Archive pour la catégorie 'LITURGIA'

TE DEUM – ITALIANO – LATINO

TE DEUM – ITALIANO – LATINO

Noi ti lodiamo, Dio *
ti proclamiamo Signore.
O eterno Padre, *
tutta la terra ti adora.

A te cantano gli angeli *
e tutte le potenze dei cieli:
Santo, Santo, Santo *
il Signore Dio dell’universo.

I cieli e la terra *
sono pieni della tua gloria.
Ti acclama il coro degli apostoli *
e la candida schiera dei martiri;

le voci dei profeti si uniscono nella tua lode; *
la santa Chiesa proclama la tua gloria,
adora il tuo unico figlio, *
e lo Spirito Santo Paraclito.

O Cristo, re della gloria, *
eterno Figlio del Padre,
tu nascesti dalla Vergine Madre *
per la salvezza dell’uomo.

Vincitore della morte, *
hai aperto ai credenti il regno dei cieli.
Tu siedi alla destra di Dio, nella gloria del Padre. *
Verrai a giudicare il mondo alla fine dei tempi.

Soccorri i tuoi figli, Signore, *
che hai redento col tuo sangue prezioso.
Accoglici nella tua gloria *
nell’assemblea dei santi.

Salva il tuo popolo, Signore, *
guida e proteggi i tuoi figli.
Ogni giorno ti benediciamo, *
lodiamo il tuo nome per sempre.

Degnati oggi, Signore, *
di custodirci senza peccato.
Sia sempre con noi la tua misericordia: *
in te abbiamo sperato.

Pietà di noi, Signore, *
pietà di noi.
Tu sei la nostra speranza, *
non saremo confusi in eterno.

TE DEUM

Te Deum laudámus: * te Dóminum confitémur.
Te ætérnum Patrem, * omnis terra venerátur.
Tibi omnes ángeli, *
tibi cæli et univérsæ potestátes:
tibi chérubim et séraphim *
incessábili voce proclamant:

Sanctus, * Sanctus, * Sanctus *
Dóminus Deus Sábaoth.
Pleni sunt cæli et terra * maiestátis glóriæ tuae.
Te gloriósus * Apostolórum chorus,
te prophetárum * laudábilis númerus,
te mártyrum candidátus * laudat exércitus.
Te per orbem terrárum *
sancta confitétur Ecclésia,
Patrem * imménsæ maiestátis;
venerándum tuum verum * et únicum Fílium;
Sanctum quoque * Paráclitum Spíritum.

Tu rex glóriæ, * Christe.
Tu Patris * sempitérnus es Filius.
Tu, ad liberándum susceptúrus hóminem, *
non horruísti Virginis úterum.
Tu, devícto mortis acúleo, *
aperuísti credéntibus regna cælórum.
Tu ad déxteram Dei sedes, * in glória Patris.
Iudex créderis * esse ventúrus.
Te ergo, quæsumus, tuis fámulis súbveni, *
quos pretióso sánguine redemísti.
ætérna fac cum sanctis tuis * in glória numerári.

Salvum fac pópulum tuum, Dómine, *
et bénedic hereditáti tuæ.
Et rege eos, * et extólle illos usque in ætérnum.
Per síngulos dies * benedícimus te;
et laudámus nomen tuum in sæculum, *
et in sæculum sæculi.
Dignáre, Dómine, die isto *
sine peccáto nos custodíre.
Miserére nostri, Dómine, * miserére nostri.
Fiat misericórdia tua, Dómine, super nos, *
quemádmodum sperávimus in te.
In te, Dómine, sperávi: *
non confúndar in ætérnum. 

Publié dans:LITURGIA - INNI |on 31 décembre, 2014 |Pas de commentaires »

NATIVITÀ SECONDO LA CARNE DEL SIGNORE, DIO E SALVATORE NOSTRO GESÙ CRISTO….

http://tradizione.oodegr.com/tradizione_index/testilit/nativita.htm

NATIVITÀ SECONDO LA CARNE DEL SIGNORE, DIO E SALVATORE NOSTRO GESÙ CRISTO

AI VESPRI, CELEBRATI INSIEME ALLA DIVINA LITURGIA DI SAN BASILIO

Stichirà. Tono II
I
Venite, rallegriamoci nel Signore, inneggiando al mistero presente: la parete di separazione è distrutta, l’arma fiammeggiante retrocede, il cherubino si allontana dall’albero della vita ed io son fatto partecipe delle delizie paradisiache dalle quali ero stato scacciato per la disobbedienza. L’Immagine immutabile del Padre, l’Impronta della sua eternità, prende l’aspetto di servo, venendo, senza subire mutamento, da una Madre che non conobbe le nozze. Ciò che era, lo rimane, Dio vero; ciò che non era lo assume, fatto uomo per il suo amor degli uomini. A Lui cantiamo: Tu che sei nato dalla Vergine, Dio, abbi pietà di noi!

III
Alla nascita del Signore Gesù dalla Vergine santa tutte le cose furono illuminate; mentre i pastori suonavano il flauto, i magi adoravano, gli angeli cantavano. Erode si agitava, perché Dio è apparso nella carne, il Salvatore delle nostre anime.
V
Il tuo regno, Cristo Dio, è regno di tutti i secoli e la tua dominazione si estende di generazione in generazione incarnato per opera del Santo Spirito, fatto uomo dalla Sempre-vergine Maria, la tua venuta quale luce risplende su di noi, Cristo Dio. Luce da Luce, Splendore del Padre, hai illuminato l’intera creazione. Ogni essere animato ti loda, Immagine della paterna gloria. Tu che sei, e che eternamente sei, Tu che risplendi dalla Vergine, Dio, abbi pietà di noi!
VII
Che possiamo offrirti, Cristo, poiché sei apparso sulla terra quale uomo, per noi? Ognuna delle creature da Te create ti offre la sua riconoscenza: gli angeli il canto, il cielo la stella, i magi i doni, i pastori la loro ammirazione, la terra una grotta, il deserto una mangiatoia; ma noi una Madre Vergine! Tu che sei Dio d’avanti i secoli, abbi pietà di noi!
Quando Augusto prese in mano il governo di tutta la terra, cessò tra gli uomini la molteplicità dei sovrani; quando Tu ti incarnasti dalla Pura, fu annientata la moltitudine delle divinità pagane. Le città del mondo furono sotto un unico potere; le nazioni credettero all’unico governo di Dio. I popoli furono iscritti per censimento sull’ordine di Cesare; noi fedeli fummo contrassegnati dal nome della Divinità, perché tu ti sei fatto uomo, nostro Dio. Grande è la tua pietà, Signore, gloria a Te!

Lettura: Genesi 1, 1-13
Tropario
Sei nato misteriosamente nella Grotta: ma il cielo Ti predicò a tutti, parlando per mezzo di una stella a guisa di labbra, Salvatore, e ti condusse i magi che Ti adorarono con fede; con essi, abbi pietà di noi. (si ripete ad ogni stico)
1°. La sua casa sul santo suo monte predilige il Signore; le porte di Sion sopra tutte le dimore di Giacobbe. Grandi cose di te vengon dette, o città di Dio. Io conto anche Rahab e Babele fra coloro che temono il Signore.
2°. Pur Filiste e l’Etiope con Tiro, ognuno là è nato, anche in Sion si dirà di ciascuno: in essa egli è nato. Egli stesso là li afferma l’Eccelso Signore.
3°. Nel censo dei popoli Ei nota: questi è nato colà. Son tutti giulivi e festanti, poiché in Te han dimora.

Lettura: Isaia 9, 5-6
Tropario
Risplendesti, o Cristo, dalla Vergine, animato Sole di giustizia; e la stella ti indicò, contenuto nella Grotta, Te che nulla può contenere. Tu hai insegnato ai magi ad adorarti; con essi ti magnifichiamo: Datore di vita, gloria a Te. (si ripete ad ogni stico)
1°. Dio regna e s’ammanta di gloria; s’ammanta e si cinge di possanza. Egli tien saldo il mondo che non crolli. È saldo il trono tuo sin dal principio. Da ogni evo, o Signore, tu sei.
2°. Levano i fiumi, o Signore, levano i fiumi il loro frastuono, levano i fiumi il loro fragore.
3°. Ma più che il frastuono di molte acque, più forte che i flutti del mare, più forte è il Signore nell’alto. Certissima è la tua legge; la santità s’addice alla tua casa, Signore, nei tempi dei tempi.
Lettura: Isaia 7, 10-16 e 8, 1-4.8-10
Segue la piccola ektenia, il Trisagio e il resto della Liturgia di san Basilio
Prokimeno tono I
Il Signore disse a me: Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato.
– Chiedimi, e in sorte ti darò le genti e in tua balia gli estremi della terra.
Apostolo: Ebrei 1, 1-12
Alliluia: Disse il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra finché avrò posto i tuoi nemici a scanno dei tuoi piedi.
– Stenderà lo scettro suo potente il Signore da Sion: domina in mezzo ai tuoi nemici.
Evangelo: Luca 2, 1-20
Megalinario
Di Te si rallegrano, o piena di grazia, tutte le creature, l’assemblea degli angeli ed il genere umano. Tempio consacrato e paradiso animato, lode verginale, dalla quale Dio si è incarnato e fatto bambino, Egli che d’avanti i secoli è il nostro Dio. Del tuo grembo ha fatto un trono e le tue viscere divennero più vaste che i cieli. Di Te si rallegrano, o Piena di Grazia, tutte le creature, gloria a Te!

Kinonikon
Lodate il Signore dai cieli, lodatelo nell’alto dei cieli. Alliluia.
Tropario
La Tua natività, Cristo nostro Dio, ha fatto risplendere sul mondo la luce della conoscenza. In essa, infatti, coloro che adoravano le stelle da una stella impararono ad adorare te, Sole di giustizia ed a riconoscere te, Oriente venuto dall’alto: Signore, gloria a te!
Kontakion
Oggi la Vergine partorisce l’Eterno, la terra offre una grotta all’Eccelso. Angeli e Pastori cantano gloria, la stella conduce i Magi. Per noi un bimbo nasce nel tempo, Lui Dio, Signore del tempo.

