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LA LITURGIA DELL’EUCARESTIA

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LA LITURGIA DELL’EUCARESTIA

(l’articolo è del sito Don Bosco di Torino, sempre valido)

Il centro della liturgia cosmica
L’Incarnazione del Signore e la sua Ascensione hanno reso possibile la comunicazione tra cielo e terra, adombrata nella visione della scala di Giacobbe (cf. Gn 28,12) e preannunciata da Cristo stesso (cf. Gv 1,51). L’Apocalisse, con l’altare dell’Agnello al centro di Gerusalemme che scende dal cielo sulla terra, è l’archetipo del culto cristiano: esso è adorazione di Dio da parte dell’uomo e comunione dell’uomo con Dio. Il Canone Romano nell’invocazione Ti supplichiamo, Dio Onnipotente, menziona “l’altare del cielo”, perché di là scende la grazia di Colui che è il Risorto e il Vivente e si compie il meraviglioso scambio che salva l’uomo.
Cristo è il sacerdote universale del Padre, attraverso la cui umanità, lo Spirito Santo trasmette la vita divina al creato e all’uomo e la porta a perfezione. La natura umana di Cristo è fonte di salvezza, egli è il sommo liturgo e sacerdote.
Secondo gli orientali, la presenza della Trinità conferisce all’Eucaristia la qualità di convegno della terra e del cielo: “la tenda di Dio con gli uomini” (Ap 21,3). Dice San Dionigi l’Areopagita che Dio: “è chiamato bellezza … perché chiama (kaleí) a sé tutte le cose … e tutte le raccoglie (synagheí) insieme”. I termini greci sono sinonimi della convocazione ecclesiale. La presenza di Cristo là dove si riuniscono i fedeli per l’Eucaristia rende la terra cielo: “Questo mistero trasforma per te la terra in cielo… Ti mostrerò infatti, sulla terra ciò che nel cielo esiste di più venerabile… Ti mostro non gli angeli, non gli arcangeli, ma il loro stesso Signore…”.
Dunque si può “sperimentare fortemente il carattere universale e, per così dire, cosmico. Sì, cosmico! Perché anche quando viene celebrata sul piccolo altare di una chiesa di campagna, l’Eucaristia è sempre celebrata, in certo senso, sull’altare del mondo. Essa unisce il cielo e la terra. Comprende e pervade tutto il creato”.

Quando l’Eucaristia è validamente celebrata
Il sacramento è “un segno sensibile della realtà sacra e forma visibile della grazia invisibile”. Questa definizione del Concilio di Trento, serve a ricordare gli elementi di cui si compone necessariamente anche il sacramento eucaristico: il ministro, i riceventi e il gesto sensibile.
Quanto agli elementi, il gesto dell’Eucaristia è possibile solo col pane, col vino e alcune gocce d’acqua che esprimono l’unione del popolo santo col sacrificio di Cristo, anche se, per la validità del gesto, l’acqua non è necessaria.
Quanto alla formula, per la fede cattolica, sono essenziali e necessarie solo le parole della consacrazione. Il ministro è il sacerdote validamente ordinato. In modo valido possono ricevere l’Eucaristia solo i battezzati, per i quali, secondo la tradizione latina, è richiesto l’uso di ragione, onde conoscere per quanto è possibile i Misteri della fede e accostarvisi con retta intenzione e devozione. È richiesto anche lo stato di grazia, che dopo il peccato mortale, si ottiene con la confessione sacramentale.
Da tutto questo si comprende che la liturgia non è una proprietà privata da sottoporre alla propria creatività per le celebrazioni comunitarie come anche per quelle con pochi o senza fedeli.

La preparazione alla Comunione
L’Eucaristia è la presenza vivente di Cristo nella Chiesa. L’umiliazione del Signore, lo ha portato a trasformarsi in nutrimento per l’uomo (cf 1 Cor 10,16; 11,23s).
Uno dei simboli tradizionali di questo mistero è il pesce: “… m’imbandì per cibo il pesce di fonte … incontaminato, che la vergine pura prende e ogni giorno porge agli amici perché ne mangino, con vino eccellente che offre mescolato al pane”, come riferisce la celebre epigrafe di Sant’Abercio, vescovo del II secolo, la più antica di contenuto eucaristico.
Un altro simbolo della donazione di sé è il pellicano: “Pie pellicane Jesu Domine…” esclama San Tommaso d’Aquino nell’inno Adoro te devote. Il mistero dell’incarnazione del Verbo continua nel Corpo eucaristico, pane dell’uomo. Gesù lo ha preannunciato nel discorso di Cafarnao: “Io sono il pane disceso dal cielo…” (Gv 6,41). La sua carne è vero cibo, il suo sangue è vera bevanda (cf Gv 6,55). Nella Comunione eucaristica si alimenta la comunione ecclesiale, la Comunione dei santi; infatti “poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo” (1 Cor 10,17).
L’Eucaristia è il convito pasquale dell’Agnello immolato, Cristo Signore. La piena partecipazione dei fedeli alla S. Messa si compie nella Santa Comunione, ricevuta con le dovute disposizioni esterne ed interne.
Quindi, come non è accettabile l’astensione prolungata per eccesso di scrupolo, così non va incoraggiata la frequenza indiscriminata.
L’esclusione dalla Comunione a causa di peccati gravi è attestata dalle parole stesse dell’istituzione: “sangue versato … in remissione dei peccati” (Mt 26, 28) e dalle antiche anafore. Ben presto la Chiesa ha richiesto un itinerario per catecumeni e per penitenti; questi ultimi potevano partecipare alla Messa come akoinônetôi (privi di Comunione); per i peccati gravi bisognava ricorrere alla penitenza canonica. Il fatto che molti Padri insistano sulla necessità d’essere degni prova che la richiesta della remissione dei peccati, anche nell’epiclesi postconsacratoria, non è un invito, rivolto ai rei di peccati gravi, ad accostarsi all’Eucaristia senza la previa penitenza. Anche se alla Messa si può partecipare validamente anche senza la Comunione, che è parte integrante del sacrificio, ma non essenziale, tuttavia si afferma che la partecipazione piena al corpo di Cristo non avviene senza una buona disposizione.
La preparazione personale si perfeziona attraverso i riti di Comunione:
– Padre nostro: in esso c’è la domanda del pane quotidiano, che è anche il pane eucaristico, mentre “si implora la purificazione dai peccati, così che realmente i santi Doni vengano dati ai santi”. Domandando di essere perdonati, chiediamo di saper perdonare, perché il Regno e la volontà di Dio si compiano in noi e siamo fatti degni di ricevere il Sacramento.
– Il rito della pace: lo scambio o saluto della pace, cioè del perdono, che nelle liturgie orientali e in quella ambrosiana si fa prima dell’anafora, nel rito romano avviene prima della Comunione. Il Signore risorto apparve in mezzo ai suoi e offrì la sua pace, approntò, dice San Giovanni Crisostomo, “la mensa della pace”.
L’Eucaristia dona la pace e la salvezza delle anime che è Cristo stesso (cf Ef 2,13-17); egli è stato immolato per pacificare le realtà celesti e terrestri, per vivere in pace con i fratelli. Perciò l’Eucaristia è il vincolo della pace (cf Ef 4,3): “Come la pace stabilisce l’unità tra il molteplice, così l’agitazione divide l’uno in molti”. Infatti “pace… è la Chiesa di Cristo”. Il cristiano, chiedendo la pace, in realtà chiede Cristo: “Chi cerca la pace cerca Cristo poiché egli è la pace”. La liturgia è il mistero con cui la pace di Cristo giunge di nuovo a tutta la creazione.
Le Costituzioni Apostoliche descrivono così il rito del gesto di pace: “I membri del clero salutino il vescovo e, tra i laici, gli uomini salutino gli uomini e le donne le donne”. Il bacio dei fedeli è un’azione sacra, esperienza dell’unità che unisce i fedeli tra loro e con il Verbo. Perciò la pace innanzitutto si implora con una preghiera che chiede anche l’unità per la Chiesa, per la famiglia umana ed esprime l’amore vicendevole con un breve dialogo tra sacerdote e fedeli. Il rito, comunque, non obbliga allo scambio del gesto di pace, che si compie secondo l’opportunità.
In tal caso, come nello stile sobrio della liturgia romana e in quello ricco del rito bizantino, ciascuno lo dà a quelli immediatamente vicini, evitando di lasciare il proprio posto e creare distrazione. Sarebbe opportuno, quindi, disciplinare questo rito per il decoro della liturgia.
Pace è un nome che i primi cristiani davano all’Eucaristia, perché essa significa radunare, superare le barriere, condurre gli uomini in una nuova unità. Con il raduno eucaristico i cristiani, perdonandosi l’un l’altro prima di fare la Comunione, hanno creato condizioni di pace in un mondo senza pace.
– Frazione del Pane: questo rito significa che, pur essendo molti, nella comunione del pane spezzato diventiamo un corpo solo. Dice San Giovanni Crisostomo: “Ciò che Cristo non ha patito sulla croce lo patisce nell’oblazione a causa tua e accetta di essere spezzato per poter saziare tutti”. Ma il Cristo pur spezzato non si divide. Dopo la frazione ogni particola del santo pane è Cristo intero. Tutti coloro che si accostano alla Comunione ricevono tutto il Cristo, che riempie totalmente. Nessuna comunità può ricevere Cristo se non con tutta la Chiesa.
– Unione delle specie: è un gesto semplice nel rito romano ma dal grande significato, che esalta l’opera dello Spirito, dall’Incarnazione alla Risurrezione del Signore. La liturgia bizantina lo spiega come ‘Pienezza di Spirito Santo’; poi, nel singolare rito dello zéon, versando acqua calda, si dice: ‘Fervore di Spirito Santo’. Ora Cristo risuscita!
– Preparazione personale: è fatta dal sacerdote con preghiere molto belle recitate sottovoce e anche da qualche attimo di silenzio che anticipa quello più disteso dopo la Comunione. È un esempio per aiutare i fedeli nella loro preparazione.

