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OMELIA (03-10-2021)

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OMELIA (03-10-2021)

Missionari della Via

Il testo di oggi non va letto in chiave moralistica. È un vangelo, un lieto annuncio: Gesù ci aiuta a riscoprire il disegno d’amore di Dio sull’amore tra uomo e donna, amore chiamato ad essere fedele e indissolubile; e, soprattutto, Gesù ci rende capaci di viverlo.

Viene posta a Gesù una domanda: «È lecito per un marito ripudiare la propria moglie?» (vv. 2-4). La legge di Mosè accordava al marito di poter rimandare la moglie se avesse trovato in lei «un fatto indecoroso» (Dt 24,1). Al tempo di Gesù, il senso di questa espressione era oggetto di discussione tra due scuole rabbiniche: quella rigorista, di Shammai, che riconosceva legittimo motivo di ripudio solo il caso di adulterio (= tradimento) da parte della moglie; e quella lassista, di Hillel, che ammetteva come valido qualsiasi motivo, anche il più futile. Gesù non si lascia coinvolgere nelle dispute di scuola e riporta l’uomo alla santità dell’origine. Mosè ha permesso il ripudio per la durezza del cuore (in greco sklerokardìa, vale a dire all’incapacità umana di intendere e fare la volontà di Dio, di amare sino in fondo). Il problema non è cambiare la regola del matrimonio, ma il cuore. Dio aveva offerto la sua alleanza e dato le sue dieci parole per viverla, tra cui: non commettere adulterio.

L’uomo lo sapeva ma non riusciva a viverlo. Infedeltà, incostanza, amore possessivo minavano – e minano – il rapporto di coppia. L’annuncio di Gesù non è tanto: il divorzio è proibito ma vi dono un cuore nuovo, capace di amare in modo eterno, fedele e fecondo, superando divisioni, antagonismi e gelosie. Ecco perché Dio viene in Gesù: per riportarci all’origine e renderci capaci di vivere la santità dell’origine. «All’inizio del mondo…i due lasceranno e saranno una carne sola. L’uomo non separi ciò che Dio ha unito».

«Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra… e se lei, ripudiato il marito ne sposa un altro commette adulterio» (vv. 11-12). Donna ed uomo sono messi sullo stesso piano. Non è solo la donna colpevole di adulterio verso il marito, ma anche il marito si rende colpevole di adulterio se rimanda la propria moglie e prende un’altra. Così Gesù riporta l’uomo e la donna a riscoprire la loro pari dignità e responsabilità nel costruire una relazione d’amore, per vivere quella vocazione meravigliosa al matrimonio che è via al cielo. L’uno per l’altra sono questa via, segnaposto di quell’Altro che li conduce e infonde loro forza di amare. Perché dunque il matrimonio è eterno? Perché dobbiamo vivere legati a una catena? No, perché il Signore ci ha amato così: per sempre, totalmente, fedelmente, fino in fondo. Questa è la verità dell’amore. E in Lui facciamo esperienza dell’essere amati indissolubilmente, accolti, perdonati. E in lui diventiamo capaci di farlo, guarendo quel cuore ferito dal peccato originale che tende a vivere per se stesso, donandosi fino ad un certo punto, « finché la barca va ».

L’indissolubilità è dono della croce di Cristo, non esisteva nel mondo giudaico, nel mondo greco e romano. È un dono di Cristo, legato alla sua risurrezione, non a una pretesa sulla natura umana. L’uomo da solo non può: lo desidera, ci prova, ma senza Cristo, fino in fondo non ci riesce. Lui è venuto a donarci il suo Spirito e con esso, un cuore nuovo! Per vivere tutto ciò è importante vivere un cammino umano e spirituale serio: preghiera, sacramenti, confessione. Lo scarta-vetramento dell’egoismo dal cuore dura tutta la vita. E poi dedicarsi tempo, ascoltarsi, dire i propri bisogni andando incontro a quelli del coniuge, comunicarsi amore, non trascurando i piccoli gesti. E se si attraversano momenti difficili non scoraggiarsi ma affrontarli, lasciandosi anche aiutare se necessario. «Gli presentavano dei bambini perché li toccasse» (vv. 13-16). I discepoli non volevano; per la mentalità del tempo i bambini erano « ultimi », senza diritti, un impaccio. Gesù si sdegna invitandoli a lasciare che i bambini vengano a lui; e non solo, ma li chiama (e ci chiama) ad imparare dalla loro spontaneità nel rapporto con lui, dalla loro fiducia pronta e semplice, capaci di accogliere il regno non come una conquista ma come un regalo. La «logica» su cui è fondato il vincolo matrimoniale è la stessa che si richiede per entrare nel regno di Dio: i bambini sono simbolo di questa logica, che non si ostina a far valere i propri diritti o a misurare i torti degli altri, che non persegue secondi fini, né avanza pretese, ma si affida a Dio con assoluta semplicità filiale e accoglie lui e l’altro come un dono.

