimo a capire che nel Santo Venerdì le tenebre non sono solo simboliche e commemorative! Molto spesso guardiamo la bellezza e la solenne tristezza di queste ufficiature in uno spirito di auto-redenzione e di auto-giustificazione. Duemila anni fa uomini cattivi hanno ucciso Cristo, ma oggi noi – il buon popolo cristiano – innalziamo sontuosi sepolcri nelle nostre chiese – non è questo il segno della nostra bontà? Eppure, il Santo Venerdì non si occupa solo del passato. È il giorno del Peccato, il giorno del Male, il giorno in cui la Chiesa ci invita a renderci conto della loro terribile realtà e del loro potere in “questo mondo”. Perché il Peccato e il Male non sono scomparsi, ma, al contrario, costituiscono ancora la legge fondamentale del mondo e della nostra vita. E noi che ci diciamo cristiani, non facciamo molto spesso nostra questa logica del male che ha portato il Sinedrio ebraico e Ponzio Pilato, i soldati Romani e tutta la folla ad odiare, torturare e uccidere Cristo? Da quale parte, con chi saremmo stati, se fossimo vissuti a Gerusalemme sotto Pilato? Questa è la domanda indirizzata a noi in ogni parola dell’ufficiatura del Santo Venerdì. È, infatti, il giorno di questo mondo, e la sua condanna reale e non simbolica, il giudizio reale e non rituale sulla nostra vita… È la rivelazione della vera natura del mondo, che poi ha preferito, e preferisce ancora, le tenebre alla luce, il male al bene, la morte alla vita. Dopo aver condannato a morte Cristo, “questo mondo” ha condannato a morte sé stesso nella misura in cui accetta il suo spirito, il suo peccato, il suo tradimento di Dio – siamo anche noi condannati… Questo è il primo e terribilmente reale significato del Santo Venerdì – una condanna a morte…

Ma questo giorno del Male, della sua manifestazione e trionfo finale, è anche il giorno della Redenzione. La morte di Cristo si rivela a noi come morte oikonomica[1] per noi e per la nostra salvezza.

Si tratta di una Morte oikonomica perché è il totale, perfetto e supremo Sacrificio. Cristo dona la Sua Morte al Padre Suo e dona la Sua Morte a noi. A Suo Padre, perché, come vedremo, non vi è altro modo per distruggere la morte, per salvare gli uomini da essa, ed è la volontà del Padre che gli uomini siano salvati dalla morte. A noi, perché in assoluta verità Cristo muore al posto nostro. La morte è il naturale frutto del peccato, un castigo immanente. L’uomo ha scelto di stare lontano (alienato) da Dio, ma non avendo la vita in sé stesso e da sé stesso, muore. Eppure in Cristo non vi è alcun peccato e, quindi, nessuna morte. Egli accetta di morire solo per nostro amore. Vuole assumere e condividere la nostra condizione umana sino alla fine. Accetta il castigo della nostra natura, come si è assunto l’intero onere del genere umano. Muore perché si è veramente identificato con noi, ha preso su di sé la tragedia della vita dell’uomo. La sua morte è l’ultima rivelazione della Sua compassione e del Suo amore. E poiché il suo morire è amore, compassione e condivisione della sofferenza, nella Sua morte, la natura stessa della morte è stata cambiata. Da punizione diventa radioso atto d’amore e di perdono, la fine dell’alienazione e della solitudine. La condanna è trasformata in perdono…

E, infine, la sua morte è una morte oikonomicamente salvifica, perché distrugge la fonte stessa della morte: il male. Accettando nell’amore tutto questo, dando sé stesso ai suoi uccisori e permettendo loro un’apparente vittoria, Cristo rivela che, in realtà, questa vittoria è la totale e decisiva sconfitta del Male. Per essere vittorioso il Male deve annientare il Bene, deve dimostrare di essere la verità ultima sulla vita, screditare il Bene e, in una parola, mostrare la propria superiorità. Ma in tutta la Passione è Cristo e Lui solo che trionfa. Il Male non può fare nulla contro di Lui, poiché non può indurre Cristo ad accettare il Male come verità. L’Ipocrisia si rivela come Ipocrisia, l’Omicidio in quanto Omicidio, la Paura quale Paura; e come Cristo avanza in silenzio verso la Croce e la Fine, così la tragedia umana raggiunge il Suo culmine, il Suo trionfo, la Sua vittoria sul male, la Sua glorificazione divenuta sempre più evidente. E ad ogni passo questa vittoria è riconosciuta, confessata, proclamata – da parte della moglie di Pilato, da Giuseppe, dal ladro crocifisso, da parte del centurione. E quando Lui muore sulla Croce avendo accettato l’ultimo orrore della morte: la solitudine assoluta (Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?), non rimane null’altro da confessare se non che “veramente questo era il Figlio di Dio!…”. E, quindi, è questa Morte, questo Amore, questa obbedienza, la pienezza della Vita che distrugge ciò che rese la morte un destino universale. “E le tombe si aprirono…” (Matteo 27, 52). Appaiono già i raggi della risurrezione. 