La Santa Comunione
Il sacerdote eleva l’Ostia consacrata come il Corpo di Cristo fu elevato sulla croce, dicendo nella liturgia latina: “Beati gli invitati alla Cena del Signore. Ecco l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo”; nella bizantina: “Le cose sante ai santi”. Inoltre “Poiché la comunione ai Misteri non è permessa indifferentemente a tutti, il sacerdote non invita tutti… invita a comunicarsi quanti sono nella condizione di parteciparvi degnamente: Le cose sante ai santi… Egli qui chiama «santi» quelli che sono perfetti nella virtù, e anche quanti tendono a quella perfezione, pur mancandone ancora. Nulla infatti impedisce a costoro, partecipando ai santi Misteri, di esserne santificati”.
L’Eucaristia è il sacramento dei riconciliati, offerto dal Signore a coloro che sono una cosa sola con lui. Per questo fin dall’inizio il discernimento precede l’Eucaristia (cf 1 Cor 11,27s) sotto pena di sacrilegio. La Didaché riprende questa tradizione apostolica e fa pronunciare al sacerdote, prima della distribuzione del sacramento, queste parole: “Se uno è santo, venga; se non lo è, si penta!”. La liturgia bizantina contiene ancora quest’invito. Nella liturgia romana il sacerdote rivolge l’invito alla Comunione e con i fedeli recita “Signore, non sono degno” per esprimere sentimenti di umiltà; la risposta è l’Amen personale di ogni comunicando.
Dalle fonti antiche si evince che la Comunione non si prende ma si riceve, quale simbolo di ciò che significa, cioè Dono ricevuto in atteggiamento di adorazione. Nei casi previsti di Comunione sotto le due specie, nel rito latino,va ricordata la dottrina cattolica riguardo ad essa. Per i riti orientali va osservata
la tradizione secondo i canoni.
Si raccomanda la vera devozione nell’accostarsi a ricevere la Comunione. San Francesco d’Assisi ardeva “di amore in tutte le fibre del suo essere, preso da stupore oltre ogni misura per tanta benevola degnazione e generosissima carità. Si comunicava con tanta devozione da rendere devoti anche gli altri”. E Cabasilas invita a riflettere che “mentre comunichiamo ad una carne e ad un sangue umano, riceviamo nell’anima Dio: corpo di Dio non meno che d’uomo, sangue e anima di Dio, mente e volontà di Dio non meno che d’uomo”.
La realtà del Corpo di Cristo è la sua persona e la sua vita, mistero e verità salvifica da abbracciare, come San Tommaso d’Aquino, con la fede e la ragione.
Infine, la preghiera dopo la Comunione chiede i frutti del mistero celebrato e ricevuto, poiché al conseguimento di essi la Santa Messa è ordinata. ***

RIVISTA MARIA AUSILIATRICE 2004-9

Publié dans:LITURGIA, LITURGIA - EUCARESTIA |on 18 juin, 2014 |Pas de commentaires »

IL CORPO DELLA NOSTRA UMILIAZIONE

http://www.ilcristiano.it/articolo.asp?id=116

(credo Chiesa Evangelica)

IL CORPO DELLA NOSTRA UMILIAZIONE

L’opera di redenzione dell’uomo peccatore, perfettamente compiuta da Gesù sulla croce, sarà totalmente adempiuta in noi quando, al suo ritorno, il corpo della nostra umiliazione sarà trasformato in un corpo conforme a quello della sua gloria. In questa attesa dobbiamo essere consapevoli non soltanto delle notevoli potenzialità del nostro corpo, ma anche dei suoi limiti.
“Quanto a noi, la nostra cittadinanza è nei cieli, da dove aspettiamo anche il Salvatore, Gesù Cristo, il Signore, che trasformerà il corpo della nostra umiliazione rendendolo conforme al corpo della sua gloria, mediante il potere che egli ha di sottomettere a sé ogni cosa” (Fl 3:20-21)