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 1 octobre, 2021 |Pas de commentaires »

OMELIA (12-09-2021)

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OMELIA (12-09-2021)

mons. Roberto Brunelli

Ecco la via giusta: pensare secondo Dio

La liturgia odierna ci propone un brano del Vangelo secondo Marco (8,27-35): Gesù è in cammino verso Cesarea di Filippo, una città pagana, cioè ormai fuori dal territorio abitato dagli ebrei, e intanto non perde l’occasione di ammaestrare gli apostoli che lo accompagnano, anche per prepararli ai non facili futuri eventi relativi alla sua persona.
In proposito, esordisce con una domanda: « Chi sono io, secondo la gente? » Dalle risposte apprendiamo che egli era visto come uno dei profeti redivivo: Giovanni Battista, da poco fatto decapitare da Erode, o il popolarissimo Elia, per gli ebrei l’emblema stesso dei profeti antichi, o qualcun altro dei grandi uomini mandati da Dio al suo popolo. « E secondo voi, io chi sono? » incalza Gesù, al quale risponde di slancio l’impulsivo Pietro: « Tu sei il Cristo ». Gesù non lo smentisce, perché, chissà quanto consapevolmente, egli ha centrato la verità; ma raccomanda di non dirlo a nessuno.
Non dirlo, almeno per il momento, possiamo supporre che intendesse. Ma perché non dirlo, se era la verità? Perché il termine poteva dare adito a fraintendimenti, ed egli voleva preparare il popolo a comprenderlo nel suo senso autentico. Quello che sarebbe diventato nei secoli l’altro nome di Gesù, suo esclusivo e inscindibile dal primo — lo chiamiamo infatti, e solo lui, Gesù Cristo — è la traduzione greca del termine Messia, con cui gli ebrei designavano il misterioso personaggio annunciato dai profeti come il futuro liberatore del suo popolo.
Le vicende storiche del popolo d’Israele, da secoli dominato da altri (Assiri, Babilonesi, Siriani, Egiziani, Romani), avevano portato a interpretare le profezie come relative a un Messia liberatore politico, in grado di restaurare l’indipendenza dell’antico regno di Davide e Salomone. Non era facile per Gesù far comprendere che l’autentico messaggio dei profeti intendeva una liberazione d’altro genere, più profonda e tutta spirituale; per questo non voleva, rivelandosi di colpo come il Cristo, il Messia atteso, suscitare false speranze e così vanificare la sua opera. Di qui la raccomandazione del silenzio.
Per gli apostoli, tuttavia, era venuta l’ora di avviarli a capire, spiegando loro di non essere un nuovo profeta del Messia venturo, ma proprio il Messia: non un annunciatore ma l’annunciato, e però venuto a fare tutt’altro che una rivoluzione politica. Ecco perché « cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo » (è l’espressione con cui Gesù designava se stesso) « doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere ». Altro che liberare Israele dalla dominazione straniera: i suoi avversari erano piuttosto i capi del suo stesso popolo, i quali avrebbero cercato addirittura di eliminarlo.
Un discorso inaccettabile, per chi aveva del Messia l’idea che si è detto. Ecco allora un nuovo intervento dell’impulsivo Pietro, il quale « lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo ». Pietro non riflette, non cerca di capire e semmai cooperare con il Maestro, ma dà per buona l’opinione corrente e dunque, se egli è il Messia, non deve dire quelle cose!
Ma ovviamente le cose devono andare come preordinato dall’Alto, e non come vorrebbe il popolo, cui Pietro dà voce. Di qui la reazione di Gesù, severissima (paragona Pietro addirittura al demonio) ma ricca di un concetto prezioso, di validità universale e perenne: « Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini ».
Pensare secondo Dio: per un uomo, per un cristiano, sta qui il più alto titolo di gloria; questa dovrebbe essere la sua maggiore aspirazione: consapevole delle grandi potenzialità ma anche dei limiti della sua intelligenza, l’uomo dovrebbe impegnarla non a cercare caparbiamente di realizzare le proprie vedute, ma a capire e attuare la volontà di Chi non può sbagliare, e vuole soltanto il nostro vero, autentico bene.

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 10 septembre, 2021 |Pas de commentaires »

PAPA FRANCESCO – UDIENZA GENERALE – 8 settembre 2021 – Catechesi sulla Lettera ai Galati – 8. Siamo figli di Dio

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PAPA FRANCESCO – UDIENZA GENERALE – 8 settembre 2021 – Catechesi sulla Lettera ai Galati – 8. Siamo figli di Dio

Aula Paolo VI

Fratelli e sorelle, buongiorno!