VIGILIA – GRANDE APODIPNON
Stichirà alla litia
Il cielo e la terra si rallegrino oggi, al dir del Profeta, gli angeli e gli uomini tripudino spiritualmente; perché Dio è apparso nella carne a coloro che vivono nelle tenebre e dimorano nell’ombra. Nato dalla Vergine, accolto da una grotta e da una mangiatoia; i pastori proclamano la meraviglia, i magi dall’Oriente portano doni a Betlemme. Noi, con labbra indegne, offriamogli la lode degli angeli: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace sulla terra; è venuto infatti il Desiderato delle genti e con la sua venuta ci ha salvato dalla schiavitù del nemico.
I Magi, re della Persia, avendo saputo con certezza che era nato in terra il Re dei cieli, condotti da una stella luminosa, giunsero a Betlemme portando doni preziosi: oro, incenso e mirra. Prostrandosi, adorarono: videro infatti giacere bambino nella mangiatoia il Signore del tempo.
Danzano in coro tutti gli angeli del cielo e si rallegrano gli uomini oggi; tutta la creazione tripudia per la nascita a Betlemme del Salvatore e Signore; perché è cessata la vanità degli idoli e Cristo regna negli evi.
Apostica (Stihovnja)
Una meraviglia grande e gloriosa si compie oggi; la Vergine partorisce e le sue viscere rimangono incorrotte; il Logos s’incarna senza separarsi dal Padre. Angeli e pastori cantano gloria. Con essi anche noi esclamiamo; Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra.
Il Signore ha detto al mio Signore: siedi alla mia destra.
Oggi la Vergine partorisce il Creatore di tutti; l’Eden offre una grotta, la stella indica Cristo, il Sole a chi è nelle tenebre. Con doni i magi adorano illuminati dalla fede, i pastori vedono la meraviglia, mentre gli angeli cantano e dicono: Gloria a Dio nell’alto dei cieli!
Dal mio grembo ti ho generato prima dell’aurora.
Alla nascita del Signore Gesù a Betlemme di Giudea, i magi, giunti dall’Oriente, adorarono Dio fatto uomo ed avendo aperto con diligenza i loro scrigni, offrirono doni preziosi: oro provato, come al Re dei secoli; incenso, come al Dio universale; all’Immortale come a un morto triduano la mirra. Nazioni tutte, venite, adoriamo Colui ch’è nato per salvare le nostre anime.
Rallegrati Gerusalemme, tripudiate, voi tutti che amate Sion; oggi è stata abrogata la temporale condanna di Adamo, il paradiso ci viene aperto, il serpente è disarmato; colei che aveva anticamente sedotta, la vede adesso divenuta Madre del Creatore! O abisso della sapienza, della ricchezza, della intelligenza di Dio! Colei che fu per il genere umano mediatrice di morte e strumento del peccato, fu anche inizio di salvezza per il mondo intero, nella persona della Madre di Dio. Il Dio di ogni perfezione da lei nasce bambino e con la sua natività ne sigilla la verginità; con le sue fasce scioglie i vincoli del peccato, con la sua infanzia dissipa i dolori e le tristezze di Eva. Danzi dunque in coro tutta la creazione e tripudi: Cristo è venuto per rinnovare e salvare le nostre anime.
Hai stabilito la tua dimora nella grotta, una mangiatoia ti ha accolto, i pastori ed i magi ti hanno adorato. Allora si compì l’oracolo profetico; gli eserciti degli angeli furono colpiti di stupore ed esclamarono: Gloria alla tua condiscendenza, unico Amico degli uomini!