Un “vaso di terra” e una “tenda”
Non si può dire quanta speranza e consolazione si trovano nelle parole sopracitate, scritte dall’apostolo Paolo mentre era in carcere (Fl 1:13). Ogni figlio di Dio trova forza nel sapere che tutta la sofferenza che vive, tutte le miserabili esperienze conosciute nel corpo non solo avranno fine, ma lasceranno spazio ad una eternità che vivremo con un corpo glorioso!
Questa consapevolezza ci rallegra e ci dà un sano realismo per il presente, tenendoci lontano da illusioni di trionfalismi prematuri.
Infatti l’apostolo Paolo, unitamente all’atteso ritorno del Signore Gesù dal cielo, vedeva il momento in cui i corpi dei credenti saranno trasformati.
Dichiara che aspettiamo “il Salvatore, Gesù Cristo, il Signore” (v. 20). Questo chiarisce il fatto che la nostra salvezza sarà completa e manifestata quando “il Salvatore” redimerà anche il nostro corpo (Eb 10:28; Ro 8:23b), mentre per ora la nostra vita “è nascosta con Cristo in Dio” (Cl 3:3).
Quindi, come “cittadini del cielo” abbiamo in vista un meraviglioso appuntamento, nel frattempo però siamo“nel corpo” e in esso non c’è gloria.
Al “corpo naturale” (1Co 15:44) si addicono infatti aggettivi quali: “corruttibile” (v. 42), “ignobile”, “debole” (v. 43),“mortale” (v. 53).
Una prima immagine in linea con questi termini è quella del “vaso di terra” (2Co 4:7), che illustra bene la natura del nostro corpo.
Richiamando infatti la medesima figura del vaso, l’apostolo afferma che i vasi di legno e di terra sono per un uso ignobile, mentre per un uso nobile si scelgono vasi d’oro e d’argento (2Ti 2:20). Anche noi metteremmo nel posto più in vista della casa un vaso pregiato, non un vaso di terra! E il nostro corpo è… un vaso di terra!
Altra immagine: tanto l’apostolo Paolo come l’apostolo Pietro (2Co 5:1-10, 2P 1:13-14) scrivono paragonando il corpo ad una tenda, cioè ad una dimora temporanea alla pari di quella che un pellegrino sposta in continuazione fino a quando, disfatta, la dovrà lasciare. Mentre una casa è solida e duratura, la tenda esprimeprecarietà.
È “il corpo della nostra umiliazione”: il termine medesimo, “umiliazione”, ci ricorda la parola “humus”, che significa proprio terra.
Dunque niente di glorioso, ma bassezza e pochezza.
Si tratta di una umiliazione non cercata né da cercare (a differenza di quella interiore): il nostro corpo manifesta “la nostra umiliazione” a prescindere da quello che noi vorremmo, e questo sottolinea ancora meglio che non ci possono essere per il corpo terreno, così com’è, innalzamento e gloria.
Dobbiamo tuttavia considerare che il nostro corpo non è di per sé qualcosa di negativo da disprezzare.Se pensassimo questo, disprezzeremmo l’opera del nostro Creatore, al quale Davide si rivolgeva così:
“Io ti celebrerò, perché sono stato fatto in modo stupendo” (Sl 139:14).
Qualunque sia la realtà del nostro corpo, esso è una stupenda creazione di Dio.
La dimostrazione che Dio non disprezza i nostri corpi la vediamo anche nell’averli fatti diventare il tempio dello Spirito Santo:
“Non sapete che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete ricevuto da Dio?”(1Co 6:19).
Questo è il segnale che la redenzione non riguarderà soltanto spirito e anima, ma anche il corpo del credente.
Ogni cosa a suo tempo, però.
In quello che segue vorrei cercare di approfondire il significato della frase riportata nel titolo dell’articolo vedendo nella Scrittura quali sono le manifestazioni dell’umiliazione che al momento ci riguarda.

Esposizione al peccato
Fino a che vivremo in questo corpo dovremo fronteggiare il pericolo di cadere nel peccato. Infatti, anche se come credenti, in quanto “morti con Cristo” non siamo più “nella carne” ma siamo “nello Spirito” (Ro 8.9) – in altre parole: la posizione di legittimo comando spetta ora esclusivamente allo Spirito Santo! – pur nondimenonon siamo ancora insensibili ai richiami della carne, che continua a manifestare i suoi desideri e far sentire i suoi richiami.
Se nel nostro cammino daremo retta ai suggerimenti della carne, il nostro corpo eseguirà azioni di peccato. Occorre qui precisare che il corpo non equivale alla “carne”, anche se in alcuni versetti il termine “carne”significa proprio corpo fisico, materia (ad esempio in Romani 8:3b o in 1Timoteo 3:16). Infatti, mentre la“carne” ha una connotazione solo negativa, per il corpo fisico le cose sono diverse.
Per spiegare questo concetto, ci viene in aiuto un esempio: il nostro corpo è come uno strumento (Ro 6:13), di per sé neutro, ma potenzialmente sia esecutore di male sia esecutore di bene a seconda di chi lo comanda.
Possiamo dire che, se è vero che anche con la propria interiorità, con la mente ed il cuore, l’uomo può commettere peccato, il corpo fisico è il più noto agente esecutore di azioni condannate dal Signore.
Tra le cose che “odia il Signore” (Pr 6:16-19) ci sono peccati compiuti con gli occhi (alteri), la lingua (bugiarda), le mani (che spargono sangue innocente), i piedi (che corrono frettolosi al male).
Anche Paolo, dimostrando l’universalità del peccato, cita la partecipazione di ogni parte del corpo nel fare il male, come espresso in vari passaggi dell’Antico Testamento ripresi in Romani 3:13-18. Ci sono peccati quali gozzoviglie e ubriachezze, e i peccati di natura sessuale: fornicazione, adulterio, orge, impurità, sodomia (Ro 13:13; 1Co 6:9, 13-18; Ga 5:19-21; Ef 5:3-5; Cl 3:5; 1Te 4:3-5; 1P 4:3).

Quant’è miserabile e deplorevole un simile uso del corpo!
Per questo, coloro i quali sono “risuscitati con Cristo” devono camminare “in novità di vita” (Ro 6:4) prestando le proprie membra non più “al peccato, come strumenti d’iniquità” ma “come strumenti di giustizia a Dio” (Ro 6:13).
Dunque, con lo strumento “corpo” posso fare cose gradite a Dio, cose giuste, posso servirlo.

Tutti i giorni, tutte le ore c’è da scegliere.
La decisione giusta è di “presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio; questo è il vostro culto spirituale” (Ro 12:1).
Per farlo convintamente c’è bisogno di una mente rinnovata, che darà al corpo l’input di fare la volontà di Dio (Ro 12:2).
Il corpo farà il bene se comandato da una mente che fa propri i pensieri di Dio, farà il male se sarà diretto da una mente allineata ai ragionamenti del mondo.
Un giorno avremo il corpo della gloria, che non potrà più essere prestato al peccato, perchè il peccato non ci sarà più!
Perciò la redenzione splenderà con forza perchè questo corpo di oggi, di cui abbiamo fatto in passato un uso sbagliato (non sia più così ora!) avrà un sostituto che lo farà dimenticare completamente.

Fatica e stanchezza
Con l’ingresso del peccato nell’esperienza umana, è arrivata anche la fatica nell’adempimento dei nostri impegni:
“Mangerai il pane con il sudore del tuo volto” (Ge 3:19).
Ci spendiamo per svolgere attività, per spostarci, per studiare… ma arriviamo ad un punto in cui avvertiamo che tutto questo diventa pesante, e poi insostenibile, perchè le nostre energie si esauriscono. Quindi ci sentiamo stanchi e ci dobbiamo fermare, riposare, dilazionare le cose da fare.
Dio invece non è soggetto a queste limitazioni: “Egli non si affatica e non si stanca” (Is 40:28), “…non sonnecchierà né dormirà” (Sl 121:4).
Eppure, questo Dio “è stato manifestato in carne” (1Ti 3:16): nella persona del Signore Gesù Cristo si è fatto uomo con un corpo simile al nostro, con l’unica differenza che quel corpo non fu mai prestato al peccato e di conseguenza non doveva subire la morte quale “salario” del peccato stesso.