Proseguiamo il nostro itinerario di approfondimento della fede – della nostra fede – alla luce della Lettera di San Paolo ai Galati. L’Apostolo insiste con quei cristiani perché non dimentichino la novità della rivelazione di Dio che è stata loro annunciata. In pieno accordo con l’evangelista Giovanni (cfr 1 Gv 3,1-2), Paolo sottolinea che la fede in Gesù Cristo ci ha permesso di diventare realmente figli di Dio e anche suoi eredi. Noi cristiani diamo spesso per scontato questa realtà di essere figli di Dio. È bene invece fare sempre memoria grata del momento in cui lo siamo diventati, quello del nostro battesimo, per vivere con più consapevolezza il grande dono ricevuto.

Se io oggi domandassi: chi di voi sa la data del proprio battesimo?, credo che le mani alzate non sarebbero tante. E invece è la data nella quale siamo stati salvati, è la data nella quale siamo diventati figli di Dio. Adesso, coloro che non la conoscono domandino al padrino, alla madrina, al papà, alla mamma, allo zio, alla zia: “Quando sono stato battezzato? Quando sono stata battezzata?”; e ricordare ogni anno quella data: è la data nella quale siamo stati fatti figli di Dio. D’accordo? Farete questo? [rispondono: sì!] È un “sì” così, eh? [ridono] Andiamo avanti…

Infatti, una volta che è «sopraggiunta la fede» in Gesù Cristo (v. 25), si crea la condizione radicalmente nuova che immette nella figliolanza divina. La figliolanza di cui parla Paolo non è più quella generale che coinvolge tutti gli uomini e le donne in quanto figli e figlie dell’unico Creatore. Nel brano che abbiamo ascoltato egli afferma che la fede permette di essere figli di Dio «in Cristo» (v. 26): questa è la novità. È questo “in Cristo” che fa la differenza. Non soltanto figli di Dio, come tutti: tutti gli uomini e donne siamo figli di Dio, tutti, qualsiasi sia la religione che abbiamo. No. Ma “in Cristo” è quello che fa la differenza nei cristiani, e questo soltanto avviene nella partecipazione alla redenzione di Cristo e in noi nel sacramento del battesimo, così incomincia. Gesù è diventato nostro fratello, e con la sua morte e risurrezione ci ha riconciliati con il Padre. Chi accoglie Cristo nella fede, per il battesimo viene “rivestito” di Lui e della dignità filiale (cfr v. 27).

San Paolo nelle sue Lettere fa riferimento più volte al battesimo. Per lui, essere battezzati equivale a prendere parte in maniera effettiva e reale al mistero di Gesù. Per esempio, nella Lettera ai Romani giungerà perfino a dire che, nel battesimo, siamo morti con Cristo e sepolti con Lui per poter vivere con Lui (cfr 6,3-14). Morti con Cristo, sepolti con Lui per poter vivere con Lui. E questa è la grazia del battesimo: partecipare della morte e resurrezione di Gesù. Il battesimo, quindi, non è un mero rito esteriore. Quanti lo ricevono vengono trasformati nel profondo, nell’essere più intimo, e possiedono una vita nuova, appunto quella che permette di rivolgersi a Dio e invocarlo con il nome di “Abbà”, cioè “papà”. “Padre”? No, “papà” (cfr Gal 4,6).

L’Apostolo afferma con grande audacia che quella ricevuta con il battesimo è un’identità totalmente nuova, tale da prevalere rispetto alle differenze che ci sono sul piano etnico-religioso. Cioè, lo spiega così: «non c’è Giudeo né Greco»; e anche su quello sociale: «non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina» (Gal 3,28). Si leggono spesso con troppa fretta queste espressioni, senza cogliere il valore rivoluzionario che possiedono. Per Paolo, scrivere ai Galati che in Cristo “non c’è Giudeo né Greco” equivaleva a un’autentica sovversione in ambito etnico-religioso. Il Giudeo, per il fatto di appartenere al popolo eletto, era privilegiato rispetto al pagano (cfr Rm 2,17-20), e Paolo stesso lo afferma (cfr Rm 9,4-5). Non stupisce, dunque, che questo nuovo insegnamento dell’Apostolo potesse suonare come eretico. “Ma come, uguali tutti? Siamo differenti!”. Suona un po’ eretico, no? Anche la seconda uguaglianza, tra “liberi” e “schiavi”, apre prospettive sconvolgenti. Per la società antica era vitale la distinzione tra schiavi e cittadini liberi. Questi godevano per legge di tutti i diritti, mentre agli schiavi non era riconosciuta nemmeno la dignità umana. Questo succede anche oggi: tanta gente nel mondo, tanta, milioni, che non hanno diritto a mangiare, non hanno diritto all’educazione, non hanno diritto al lavoro: sono i nuovi schiavi, sono coloro che sono alle periferie, che sono sfruttati da tutti. Anche oggi c’è la schiavitù. Pensiamo un poco a questo. Noi neghiamo a questa gente la dignità umana, sono schiavi. Così infine, l’uguaglianza in Cristo supera la differenza sociale tra i due sessi, stabilendo un’uguaglianza tra uomo e donna allora rivoluzionaria e che c’è bisogno di riaffermare anche oggi. C’è bisogno di riaffermarla anche oggi. Quante volte noi sentiamo espressioni che disprezzano le donne! Quante volte abbiamo sentito: “Ma no, non fare nulla, [sono] cose di donne”. Ma guarda che uomo e donna hanno la stessa dignità, e c’è nella storia, anche oggi, una schiavitù delle donne: le donne non hanno le stesse opportunità degli uomini. Dobbiamo leggere quello che dice Paolo: siamo uguali in Cristo Gesù.