ORTHROS – MATTUTINO
Dopo la prima sticologia del salterio
Catisma poetico: Per noi, sei stato deposto in una mangiatoia di muti animali, Salvatore longanime. Fatto bambino, perché l’hai voluto, i pastori ti celebrarono con gli angeli, cantando: Gloria e lode a Colui che è nato ulla terra ed ha divinizzato la natura umana, Cristo nostro Dio.
Dopo la seconda sticologia del salterio:
Catisma poetico: Hai portato incarnato nel grembo l’Eterno ed Inaccessibile, consustanziale al Padre invisibile, Unica ed inconfusa Divinità nella Trinità. Risplendette nel mondo la tua grazia, o oggetto dei nostri canti, perciò diciamo senza posa: Rallegrati, pura Madre Vergine.
Dopo il Polieleo
Velicanje: Ti magnifichiamo, Cristo, Datore di vita per noi incarnato e nato dalla purissima Vergine Maria, ignara di nozze.
Venite, andiamo a vedere, fedeli, dove è nato Cristo; seguiamo semplicemente il percorso della stella insieme ai magi, i re dell’Oriente; laggiù gli angeli lo cantano senza posa. I pastori vegliano, cantando l’inno degno di Lui e dicendo: Gloria nell’alto dei cieli a Colui che è nato oggi nella grotta dalla Verdine e Madre di Dio, in Betlemme di Giudea.
Perché sei stupita, o Maria? Perché ti meravigli di ciò che avviene in te? Perché – ella dice – ho generato nel tempo un Figlio eterno senza aver sperimentato il matrimonio. Senza conoscere uomo, come posso dare alla luce un Figlio? Chi ha mai visto un concepimento senza seme? Ma quando Dio vuole, è superato l’ordine naturale, come sta scritto. Cristo è nato dalla Vergine in Betlemme di Giudea.
Colui che non può essere contenuto, come mai si racchiude in un grembo? Colui che è nel seno del Padre, come può esser tra le braccia della madre? Tutto è come egli sa, come ha voluto, come ha preferito. Non avendo un corpo, si è incarnato volontariamente. Colui che è, si è fatto per noi ciò che non era, e senza uscire dalla sua natura ha assunto il nostro impasto di terra. Cristo ha una duplice nascita, lui che vuol riempire il mondo dall’alto.
Prokimeno. Tono IV
Dal mio seno prima dell’aurora ti generai. Giurato ha il Signore e non si pente.
Disse il Signore al mio Signore; Siedi alla mia destra finché avrò posto i tuoi nemici a scanno dei tuoi piedi.
Evangelo: Matteo 1, 18-25
Ogni cosa oggi vien colmata di gioia: Cristo è nato dalla Vergine.
Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra; oggi Betlemme accoglie Colui che siede eternamente col Padre; oggi gli angeli esaltano come Dio il piccolo neonato e cantano a lui solennemente il gloria: Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini oggetto di benevolenza.
Canone
1° Irmos
Cristo è nato, cantate gloria. Cristo vien dai cieli, accoglietelo. Cristo è sulla terra, siatene fieri! Canta al Signore, terra tutta e voi popoli entrate con gioia nel canto, perché sì è coperto di gloria!
Gloria a Te, Dio nostro, gloria a Te!
L’uomo, che la trasgressione aveva reso corruttibile allorché era stato creato ad immagine di Dio, diventò tutto corruzione decaduto dall’eccellenza della vita divina, il saggio Artefice lo rinnova come un tempo, coprendosi di gloria.
Sapienza, Logos, Potenza, Figlio del Padre e suo splendore, Cristo Dio, nascostamente dalle potenze celesti e da quelle terrestri si è incarnato, e ha ripreso possesso di noi, perché si è coperto di gloria.
3° Irmos
Prima dei secoli. Figlio generato dal Padre senza corruzione; alla fine dei tempi incarnato dalla Vergine senza il concorso dell’uomo, acclamiamo Cristo Dio: Tu che sollevi la nostra stirpe, Santo sei Signore!
L’Adamo di fango, che era stato partecipe di un soffio divino e che era caduto nella corruzione per un inganno della donna, vedendo Cristo divenuto Figlio di una donna, esclamò: Tu che, per me sei divenuto simile a me, Santo sei Signore!
Rallegrati, Betlemme, regina delle città di Giuda, perché Colui che fa pascere Israele e sta sulle spalle dei Cherubini, Cristo, esce da te manifestandosi, e, rialzate le nostre fronti, diventa re di tutti.
Ipakoì
Il cielo ti ha offerto le primizie delle nazioni, quando giacevi bambino in una mangiatoia, invitando i magi mediante la stella. Furono colpiti non da scettri e troni, ma dalla più estrema miseria. Che c’è di più vile d’una spelonca? Che c’è di più umile delle fasce? ed in essi risplendette la ricchezza della tua divinità: Signore, gloria a Te!
4° Irmos
Stelo della radice di Jesse e Fiore su di esso sbocciato, dalla Vergine sei fiorito; sei venuto dalla montagna gloriosa, coperta dall’ombra, Dio immateriale da Colei che non conobbe le nozze: gloria alla tua forza, Signore!
Desiderato delle nazioni, Cristo, da Giacobbe anticamente predetto, risplendi oggi dalla tribù di Giuda, venuto a rovesciare la forza di Damasco e la venalità di Samaria, trasformando l’antica frode in fede accetta a Dio. Gloria alla tua forza, Signore!
Sei sceso nel grembo verginale, come Cristo, come pioggia sul vello, come la rugiada sulla terra. Gli Etiopi e gli abitanti di Tarsis, le isole dell’Arabia, Saba dei Medi, come i capi di tutta la terra si sono prostrati davanti a te, o Salvatore. Gloria alla tua potenza, Signore!
5° Irmos
Tu che sei il Dio della pace e il Padre delle misericordie, hai inviato a noi l’angelo del tuo gran consiglio, elargitore di pace. Da Lui condotti alla luce della comprensione, prevenendo l’alba, nella notte ti glorifichiamo, Amico degli uomini.
Sottomesso al decreto di Cesare, sei stato recensito tra i suoi sudditi e ci hai liberato, Cristo, allora che eravamo schiavi, dal nemico e dal peccato. Sei divenuto in tutto, povero come noi; e quest’uomo di terra, mediante l’unione e la comunione con Te, l’hai divinizzato.
Ecco che la Vergine, come un tempo predetto, ha concepito nel suo grembo e ha dato alla luce Dio incarnato, rimanendo Vergine. Noi peccatori, riconciliati grazie a lei con Dio, con fede le innalziamo inni perché veramente è Madre di Dio.
6° Irmos
Il mostro marino vomitò dalle viscere Giona, come l’aveva inghiottito; il Logos, essendosi stabilito nella Vergine e incarnatosi, ne usci, conservandola intatta; Colui che non subì la corruzione, conservò incontaminata Colei che lo generò.
Viene, incarnatosi in un grembo, Cristo nostro Dio, che il Padre genera prima dell’aurora; Colui che detiene il governo delle angeliche schiere, giace in una mangiatoia di giumenti, è avvolto di fasce e scioglie i vincoli inestricabili del peccato.
Kontakion
Oggi la Vergine partorisce l’Eterno, la terra offre una grotta all’Eccelso. Angeli e Pastori cantano gloria, la stella conduce i Magi. Per noi un bimbo nasce nel tempo, Lui Dio, Signore del tempo.
Ikos
Betlemme ha aperto l’Eden; venite, contempliamolo; troviamo nel mistero l’Alimento; venite, prendiamo dentro la grotta ciò che era nel paradiso; là è apparsa una radice non irrigata, che germogliò il perdono; là è stata trovata la Fonte, non scavata dall’uomo, della quale una volta Davide assetato desiderò bere. Là una Vergine che ha partorito un Bambino, calmò subito la sete di Adamo e di Davide. Perciò rechiamoci là dove per noi un bimbo è nato nel tempo, Lui Dio, Signore del tempo.
Sinassario
l 25 di questo mese, Natività secondo la carne del Signore, Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo. Lo stesso giorno, adorazione dei magi. Lo stesso giorno, memoria dei pastori che hanno contemplato il Signore. A Lui gloria per i secoli dei secoli. Amìn.
7° Irmos
I fanciulli, educati alla pietà, disprezzando l’ordine del malvagio, non temettero la condanna al fuoco; ma eretti in mezzo alle fiamme cantavano: Dio dei padri, sei benedetto!
I pastori, che suonavano i loro strumenti, videro una straordinaria manifestazione di luce: la gloria del Signore li illuminò ed un angelo li invitò, dicendo: Intonate un canto, perché Cristo è nato, Dio benedetto dei padri.
All’improvviso, mentre l’Angelo ancora parlava, le armate celesti esclamarono: Gloria a Dio nel più alto dei cieli, pace sulla terra, e agli uomini benevolenza; Cristo è apparso. Dio dei Padri, tu sei benedetto.
8° Irmos
La fornace che emetteva rugiada fu immagine di una meraviglia soprannaturale. Infatti non consunse i fanciulli che aveva ricevuto, come il fuoco della Divinità non consunse la Vergine, nel cui grembo era entrato. Perciò intonando un canto diciamo: benedica il Signore la creazione tutta e Lo sovraesalti negli evi.
La figlia di Babilonia aveva trascinato prigionieri dietro a sé, da Sion, i figli di Davide; adesso invia carichi di doni i magi suoi figli a pregare la Figlia di Davide che è Dimora di Dio. Perciò intoniamo un canto e diciamo: benedica il Signore la creazione tutta e lo sovraesalti negli evi.
Il lutto aveva fatto abbassare gli strumenti musicali, perché le figlie di Sion non cantavano in mezzo a stranieri, ma Cristo, apparendo in Betlemme, mette fine agli errori di Babilonia e scioglie armonie di musica. Intoniamo perciò un canto dicendo: benedica il Signore la creazione tutta e lo sovraesalti negli evi.
Il Magnificat oggi viene omesso. Si cantano in sua vece i pripievi della Festa.
Magnifica, anima mia, Colei che è più pura e più gloriosa degli eserciti celesti.
9° Irmos
Vedo un mistero inusitato e più che glorioso; la grotta è cielo, la Vergine trono cherubico, la mangiatoia un ricettacolo nel quale giace Cristo Dio, l’Incontenibile; intonandogli un cantico, magnifichiamolo!
Magnifica, anima mia, il Dio incarnato dalla Vergineo e da lei partorito.
I magi videro il percorso straordinario di una stella sconosciuta, nuova, risplendente di nuovo splendore, che illuminava i cieli; era il segno che Cristo Re era sulla terra, nato a Betlemme per la nostra salvezza.
Magnifica, anima mia, il Re nato in una grotta.
Dove si trova il neonato Re di cui abbiam visto la stella e che siam venuti ad adorare? – chiedevano i Magi. Si stupì e si turbò Erode, nemico di Dio, che ebbe l’arroganza di voler far perire Cristo.
Magnifica, anima mia, il Dio adorato dai magi.
Erode si era informato circa il tempo dell’apparizione della stella dalla quale i magi erano stati condotti a Betlemme, per adorare con doni il Cristo; ma da lui ricondotti al loro paese, i magi abbandonarono il crudele uccisore di bambini, prendendosene gioco.
Oggi la Vergine, dentro la grotta, partorisce il Sovrano.
È facile, perché privo di pericolo, accontentarci del silenzio, per timore; mentre è cosa difficile intessere per amore, o Vergine, inni di ardente fervore. Donaci dunque, o Madre, forza adeguata all’intenzione.
Oggi da Madre Vergine, il Sovrano è partorito come piccolo bimbo.
Gloria.
Magnifica, anima mia, la forza della Divinità trisipostatica e indivisibile.
Dopo aver contemplato le immagini oscure e le ombre ormai passate del Logos, o Madre pura, ora che egli é apparso dalla porta chiusa, fatti degni della luce della verità, noi giustamente benediciamo il tuo grembo.
E ora.
Magnifica, anima mia, colei che ci ha riscattati dalla maledizione.
Raggiunto l’oggetto del suo desiderio, e ottenuta la venuta di Dio, il popolo che gode in Cristo implora ora la rigenerazione, perché questa gli dà la vita: tu dunque, o Vergine tuttapura, concedigli la grazia di adorarne la gloria.
Magnifica, anima mia, Colei che è più pura e più gloriosa degli eserciti celesti.
Vedo un mistero inusitato…
Magi e pastori sono venuti ad adorare il Cristo, nato nella città di Betlemme.
È facile, perché privo di pericolo…
Exapostilarion
Ci ha visitato dall’alto il nostro Salvatore, Oriente degli Orienti e noi che eravamo nelle tenebre e nell’ombra, abbiamo trovato la verità: perché da una Vergine è nato il Signore.
Stichirà alle Lodi
Rallegratevi, giusti, cieli esultate, Cristo è nato; la Vergine è assisa e fatta simile ai cherubini, porta in grembo Dio Logos-Incarnato; i pastori si meravigliano del neonato; i magi al Signore portano doni; gli angeli, intonando un canto, dicono: Signore inaccessibile, gloria a Te!
Il Padre l’ha voluto: il Logos si è fatto carne e la Vergine ha dato alla luce Dio incarnato. Una stella lo indica, i Magi l’adorano; i pastori si estasiano e la creazione è in festa.
Madre di Dio, Vergine, mettendo al mondo il Salvatore, hai abolito la prima maledizione di Eva; perché sei stata la Madre della Benevolenza del Padre, allorché portavi in grembo il Logos di Dio incarnato. Il mistero non può essere scrutato. Soltanto con la fede possiamo rendergli gloria, invocando con Te e dicendo: Signore inaccessibile, gloria a Te!
Venite, celebriamo la Madre del Salvatore, rimasta Vergine anche dopo la natività: Rallegrati, città animata del Re Dio, nella quale vivendo Cristo operò la salvezza. Con Gabriele cantiamo, con i pastori glorifichiamo, invocando: Madre di Dio, prega Colui che è nato da Te, di salvarci!
Quando giunse il tempo della Tua venuta in terra si stava facendo il primo censimento dell’universo, allora hai voluto scrivere i nomi degli uomini che credettero alla tua natività. Perciò fu indetto da Cesare tale ordine: il Tuo Regno eterno, o Senza-Principio, fu inaugurato alla tua natività. Perciò anche noi Ti offriamo il dono che sorpassa tutte le ricchezze: il tesoro di una fede ortodossa nel Dio e Salvatore delle nostre anime.
Oggi a Betlemme Cristo nasce dalla Vergine; oggi Colui che è senza principio, comincia ed il Logos s’incarna: le schiere celesti si rallegrano e la terra con gli uomini esultano; i magi portano doni al Sovrano, i pastori si meravigliano del Nuovo-Nato. E noi senza posa esclamiamo: Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra, agli uomini divine compiacenze.

ALLA LITURGIA
I Antifona
Per le preghiere della Madre di Dio, Salvatore, salvaci
– Darò lode a Dio con tutto il cuore, proclamerò tutti i suoi portenti .
– Nell’assemblea dei giusti e nei consessi. Grandiose son le opere del Signore, da scrutarsi in tutti i loro vanti.
– È gloria e maestà l’opera sua e la sua munificenza non ha fine, la sua giustizia dura nei secoli.
II Antifona
Salvaci, Figlio di Dio, nato dalla Vergine, noi che ti cantiamo: Alliluia.
– Beato l’uomo che teme il Signore e nei suoi comandi grandemente si compiace.
– Sarà potente in terra la sua stirpe, la progenie dei giusti è benedetta.
– Nella sua casa l’abbondanza e l’opulenza, e la sua giustizia non ha fine.
– Splenderanno i giusti qual luce, nel buio chi è benigno, misericorde e giusto.
III Antifona
– Disse il Signore al mio Signore: siedi alla mia destra, finche avrò posto i tuoi nemici a scanno dei tuoi piedi.
– Stenderà lo scettro suo potente il Signore da Sion. Regna in mezzo ai tuoi nemici.
– Teco è il principato, dal dì del tuo nascere sul monte mio santo.
Isodikòn
Dal mio seno, prima dell’aurora Ti generai. Giurato ha il Signore e non si pente; Tu sei sacerdote in eterno al modo di Melchisedec.
Tropario
La tua natività, o Cristo Dio nostro, fece spuntare nel mondo la luce della verità; per essa infatti gli adoratori degli astri vennero ammaestrati da una stella ad adorare Te, sole di giustizia, e a riconoscere Te, aurora celeste; o Signore, gloria a te!
Kontakion
Oggi la Vergine dà alla luce l’Eterno e la terra offre una spelonca all’Inaccessibile. Gli angeli con i pastori cantano gloria, i Magi camminano seguendo la guida della stella; poiché per noi è nato un tenero Bambino, il Dio eterno.
Invece del Trisagio
Voi tutti che siete stati battezzati in Cristo, siete rivestiti di Cristo, Alliluia.
Prokimeno
Tutta la terra al tuo cospetto adori e canti il tuo nome dinnanzi a Te.
– Canti lieta a Dio tutta la terra, inneggiate alla gloria del suo nome
Apostolo: Galati 4, 4-7.
Alliluia.
Narrano i cieli la gloria di Dio, le opere sue proclama il firmamento.
– Ciascun dì con l’altro favella, l’una notte con l’altra ne ragiona.
Evangelo: Matteo 2, 1-12.
Megalinario
Esalta, o anima mia, Colei che è più onorabile e più gloriosa delle schiere celesti. Contemplo il mistero meraviglioso ed incredibile: cielo è la spelonca, trono cherubico la Vergine, la mangiatoia culla in cui è adagiato Dio infinito, che inneggiando magnifichiamo
Oppure: Sarebbe facile, perché senza pericolo, mantenere un silenzio pieno di riverenza, o Vergine. Comporre per tuo amore ed in tuo onore armoniosi concenti è opera ardua. Ma Tu sei anche Madre nostra; accordaci l’ispirazione a seconda del nostro proposito!
Kinonikòn
Il Signore inviò al suo popolo la salvezza, stabilì per i secoli il suo patto, alliluia.