Le domande di Giobbe a Dio:
“Hai tu occhi di carne? Vedi tu come vede l’uomo? Sono i tuoi giorni come i giorni del mortale, i tuoi anni come gli anni degli esseri umani…?” potevano avere risposta affermativa da parte di Gesù, Dio incarnato.
Il nostro Salvatore ha conosciuto le limitazioni di questo “vaso di terra”, e i Vangeli ce ne rendono testimonianza: passando per la Samaria, vicino al pozzo di Giacobbe, Gesù fu “stanco del cammino” (Gv 4:6).
Tutto quello che il Signore Gesù sperimentò nella sua incarnazione fa sì che egli ci possa comprendere e possa simpatizzare con noi “nelle nostre debolezze” (Eb 4:15).
Chi di noi non ha sospirato desiderando che in un attimo finisse la stanchezza avvertita, quando proprio non ce la facevamo più?
In momenti simili dobbiamo ricordare che il nostro Signore ci è vicino e ci capisce.
Lo stress è uno dei problemi più comuni del nostro tempo. Troppo spesso chiediamo a noi stessi uno sforzo così intenso che mette a dura prova non solo il nostro corpo, ma anche la nostra emotività che ad esso è intimamente connessa.
Abbiamo bisogno di saggezza per selezionare le cose da fare, eliminando quelle dannose e inutili, dando priorità alle cose davvero importanti. Siamo sicuri che non ci stiamo procurando da soli delle ansie inutili, che ci spingono a fatiche non necessarie?
«Perciò vi dico: non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito?” (Mt 6:25)
Chiediamoci altresì: stiamo dando spazio all’impegno per la Chiesa? Al servizio?
Saranno energie ben spese quelle destinate all’opera di Dio e a compiere le buone opere (1Co 15:58; 1Te 2:9).
In questo corpo siamo soggetti a numerose limitazioni, perciò è importante avere chiare le giuste priorità per spenderci in ciò che davvero vale.

Malattie e dolore
Questo è l’aspetto che probabilmente ci impressiona di più e ci fa sentire più marcatamente l’umiliazione nel nostro fisico.
Il nostro corpo è soggetto ad una infinità di patologie, di malesseri e di dolori.
L’essere umano è addirittura dato alla luce in mezzo al dolore, quello del parto!
Inoltre il nostro corpo, pur essendo adattabile ad una gamma di situazioni diverse a seconda del luogo e della stagione, risente sensibilmente della condizione ambientale in cui si trova: caldo, freddo, umidità, arsura, inquinamento ecc…
Di solito, a parlare di dolori e malanni sono gli anziani, che conoscono quelli dovuti all’età, eppure le malattie colpiscono tutti, e spesso capiamo quanto dovremmo essere riconoscenti per un corpo in salute solo di fronte alla perdita di quest’ultima.
Con le malattie l’umiliazione è chiaramente riscontrabile, talvolta lasciandoci del tutto impotenti ad osservare il decorso di mali per i quali non ci sarà guarigione.
Non è piacevole ammalarsi e non poter più fare le cose di prima. Non è facile aspettare una guarigione che non è sicuro arrivi. Non è per niente bello convivere con dolori e malesseri per anni e anni. La mente diventa un campo minato in cui dubbi e ribellione potrebbero far vacillare la nostra fede in Dio.
Certo, le malattie non sono una passeggiata, sono una prova ed una afflizione.
Ma quando vengono accettate da chi le vive come circostanze permesse dal Signore, esse diventanostrumento nelle sue mani per produrre “pazienza, esperienza, speranza” (Ro 5:3-4) e “costanza” (Gm 1:3).

Ci sono molte occasioni in cui Dio interviene e ci guarisce.
Per Davide, Dio era degno di lode anche perché “risana tutte le tue infermità” (Sl 103:3). Del resto, il Signore Gesù ha compiuto un’infinità di guarigioni, mostrando la potenza di Dio e anche una grande compassione nei confronti di chi è ammalato (Mt 4:23-25).
Uno dei segni che accompagnò i credenti dell’era apostolica fu la guarigione degli ammalati (Mc 16:18; At 3:1-8, 5:12-16).
Epafrodito, un compagno d’opera di Paolo, si ammalò gravemente ma Dio ebbe pietà di lui e lo guarì (Fp 2:25-30).
Eppure Dio non guarì in tutti i casi e non ci guarirà sempre. Infatti, è anche attraverso le malattie e le disabilità che Dio può trarsi gloria, come nel caso dell’uomo nato cieco (Giovanni 9) oppure formarci spiritualmente per conoscerlo meglio, come avvenne per Giobbe.
A dimostrazione di questo principio possiamo guardare non un credente additabile come mancante di fede o carnale, ma niente meno che l’apostolo Paolo (2Co 12:7-10).
Che cosa rispose il Signore all’apostolo che per tre volte gli chiedeva liberazione dalla sua dolorosa infermità?
“La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza”.
Il Signore portava avanti il suo piano con Paolo in un modo migliore lasciandogli quell’infermità piuttosto che togliendola.
La grazia del Signore era con Paolo anche con quella infermità, e la debolezza del suo essere era la condizione ottimale affinché la grazia si mostrasse.
Infatti, per quale ragione “noi abbiamo questo tesoro in vasi di terra”?
Ecco la risposta:
“… affinché questa grande potenza sia attribuita a Dio e non a noi” (2Co 4:7).
E questo non è tutto.
Guardiamo a quest’altro passo:
“Voi non mi faceste torto alcuno; anzi sapete bene che fu a motivo di una malattia che vi evangelizzai la prima volta; e quella mia infermità, che era per voi una prova, voi non la disprezzaste né vi fece ribrezzo; al contrario mi accoglieste come un angelo di Dio, come Cristo Gesù stesso. Dove sono dunque le vostre manifestazioni di gioia? Poiché vi rendo testimonianza che, se fosse stato possibile, vi sareste cavati gli occhi e me li avreste dati.” (Ga 4:13-15).

Paolo aveva un problema agli occhi. Proprio per questo riesce, sì, a scrivere di suo pugno la lettera ai Galati, ma con grossi caratteri (Ga 6:11). Però questo suo problema aveva generato due cose molto positive.
La prima era che, proprio a causa di questa malattia, Paolo aveva evangelizzato i Galati.
La seconda era stata l’affettuosa cura che i Galati avevano dimostrato per Paolo. Che cosa impariamo?
Dio ha un piano sempre migliore rispetto ai nostri progetti, in cui le malattie sono escluse. Senza quella malattia di Paolo, i Galati come avrebbero ricevuto il Vangelo?
Può darsi! Allora, anche se noi ci ritroviamo in un letto d’ospedale, il Signore ci userà per testimoniare di Cristo al nostro vicino!
Le malattie inoltre ci offrono l’occasione di assistere ed aiutare chi soffre, portando il peso insieme a chi è ammalato. Non dimentichiamo che uno dei doni spirituali definiti dalla Parola è proprio quello delle “assistenze”(1Co 12:28), e gli ammalati sono certamente una categoria molto numerosa tra i possibili assistiti.
Sarà nella gloria che il dolore non ci sarà più (Ap 21:4); per il momento malattia e dolore ci testimoniano con molta chiarezza l’umiliazione di questo corpo.