Questo è il duplice mistero del Santo Venerdì, rivelato nelle sue ufficiature che ci rendono di esso partecipi. Da un lato, vi è la costante attenzione sulla Passione di Cristo come il peccato di tutti i peccati, il crimine di tutti i crimini. Dal Mattutino, nel corso del quale la lettura dei dodici Evangeli della Passione ci fa seguire passo per passo le sofferenze di Cristo, alle Ore (che sostituiscono la Divina Liturgia: il divieto di celebrare in questo giorno l’Eucaristia significa che il sacramento della presenza di Cristo non appartiene a “questo mondo” di peccato e di tenebre, ma è il sacramento del “mondo che verrà”) e, infine, i Vespri, gli uffici della sepoltura di Cristo, gli inni e le letture sono pieni di solenni accuse di coloro che volontariamente e liberamente decisero di uccidere Cristo, che addussero a giustificazione per questo omicidio la loro religione, la loro lealtà politica, le loro considerazioni pratiche e la loro obbedienza professionale.

Ma, dall’altro lato, il sacrificio d’amore che prepara la vittoria finale è altresì presente fin dall’inizio. Dalla lettura del primo Evangelo (Giovanni 13, 31), che inizia con il solenne annuncio di Cristo: “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e in Lui Dio è stato glorificato”, agli stichira alla fine del Vespro – vi è l’accrescersi della luce, il lento evolversi della speranza e della certezza che “la morte sarà calpestata dalla morte…” 

“Quando Tu, il Redentore di tutti,
fosti posto per tutti nel sepolcro nuovo,
l’Ade, che di nessuno ha timore, vedendo Te si chinò impaurito.
I chiavistelli furono infranti, le porte sconquassate,
le tombe furono aperte, i morti risuscitati.
Allora Adamo, con gioiosa gratitudine, Ti gridò:
“Gloria alla tua condiscendenza, o Misericordioso Sovrano”.

E quando, alla fine dei Vespri, abbiamo posto al centro della Chiesa, l’immagine di Cristo nel sepolcro, quando questo lungo giorno sta giungendo alla sua fine, sappiamo che siamo giunti alla fine della lunga storia della salvezza e della redenzione. Il Settimo Giorno, il giorno di riposo, il benedetto Sabato sta giungendo e con esso – la rivelazione della Tomba Vivificante.

Rev. Alexander Schmemann, Holy Week: A Liturgical Explanation for the Days of Holy Week (La Santa Settimana: Spiegazione Liturgica per i giorni della Santa Settimana), pubblicato da St Vladimir’s Seminary Press.
 

Tradotto :  Tradizione Cristiana da E. M. Aprile 2009

Testo originale in http://www.svots.edu/News/Recent/schmemann-holy-week-friday-cross/

Publié dans:CHIESA ORTODOSSA, FESTE - PASQUA |on 1 avril, 2010 |Pas de commentaires »

4. Giovedì Santo: l’Ultima cena (Chiesa Ortodossa)

dal sito:

http://www.tradizione.oodegr.com/tradizione_index/commentilit/ultcenaschmemann.htm

Alexander Schmemann

4. Giovedì Santo

L’Ultima Cena

            Due importanti eventi caratterizzano le sacre ufficiature del Santo e Grande Giovedì: l’Ultima Cena del Signore Gesù Cristo con i suoi discepoli e il tradimento di Giuda. Il significato più profondo di questi due eventi è l’amore. L’Ultima Cena è la rivelazione escatologica dell’amore salvifico di Dio per l’uomo, l’amore che è il cuore della salvezza. Il tradimento di Giuda rivela che il peccato, la morte e l’autodistruzione sono anch’essi dovuti all’amore; ma un amore distruttivo, un amore che divide, disperde e conduce là dove domina tutt’altro che l’amore. Proprio qui sta il mistero di questo unico giorno, del Santo Giovedì. Le sacre ufficiature, dove la luce e le tenebre, la gioia e il dolore sono stranamente mescolati, ci provocano mettendoci di fronte ad una scelta dalla quale dipende la destinazione finale di ciascuno di noi.

«Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre… dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine…» (Gv 13, 1). Per capire il significato dell’Ultima Cena, essa deve essere vista come il fine della grandiosa potenza del Divino Amore, che ha avuto inizio con la creazione del mondo e adesso si conclude con la Morte e la Risurrezione di Cristo.

«Dio è amore» (Gv 4, 8). E il primo dono dell’Amore è stato la vita. Il significato e il contenuto della vita era la comunione. Perché l’uomo riuscisse a vivere doveva mangiare e bere, partecipare alla vita del mondo. Così il mondo era amore divino che divenne cibo, divenne Corpo dell’uomo. Ed essendo vivo, partecipando cioè al mondo, l’uomo ha dovuto vivere in comunione con Dio, trovare senso in Dio, trovare in Lui il contenuto e il fine della sua vita. Comunione con il mondo – la creazione di Dio – era una vera e propria comunione con Dio.

L’uomo ha ricevuto il cibo da Dio, facendoli corpo e vita propria, ha offerto tutto il mondo a Dio trasformandolo in vita «in Cristo». L’amore di Dio ha dato la vita all’uomo, l’amore dell’uomo per Dio ha trasformato questa vita in comunione con Dio. Questo è stato il Paradiso. La vita nel Paradiso era veramente eucaristica. Attraverso l’uomo e il suo amore per Dio, l’intera creazione si sarebbe santificata e trasformata in un mistero della Presenza Divina e l’uomo sarebbe stato il celebrante di questo mistero.

Però con il peccato, l’uomo ha perso questa vita eucaristica. L’ha persa perché smise di vedere il mondo come un mezzo di comunicazione con Dio, e la sua vita come eucaristia, come adorazione e gratitudine… Amò sé stesso per sé stesso e il mondo per il mondo. Fece di lui e del mondo qualcosa fine a sé stessa. Amò tanto sé stesso che lo rese il centro, il contenuto e il fine della sua esistenza. Credé che la sua fame e la sua sete, cioè la dipendenza della sua vita dal mondo, potesse essere soddisfatta da questo mondo, dal cibo che offre il mondo. Ma il mondo e il cibo, una volta separati dal loro significato misterico – come mezzi di comunicazione con Dio – dal momento in cui essi non sono assunti come doni di Dio e non soddisfano la fame e la sete per Dio, non offrono più una certa soddisfazione, né colmano la vita. In altre parole, quando Dio non è più il reale contenuto e il significato della vita del mondo, la fame e la sete cessano di essere soddisfatte, perché il mondo non ha più la vita in sé… Quindi mettendo l’amore in queste cose l’uomo si distaccò dal solo oggetto di tutto l’amore, di tutta la fame, di tutti i desideri. Ed è morto. Egli è morto perché la morte è l’inevitabile «decomposizione» della vita staccata dall’unica fonte e dall’autentico contenuto.

L’uomo, invece di trovare la vita in questo mondo e il cibo che offre il mondo, trovò la morte. La vita diventò ormai comunione con la morte invece di trasformare il mondo attraverso la fede, l’amore, il culto di Dio e della comunione con Lui. L’uomo si sottomise interamente al mondo, cessò di essere il suo celebrante e divenne il suo schiavo. Con il suo peccato tutto il mondo è diventato un immenso cimitero dove le persone sono condannate a morte, perché sono «abitanti nella regione dell’ombra della morte…» (Mt 4, 16).