Come si può vedere, Paolo afferma la profonda unità che esiste tra tutti i battezzati, a qualsiasi condizione appartengano, siano uomini o donne, uguali, perché ciascuno di loro, in Cristo, è una creatura nuova. Ogni distinzione diventa secondaria rispetto alla dignità di essere figli di Dio, il quale con il suo amore realizza una vera e sostanziale uguaglianza. Tutti, tramite la redenzione di Cristo e il battesimo che abbiamo ricevuto, siamo uguali: figli e figlie di Dio. Uguali.

Fratelli e sorelle, siamo dunque chiamati in modo più positivo a vivere una nuova vita che trova nella figliolanza con Dio la sua espressione fondante. Uguali perché figli di Dio, e figli di Dio perché ci ha redento Gesù Cristo e siamo entrati in questa dignità tramite il battesimo. È decisivo anche per tutti noi oggi riscoprire la bellezza di essere figli di Dio, di essere fratelli e sorelle tra di noi perché inseriti in Cristo che ci ha redenti. Le differenze e i contrasti che creano separazione non dovrebbero avere dimora presso i credenti in Cristo. E uno degli apostoli, nella Lettera di Giacomo, dice così: “State attenti con le differenze, perché voi non siete giusti quando nell’assemblea (cioè nella Messa) entra uno che porta un anello d’oro, è ben vestito: ‘Ah, avanti, avanti!’, e lo fanno sedere al primo posto. Poi, se entra un altro che, poveretto, appena si può coprire e si vede che è povero, povero, povero: ‘sì, sì, accomodati lì, in fondo’”. Queste differenze le facciamo noi, tante volte, in modo inconscio. No, siamo uguali. La nostra vocazione è piuttosto quella di rendere concreta ed evidente la chiamata all’unità di tutto il genere umano (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Lumen gentium, 1). Tutto quello che esaspera le differenze tra le persone, causando spesso discriminazioni, tutto questo, davanti a Dio, non ha più consistenza, grazie alla salvezza realizzata in Cristo. Ciò che conta è la fede che opera seguendo il cammino dell’unità indicato dallo Spirito Santo. E la nostra responsabilità è camminare decisamente su questa strada dell’uguaglianza, ma l’uguaglianza che è sostenuta, che è stata fatta dalla redenzione di Gesù.

Grazie. E non dimenticatevi, quando tornerete a casa: “Quando sono stata battezzata? Quando sono stato battezzato?”. Domandare, per avere sempre in mente quella data. E anche festeggiare quando arriverà la data. Grazie.

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 8 septembre, 2021 |Pas de commentaires »

OMELIA (22-08-2021) – VOLETE ANDARVENE ANCHE VOI?

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OMELIA (22-08-2021) – VOLETE ANDARVENE ANCHE VOI?