5 AGOSTO : MADONNA DELLA NEVE

http://www.unavoce-ve.it/pg-5ago.htm

5 AGOSTO : MADONNA DELLA NEVE

di dom Prosper Guéranger

La liturgia del 5 Agosto.
Per quanto siano semplicemente di rito doppio maggiore e passino inavvertite a molti, le due feste del 16 luglio e del 5 agosto non sono tuttavia meno care alla pietà cristiana. Esse sono un preludio al trionfo dell’Assunzione e vi preparano le nostre anime invitandole al raccoglimento e a una tenera devozione verso la Madre di Dio. I mesi estivi attraggono i fedeli ai luoghi di pellegrinaggio e ai santuari dedicati alla Vergine dove sentono maggiormente la sua presenza e ottengono più abbondanti benefici dalla Mediatrice di tutte le grazie. È a un pellegrinaggio da compiere con il pensiero e il desiderio che ci invita oggi la Liturgia festeggiando da tanti secoli la Dedicazione della chiesa che fu la prima a portare a Roma il santo nome di Maria e che è non soltanto una delle più belle e delle più ricche della Città eterna, ma anche l’antenata delle innumerevoli chiese dedicate alla Vergine che la pietà cristiana doveva erigere su tutta la terra, dalle modeste cappelle di campagna fino alle splendide cattedrali di Chartres, di Reims o di Parigi.

Storia e leggenda.
Verso la metà del secolo IV il Papa Liberio aggiunse un’abside a una vasta sala chiamata il « Sicininum » e la consacrò al culto. Appunto per questo si dà ancora talvolta a quell’edificio il nome di basilica liberiana. Sisto III la ricostruì quasi interamente e la dedicò quindi, verso il 435, alla Vergine di cui il Concilio di Efeso aveva, nel 431, definito la divina Maternità e consacrato il nome di « Theotókos », cioè Madre di Dio. La basilica ricevette allora e conservò in seguito il nome di S. Maria Maggiore.
Una graziosa leggenda, fiorita nel Medioevo, narra che la Santa Vergine apparve in sogno a Liberio, ordinandogli di costruirle una basilica sull’Esquilino, nel luogo che egli avrebbe trovato, l’indomani, tutto coperto di neve. E il giorno dopo, infatti, per quanto si fosse in piena estate, una neve miracolosa indicava il punto in cui costruire la basilica desiderata dalla Vergine. Per questo si sarebbe chiamata quella chiesa la Madonna della Neve. La leggenda non è senza relazione con l’usanza di far cadere in quel giorno una pioggia di fiori bianchi nella basilica. Tale usanza, che esprime la purezza di Maria, fu forse all’origine della leggenda, oppure per la leggenda a dar luogo al profumato rito [1]? Non lo sappiamo. Certo è, invece, che S. Maria Maggiore merita giustamente il suo nome: è infatti la basilica mariana per eccellenza. E se, « tante volte la spirituale purezza di Nostra Signora di Chartres o di Amiens ha fatto sprigionare dal cuore dei pellegrini un grido di gioia e di lode, l’armonia della Madonna di Roma invita alla tranquilla fiducia nell’indulgenza infinita della Madre » [2].

Presenza mariana.
La Madonna: è lei che troviamo in questo luogo ammirando sul frontone dell’abside i mosaici che ricordano i misteri dell’Incarnazione e della divina Maternità. È lei che veneriamo davanti alla bella icone di stile bizantino, chiamata « Madonna di san Luca », per lungo tempo attribuita all’Evangelista e che, pur essendo d’un’epoca più recente, è certo la riproduzione di un’opera antica. Roma che conserva con pietà tante meravigliose immagini della Vergine, ama quest’ultima come la più veneranda fra tutte; questo dipinto è il suo palladio, e lo considera come « la salvezza del popolo romano ». È la Madonna infine che ritroviamo ancora nei ricordi della mangiatoia del Salvatore: cinque pezzi di legno tarlato racchiusi in un reliquiario che vengono posti sull’altare maggiore, a Natale, durante la messa di mezzanotte.
Innumerevoli sono i pellegrini venuti ad implorare in questa basilica la materna protezione della Vergine o a presentarle i loro omaggi di filiale tenerezza. E quanti santi vi ricevettero grazie particolari! Appunto qui, in una notte di Natale, la Santa Vergine depose il Bambino Gesù fra le braccia di san Gaetano da Thiene; qui, durante un’altra notte di Natale, sant’Ignazio di Loyola celebrò la sua prima messa; qui i rosari sgranati da san Pio V ottennero ai Crociati la vittoria di Lepanto; davanti alla Madonna di san Luca amava pregare san Carlo Borromeo quando era arciprete della basilica e fu appunto lui che, per testimoniare la sua gratitudine verso la Madre di Dio, riformò il coro dei canonici, gli diede un regolamento del tutto monastico e assicurò una esemplare celebrazione dell’Ufficio divino.

Ricordi liturgici.
E quali ricordi, o Maria, ridesta in noi questa festa della tua basilica Maggiore! E quale più degna lode, quale migliore preghiera potremmo offrirti oggi se non ricordare, supplicandoti di rinnovarle e di confermarle per sempre, le grazie ricevute da noi in questo benedetto recinto? Non è forse alla sua ombra che, uniti alla nostra madre, la Chiesa, a dispetto delle distanze, abbiamo gustato le più dolci e più elevate emozioni della Liturgia?
È qui che nella prima Domenica di Avvento ha avuto inizio l’anno, come nel « luogo più conveniente per salutare l’avvicinarsi della divina Nascita che doveva allietare il cielo e la terra, e mostrare il sublime prodigio della fecondità d’una Vergine » [3]. Traboccanti di desiderio erano le anime nostre nella santa Vigilia che, fin dal mattino, ci radunava nella radiosa basilica « dove la Rosa mistica si sarebbe alfine schiusa e avrebbe effuso il suo divino profumo. Regina di tutte le numerose chiese che la devozione romana ha dedicate alla Madre di Dio, essa si ergeva dinanzi a noi risplendente di marmi e di oro, ma soprattutto beata di possedere nel suo seno, insieme con il ritratto della Vergine Madre, l’umile e gloriosa Mangiatoia. Durante la notte, un popolo immenso faceva ressa dentro le sue mura, aspettando il beato istante in cui quello stupendo monumento dell’amore e delle umiliazioni d’un Dio sarebbe apparso portato a spalle dai ministri sacri, come un’arca della nuova alleanza, la cui vista rassicura il peccatore e fa palpitare il cuore del giusto » [4].
Appena trascorso qualche mese, eccoci nuovamente nell’insigne santuario, « per partecipare questa volta ai dolori della nostra Madre nell’attesa del sacrificio che si preparava » [5]. Ma tosto, quali nuovi gaudi nell’augusta basilica! « Roma faceva omaggio della solennità pasquale a colei che, più di ogni altra creatura, ebbe il diritto di provarne la gioia, sia per le angosce che il suo cuore materno aveva sopportate, sia per la fedeltà nel custodire la fede nella Risurrezione durante le ore crudeli che il suo divin Figliolo dovette trascorrere nell’umiliazione del sepolcro » [6]. Splendente come la neve, o Maria, una candida schiera di neonati usciti dalle acque formava la tua corte e rinnovava il trionfo di quel giorno.

Preghiera.
Fa’ che in essi come in tutti noi, o Maria, gli affetti siano sempre puri come il marmo bianco delle colonne della tua chiesa prediletta, la carità risplendente come l’oro che brilla nella sua volta, e le opere luminose come il cero pasquale, simbolo di Cristo vincitore della morte e che ti fa omaggio dei suoi primi fuochi.