Sebbene l’uomo abbia tradito, Dio è rimasto fedele all’uomo, non gli ha voltato le spalle. «Tu non hai respinto per sempre la creatura che avevi plasmato, o Buono, né hai dimenticato l’opera delle tue mani, ma l’hai visitata in molti modi nella tua grande misericordia» (Preghiera della Divina Liturgia di Basilio il Grande). Un nuovo progetto divino ebbe inizio; il progetto della redenzione e della salvezza. E questo progetto si completò con Cristo, il Figlio di Dio, che, per restaurare l’uomo nella sua «bellezza primitiva» e riportare la vita in comunione con il suo Creatore, si è fatto Uomo. Assunse la nostra natura umana con tutte le sue caratteristiche: la fame, la sete, il desiderio di amore, di vita. Nel volto del Cristo incarnato si rivelò la vera vita la quale fu data in origine all’uomo come una completa e perfetta Eucaristia, come piena e perfetta comunione con Dio. Il Cristo Teantropo negò la tentazione umana fondamentale: di vivere «di solo pane». Egli rivelò che Dio e il Suo Regno sono il vero pane, la vera vita dell’uomo. Questa perfetta vita eucaristica, piena di Dio – e quindi della vita divina e immortale – l’ha data a tutti i Suoi fedeli. Quindi, i credenti in Dio trovano in Lui il senso e il contenuto della loro vita. Questo è esattamente il più profondo, il meraviglioso senso dell’Ultima Cena.

Gesù Cristo offrì Sé stesso come il vero, l’essenziale cibo dell’uomo, perché la vita di Cristo è la vera vita. Così il movimento del Divino Amore che ha avuto inizio nel Paradiso con l’offerta di Dio «Mangia [del frutto] di qualunque albero del paradiso» (perché il cibo è la vita dell’uomo) raggiunge ora il suo culmine con il divino «prendete e mangiate, questo è il mio corpo…» (perché Dio è la vita dell’uomo). L’Ultima Cena, quindi, è il ripristino del Paradiso delle Delizie, la restaurazione della vita come Eucaristia e comunione.

Ma questo momento di estremo Amore è anche il tempo dell’estremo tradimento. Giuda abbandona la luce che inondava la «Gran Sala» ed entra nel buio. «Quello però, preso il boccone, uscì subito. Era notte» (Gv 13, 30). Perché se ne è andato? Perché amava, risponde l’Evangelo. E questo amore fatale si sottolinea ripetutamente negli inni del Grande Giovedì. «Il tuo agire è colmo di perfidia, illegittimo Giuda; essendo ammalato di avarizia, hai guadagnato la misantropia; se amavi le ricchezze perché seguivi Colui che insegnava la povertà? anche se lo baciasti, perché hai venduto colui che non ha prezzo?…». Non ha importanza il fatto che l’oggetto dell’amore di Giuda sia stato l’«oro». L’oro, il denaro, rappresentano qui tutti gli amori perversi e distruttivi che portano l’uomo alla negazione di Dio. È infatti un amore rubato a Dio ed è proprio per questo che Giuda è un ladro. E quando qualcuno non ama Dio e il suo amore in genere non proviene da Dio, anche allora l’uomo ama e desidera – perché è creato per amare e l’amore è la sua natura – ma una passione oscura e autodistruttiva lo porta alla morte.

Ogni anno, mentre celebriamo questo grande giorno del Santo Giovedì e affondiamo nella sua luce infinita, e nelle profondità insondabili dei significati del giorno, la stessa domanda decisiva è rivolta a ciascuno di noi: Io, corrispondo all’amore di Dio e l’accetto come mia vita, o seguo Giuda nel buio della sua notte?

Le ufficiature del Grande Giovedì includono il Mattutino, il Vespro e poi la Divina Liturgia di Basilio il Grande. Anticamente nelle cattedrali si compiva l’ufficiatura del «Lavabo» dopo la Divina Liturgia. Oggi si riscontra in pochi monasteri. Mentre il diacono legge l’Evangelo, il Vescovo (o l’igumeno) lava i piedi di dodici sacerdoti (o monaci), fatto che ci ricorda che l’amore di Cristo è il fondamento della vita della Chiesa e caratterizza tutti i rapporti all’interno della Chiesa. Inoltre nelle prime Chiese Autocefale era d’uso anticamente nel Grande Giovedì la pratica dell’ufficiatura del Santo Miron il quale viene utilizzato nel sacramento della Santa Unzione. Ma oggi il Santo Miron si prepara solo al Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, in una specifica ufficiatura del Grande Giovedì. A questa ufficiatura partecipano il Patriarca Ecumenico, i Metropoliti e tutto il clero del Santo Trono (Ecumenico). Con il Santo Miron che riceviamo dopo il nostro battesimo, riceviamo i doni del Santo Spirito. Pertanto, il nuovo amore che Cristo porta sulla terra, ci sigilla nel giorno in cui, come nuovi membri, facciamo il nostro ingresso nella Chiesa.