mons. Roberto Brunelli

Il brano di vangelo che si legge oggi (Giovanni 6,60-69) è quello che conclude il lungo discorso sull’Eucaristia tenuto da Gesù nella sinagoga di Cafarnao, il discorso che abbiamo letto a brani nelle scorse domeniche. « Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue… », « Colui che mangia me… »: queste e simili espressioni, da lui usate, non potevano lasciare indifferenti; sono così forti, che potevano suscitare solo una risposta decisa, di accettazione o di rifiuto. Ed ecco quel che accadde: « Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui ».
Per chiunque si offra al bene del prossimo, vedersi pubblicamente rifiutato dev’essere un’esperienza frustrante, tale da indurre a ritirarsi nell’amarezza della solitudine. Se invece dietro l’offerta c’è un calcolo, un tornaconto personale, l’interessato prova a non demordere, tentando più facili approcci. Invece Gesù, di fronte al rifiuto, non adottò né l’uno né l’altro di questi comportamenti: non si ritirò di certo, non abbandonò il suo impegno, ma neppure scese a compromessi. Diversamente da come avrebbe fatto un imbonitore in cerca di seguaci, di popolarità, di successo, egli non fece nulla per trattenere quei suoi ormai ex discepoli, non si mise a spiegare, ad attenuare, ad ammorbidire le precedenti dichiarazioni. Anzi, si volse agli apostoli e quasi provocatoriamente chiese loro: « Volete andarvene anche voi? » Come dire: la verità è quella che è; prendere o lasciare.
Da questo atteggiamento del suo Fondatore la Chiesa trae la risposta anche ai suoi problemi di oggi. Le chiese si svuotano; le confessioni si fanno rare; preti e suore sono sempre meno; le convivenze non destano più meraviglia; quelli che si sposano in chiesa sono vistosamente in calo, e anche loro poi spesso divorziano; per tanti, il papa e i vescovi possono ben parlare: chi se ne importa? Insomma è in atto un’ennesima crisi, una delle tante che, ciascuna a modo proprio, nel corso dei secoli hanno investito il mondo cristiano. Passerà, come le precedenti; ma alcuni, magari sinceramente zelanti, vorrebbero ricuperare subito, e secondo loro sarebbe facile: basterebbe introdurre il matrimonio per i preti e la comunione ai conviventi, ammettere il divorzio e le unioni gay, e così via. Ma è giusto? Che cosa farebbe Gesù?
La verità non si mercanteggia; una malattia non si guarisce negando che lo sia; un maestro che non segnala gli errori condanna gli alunni a ripeterli all’infinito. Perciò, tanta comprensione, ogni aiuto a chi sbaglia, ma non ingannandolo col dire bianco quel che è nero, o viceversa. Nessuno, nemmeno il Padreterno, obbliga un uomo a credere; ma chi aderisce deve farlo con senso di responsabilità, accettando ciò che viene dall’Alto, in toto. La fede non è un supermercato, dove ciascuno prende quel che vuole; non è un motore da truccare perché corra più veloce.
Ma allora, perché prendersi il disturbo di credere? La risposta è quella data da Pietro alla provocatoria domanda di Gesù: « ‘Volete andarvene anche voi?’ Gli rispose Simon Pietro: ?Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna!’ »
Nelle nostre giornate incontriamo molti che parlano, con le parole o con i comportamenti: uomini politici, giornalisti, scrittori, insegnanti, opinionisti della televisione, persino attori e cantanti che si impancano a maestri di vita, distribuendo ciascuno le proprie ricette, i propri surrogati della felicità. Ma quando si è presi dalla malattia, quando l’età avanza, quando manca il lavoro, insomma di fronte ai problemi veri si vede tutta l’inconsistenza di tanti discorsi, che se va bene possono valere per questa vita. E ?dopo’? San Luigi Gonzaga, non l’adolescente introverso delle immaginette ma quel che era davvero, un uomo saldamente maturo, vagliava cose e idee chiedendosi: « Quid ad aeternitatem? » Cioè: vale, questo, per l’eternità? Forse aveva in mente proprio la risposta di Pietro: Tu, Signore, tu solo hai le parole che ci guidano al ?dopo’.

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 20 août, 2021 |Pas de commentaires »

VI DOMENICA DI PASQUA (ANNO B) (09/05/2021)

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VI DOMENICA DI PASQUA (ANNO B) (09/05/2021)