 

LA “NOBILE SEMPLICITÀ” E LA BELLEZZA DELLA LITURGIA: UN AFFACCIARSI DEL CIELO SULLA TERRA (Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis)

http://comunitapastoralecassina.org/ver2/2014/06/la-nobile-semplicita-e-la-bellezza-della-liturgia-un-affacciarsi-del-cielo-sulla-terra/

LA “NOBILE SEMPLICITÀ” E LA BELLEZZA DELLA LITURGIA: UN AFFACCIARSI DEL CIELO SULLA TERRA

(Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis)

On 27/06/2014, In Prima pagina, By Jerry

Il rapporto tra mistero creduto e celebrato si manifesta in modo peculiare nel valore teologico e liturgico della bellezza. La liturgia, infatti, ha un intrinseco legame con la bellezza: è veritatis splendor. Nella liturgia rifulge il Mistero pasquale mediante il quale Cristo stesso ci attrae a sé e ci chiama alla comunione.
La bellezza della liturgia è parte di questo mistero; essa è espressione altissima della gloria di Dio e costituisce, in un certo senso, un affacciarsi del Cielo sulla terra.
La bellezza, pertanto, non è un fattore decorativo dell’azione liturgica; ne è piuttosto elemento costitutivo, in quanto è attributo di Dio stesso e della sua rivelazione. Tutto ciò deve renderci consapevoli di quale attenzione si debba avere perché l’azione liturgica risplenda secondo la sua natura propria.
La bellezza di Cristo si riflette soprattutto nei santi e nei cristiani fedeli di ogni epoca, ma non bisogna per questo dimenticare o sottostimare il valore spirituale delle opere d’arte che la fede cristiana ha saputo produrre per metterle a servizio del culto divino.
La bellezza della liturgia si manifesta concretamente attraverso oggetti materiali e gesti corporei, di cui l’uomo – unità di anima e di corpo – ha bisogno per elevarsi alle realtà invisibili e rafforzarsi nella fede.
La natura umana è tale che non può facilmente elevarsi alla meditazione delle cose divine senza aiuti esterni: per questa ragione la Chiesa, come madre, ha stabilito alcuni riti per rendere più evidente la maestà di un sacrificio così grande [l’Eucaristia] e introdurre le menti dei fedeli, con segni visibili, alla contemplazione delle sublimi realtà nascoste in questo sacrificio.
L’arte sacra, le vesti e le suppellettili, l’architettura sacra: tutto deve concorrere a far consolidare il senso di maestà e di bellezza, a far trasparire la nobile semplicità della liturgia cristiana, che è liturgia della vera Bellezza.
Giovanni Paolo II ha ricordato l’episodio evangelico dell’unzione di Betania, per rispondere alla possibile obiezione sulla bellezza delle chiese e degli oggetti destinati al culto, che potrebbero risultare fuori luogo se posti di fronte alla grande massa dei poveri della terra.
Egli ha scritto: «Una donna versa sul capo di Gesù un vasetto di profumo prezioso, provocando nei discepoli – in particolare in Giuda – una reazione di protesta, come se tale gesto, in considerazione delle esigenze dei poveri, costituisse uno “spreco” intollerabile.
Ma la valutazione di Gesù è ben diversa.
Senza nulla togliere al dovere della carità verso gli indigenti, ai quali i discepoli si dovranno sempre dedicare, Egli guarda all’evento imminente della sua morte e della sua sepoltura, e apprezza l’unzione che gli è stata praticata quale anticipazione di quell’onore di cui il suo corpo continuerà ad essere degno anche dopo la morte, indissolubilmente legato com’è al mistero della sua persona».
E ha concluso: «Come la donna dell’unzione di Betania, la Chiesa non ha temuto di “sprecare”, investendo il meglio delle sue risorse per esprimere il suo stupore adorante di fronte al dono immenso dell’Eucaristia.
Sull’onda di questo elevato senso del mistero, si comprende come la fede della Chiesa nel Mistero eucaristico si sia espressa nella storia anche attraverso una serie di espressioni esterne, volte ad evocare e sottolineare la grandezza dell’evento celebrato.
Su questa base si è sviluppato anche un ricco patrimonio di arte. L’architettura, la scultura, la pittura, la musica, lasciandosi orientare dal mistero cristiano, hanno trovato nell’Eucaristia, direttamente o indirettamente, un motivo di grande ispirazione».
È necessario perciò avere tutte le attenzioni e le cure possibili perché la dignità della liturgia risplenda sin nei minimi dettagli nella forma della vera bellezza.
Bisogna ricordare che anche quei santi che hanno vissuto la povertà con particolare impegno ascetico, hanno sempre desiderato che gli oggetti più belli fossero destinati al culto divino.
Un esempio è quello del Santo Curato d’Ars.
Don Vianney aveva subito amato quella vecchia chiesa di Ars come la casa paterna. Per abbellirla iniziò dall’altare, centro e ragione d’essere di tutto il santuario. Per rispetto all’Eucaristia, volle quello che di più bello era possibile avere. Quindi aumentò il guardaroba del buon Dio, come diceva lui, nel suo linguaggio colorito e immaginoso. Visitò a Lione i negozi di ricamo, di oreficeria, e vi acquistò ciò che vi trovava di più prezioso. “Nei dintorni – confidavano i suoi fornitori meravigliati – c’è un piccolo Curato, magro, malmesso, che ha l’aria di non averne mai neanche uno in tasca e che, per la sua chiesa, vuol sempre ciò che c’è di meglio!”

È POSSIBILE PERDONARE SE STESSI?

http://www.novena.it/il_teologo_risponde/teologo_risponde_108.htm

È POSSIBILE PERDONARE SE STESSI?

All’interno di un seminario di preghiera e catechesi al quale ho partecipato recentemente si è parlato dell’importanza del perdono e di come perdonare gli altri dipenda da un iniziale atto di volontà il quale, con l’aiuto della grazia, può consentirci di arrivare ad un perdono «completo» della persona o delle persone che ci hanno ferito. Nel corso di questo seminario però, come anche in altre precedenti occasioni, si è fatto riferimento alla necessità di perdonare non soltanto gli altri, ma anche se stessi. Tuttavia Pietro (Mt 18, 21), nella famosa domanda, fa riferimento al «fratello» che pecca contro di lui, non a se stesso. Le chiedo quindi se e quanto trova fondamento nella Scrittura il perdono nei confronti di se stessi, spesso chiamato in causa anche in ambito psicologico. È possibile perdonare se stessi? In che termini l’uomo può perdonare a se stesso? Non si tratta piuttosto di un interiore atteggiamento di accoglienza della misericordia di Dio?

Roberto Fenucci

Risponde padre Athos Turchi, docente di filosofia

Il perdono, nel comportamento umano, è un atto interessante. Intanto sembra che voglia dire: condonare completamente e pienamente (per è intensivo, e donare è condonare). Ne consegue che è un’azione che si rivolge verso altro al quale si condona qualcosa, e questo qualcosa è una qualche colpa, presa qui in senso genericissimo. Nella Bibbia, se non mi sfugge qualcosa, non si trova il perdono di se stessi, ma in primis il perdono è un atto di Dio: «Al Signore, che è il nostro Dio, appartengono la misericordia e il perdono… » (Dan. 9,9), e siccome Dio è il modello supremo dell’essere, dunque lo deve fare anche l’uomo. Nel NT il concetto di perdono è presente più di 140 volte e sempre indica il condono di una qualche offesa ricevuta da parte di altro. Il passo citato di Daniele suggerisce l’accostamento di due parole: misericordia e perdono. Dio guarda verso l’uomo: misero per il peccato; ne ha pietà: misereor; ne ha compassione dal profondo del cuore: misereor-cordis. Dunque lo perdona. Similmente il perdono umano segue un atto di misericordia. Tengo uniti i due concetti, perché il perdono deriva sempre da una compartecipazione allo stato misero dell’altro, reso tale proprio dalla colpa commessa. L’errore, il peccato, la colpa, l’offesa, o come altro si voglia dire, rendono chi la fa un meschino, un miserabile, un biasimevole, e come tale recriminano il diritto dell’offeso a giudicare e a condannare il colpevole. Si noti: il giudizio verso altro è un atto disumano e grave, perché pone il giudicato come diverso, inferiore, spregevole oggetto. Gesù stesso prende le distanze da questo atto: non son venuto a giudicare, ma a salvare (cf. Gv 3,16-21). E proprio la compassione o misericordia, sospende il giudizio verso l’altro e entra nella sua povera condizione di peccatore. Questo atto ha una forza enorme perché evoca la solidarietà tra uomini, in quanto Dio per primo è solidale con le miserie umane. Dio si lascia commuovere dalla situazione umana e sospende il suo assoluto e legittimo giudizio di condanna, per accedere al perdono. Se si riflette su queste cose si capisce la grandezza morale, spirituale, umana che alberga dentro ogni uomo, quando perdona il suo offensore. In altri termini: quando vengo offeso ho diritto al giudizio e alla vendetta sull’altro, ma in forza di una commozione del cuore (miseri-cordia), riconosco la sua deplorevole situazione, entro nel suo problema e perdonandolo cerco con lui di uscirne. La misericordia è vedere nel fratello che il bene che lui è come essere umano, è più grande delle sue azioni malvagie. Mi pare che in ciò ci sia veramente il gesto di Dio. Ma veniamo a noi. Si può perdonare allora se stessi? Da quanto detto: no, non possiamo, perché è contraddittorio commettere una colpa contro noi stessi. Però dice s.Paolo «Se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me» (cf. Rm 7,15-20). Questa considerazione ci permette di aggiungere qualcosa. È un dato comune che ciascuno ha capacità di riflessione su se stesso. Quando lo si fa è come se ci sdoppiassimo, e il nostro io diventa oggetto d’indagine. Se poi come dice s.Paolo c’è dentro di noi il «peccato» inteso come un corpo estraneo, allora abbiamo qualche elemento in più per riflettere. Ora è chiaro che non ha senso «perdonare se stessi», ma se con ciò vogliamo dire che nonostante il male che si compie, dentro di noi rimane una larga parte di bene, e se il male che si compie irrompe in noi quasi non voluto, allora in ragione di una dignità dataci dall’essere a immagine di Dio, che mai viene meno, e in ragione del desiderio di un rinnovato cammino nel bene, mi pare che possiamo a volte anche perdonarci il male che non voluto si compie, affinché dentro di noi non muoia la speranza di tornare ad essere salvi e salvati, e degni figli di Dio rigenerati dal battesimo.

Certamente non possiamo, ma, contro ogni disperazione interiore, a volte dobbiamo perdonarci il male che si compie, perché dentro di noi non muoia il desiderio del bene e la speranza di un ritorno alla vita di grazia in Dio.