Nel Mattutino i tropari sottolineano il tema del giorno che è il contrasto tra l’amore di Cristo e l’«insaziabile anima» di Giuda. Uno dei tanti tropari ci dice:

«Mentre i gloriosi discepoli venivano illuminati con la lavanda della cena, ecco che l’empio Giuda, malato di avarizia, si ottenebrava; e consegnava a giudici iniqui te, il giusto Giudice. Vedi come l’amante del denaro proprio per questo finisce impiccato; fuggi anima insaziabile che tanto ha osato contro il Maestro. O tu, buono con tutti, Signore, gloria a te».

La lettura dell’Evangelo (Lc 22, 1-39) è la narrazione dei fatti accaduti in quella «grande sala pronta». Segue il meraviglioso canone – pieno di significati teologici – poema del Monaco Cosma: «Il Mar Rosso squarciato si apre…». Questo ci dà l’impulso per concentrarci e meditare sul significato escatologico dell’Ultima Cena. L’ultimo Irmòs della 9ª Ode ci invita a prendere parte alla tavola immortale che ci fornisce il Signore con imperiosa ospitalità:

«Venite, o fedeli, con sensi elevati godiamo, nella sala alta, dell’ospitalità del Signore e della sua mensa immortale, godiamo il Logos innalzato, che esaltiamo poiché egli ce l’ha rivelato».

Nel Vespro dopo il «Signore, ho gridato a te…» agli idiòmela delle Lodi che seguono si evidenzia il terribile declino spirituale di Giuda: Il tradimento. Lo stico che segue è rappresentativo:

«Giuda, servo e ingannatore, discepolo e insidiatore, amico e diavolo, si rivela nelle opere. Seguiva infatti il Maestro e meditava tra sé il tradimento; diceva in sé: lo consegnerò e raccoglierò il denaro. Cercava di vendere il miron ma anche di consegnarlo con l’inganno. Diede l’abbraccio, consegnò Cristo come agnello al macello, così seguì, l’unico misericordioso e amico dell’uomo».

Dopo l’Ingresso del santo Evangelo si leggono tre letture dall’Antico Testamento:

1) Esodo 19, 10-19. Dio viene «nelle nubi» sul monte Sinai e Mosè con il popolo esce a incontrarlo. Ciò prefigura la venuta di Cristo nel mondo e soprattutto nella riunione Eucaristica.

2) Giobbe 38, 1-23; 42, 1-5. Dio parla a Giobbe e Giobbe risponde: «… chi è costui che senza cognizione ottenebra il tuo consiglio? Ho esposto dunque senza discernimento cose grandi e meravigliose che non comprendevo». E queste cose «grandi e meravigliose» si compiono ora in questa splendente «Grande Sala» con i Doni altissimi: il Corpo e il Sangue di Cristo.

3) Isaia 50, 4-11. Le profezie sulla Passione di nostro Signore Gesù Cristo. «Ho dato il mio corpo a quelli che mi percuotevano, e le mie guance a quelli che mi strappavano la barba; non nascosi il mio volto a quelli che mi schernivano e che mi sputavano…».

Nella lettura dell’Apostolo si legge dalla Prima Lettera ai Corinzi (11, 23-32) la descrizione dell’Ultima Cena e il significato della Santa Comunione, come li riporta l’apostolo Paolo.

La lettura dell’Evangelo che segue, è la più lunga nel corso dell’anno, ed è un testo composto da brani di tutti e quattro gli Evangeli. Parla di tutto quanto accade nell’Ultima Cena, del tradimento di Giuda e dell’arresto di Gesù Cristo nel giardino del Getsemani.

Segue la Divina Liturgia di Basilio il Grande, dove invece dell’Inno Cherubico e del Koinonikòn si canta l’inno che diciamo sempre prima della santa Comunione: 

«Della tua mistica cena, Figlio di Dio, rendimi oggi partecipe; non svelerò il Mistero ai tuoi nemici, né ti darò un bacio come Giuda, ma come il ladrone ti confesserò: ricordati di me, Signore nel tuo Regno».