Se tu ami, la tua vita è comunque un successo – padre Ermes Ronchi

I pochi versetti del Vangelo di oggi ruotano intorno al magico vocabolario degli innamorati: amore, amato, amatevi, gioia. «Tutta la legge inizia con un “sei amato” e termina con un “tu amerai”. Chi astrae da questo, ama il contrario della vita» (P. Beauchamp). Roba grossa. Questione che riempie o svuota la vita: questo vi dico perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. L’amore è da prendere sul serio, ne va del nostro benessere, della nostra gioia. Anzi, ognuno di noi vi sta giocando, consapevole o no, la partita della propria eternità. Io però faccio fatica a seguirlo: l’amore è sempre così poco, così a rischio, così fragile.
Faccio fatica perfino a capire in che cosa consista l’amore vero, vi si mescola tutto: passione, tenerezza, emozioni, lacrime, paure, sorrisi, sogni e impegno concreto.
L’amore è sempre meravigliosamente complicato, e sempre imperfetto, cioè incompiuto. Sempre artigianale, e come ogni lavoro artigianale chiede mani, tempo, cura, regole: se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore. Ma come, Signore, chiudi dentro i comandamenti l’unica cosa che non si può comandare? Mi scoraggi: il comandamento è regola, costrizione, sanzione. Un guinzaglio che mi strattona. L’amore invece è libertà, creatività, una divina follia… Ma Gesù, il guaritore del disamore, offre la sua pedagogia sicura in due tempi:
1. Amatevi gli uni gli altri. Non semplicemente: amatevi. Ma: gli uni gli altri, Non si ama l’umanità in generale o in teoria. Si amano le persone ad una ad una; si ama quest’uomo, questa donna, questo bambino, il povero qui a fianco, faccia a faccia, occhi negli occhi.
2. Amatevi come io vi ho amato. Non dice “quanto me”, perché non ci arriveremmo mai, io almeno; ma “come me”, con il mio stile, con il mio modo unico: lui che lava i piedi ai grandi e abbraccia i bambini; che vede uno soffrire e prova un crampo nel ventre; lui che si commuove e tocca la carne, la pelle, gli occhi; che non manda via nessuno; che ci obbliga a diventare grandi e accarezza e pettina le nostre ali perché pensiamo in grande e voliamo lontano.
Chi ti ama davvero? Non certo chi ti riempie di parole dolci e di regali. L’amore è vero quello che ti spinge, ti incalza, ti obbliga a diventare tanto, infinitamente tanto, a diventare il meglio di ciò che puoi diventare (Rainer Maria Rilke). Così ai figli non servono cose, ma padri e madri che diano orizzonti e grandi ali, che li facciano diventare il meglio di ciò che possono diventare. Anche quando dovesse sembrare che si dimenticano di noi. Parola di Vangelo: se ami, non sbagli. Se ami, non fallirai la vita. Se ami, la tua vita è stata già un successo, comunque.

 

V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) (07/02/2021)

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V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) (07/02/2021)

Un “oltre” cui affidare la nostra speranza
padre Ermes Ronchi

All’inizio della vita pubblica Gesù attraversa i luoghi dove più forte pulsa la vita: il lavoro (barche, reti, lago), la preghiera e le assemblee (la sinagoga), il luogo dei sentimenti e dell’affettività (la casa di Simone).
Gesù, liberato un uomo dal suo spirito malato, esce dalla sinagoga e “subito”, come incalzato da qualcosa, entra in casa di Simone e Andrea, dove “subito” (bella di nuovo l’urgenza, la pressione degli affetti) gli parlano della suocera con la febbre. Ospite inatteso, in una casa dove la responsabile dei servizi è malata, e l’ambiente non è pronto, non è stato preparato al meglio, probabilmente è in disordine. Grande maestro, Gesù, che non si preoccupa del disordine, di quanto di impreparato c’è in noi, di quel tanto di sporco, dell’aria un po’ chiusa delle nostre vite. E anche lei, donna ormai anziana, non si vergogna di farsi vedere da un estraneo, malata e febbricitante: lui è venuto proprio per i malati. Gesù la prende per mano, la rialza, la “risuscita” e quella casa dalla vita bloccata si rianima, e la donna, senza riservarsi un tempo, “subito”, senza dire «ho bisogno di un attimo, devo sistemarmi, riprendermi» (A. Guida) si mette a servire, con il verbo degli angeli nel deserto.
Noi siamo abituati a pensare la nostra vita spirituale come a un qualcosa che si svolge nel salotto buono, e noi ben vestiti e ordinati davanti a Dio. Crediamo che la realtà della vita nelle altre stanze, quella banale, quotidiana, accidentata, non sia adatta per Dio. E ci sbagliamo: Dio è innamorato di normalità. Cerca la nostra vita imperfetta per diventarvi lievito e sale e mano che solleva. Questo racconto di un miracolo dimesso, non vistoso, senza commenti da parte di Gesù, ci ispira a credere che il limite umano è lo spazio di Dio, il luogo dove atterra la sua potenza. Il seguito è energia: la casa si apre, anzi si espande, diventa grande al punto di poter accogliere, a sera, davanti alla soglia, tutti i malati di Cafarnao. La città intera è riunita sulla soglia tra la casa e la strada, tra la casa e la piazza. Gesù, polline di gesti e di parole, che ama porte aperte e tetti spalancati per dove entrano occhi e stelle, che ama il rischio del dolore, dell’amore, del vivere, lì guarisce.
Quando era ancora buio, uscì in segreto e pregava. Simone lo rincorre, lo cerca, lo trova: «cosa fai qui? Sfruttiamo il successo, Cafarnao è ai tuoi piedi». E Gesù comincia a destrutturare le attese di Pietro, le nostre illusioni: andiamo altrove! Un altrove che non sappiamo; soltanto so di non essere arrivato, di non potermi accomodare; un “oltre” che ogni giorno un po’ mi seduce e un po’ mi impaurisce, ma al quale torno ad affidare ogni giorno la speranza.