LAUDA SION SALVATOREM – COMMENTO

http://www.centrostudilauretani.it/internal.asp?idcat=75&idart=398

LAUDA SION SALVATOREM – COMMENTO

( link al teso italiano – latino:
http://it.wikipedia.org/wiki/Lauda_Sion_Salvatorem )

2 agosto 2011

Commento all’Inno Lauda Sion Salvatorem

VI Festival Organistico Lauretano – Loreto nel mondo
2 agosto 2011 ore 21. 15
Pontificia Basilica della Santa Casa
di
S.E. Mons. Giovanni Tonucci
Arcivescovo Delegato Pontificio di Loreto
Presidente Centro Studi Lauretani

Come già annunciato in occasione del primo concerto del Festival Organistico di quest’anno, il programma di ogni sera prevede l’esecuzione di almeno una melodia ispirata a famosi testi, usati nella celebrazione liturgica e che hanno come tema l’Eucaristia. Facciamo questo per preparare la nostra partecipazione al Congresso Eucaristico Nazionale, che si celebrerà in Ancona nel prossimo mese di settembre.
Questa sera analizziamo la sequenza che, dal primo verso, è intitolata: “Lauda Sion Salvatorem” ovvero “Loda, Sion, il Salvatore”. “Sion” è il nome della montagna sulla quale è costruita Gerusalemme e quindi si riferisce propriamente alla città stessa.
Il termine “Sequenza” indica un inno che, nella liturgia eucaristica, è recitato, o preferibilmente cantato, dopo la seconda lettura, prima del canto al Vangelo. Nelle antiche tradizioni liturgiche se ne conoscevano molte, ma solo cinque sono state conservate nel Messale Romano composto dopo il Concilio di Trento e pubblicato nel 1570. Tanto per chiarire le idee, in quell’occasione fu eseguita un’opera di unificazione molto radicale, che fece scomparire una enorme quantità di testi appartenenti a diverse e venerabili tradizioni liturgiche. È pertanto del tutto infondata l’idea che il Messale di San Pio V, così detto dal nome del Papa che lo promulgò, racchiudesse in sé l’originale tradizione liturgica della Chiesa. Di fatto, esso espresse la volontà di uniformare i modi di celebrare e, a questo scopo, mise da parte – o forse potrei dire: tolse di mezzo – molte espressioni della fede antica, che nel tempo erano state create all’interno di tante comunità cristiane. Molti di questi testi sono stati ricuperati attraverso gli studi che, dall’inizio del secolo XX, hanno preparato la riforma liturgica e che sono poi confluiti nella formulazione del Messale Romano promulgato da Papa Paolo VI nel 1970.
Le cinque sequenze conservate nel Messale Tridentino ed anche nel Messale del Vaticano II sono: il “Victimae Pascalis” di Pasqua; il “Veni Sancte Spiritus” di Pentecoste; il “Lauda Sion” del Corpus Domini; lo “Stabat Mater” dell’Addolorata, il 15 settembre; e infine il “Dies Irae” della Commemorazione dei defunti , il 2 novembre.
Come altri importanti testi dal contenuto eucaristico, anche il “Lauda Sion Salvatorem” è opera di San Tommaso d’Aquino, la cui paternità è testimoniata da autori suoi contemporanei. Nel XVII secolo, qualche Gesuita volle mettere in dubbio l’attribuzione all’Aquinate, che apparteneva all’Ordine dei Domenicani, senza però solide ragioni. In quel secolo, i Gesuiti hanno avuto parecchi problemi e molte dispute a diversi livelli, non poche proprio con i Domenicani. In questo caso, almeno, si direbbe che hanno loro stessi creato problemi, senza ragioni sufficienti.
La struttura del testo è variata: esso è composto di 24 strofe, le prime 18 delle quali hanno 3 versi – 2 ottonari e 1 settenario; le 4 strofe seguenti – quindi dalla 19ª alla 22ª – hanno 4 versi – 3 ottonari e 1 settenario; le 2 ultime hanno 5 versi – 4 ottonari e 1 settenario.
Nei contenuti, la sequenza esamina, con espressioni poetiche, l’intera teologia eucaristica e la espone in maniera dettagliata, soffermandosi su alcuni particolari, per sottolineare il dogma della transustanziazione, che proprio attraverso la riflessione teologica di quei decenni aveva ricevuto una precisa definizione, con termini non facili ma molto appropriati.
Data la lunghezza del testo, sarebbe impossibile spiegare verso per verso l’intera sequenza. Per facilitare la comprensione ne riassumo i contenuti, sottolineandone solo alcuni. Notiamo, innanzitutto, che, forse per la destinazione del brano, che doveva essere cantato nel Giovedì Santo e nel Corpus Domini, l’accento è posto soprattutto sul ricordo dell’ultima cena, e si sottolinea quindi l’aspetto conviviale del sacramento, più che quello sacrificale, nel ricordo del Calvario.
Le prime strofe esortano i fedeli a lodare Cristo Salvatore. Subito dopo, si propone il tema del canto: ricordare l’ultima cena, durante la quale Gesù diede ai suoi dodici apostoli il pane che dà la vita. Una strofa molto bella è quella che segue: “Sit laus plena, sit sonora,/ sit iucunda, sit decora/ mentis iubilatio – La lode sia piena, sia risonante, il giubilo della mente sia lieto, sia appropriato”.
Dopo questo inizio, l’autore ricorda l’oggetto della festa: l’istituzione della Pasqua della nuova alleanza, in cui la nuova mensa pone fine all’antica e la realtà del nuovo convito, come una luce piena, allontana la notte del passato.
E qui comincia una parte didattica, nella quale San Tommaso presenta i vari aspetti della dottrina eucaristica, componendo quasi un riassunto di catechesi, a uso dei fedeli che, cantando la sequenza, potevano memorizzare le diverse affermazioni: il pane si cambia veramente in carne, il vino in sangue, anche se l’aspetto esterno rimane lo stesso e richiede da parte nostra un assenso di fede, al di là di quello che possiamo verificare attraverso i sensi. Pur nella divisione dei segni – carne e sangue – Cristo resta intero sotto ciascuna specie. Lo stesso Gesù non viene spezzato né diviso da chi lo riceve e rimane sempre intero. Questa annotazione sarebbe stata utile per qualche anima pia che raccomandava che, nel ricevere la comunione, non si masticasse il pane consacrato, “per non fare male a Gesù”. L’episodio è vero e ne sono testimone, e dimostra una buona ignoranza dell’insegnamento della Chiesa sull’Eucaristia, al punto di basarsi su una convinzione oggettivamente eretica.
San Tommaso insiste con la sua catechesi: “Sumit unus, sumunt mille:/ quantum isti, tantum ille:/ nec sumptus consumitur – Lo riceve uno, lo ricevono mille. Tanto per questi quanto per quelli: ricevuto non si consuma”.
Molto attuale è la parte che segue, nella quale Tommaso si sofferma su un aspetto delicato: nell’Eucaristia, Cristo non si può difendere e può essere ricevuto da chiunque, anche da chi si trova in stato di peccato grave. Abbiamo personalmente la responsabilità, nella nostra coscienza, di non compiere superficialmente un gesto che rischia di essere ridotto ad una manifestazione di simpatia – come accade purtroppo spesso in occasione di funerali e di matrimoni, in cui alcuni fanno la comunione come gesto di partecipazione alla gioia o al dolore dei diretti interessati: “Sumunt boni, sumunt mali:/ sorte tamen inaequali,/ vitae vel interitus – Lo ricevono i buoni, lo ricevono i cattivi ma con sorte diversa: di vita o di morte”. Facendo eco a quello che scrive San Paolo, il teologo specifica: “È morte per i cattivi, vita per i buoni: vedi quale diverso risultato dalla stessa comunione”. Il richiamo è importante, per farci capire la differenza tra un incontro di amore con Cristo e la violazione offensiva della sua donazione, che diventa un sacrilegio, e quindi un peccato ancora più grave.
La parte finale della sequenza torna ad essere una contemplazione poetica dell’Eucaristia, con una strofa famosa: “Ecce panis angelorum,/ factus cibus viatorum:/ vere panis filiorum,/ non mittendus canibus – Ecco il pane degli angeli, fatto cibo dei pellegrini: vero pane dei figli, da non gettare ai cani”. Ricordo che un sacerdote professore di latino, leggendo quest’ultimo verso commentava: “E con questa allusione ai cani, la poesia va a farsi benedire”.
Ma dopo questa calata di tono, lo stile torna alto, nel ricordo delle figure bibliche del sacrificio di Cristo: “In figuris praesignatur,/ cum Isaac immolatur:/ Agnus paschae deputatur, / datur manna patribus – Con i simboli è annunziato, con Isacco dato a morte, nell’agnello della pasqua, nella manna data ai padri”.
Le ultime due strofe sono formate da cinque versi, e sono una preghiera rivolta a Cristo, buon pastore: “Bone pastor, panis vere,/ Jesu, nostri miserere:/ tu nos pasce, nos tuere:/ tu nos bona fac videre / in terra viventium./ Tu qui cuncta scis et vales,/ qui nos pascis hic mortales,/ tuos ibi commensales,/ cohaeredes et sodales,/ fac sanctorum civium. Amen. Alleluia – Buon pastore, vero pane, o Gesù, pietà di noi: nutrici e difendici, portaci ai beni eterni nella terra dei viventi. Tu che tutto sai e puoi, che ci nutri sulla terra, conduci i tuoi fratelli alla tavola del cielo nella gioia dei tuoi santi. Amen. Alleluia”.
Come vedete, è un testo complesso ma ricco, ed è comprensibile che esso abbia ispirato tanti compositori i quali, in epoche e con stili diversi, ne hanno offerto la loro interpretazione musicale. Oggi siamo invitati ad ascoltare la composizione di Dénis Bédard “Communion sur Lauda Sion”, destinato per accompagnare il momento della comunione nella Messa. Ci affidiamo alla maestria del concertista Olivier Vernet e ci auguriamo un buon ascolto.