L’ISTITUZIONE DELL’EUCARISTIA (1 COR 11, 23-27)

http://divinarivelazione.org/index.php?option=com_content&view=article&id=545&Itemid=818&lang=it

L’ISTITUZIONE DELL’EUCARISTIA (1 COR 11, 23-27)

Il racconto più antico dell’istituzione dell’Eucaristia è quello che San Paolo fa nella sua prima lettera ai Corinti. Questo racconto si inserisce in un contesto di rimprovero per gli abusi contro la carità che i Corinti facevano nei riguardi dei più poveri e indigenti. Nei loro banchetti fraterni che precedevano l’Eucaristia e che avevano la finalità di ricordare le circostanze storiche in cui l’Eucaristia era stata istituita o di sovvenire alle necessità dei bisognosi della Comunità, si assisteva a divisioni e a comportamenti mancanti di carità verso i più poveri che non avevano niente di che mangiare, mentre i ricchi banchettavano. San Paolo richiama i Corinti, facendogli capire che quello non era il modo giusto per disporsi alla Cena del Signore e per ricevere il Corpo e il Sangue di Cristo, cibo di vita eterna e scuola di carità. San Paolo narra ciò che è avvenuto durante l’ultima Cena del Signore, ricordando così ai Corinti la ragione del loro riunirsi: “Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso” (v. 23). Il binomio “ricevere-trasmettere”, desunto dal vocabolario della tradizione rabbinica, esprime la fedeltà ad un dato ricevuto: Paolo ha trasmesso quello che lui stesso, per primo, ha ricevuto e cioè che “il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: « Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me ». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: « Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me ». Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga” (vv. 23-26). La formula della consacrazione del pane: “Questo è il mio corpo, che è per voi” (v. 24) esprime bene l’aspetto sacrificale e redentivo del rito eucaristico e la presenza reale di Cristo. Per quanto riguarda la consacrazione del calice, San Paolo usa una formula diversa da quella utilizzata da Matteo (26,26ss.) e da Marco (14, 22ss.), dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue”, ponendo così l’accento sull’alleanza nuova con la quale Cristo, nel suo sangue, sostituisce l’antica alleanza, anch’essa stipulata nel sangue, tra Dio e Israele. Sia dopo la prima formula, che dopo la seconda, a differenza del Vangelo di Luca (22, 19s.), San Paolo aggiunge: “fate questo in memoria di me” (vv. 24.25). In questo modo San Paolo sottolinea che il rito eucaristico è il memoriale dell’ultima Cena che differisce dal rito sacrificale dell’agnello dell’Antico Testamento, nel quale si ricordava la liberazione degli Ebrei dall’Egitto. Nell’Antico Testamento l’agnello pasquale era solo un ricordo simbolico ed evocativo, mentre la celebrazione dell’Eucaristia realizza e riproduce il sacrificio di Cristo. È una memoria non solo evocativa, ma creativa del fatto a cui si riferisce. Afferma Giovanni Paolo II nell’Enciclica “Ecclesia de Eucharistia” che nella celebrazione eucaristica il sacrificio redentore di Cristo “ritorna presente, perpetuandosi sacramentalmente, in ogni comunità che lo offre per mano del ministro consacrato…. In effetti, «il sacrificio di Cristo e il sacrificio dell’Eucaristia sono un unico sacrificio»… l’unico e definitivo sacrificio redentore di Cristo si rende sempre attuale nel tempo” (n. 12). Se si trattasse solo di una presenza simbolica, San Paolo non potrebbe dire che “chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore” (1Cor 11, 27). Ora, perché il rito eucaristico sia vero memoriale, è necessario che chi lo compie sia stato investito da Cristo stesso di uno speciale potere di consacrazione. Le parole pronunciate da Gesù nell’Ultima Cena: “Fate questo in memoria di me” erano dirette solo agli Apostoli che in quel preciso momento furono ordinati da Cristo stesso sacerdoti. È dunque il sacerdote ministeriale che «compie il Sacrificio eucaristico in persona di Cristo e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo» (Ecclesia de Eucharistia, n. 28). In persona di Cristo significa che il sacerdote, nel momento della consacrazione si identifica sacramentalmente “col sommo ed eterno Sacerdote, che è l’autore e il principale soggetto di questo suo proprio sacrificio, nel quale in verità non può essere sostituito da nessuno” (Ecclesia de Eucharistia, n. 29). “Il ministero dei sacerdoti che hanno ricevuto il sacramento dell’Ordine, nell’economia di salvezza scelta da Cristo, manifesta che l’Eucaristia, da loro celebrata, è un dono che supera radicalmente il potere dell’assemblea ed è comunque insostituibile per collegare validamente la consacrazione eucaristica al sacrificio della Croce e all’Ultima Cena”. Il Mistero eucaristico, dunque, “non può essere celebrato in nessuna comunità se non da un sacerdote ordinato” (Ecclesia de Eucharistia, n. 29). Ringraziamo il Signore per il “dono incommensurabile” dell’Eucaristia e preghiamoLo perché mandi santi sacerdoti alla sua Chiesa che perpetuino nei secoli il sacrificio eucaristico.

CORPUS DOMINI: LE ORIGINI DI UNA FESTA

http://www.it.josemariaescriva.info/articolo/corpus-domini-perche-benedetto-xvi-origine

CORPUS DOMINI: LE ORIGINI DI UNA FESTA

Tag: Eucaristia

La festa del Corpus Domini ha avuto origine in un determinato contesto storico e culturale: è nata con lo scopo ben preciso di riaffermare apertamente la fede del Popolo di Dio in Gesù Cristo vivo e realmente presente nel santissimo Sacramento dell’Eucaristia.

Il Papa Benedetto XVI spiegò così la storia di questa festa, che inizia nel duecento:
Santa Giuliana di Cornillon ebbe una visione che «presentava la luna nel suo pieno splendore, con una striscia scura che la attraversava diametralmente. Il Signore le fece comprendere il significato di ciò che le era apparso. La luna simboleggiava la vita della Chiesa sulla terra, la linea opaca rappresentava invece l’assenza di una festa liturgica, per l’istituzione della quale era chiesto a Giuliana di adoperarsi in modo efficace: una festa, cioè, nella quale i credenti avrebbero potuto adorare l’Eucaristia per aumentare la fede, avanzare nella pratica delle virtù e riparare le offese al Santissimo Sacramento. (…)
Alla buona causa della festa del Corpus Domini fu conquistato anche Giacomo Pantaléon di Troyes, che aveva conosciuto la Santa durante il suo ministero di arcidiacono a Liegi. Fu proprio lui che, divenuto Papa con il nome di Urbano IV, nel 1264 istituì la solennità del Corpus Domini come festa di precetto per la Chiesa universale, il giovedì successivo alla Pentecoste.
Fino alla fine del mondo
Nella Bolla di istituzione, intitolata Transiturus de hoc mundo (11 agosto 1264) Papa Urbano rievoca con discrezione anche le esperienze mistiche di Giuliana, avvalorandone l’autenticità, e scrive: “Sebbene l’Eucaristia ogni giorno venga solennemente celebrata, riteniamo giusto che, almeno una volta l’anno, se ne faccia più onorata e solenne memoria. Le altre cose infatti di cui facciamo memoria, noi le afferriamo con lo spirito e con la mente, ma non otteniamo per questo la loro reale presenza. Invece, in questa sacramentale commemorazione del Cristo, anche se sotto altra forma, Gesù Cristo è presente con noi nella propria sostanza. Mentre stava infatti per ascendere al cielo disse: «Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28,20)”.
Il Pontefice stesso volle dare l’esempio, celebrando la solennità del Corpus Domini a Orvieto, città in cui allora dimorava. Proprio per suo ordine nel Duomo della Città si conservava – e si conserva tuttora – il celebre corporale con le tracce del miracolo eucaristico avvenuto l’anno prima, nel 1263, a Bolsena.
Un sacerdote, mentre consacrava il pane e il vino, era stato preso da forti dubbi sulla presenza reale del Corpo e del Sangue di Cristo nel Sacramento dell’Eucaristia. Miracolosamente alcune gocce di sangue cominciarono a sgorgare dall’Ostia consacrata, confermando in quel modo ciò che la nostra fede professa.