Publié dans:CHIESA ORTODOSSA, FESTE - PASQUA |on 1 avril, 2010 |Pas de commentaires »

TRIODION – GRANDE QUARESIMA – DOMENICA DELL PALME (liturgia Chiesa Ortodossa)

liturgia Chiesa Ortodossa, dal sito:

http://www.tradizione.oodegr.com/tradizione_index/commentilit/domenicapalmeschmemann.htm

TRIODION – GRANDE QUARESIMA

13. SESTA DOMENICA DEI DIGIUNI

Domenica delle Palme

         Una settimana prima di Pasqua, i credenti festeggiano la Domenica delle Palme, giorno in cui ricordano l’entrata di Gesù Cristo a Gerusalemme: entrata gloriosa e al tempo stesso piena di umiltà. Il popolo lo accoglie come un Re, con grida di gioia, agitando rami di palme, e l’Evangelo dice: “Tutta la città era commossa” (Matteo 21, 10). Ma era un Re che non disponeva di alcun potere se non quello dell’amore, non aveva da dare altro che libertà e gioia, non richiedeva che quello stesso amore, quella stessa libertà. “Ecco viene a te il tuo re pieno di dolcezza” (Matteo 21, 5). L’Evangelo cita questo testo del profeta Zaccaria, questa profezia viene letta durante l’ufficio della Domenica delle Palme. E precisamente in questo incontro fra l’umiltà e la regalità, il potere e l’amore, la gloria e la libertà, risiede il senso eterno di questo avvenimento evangelico e di questa festa che la Chiesa chiama “Entrata del Signore a Gerusalemme”.

         Come allora, il mondo attuale esalta il dominio, la potenza, l’onore, la concorrenza. Allora come oggi ciascuno vuol regnare sull’altro, comandare, dirigere, esercitare il proprio potere. “I re delle nazioni – dice Cristo – dominano su di esse da padroni ed esercitano il potere. Non deve essere così fra voi…” (Matteo 20, 55). Spesso, riduttivamente, si vuol vedere nella religione in generale, e nel cristianesimo in particolare, un insieme simultaneo di sete di sottomissione e di potenza. Nella religione si vede l’abbassamento dell’uomo, una sottomissione di schiavo di fronte ad un Assoluto terrificante. Dio è percepito come la proiezione umana dell’asservimento e della tirannia, di tutto ciò che avvilisce, schiavizza, opprime l’uomo. Si è costruita ed insegnata tutta una serie di teorie sulla religione e la sua origine, sul modello dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, sui rapporti che lo legano ai detentori del potere, sul suo carattere di classe. Per questo si collega la liberazione dell’uomo ad una sua emancipazione nei confronti di questa ebbrezza religiosa, di questo “oppio” che contribuirebbe a mortificare l’uomo addormentandolo con la promessa di una ricompensa nell’aldilà, che lo priverebbe di ogni volontà di lotta, di miglioramento della propria sorte sulla terra, di liberazione da ogni sfruttamento… Ma che fare di una dottrina, di una religione, che ci presenta Dio stesso nell’aspetto di un uomo povero e umile? Quest’uomo, tuttavia, è assolutamente e integralmente libero.

         Dinanzi a Dio dunque chiunque detiene un potere trema, freme e cerca di mobilitare tutte le proprie forze per distruggere, respingere, annientare il terribile insegnamento sull’amore, la libertà, la verità. Che fare di una religione che non può in alcun modo stendersi su letto di Procuste delle teorie scientifiche secondo le quali al cuore di ogni religione dovrebbe necessariamente trovarsi la paura, la sottomissione cieca, l’asservimento? Ecco che avanza verso Gerusalemme il Maestro povero, senza casa né tetto, senza un luogo ove posare il capo. Ecco che Egli manda i suoi discepoli a cercargli un umile animale, l’asinello da cavalcare, e questo è tutto il suo trionfo, questa la sua gloria! Ed ecco che viene ad incontrarlo una folla immensa mentre tutta la città risuona dei saluti tradizionalmente riservati ai re: “Osanna! Benedetto Colui che viene nel nome del Signore!”. In quel momento egli non ebbe altro potere, altra regalità: inutili ed assurdi tutti gli ammennicoli del potere umano, le intimidazioni, le autoglorificazioni. Egli insegnava: “Imparate la verità e la verità vi renderà liberi”.