 

LAUDA SION SALVATOREM – COMMENTO

( link al teso italiano – latino:
http://it.wikipedia.org/wiki/Lauda_Sion_Salvatorem )

2 agosto 2011

Commento all’Inno Lauda Sion Salvatorem

VI Festival Organistico Lauretano – Loreto nel mondo
2 agosto 2011 ore 21. 15
Pontificia Basilica della Santa Casa
di
S.E. Mons. Giovanni Tonucci
Arcivescovo Delegato Pontificio di Loreto
Presidente Centro Studi Lauretani

Come già annunciato in occasione del primo concerto del Festival Organistico di quest’anno, il programma di ogni sera prevede l’esecuzione di almeno una melodia ispirata a famosi testi, usati nella celebrazione liturgica e che hanno come tema l’Eucaristia. Facciamo questo per preparare la nostra partecipazione al Congresso Eucaristico Nazionale, che si celebrerà in Ancona nel prossimo mese di settembre.
Questa sera analizziamo la sequenza che, dal primo verso, è intitolata: “Lauda Sion Salvatorem” ovvero “Loda, Sion, il Salvatore”. “Sion” è il nome della montagna sulla quale è costruita Gerusalemme e quindi si riferisce propriamente alla città stessa.
Il termine “Sequenza” indica un inno che, nella liturgia eucaristica, è recitato, o preferibilmente cantato, dopo la seconda lettura, prima del canto al Vangelo. Nelle antiche tradizioni liturgiche se ne conoscevano molte, ma solo cinque sono state conservate nel Messale Romano composto dopo il Concilio di Trento e pubblicato nel 1570. Tanto per chiarire le idee, in quell’occasione fu eseguita un’opera di unificazione molto radicale, che fece scomparire una enorme quantità di testi appartenenti a diverse e venerabili tradizioni liturgiche. È pertanto del tutto infondata l’idea che il Messale di San Pio V, così detto dal nome del Papa che lo promulgò, racchiudesse in sé l’originale tradizione liturgica della Chiesa. Di fatto, esso espresse la volontà di uniformare i modi di celebrare e, a questo scopo, mise da parte – o forse potrei dire: tolse di mezzo – molte espressioni della fede antica, che nel tempo erano state create all’interno di tante comunità cristiane. Molti di questi testi sono stati ricuperati attraverso gli studi che, dall’inizio del secolo XX, hanno preparato la riforma liturgica e che sono poi confluiti nella formulazione del Messale Romano promulgato da Papa Paolo VI nel 1970.
Le cinque sequenze conservate nel Messale Tridentino ed anche nel Messale del Vaticano II sono: il “Victimae Pascalis” di Pasqua; il “Veni Sancte Spiritus” di Pentecoste; il “Lauda Sion” del Corpus Domini; lo “Stabat Mater” dell’Addolorata, il 15 settembre; e infine il “Dies Irae” della Commemorazione dei defunti , il 2 novembre.
Come altri importanti testi dal contenuto eucaristico, anche il “Lauda Sion Salvatorem” è opera di San Tommaso d’Aquino, la cui paternità è testimoniata da autori suoi contemporanei. Nel XVII secolo, qualche Gesuita volle mettere in dubbio l’attribuzione all’Aquinate, che apparteneva all’Ordine dei Domenicani, senza però solide ragioni. In quel secolo, i Gesuiti hanno avuto parecchi problemi e molte dispute a diversi livelli, non poche proprio con i Domenicani. In questo caso, almeno, si direbbe che hanno loro stessi creato problemi, senza ragioni sufficienti.
La struttura del testo è variata: esso è composto di 24 strofe, le prime 18 delle quali hanno 3 versi – 2 ottonari e 1 settenario; le 4 strofe seguenti – quindi dalla 19ª alla 22ª – hanno 4 versi – 3 ottonari e 1 settenario; le 2 ultime hanno 5 versi – 4 ottonari e 1 settenario.
Nei contenuti, la sequenza esamina, con espressioni poetiche, l’intera teologia eucaristica e la espone in maniera dettagliata, soffermandosi su alcuni particolari, per sottolineare il dogma della transustanziazione, che proprio attraverso la riflessione teologica di quei decenni aveva ricevuto una precisa definizione, con termini non facili ma molto appropriati.
Data la lunghezza del testo, sarebbe impossibile spiegare verso per verso l’intera sequenza. Per facilitare la comprensione ne riassumo i contenuti, sottolineandone solo alcuni. Notiamo, innanzitutto, che, forse per la destinazione del brano, che doveva essere cantato nel Giovedì Santo e nel Corpus Domini, l’accento è posto soprattutto sul ricordo dell’ultima cena, e si sottolinea quindi l’aspetto conviviale del sacramento, più che quello sacrificale, nel ricordo del Calvario.
Le prime strofe esortano i fedeli a lodare Cristo Salvatore. Subito dopo, si propone il tema del canto: ricordare l’ultima cena, durante la quale Gesù diede ai suoi dodici apostoli il pane che dà la vita. Una strofa molto bella è quella che segue: “Sit laus plena, sit sonora,/ sit iucunda, sit decora/ mentis iubilatio – La lode sia piena, sia risonante, il giubilo della mente sia lieto, sia appropriato”.
Dopo questo inizio, l’autore ricorda l’oggetto della festa: l’istituzione della Pasqua della nuova alleanza, in cui la nuova mensa pone fine all’antica e la realtà del nuovo convito, come una luce piena, allontana la notte del passato.
E qui comincia una parte didattica, nella quale San Tommaso presenta i vari aspetti della dottrina eucaristica, componendo quasi un riassunto di catechesi, a uso dei fedeli che, cantando la sequenza, potevano memorizzare le diverse affermazioni: il pane si cambia veramente in carne, il vino in sangue, anche se l’aspetto esterno rimane lo stesso e richiede da parte nostra un assenso di fede, al di là di quello che possiamo verificare attraverso i sensi. Pur nella divisione dei segni – carne e sangue – Cristo resta intero sotto ciascuna specie. Lo stesso Gesù non viene spezzato né diviso da chi lo riceve e rimane sempre intero. Questa annotazione sarebbe stata utile per qualche anima pia che raccomandava che, nel ricevere la comunione, non si masticasse il pane consacrato, “per non fare male a Gesù”. L’episodio è vero e ne sono testimone, e dimostra una buona ignoranza dell’insegnamento della Chiesa sull’Eucaristia, al punto di basarsi su una convinzione oggettivamente eretica.
San Tommaso insiste con la sua catechesi: “Sumit unus, sumunt mille:/ quantum isti, tantum ille:/ nec sumptus consumitur – Lo riceve uno, lo ricevono mille. Tanto per questi quanto per quelli: ricevuto non si consuma”.
Molto attuale è la parte che segue, nella quale Tommaso si sofferma su un aspetto delicato: nell’Eucaristia, Cristo non si può difendere e può essere ricevuto da chiunque, anche da chi si trova in stato di peccato grave. Abbiamo personalmente la responsabilità, nella nostra coscienza, di non compiere superficialmente un gesto che rischia di essere ridotto ad una manifestazione di simpatia – come accade purtroppo spesso in occasione di funerali e di matrimoni, in cui alcuni fanno la comunione come gesto di partecipazione alla gioia o al dolore dei diretti interessati: “Sumunt boni, sumunt mali:/ sorte tamen inaequali,/ vitae vel interitus – Lo ricevono i buoni, lo ricevono i cattivi ma con sorte diversa: di vita o di morte”. Facendo eco a quello che scrive San Paolo, il teologo specifica: “È morte per i cattivi, vita per i buoni: vedi quale diverso risultato dalla stessa comunione”. Il richiamo è importante, per farci capire la differenza tra un incontro di amore con Cristo e la violazione offensiva della sua donazione, che diventa un sacrilegio, e quindi un peccato ancora più grave.
La parte finale della sequenza torna ad essere una contemplazione poetica dell’Eucaristia, con una strofa famosa: “Ecce panis angelorum,/ factus cibus viatorum:/ vere panis filiorum,/ non mittendus canibus – Ecco il pane degli angeli, fatto cibo dei pellegrini: vero pane dei figli, da non gettare ai cani”. Ricordo che un sacerdote professore di latino, leggendo quest’ultimo verso commentava: “E con questa allusione ai cani, la poesia va a farsi benedire”.
Ma dopo questa calata di tono, lo stile torna alto, nel ricordo delle figure bibliche del sacrificio di Cristo: “In figuris praesignatur,/ cum Isaac immolatur:/ Agnus paschae deputatur, / datur manna patribus – Con i simboli è annunziato, con Isacco dato a morte, nell’agnello della pasqua, nella manna data ai padri”.
Le ultime due strofe sono formate da cinque versi, e sono una preghiera rivolta a Cristo, buon pastore: “Bone pastor, panis vere,/ Jesu, nostri miserere:/ tu nos pasce, nos tuere:/ tu nos bona fac videre / in terra viventium./ Tu qui cuncta scis et vales,/ qui nos pascis hic mortales,/ tuos ibi commensales,/ cohaeredes et sodales,/ fac sanctorum civium. Amen. Alleluia – Buon pastore, vero pane, o Gesù, pietà di noi: nutrici e difendici, portaci ai beni eterni nella terra dei viventi. Tu che tutto sai e puoi, che ci nutri sulla terra, conduci i tuoi fratelli alla tavola del cielo nella gioia dei tuoi santi. Amen. Alleluia”.
Come vedete, è un testo complesso ma ricco, ed è comprensibile che esso abbia ispirato tanti compositori i quali, in epoche e con stili diversi, ne hanno offerto la loro interpretazione musicale. Oggi siamo invitati ad ascoltare la composizione di Dénis Bédard “Communion sur Lauda Sion”, destinato per accompagnare il momento della comunione nella Messa. Ci affidiamo alla maestria del concertista Olivier Vernet e ci auguriamo un buon ascolto.