Testi che fanno vibrare le corde del cuore
Urbano IV chiese a uno dei più grandi teologi della storia, san Tommaso d’Aquino – che in quel tempo accompagnava il Papa e si trovava a Orvieto –, di comporre i testi dell’ufficio liturgico di questa grande festa. Essi, ancor oggi in uso nella Chiesa, sono dei capolavori, in cui si fondono teologia e poesia. Sono testi che fanno vibrare le corde del cuore per esprimere lode e gratitudine al Santissimo Sacramento, mentre l’intelligenza, addentrandosi con stupore nel mistero, riconosce nell’Eucaristia la presenza viva e vera di Gesù, del suo Sacrificio di amore che ci riconcilia con il Padre, e ci dona la salvezza. (…)

Una “primavera eucaristica
Vorrei affermare con gioia che oggi nella Chiesa c’è una “primavera eucaristica”: quante persone sostano silenziose dinanzi al Tabernacolo, per intrattenersi in colloquio d’amore con Gesù! È consolante sapere che non pochi gruppi di giovani hanno riscoperto la bellezza di pregare in adorazione davanti al Santissimo Sacramento. Penso, ad esempio, alla nostra adorazione eucaristica in Hyde Park, a Londra. Prego perché questa “primavera” eucaristica si diffonda sempre più in tutte le parrocchie, in particolare in Belgio, la patria di santa Giuliana. Il Venerabile Giovanni Paolo II, nell’Enciclica Ecclesia de Eucharistia, constatava che “in tanti luoghi […] l’adorazione del santissimo Sacramento trova ampio spazio quotidiano e diventa sorgente inesauribile di santità. La devota partecipazione dei fedeli alla processione eucaristica nella solennità del Corpo e Sangue di Cristo è una grazia del Signore, che ogni anno riempie di gioia chi vi partecipa. Altri segni positivi di fede e di amore eucaristici si potrebbero menzionare” (n. 10).
Ricordando santa Giuliana di Cornillon rinnoviamo anche noi la fede nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia. Come ci insegna il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, “Gesù Cristo è presente nell’Eucaristia in modo unico e incomparabile. È presente infatti in modo vero, reale, sostanziale: con il suo Corpo e il suo Sangue, con la sua Anima e la sua Divinità. In essa è quindi presente in modo sacramentale, e cioè sotto le specie eucaristiche del pane e del vino, Cristo tutto intero: Dio e uomo” (n. 282).
Cari amici, la fedeltà all’incontro con il Cristo Eucaristico nella Santa Messa domenicale è essenziale per il cammino di fede, ma cerchiamo anche di andare frequentemente a visitare il Signore presente nel Tabernacolo! Guardando in adorazione l’Ostia consacrata, noi incontriamo il dono dell’amore di Dio, incontriamo la Passione e la Croce di Gesù, come pure la sua Risurrezione.
Sorgente di gioia
Proprio attraverso il nostro guardare in adorazione, il Signore ci attira verso di sé, dentro il suo mistero, per trasformarci come trasforma il pane e il vino. I Santi hanno sempre trovato forza, consolazione e gioia nell’incontro eucaristico. Con le parole dell’Inno eucaristico Adoro te devote ripetiamo davanti al Signore, presente nel Santissimo Sacramento: “Fammi credere sempre più in Te, che in Te io abbia speranza, che io Ti ami!”. Grazie.»

COME UNA NUBE DI RUGIADA

http://servire1984.wordpress.com/2008/05/11/festa-di-pentecoste-2/

Festa di Pentecoste

Posted on 11 maggio 2008

COME UNA NUBE DI RUGIADA

Mi riposai sullo Spirito del Signore,
ed egli mi portò fino in cielo;
mi fece stare dritto in piedi all’altezza del Signore,
davanti alla sua pienezza e alla sua gloria.

Quando resi gloria con le sue odi,
egli mi generò davanti al volto del Signore.
Quando ero figlio d’uomo,
fui chiamato Luce, Figlio di Dio.

Poiché rendevo gloria presso i gloriosi,
ero un grande fra i grandi.

Allora secondo la grandezza dell’Altissimo,
così egli mi fece,
secondo la sua novità mi rinnovò.
Mi unse con l’olio della sua pienezza:
divenni uno dei suoi intimi.

La mia bocca si apre,
come una nube di rugiada.
Il mio cuore effuse
un effluvio di giustizia.

Mi accostai nella pace,
e fui stabilito nello Spirito di provvidenza. Alleluia.

Fiume di vita eterna

Come il vento cammina sulla cetra
e parlano le corde,
così il soffio del Signore parla nelle mie membra
e io parlo nel suo amore.

Egli infatti fa morire ciò che è alieno:
ogni cosa è del Signore.
Ed è stato così fin dall’inizio e così sarà fino alla fine,
affinché nulla gli sia contrario
e nessuno si erga contro di lui.

Ha fatto abbondare la sua conoscenza, il Signore,
gelosamente desideroso che fosse conosciuto
tutto ciò che per sua grazia ci era stato donato.
La sua gloria ci ha donato il suo Nome,
i nostri spiriti hanno glorificato il suo santo Spirito.

Allora uscì un torrente
che divenne un fiume grande e largo.
E sommerse ogni cosa,
la schiantò e la fece arrivare fino al tempio.

Dighe umane non furono in grado di arginarlo,
né vi riuscirono le arti di coloro che sono soliti arginare le acque.
Dunque si è riversato su tutta la faccia della terra
e ha riempito ogni cosa.

Hanno bevuto, tutti gli assetati della terra;
la sete è abolita, estinta,
quando l’Altissimo dona la sua bevanda.
Beati dunque i servi di questa bevanda,
coloro che le sue acque hanno reso credenti.

Esse hanno dato riposo a labbra inaridite
e hanno fatto risorgere la volontà paralizzata.
Le anime in procinto di partire,
le hanno strappate alla morte;
le membra cadenti
le hanno raddrizzate e ridestate.

Hanno dato forza alla loro venuta,
luce ai loro occhi.
E dato che tutti gli uomini le hanno conosciute nel Signore,
essi vivranno in acque vive di eternità. Alleluia.

da Un raggio della tua luce. Preghiere allo Spirito Santo, Qiqajon

IL CARATTERE COSMICO DELLA LITURGIA

http://www.zenit.org/it/articles/il-carattere-cosmico-della-liturgia

IL CARATTERE COSMICO DELLA LITURGIA

Rubrica di teologia liturgica a cura di don Mauro Gagliardi

10 Giugno 2009

ROMA, mercoledì, 10 giugno 2009 (ZENIT.org).- Trattiamo oggi del «carattere cosmico» della liturgia cristiana, un tema molto rilevante sia degli studi liturgici dell’allora teologo J. Ratzinger, sia del magistero del Sommo Pontefice Benedetto XVI. L’articolo di oggi, tradotto qui dalla lingua inglese, offre una breve esposizione su alcuni aspetti del carattere cosmico della liturgia. Data l’importanza di questo tema, è auspicabile che in futuro possiamo tornarvi di nuovo, per svilupparlo ulteriormente (Mauro Gagliardi).
***