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 5 février, 2021 |Pas de commentaires »

IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) (31/01/2021)

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IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) (31/01/2021)

Cristo docente delle sacre scritture nella sinagoga di Cafarnao
padre Antonio Rungi

La quarta domenica del tempo ordinario ci offre l’opportunità di riflettere su vari temi della vita cristiana: la profezia, la fedeltà alla propria vocazione alla santità, l’annuncio missionario, la liberazione dalle forze del male.
Partendo dalla prima lettura di oggi, tratta dal libro del Deuterònomio, vediamo come Dio è all’opera per suscitare in mezzo al suo popolo un profeta, capace di parlare veramente in nome di Dio, un vero e proprio portavoce del Signore, un ufficio comunicazioni divine che viene posto in essere attraverso la voce di colui che il Signore stesso indicherà e sceglierà: “Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò. Se qualcuno non ascolterà le parole che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto”. Un profeta, tuttavia, fedele a quanto comunicato da Dio, perché se tale profeta avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dèi, quel profeta dovrà morire ». Quindi assoluta coerenza e fedeltà alla parola del Signore, nessuna personale interpretazione del pensiero di Dio. Come si è a rischio, tutti, di fare dire a Dio ciò che non dice e di far dire al Vangelo o ai testi sacri in generale ciò che noi pensiamo, o interpretazioni, a modo nostro, senza un oggettivo riscontro il quello che affermiamo. Quel profeta non potrà reggere a lungo nel suo ruolo ed compito.
Di fedeltà e coerenza alla vocazione ricevuta parla anche san Paolo Apostolo nel brano della seconda lettura di questa domenica, tratto dalla prima lettera ai Corìnzi. La preoccupazione dell’Apostolo è quella di non far vivere in ansia e agitazione i cristiani di quella comunità particolarmente vivace e problematica. Scrive, infatti, che vorrebbe che fossero senza preoccupazioni: gli sposati si devono preoccupare della famiglia e non di altro; i non sposati devono avere cura della vita spirituale. Bisogna essere, in altri termini, essere fedeli alla propria scelta di vita e vocazione.
Molto importante ai fini della comprensione della parola di Dio è il vangelo di questa domenica. L’evangelista Marco ci presenta una giornata-tipica vissuta da Gesù e dai suoi discepoli: la cosiddetta “giornata di Cafarnao”.
Cafàrnao, esattamente Kefar Nahum, significa letteralmente villaggio di Nahum. E’ un’antica città della Galilea, situata sulle rive nord-occidentali del lago di Tiberiade, luogo di passaggio tra Palestina, Libano e Assiria, un importante centro commerciale, con gente composita.
Secondo i Vangeli, Gesù in questa piccola città, scelta come luogo per sostare con i suoi discepoli nei loro itinerari in Galilea e in Giudea, inizia la sua predicazione e vi compie numerosi miracoli, tra cui quello raccontato nel brano di oggi.
Durante una giornata normale, Gesù predicava e insegnava, incontrava delle persone liberandole dal male e curandole, pregava.
Vi erano poi certamente un tempo e uno spazio per mangiare con i suoi, per stare con la sua comunità e per insegnare a essa come occorreva vivere per accogliere il regno di Dio già presente in mezzo a loro.
La giornata descritta è di un sabato, giorno del Signore, durante il quale l’ebreo vive il comandamento di santificare il settimo giorno e va alla sinagoga per il culto.
Anche Gesù e i suoi discepoli si recano alla sinagoga di Cafarnao dove, dopo la lettura di un brano della Torah di Mosè e di una pericope dei Profeti, un uomo adulto poteva prendere la parola e commentare quanto era stato proclamato.
Gesù è un semplice credente del popolo di Israele, è un laico, non un sacerdote, ed esercita questo diritto.
Va all’ambone e fa la sua riflessione. Marco evidenzia il fatto che chi ascoltava Gesù rimaneva colpito dal suo insegnamento. Con questa sottolineatura l’evangelista vuole mettere risalto il fatto che gli ascoltatori erano presi da stupore all’ascoltarlo, restavano affascinati, al punto tale che commentavano dicendo che era uno che parlava con autorevolezza.
Quindi ben diverso dal modo di parlare degli scribi, degli esperti delle sacre Scritture, Gesù toccava il cuore e soprattutto impegnava la vita dell’ascoltatore.