         Tutto il suo insegnamento dimostra che non esiste potere al mondo capace di spezzare interiormente e di asservire colui che conosce la verità e che in essa ha acquistato la libertà. Si può trasformare un intero paese in una prigione ed obbligare i popoli a tremare per decine di anni. Viene il momento in cui la verità trionfa ed il potere trema. Allora bisogna ancora mobilitare degli schiavi perché gridino: “Crocifiggeteli, annientateli, chiudete la bocca a questi criminali”. Che fare in questo mondo ove prima o poi la parola, la poesia, il pensiero sono più forti di tutti gli “apparati”, di tutti i “poteri”… È tutto questo che ci riporta la Domenica delle Palme, è questa libertà che costituisce l’essenziale di questa festa. Ci dicono che la religione svia tutti i nostri interessi verso l’aldilà… ma il Regno della libertà dell’amore e della verità si è levato sulla nostra terra. Il Cristo è entrato in una città di questo mondo, ad accoglierlo ed acclamarlo era gente di quaggiù. Egli ha insegnato che bisogna essere liberi qui ed adesso, che adesso bisogna amare, che bisogna vincere ogni paura con l’amore, che l’uomo realizza la propria eternità in questo mondo creato da Dio, colmo della bellezza di Dio, e al quale Dio ha conferito un significato. Ed ogni volta che nell’ufficio della vigilia, nella veglia della Domenica delle Palme, nel momento solenne e gioioso in cui i fedeli che riempiono la chiesa levano le palme nella luce dei ceri, nel momento in cui risuona di nuovo l’acclamazione “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”, in quel momento non si commemora solo ciò che è avvenuto un tempo in un paese lontano…

         No! Essi sono là ora e fanno giuramento di fedeltà al solo Re e all’unico Regno, essi promettono di essere fedeli alla libertà, alla verità, all’amore che Egli ha annunciato. O, più semplicemente essi riaffermano e annunciano la libertà divina dell’uomo. Tutto il resto non esiste e non può soggiogare che nella misura in cui non si oppone a questa libertà, a questo amore, a questa verità. Sì, io mi sottometto ad ogni legge di questo mondo meno che a quella che nega questa libertà… E a chi mi dirà che è la legge del potere legittimo io risponderò che tutte le leggi e tutti i poteri sono tali solo nella misura in cui essi stessi sono sotto la legge della libertà, dell’amore, della verità.

         La Domenica delle Palme è la festa della liberazione, la festa del Regno di Dio, venuto in tutta la sua forza, come annuncia l’Evangelo. Certo, noi sappiamo che dopo la luce e la gioia di questo giorno ci immergeremo nella tristezza e nelle tenebre della Grande e Santa Settimana. Il potere non perdonerà e non dimenticherà il trionfo di Cristo. Lo condannerà a morte, farà di tutto per estirpare fino all’ultima particella di questo terribile insegnamento. Quest’appello alla libertà, all’amore, alla verità è insopportabile per il potere. La Domenica delle Palme è “anticipazione della Croce“ come proclama uno dei canti di questa festa. Ma noi sappiamo già che dal profondo del Venerdì Santo sulla strada del Golgota, in cammino verso la sofferenza e la crocifissione ci giungono le parole di Cristo: “Padre, l’ora è venuta: glorifica il Figlio affinché il Figlio ti glorifichi” (Giovanni 17, 1-2)[*].
 

da Alexander Schmemann, in “Le Messager Orthodoxe”, III-IV 1984; trad. J. K.

  ALLA LITURGIA

Tropari

Per confermare la comune resurrezione,
prima della tua passione,
hai risuscitato dai morti Lazzaro, o Cristo Dio;
perché anche noi, come i fanciulli,
portando i simboli della vittoria,
a Te, vincitore della morte, gridiamo:
Osanna nel più alto dei cieli,
benedetto Colui che viene
nel nome del Signore.

Sepolti assieme a te, o Cristo Dio nostro,
per mezzo del battesimo,
per la tua risurrezione
siamo fatti degni della vita immortale.
Perciò inneggiando gridiamo a Te:
Osanna nel più alto dei cieli;
benedetto colui che viene
nel nome del Signore.

O Cristo Dio, che nei cieli sei assiso sul tuo trono
e sulla terra siedi su di un puledro,
ti siano anche accette le lodi degli Angeli
e le acclamazioni dei fanciulli giudei che a te gridano:
Benedetto sei, tu che vieni a rialzare Adamo caduto.

Filippesi 4, 4-9; Giovanni 12, 1-18.

Megalinario

Il Signore è Dio ed è apparso a noi.
Celebrate con esultanza la festa,
e giubilando venite a magnificare Cristo,
con palme e rami, gridando a Lui l’inno:
Benedetto Colui che viene
nel nome del Signore, nostro Salvatore.

Kinonikòn

Benedetto Colui che viene nel nome del Signore.

[*] Con queste parole inizia l’Ufficio mattutino del Grande Venerdì.

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