Nella presentazione al primo volume pubblicato delle sue opere complete, dal titolo Teologia della Liturgia, Papa Benedetto XVI richiama la sua importante monografia Introduzione allo spirito della liturgia, pubblicata nell’anno 2000, identificando in essa tre cerchi (Kreise), ossia le tre aree tematiche principali del libro, nel quale vengono trattati numerosi aspetti particolari. I primi due “cerchi” sono stati trattati precedentemente in questa rubrica liturgica. Il terzo “cerchio” riguarda «il carattere cosmico della liturgia, che rappresenta qualcosa che va oltre il semplice riunirsi di un gruppo più o meno grande di persone; piuttosto, la liturgia è celebrata dentro l’ampiezza del cosmo, abbraccia la creazione e la storia allo stesso tempo».
Il teologo Joseph Ratzinger ha spesso riflettuto su quell’articolo del Credo che professa Dio come Creatore, perché egli lo considera essenziale per la comprensione della fede cristiana nel suo insieme. Dio è il Creatore di tutto il cosmo e mantiene ogni cosa nell’essere. Nella storia del popolo di Israele, l’aver capito che il mondo non è il prodotto di un puro caso, e che tutto ciò che esiste ha la propria origine solo dalla ragione e dall’amore di Dio, ha condotto all’“illuminismo” nel suo senso più profondo. Pertanto, la ragione umana è fondata «stabilmente sulla base originaria della Ragione creatrice di Dio, allo scopo di fondarla sulla verità e sull’amore» [1]. «Dio è il Signore di tutte le cose perché Egli è il loro Creatore e solo in base a ciò noi possiamo pregarlo. Poiché questo significa che la libertà e l’amore non sono idee astratte, ma piuttosto che esse sono forze che sostengono la realtà» [2].
Nel Libro della Genesi, la creazione ed il culto sono intimamente connessi: Dio ha creato il mondo in sei giorni e nel settimo si riposò (cf. Gen 2,2-3), orientando in questo modo la creazione verso il giorno del riposo, il quale è anche il segno dell’alleanza tra Dio e l’uomo. Commentando il prologo del Vangelo secondo Giovanni: «In principio era il Verbo», un’espressione che si rifà all’inizio del Libro della Genesi (cf. Gv 1,1 con Gen 1,1), Benedetto XVI afferma: «All’inizio il cielo parlò. E così la realtà nasce dalla Parola, è “creatura Verbi”. Tutto è creato dalla Parola e tutto è chiamato a servire la Parola. Questo vuol dire che tutta la creazione, alla fine, è pensata per creare il luogo dell’incontro tra Dio e la sua creatura, un luogo dove l’amore della creatura risponda all’amore divino, un luogo in cui si sviluppi la storia dell’amore tra Dio e la sua creatura» [3]. Il nostro incontro privilegiato con Dio è la sacra liturgia, nella quale noi siamo immersi nella comunione con il Signore, che ci benedice con il dono della sua presenza sacramentale.
Non sarebbe esagerato affermare che la teologia di Joseph Ratzinger è animata dalla profonda consapevolezza della bontà e bellezza della creazione di Dio. Nel contesto della dimensione cosmica della liturgia, il Papa si è rivolto ancora una volta al tema della direzione presa dal sacerdote celebrante e dai fedeli durante la liturgia eucaristica. Sin dai tempi più remoti, si è sempre considerata cosa ovvia per i cristiani il pregare insieme, sacerdote e fedeli, nella direzione del sole che sorge, simbolo di Cristo risorto, che tornerà nella gloria per giudicare il mondo e per raccogliere i suoi fedeli nella nuova, celeste Gerusalemme [4]. L’intera assemblea è unita nel «volgersi al Signore», come ci si esprime nelle preghiere spesso usate da sant’Agostino dopo i suoi sermoni, che cominciano con le parole Conversi ad Dominum… La direzione comune della preghiera liturgica divenne poi decisiva per la liturgia cristiana nonché per l’architettura sacra…
Nella sua presentazione al libro Teologia della liturgia, Benedetto XVI considera importante che questo simbolismo cosmico sia stato incorporato all’interno della celebrazione comunitaria: «Questo era ciò che si intendeva volgendosi ad est per la preghiera: che il Redentore che noi preghiamo è anche il Creatore, e per questo rimane sempre nella liturgia l’amore per la creazione e la responsabilità verso di essa».
Quest’ultimo aspetto riflette una preoccupazione che il Papa ha espresso in diverse occasioni, specialmente durante la sua visita in Australia per la Giornata Mondiale della Gioventù del 2008: Dio ha affidato la sua creazione a noi in quanto custodi, non padroni, e questo implica che noi non dobbiamo sfruttare le sue risorse secondo interessi egoistici, ma piuttosto che dobbiamo utilizzarle responsabilmente. Da una prospettiva cristiana, l’ecologia è radicata nella fede nel Dio creatore [5].
Da ultimo, un bell’esempio della comprensione propria al Santo Padre del carattere cosmico della liturgia è la raccolta di meditazioni «Il significato del Corpus Domini» [6], in cui egli richiama lo splendore della processione del Corpus Domini nella sua terra natale, la Baviera. Nel portare il Signore stesso, il Creatore, attraverso città e villaggi, su prati e su laghi, diviene tangibile che nella liturgia «si stratta di ciò che il cielo e la terra racchiudono, dell’umanità e di tutta la creazione» [7].

Note
[1] Benedict XVI, In the Beginning. A Catholic Understanding of Creation and the Fall, Eerdmans, Grand Rapids 1995, p. 14.
[2] Ibid., p. 18.
[3] Benedetto XVI, Meditazione nel corso della prima congregazione generale della XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 6 ottobre 2008.
[4] Cf. Benedetto XVI, Omelia della Veglia pasquale, 22 marzo 2008.
[5] Cf. Benedetto XVI, Discorso alla Curia romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi, 22 dicembre 2008.
[6] Cf. J. Ratzinger, La festa della fede. Saggi di teologia liturgica, Jaca Book, Milano 1990, pp. 101-109.
[7] Ibid., p. 108.
[Traduzione dall’inglese di don Mauro Gagliardi]

LC 24:35-48 – L’APPARIZIONE AI DISCEPOLI A GERUSALEMME (ed Emmaus)

http://thoughtstoliveby.wordpress.com/2009/04/26/lk-2435-48-sunday-gospel-reflection/

(è il Vangelo di oggi, traduzione Google dall’inglese)

LC 24:35-48 – L’APPARIZIONE AI DISCEPOLI A GERUSALEMME (ed Emmaus)