Egli simile a Mosè, dimostra di avere un’autorevolezza inedita e rara. In lui vi è una parola che viene dalle sue profondità, una parola che nasce da un silenzio vissuto, una parola detta con convinzione e passione, una parola proclamata da uno che non solo crede a quello che dice, ma lo vive.
È soprattutto la coerenza vissuta da Gesù a conferirgli questa autorevolezza che si impone ed coinvolge. Egli sa penetrare nel cuore di ciascuno dei suoi ascoltatori, i quali sono spinti a pensare che il suo è “un insegnamento nuovo”, sapienziale e profetico insieme, una parola che viene da Dio, che scuote, “ferisce” e convince.
L’autorevolezza di Gesù si mostra subito dopo con un atto di liberazione di un uomo posseduto dal male.
Nella sinagoga c’è un uomo tormentato da uno spirito impuro, un uomo in cui il demonio è all’opera.
In quest’uomo la forza del male aveva il sopravvento, nei confronti della forza del bene. Lo spirito impuro lo aveva soggiogato.
La presenza di Gesù nella sinagoga è una minaccia per questa forza demoniaca, ed ecco allora che la verità viene gridata: “Che c’è tra noi e te, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il Santo di Dio!”.
Significativamente questo spirito impuro parla di sé al plurale, presentandosi come una schiera di forze malefiche, demoniache; come una potenza che, messa alle strette, reagisce urlando con violenza. Ma nel gridare proclama una formula di fede vera: “Tu sei il Santo di Dio”. Ma Gesù che il bene assoluto intima a quella potenza malefica di stare zitta. Gli impedisce, cioè, di fare un’affermazione di fede senza adesione, senza sequela. Quindi libera l’uomo da quella presenza devastante e il segno della liberazione è un grande urlo dello spirito impuro, che dopo aver straziandolo quel povero uomo, gridando forte, uscì definitivamente da lui.
Rivelata la vera identità di Cristo, proprio da chi è opposto a Cristo, coloro che avevano assistito al miracolo e alla scena furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: ‘Che è mai questo?
Un insegnamento nuovo, dato con autorevolezza. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!’”.
Come il testo del vangelo di oggi inizia, così termina. Gesù, infatti, insegna come uno che ha l’autorità ed a ben ragione lo può fare, in quanto è i Figlio di Dio.
Possiamo concludere che grazie alla parola nuova ed efficace di Gesù, chi l’ascolta entra in un cammino di fede e di conversione.
Il regno di Dio si è veramente avvicinato all’uomo e Gesù è sempre più riconosciuto come una presenza attraverso la quale Dio stesso parla e agisce in tutta la comunità dei credenti e su tutta la terra.
La sua parola rimane in eterno ed è valida per tutti, credenti e non credenti. Mettersi in sintonia con tale parola è camminare nella luce e nella verità e raggiungere la liberazione da ogni schiavitù e possessione diabolica e mondana.
Lo comprendiamo bene noi religiosi, che il 2 febbraio di ogni anno, celebriamo la giornata mondiale della vita consacrata. Come religioso passionista e delegato arcivescovile per la vita consacrata dell’arcidiocesi di Gaeta, auguro a tutti i religiosi e le religiose del mondo che in questo anno segnato dalla pandemia possano riscoprire la gioia di vivere e di servire il Signore in letizia e semplicità di cuore.
La XXV giornata della vita consacrata vedrà la presenza di Papa Francesco nella Basilica di San Pietro, alle ore 17,30, il quale presiederà una celebrazione eucaristica, spoglia dei segni e dei volti gioiosi che la illuminavano negli anni precedenti, eppure sempre espressione di quella gratitudine feconda che caratterizza le nostre vite.

Concludiamo la nostra riflessione con questa mia preghiera dedicata a Gesù Maestro.
A Te, Gesù Maestro,
ci rivolgiamo in questo giorno di festa,
dedicato all’ascolto della parola,
per comprendere quello che ci chiedi
da realizzare nella nostra vita
quali attenti e volenterosi ascoltatori
delle tue spiegazioni.
Come quel sabato,
nella sinagoga di Cafarnao,
affascina anche noi,
con il tuo insegnamento autorevole
capace di toccare
la nostra mente e il nostro cuore
per una sequela coraggiosa
sulle strade del tuo vangelo.
Ti chiediamo, o Gesù Maestro,
di liberarci da ogni connivenza con il male,
che spesso occupa
lo spazio della nostra esistenza
fatta di banalità e incongruenze.
Fa’, o Gesù,
che possiamo professare la nostra fede in Te,
Figlio di Dio, venuto a salvarci
dalla perdizione finale
e donaci la vera libertà spirituale. Amen.

Publié dans:OMELIE, PREDICHE E ☻☻☻ |on 29 janvier, 2021 |Pas de commentaires »
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