III Domenica di Pasqua

Domenica Gospel Riflessione

La Chiesa nel suo Catechismo insegna: « La risurrezione di Gesù è la verità culminante della fede cristiana in Cristo, una fede creduta e vissuta come verità centrale dalla prima comunità cristiana; trasmessa come fondamentale dalla Tradizione; stabilito dal documento del Nuovo Testamento; e predicata come parte essenziale del Mistero pasquale insieme con la croce « (cfr CCC 638).
In parole povere, la risurrezione di Gesù è così centrale per la nostra fede cristiana, perché se Cristo non è risorto dalla morte, la nostra fede è inutile, i nostri insegnamenti e predicazione sono inutili (cfr. 1 Cor 15,17). La risurrezione di Gesù è anche così centrale per la salvezza ci sforziamo, la speranza e pregare per perché siamo salvati non solo quando ci confessiamo con le labbra che Gesù è il Signore, ma anche quando crediamo nei nostri cuori che Gesù ha sofferto ed è morto sulla Croce risorto il terzo giorno (cfr. Rm 10,9). Se Cristo non è risorto dai morti, allora, la salvezza non è possibile. Infine, la risurrezione di Gesù è così centrale per la costruzione, diffusione e la continuazione della Chiesa istituita da Cristo sulla terra. Se Cristo non è risorto dai morti non ci sarebbero più i discepoli a sinistra ora. Non ci sarebbe più Chiesa ora.
La risurrezione di Gesù è così rilevante e significativo per la nostra fede cristiana, la salvezza e la costruzione, diffusione e la continuazione della Chiesa, ma ci sono teorie che erano state fatte cercando di dimostrare che la risurrezione di Gesù era una frode o un mito architettata dai discepoli molti anni dopo.
Uno tra questi è la teoria risurrezione spirituale . Questa è la visione che la risurrezione di Cristo non era una vera resurrezione fisica. I fautori di questa teoria sostengono che il corpo di Cristo rimase nel sepolcro e la sua vera risurrezione era di natura spirituale. E ‘stato detto solo questo modo per illustrare la verità della risurrezione spirituale, cioè, che Gesù risorto solo nei cuori e nelle menti dei credenti, in virtù della fede.
Come possiamo confutare questa? E ‘chiaramente sbagliato affermare che il corpo morto di Gesù rimase nel sepolcro e come qualsiasi altro corpo umano morto subito il naturale processo di decomposizione. Considerando il racconto biblico, il corpo fisico di Gesù fece sparire dalla tomba. Se vi ricordate ancora la prima visita di Maria Maddalena prime ore del mattino di Domenica, ha trovato solo una tomba vuota. Ha però che qualcuno ha rubato il corpo di Gesù.
Quando questo è stato segnalato per Pietro e Giovanni sono venuti subito a vedere la tomba di Gesù. Hanno trovato la tomba vuota e le bende di lino indisturbati che copriva il corpo di Gesù e anche il soudavrion, il pezzo di stoffa che aveva coperto la testa di Gesù ‘, non per terra con le altre bende, ma piegato in un luogo a parte. Ma non hanno mai trovato il corpo di Gesù..
Fondamentalmente la questione riguarda il posizionamento dei graveclothes come visto da Pietro e dall’altro discepolo, quando sono entrati nel sepolcro. Alcuni hanno cercato di dimostrare che i discepoli, vedendo le bende erano disposti proprio come lo erano quando in tutto il corpo, in modo che quando la resurrezione è avvenuta il corpo risorto di Gesù passò attraverso di loro, senza riorganizzare o disturbarli. In questo caso il link sui soudavrion essere arrotolato non fa riferimento al suo essere piegato, ma crollata nella forma che aveva quando avvolto intorno alla testa.
Tutto ciò che la condizione dei graveclothes indicato era che il corpo di Gesù non era stato rubato dai ladri. Chi era venuto a rimuovere il corpo (se le autorità o chiunque altro) non si sarebbero preoccupati di scartarlo prima di portarlo fuori. E anche se si potrebbe immaginare che avevano (forse in cerca di oggetti di valore come anelli o gioielli ancora indossati dal cadavere), avrebbero certamente non si sono preoccupati di prendere tempo per arrotolare il facecloth e lasciare gli altri involucri in modo ordinato!
Dopo Peter è andato avanti ed entrò nel sepolcro, il discepolo prediletto, che era arrivato per primo, è entrato anche. Quando vide le bende nella condizione descritta nel versetto precedente, vide e credette. Cos’è che Discepolo Amato ha creduto (dal v. 7 descrive ciò che ha visto)? l’evangelista ci vuole a capire che quando il discepolo prediletto entrò nel sepolcro dopo Pietro e vide lo stato delle graveclothes, credeva nella risurrezione, cioè, che Gesù era risorto dai morti.
Se fosse solo una resurrezione spirituale, allora, cosa è successo al corpo? Qualcuno ha scoperto e ottenere la custodia di uno dei resti di Gesù? La storia mostra c’era un corpo lì e scomparve. Nessuno era in grado di produrre il corpo né smentire la risurrezione.
Di per sé, la tradizione della « tomba vuota » non prova nulla. Ma quando legato alle apparenze del Cristo risorto, è conferma della risurrezione (cf. CCC 640). Infatti, le apparizioni personali di Cristo dopo la Sua risurrezione sono un’altra prova storica schiacciante. Le donne ed i discepoli videro, sentirono, e anche toccato il Signore. Infatti, 500 fratelli lo videro in una sola volta (1 Cor. 15:06). Inoltre, il Signore risorto anche mangiato con loro per due volte come riportato dal Vangelo.
Vangelo di oggi narrazione è circa l’apparizione di Gesù ai due discepoli sulla strada di Emmaus. I due discepoli che erano in cammino verso Emmaus venuti da Gerusalemme dove Gesù fu arrestato, imprigionato, punito, crocifisso e morto sulla croce. Ci erano pieni di dolore, dolore, paura, disperazione e disillusione per la morte di Gesù, che consideravano di essere il Messia promesso che li ha liberati dal dominio e l’oppressione dell’Impero Romano. Fu in questo momento di crisi, quando Gesù apparve improvvisamente e si unì a loro nel loro cammino verso Emmaus.
Mentre erano in cammino verso Emmaus, Gesù spiegò loro che tutto quello che era successo (passione, morte e risurrezione di Gesù) nella vita di Gesù è un adempimento di profezie bibliche e in conformità con le Scritture. Siero di latte hanno raggiunto il posto, hanno invitato Gesù a stare con loro, perché si fa sera e il giorno è quasi finita. Così Gesù entrò per rimanere con loro. Lì per lì mentre era con loro a tavola prese il pane, lo spezzò e lo diede loro. Con che aprirono loro gli occhi e lo riconobbero, ma lui sparì dalla loro vista.
I discepoli cuori bruciavano dentro quando Gesù parlò loro sulla strada e gli occhi erano solo completamente aperto e riconosciuto il Signore durante la frazione del pane. E ‘stato durante la frazione del pane che i discepoli tristezza, la paura, la disperazione e la lentezza di comprensione si trasformano in gioia, senza paura ed entusiasta impegno verso la persona, la vita, le opere e la missione di Gesù. Infatti, il Cristo risorto è presente e riconosciuta quando le Scritture viene proclamato, quando il pane è rotto.
Il viaggio dei due discepoli verso Emmaus è, in un primo momento, un percorso di dolore, il dolore, la paura e la disperazione. Ma quando riconobbero Gesù, il Signore risorto, attraverso la rottura della parola e spezzare il pane del cammino verso Emmaus è un viaggio di incontrare, scoprire e accogliere il Signore risorto nei loro cuori nella fede. Diventa un viaggio dal dolore alla gioia, dalla paura al coraggio, dall’ignoranza alla fede, dalla disperazione alla speranza.
Gesù aveva con i suoi discepoli tutta la strada, e non hanno riconoscerlo. Non è questa la nostra vita troppo. Non riusciamo a riconoscere quanto vicino il Signore è per noi tutto il tempo. Forse non abbiamo nemmeno lo riconosciamo nello spezzare del Pane, l’Eucaristia e la rottura della Parola. Forse non abbiamo nemmeno lo riconosciamo nella persona del sacerdote e le persone intorno a noi, soprattutto i poveri, i bisognosi e sofferenti. Forse non abbiamo nemmeno lo riconosciamo nel Pane che mangiamo durante la comunione e il Santissimo Sacramento all’interno del Tabernacolo.
Ogni volta che celebriamo il sacrificio eucaristico del corpo e del sangue di Cristo, che affidò alla Chiesa di perpetuare il suo sacrificio salvifico sulla croce e per applicare i frutti della redenzione di tutti gli uomini e le donne di tutte le età e di tutte le nazioni, chiediamo a Dio di aprire i nostri occhi in modo che possiamo essere in grado di riconoscerlo nella persona del sacerdote, nelle parole di essere proclamata, nel pane eucaristico e il vino in particolare durante l’elevazione del corpo e del sangue di Cristo, la comunione, ora santa e l’adorazione eucaristica, e, infine, nel nostro prossimo specialmente nei poveri, i bisognosi e sofferenti.
Poi dobbiamo anche esercitare tutti i nostri sforzi per rendere la nostra celebrazione eucaristica attiva, consapevole e completo, al fine di renderla significativa e fruttuosa nella misura in cui saremo nutriti, rafforzati e autorizzata dalle parole di Dio e l’Eucaristia, che è un memoriale della sua morte e risurrezione: sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale ‘in cui Cristo si consuma, la mente è piena di grazia, e un pegno della gloria futura ci è dato « ( SC 47).

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