GIOVANNI PAOLO II E IL CORPUS DOMINI

http://www.comunitanext.org/2012/06/giovanni-paolo-iie-il-corpus-domini/

GIOVANNI PAOLO II E IL CORPUS DOMINI

di don Mariusz Frukacz

6 giugno 2012

CZESTOCHOWA, (ZENIT.org)- Un giorno alla Solennità del Corpus Domini, una ricorrenza cui il beato Giovanni Paolo II era molto legato. Sull’argomento Zenit ha intervistato monsignor Stanislaw Nowak, arcivescovo di Czestochowa.
Eccellenza, come ricorda il giorno in cui Giovanni Paolo II ha rinnovato la tradizione della processione del Corpus Domini a Roma?
Mons. Stanislaw Nowak: Ricordo sempre quanto si parlava a Cracovia dei primi giorni del pontificato di Giovanni Paolo II e di quanto succedeva a Roma dopo l’elezione del cardinale Wojtyla sul Trono di San Pietro.
Soprattutto ricordo che si parlava tanto del fatto che Giovanni Paolo II avrebbe rinnovato la processione del Corpus Domini a Roma. Si diceva che il Santo Padre aveva voluto compiere questo gesto perché amava infinitamente questa processione, di cui era molto coinvolto anche in quanto vescovo di Cracovia.
Va detto, infatti, che, già come vescovo di Cracovia, Karol Wojtyla attribuiva una grande importanza nella processione Corpus Domini in quanto “professione di fede in Dio sulla strada”, al centro della città. Aveva sofferto molto quando, ai tempi del comunismo, fu interrotta la grande tradizione di Cracovia – risalente a prima della seconda guerra mondiale – di svolgere la processione eucaristica fino alla piazza principale della città.
Il grande arcivescovo di Cracovia suo predecessore, Adam Sapieha, aveva guidato questa processione fino alla piazza principale, attraversando con il Santissimo Sacramento le strade della centro storico. Durante la dura era comunista, purtroppo, non fu possibile organizzare tutto questo: la processione aveva luogo soltanto sulla collina del castello di Wawel ed era vietato andare per le strade della città.
Da cardinale, quindi, Karol Wojtyla lottò tanto per riportare la processione del Corpus Domini per le strade.
Perché, dunque, la processione del Corpus Domini sulle strade della città è stata così importante per il cardinale Wojtyla?
Mons. Stanislaw Nowak: In Polonia esisteva la grande tradizione dei quattro altari durante la processione pubblica del Corpus Domini e come cardinale di Cracovia, il beato Wojtyla ha predicato la parola di Dio con grande attualità in ciascuno dei quattro altari.
Egli parlò di libertà, chiedendo il rispetto da parte dello Stato per le tradizioni cattoliche e del ripristino della Facoltà di Teologia a Cracovia. La processione del Corpus Domini, quindi, all’epoca di Wojtyla era, da un lato, una grande confessione di fede e, dall’altro, un richiamo alle autorità dello Stato a ristabilire la giustizia in Polonia.
Alla luce di questo, possiamo dire che esiste una relazione interessante fra il rinnovamento della processione del Corpus Domini a Roma e quella di Cracovia. Quando l’allora cardinale Karol Wojtyla fu eletto Papa, rinnovando e celebrando la prima processione a Roma, allo stesso tempo le autorità comuniste diedero il permesso cha la processione del Corpus Domini tornasse nella piazza principale di Cracovia. E questo, per noi polacchi fu una grande gioia.
*Mons. Stanislaw Nowak è nato l’11 luglio 1935 in Jeziorzany. Ordinato sacerdote il 22 giugno 1958 dall’Arcivescovo di Cracovia Eugeniusz Baziak, iniziò il ministero pastorale nell’Arcidiocesi di Cracovia – come un vicario – in Choczni vicino a Wadowice, in Ludzmierz e Rogoznik Podhale.
Negli anni 1963-1979 è stato il padre spirituale del Seminario di Cracovia e, allo stesso tempo, ha proseguito gli studi specializzati in teologia negli anni dal 1967 al 1971 presso l’Istituto Cattolico di Parigi.
Dal 1971 è stato, poi, docente alla cattedra di Teologia della vita interiore della Pontificia Facoltà di Teologia a Cracovia e, dal 1981, alla Facoltà di Teologia della Pontificia Accademia di Teologia. Nei anni 1984-1992 mons. Nowak è stato il quarto ordinario vescovo della diocesi di Czestochowa e, dal 1992 è il primo Metropolita di Czestochowa.
Durante i miei studi a Roma ho potuto partecipare per tre volte alla processione del Corpus Domini, guidata da Giovanni Paolo II, negli anni 2001-2003, dunque nell’ultimo periodo del suo grande Pontificato.
Il Santo Padre era già un uomo che aveva patito molte sofferenze; allo stesso tempo, però, era un uomo di straordinaria forza spirituale, e per questo posso dire che, durante la processione del Corpus Domini, il beato Wojtyla ha dato una grande testimonianza dell’amore di Cristo presente nel Santissimo Sacramento.
Ricordo che una volta andai molto vicino al Santo Padre e avvertii subito la sua grande fede e il profondo amore che da lui traspariva. Quando guardò Cristo fu davvero un’emozione unica, perché amava veramente Cristo: lo ha portato con sé fino alla fine, con la Sua croce, quando, nonostante la sofferenza, guidò la processione del Corpus Domini.
Questa processione, infatti, è stata per me un’esperienza profonda, una lezione di fede, di amore e di umiltà. Credo che quando Giovanni Paolo II ha seguito Cristo per le strade della Città Eterna, dalla Basilica di San Giovanni in Laterano fino alla Basilica di Santa Maria Maggiore, ha insegnato a tutti a rivolgere il nostro sguardo a Cristo, imparando quindi a guardare con amore, ma anche con umiltà e pace, dentro il cuore di ogni persona che incontriamo sul cammino della nostra vita.
La solennità del Corpus Domini risale al 1264, per volontà di Papa Urbano IV che istituì la festa «affinché il popolo cristiano riscoprisse il valore del mistero eucaristico». A distanza di più di 700 anni la tradizione continua ininterrotta: Benedetto XVI, infatti, presiederà, questo giovedì, la Santa Messa sul sagrato di San Giovanni in Laterano, per poi guidare la processione del Corpo di Cristo fino alla basilica di Santa Maria Maggiore.
“Un momento importante per la fede dei cristiani e per la vita ecclesiale della Diocesi di Roma” ha dichiarato il cardinale Vicario, Agostino Vallini. Soprattutto un’occasione “per ringraziare il Signore del dono inestimabile dell’Eucaristia, per testimoniare pubblicamente la nostra fede e l’unità della Chiesa di Roma intorno al suo Vescovo”.
In vista di tale evento, ZENIT ha incontrato padre Giuseppe Midili, O.Carm., direttore dell’Ufficio Liturgico del Vicariato di Roma, che ci ha raccontato la storia e il significato di questa festa in cui “la Chiesa si manifesta come Corpo unico e unitario”.
****
Il Corpus Domini celebra l’Eucarestia, fulcro della fede cristiana. Qual è il significato di questa solennità?
Padre Midili: Eucaristia significa rendimento di grazie. Ogni giorno – specialmente la domenica – la Chiesa si raduna per celebrare i santi misteri e rendere grazie al Padre per il dono del Figlio, che ha offerto la sua vita in sacrificio per noi e ci ha meritato la salvezza. La solennità del Corpo e del Sangue del Signore è l’occasione liturgica di un ringraziamento speciale. La comunità cristiana si raduna per prendere coscienza che solo nell’Eucaristia trova il culmine e la fonte di tutta la sua vita. Ogni atto di fede, ogni forma di pietà, di devozione, ogni forma di autentica carità non può prescindere mai da questo sacramento, che è costitutivo del cristiano.
A quando risale la nascita di tale ricorrenza?
Padre Midili: La solennità del Corpo e del Sangue del Signore fu istituita nel 1264 da papa Urbano IV, perché il popolo cristiano potesse partecipare con speciale devozione alla Santa Messa e alla processione e così testimoniasse la fede in Gesù, che ha voluto rimanere presente sotto le specie del pane e del vino consacrati. Nel corso dei secoli questa solennità ha costituito il punto più alto di devozione eucaristica, perché ha unito l’adorazione devota a quell’evento originante imprescindibile che è la celebrazione della Messa.
La celebrazione del Corpus Domini a san Giovanni in Laterano è entrata nella tradizione della diocesi di Roma grazie a Giovanni Paolo II. Perché il beato Papa ha voluto dargli una così grande
importanza?
Padre Midili: Sin dall’anno 1979 Papa Giovanni Paolo II volle che a Roma la solennità del Corpo e Sangue del Signore si celebrasse il giovedì, perché proprio il giovedì santo Gesù radunò i suoi discepoli e durante la cena istituì il nuovo ed eterno sacrificio, il convito nuziale dell’amore. Mentre nella sera del giovedì santo si rivive il mistero di Cristo che si offre nel pane spezzato e nel vino versato, nella ricorrenza del Corpus Domini questo stesso mistero viene proposto all’adorazione e alla meditazione del Popolo di Dio.
Il Papa volle celebrare nella Cattedrale di Roma, insieme con tutti i sacerdoti e i fedeli della città, perché l’Eucaristia è mistero di comunione con Dio, ma anche tra le persone. La migliore immagine di Chiesa, infatti, è quella che si costituisce intorno al Vescovo, per celebrare i divini misteri, mangiare e bere del Corpo e Sangue del Signore, rendere grazie e così testimoniare la comunione e l’amore che Gesù ha insegnato.
Qual è il senso di celebrare questa festa nella piazza antistante la Basilica di San Giovanni?
Padre Midili: Piazza S. Giovanni è allo stesso tempo il sagrato della Basilica Cattedrale di Roma, ma è anche il luogo delle manifestazioni pubbliche per la città e per l’Italia; spesso è teatro di concerti, di eventi politici e purtroppo anche di scontri; è l’agorà degli antichi. È diventata un simbolo del nostro paese, è un sagrato-piazza.
Celebrare la Santa Messa in un luogo così significativo nel giorno della festa dell’Eucaristia ribadisce che Gesù è in mezzo al suo popolo in ogni momento della vita. Con la sua presenza egli santifica la quotidianità, vede e risana la sofferenza, è per tutti un segno di speranza. Gesù non è lontano da noi e dalla nostra vita, ma è sempre presente, si è fatto vicino. Possiamo incontrarlo nell’Eucaristia celebrata e nel pane consacrato. Egli ci viene incontro.
Il Corpus Domini è un momento fondamentale per il popolo cristiano. Soprattutto la processione, guidata dal Santo Padre, è un evento di grande impatto la cui idea centrale è che “Cristo cammina in mezzo a noi”….
Padre Midili: La Santa Messa e la processione nella solennità del Corpo e del Sangue del Signore sono un unico evento, che manifesta la Chiesa come Chiesa. É la festa della comunità radunata. I credenti si ritrovano insieme per celebrare il sacrificio di Cristo e nella celebrazione rendono grazie a Dio per tutto quello che hanno ricevuto. La migliore immagine di Chiesa è quella che si raduna intorno al suo Vescovo per celebrare i santi misteri, mangiare e bere del Corpo e del Sangue del Signore, rendere grazie e così testimoniare la comunione e l’amore che Gesù ci ha insegnato.
L’adorazione è prosecuzione dell’Eucaristia celebrata, testimonianza d’amore e di fede verso Gesù, prolungamento del ringraziamento dopo ogni S. Comunione. La processione è cammino di sequela. Ancora una volta la Chiesa si identifica con il popolo in cammino, che segue il suo maestro. Si ripete l’esperienza dei discepoli di Emmaus, che percorrono un tratto di strada con Gesù e lo ascoltano mentre li istruisce. Nella processione eucaristica la comunità cammina con Gesù, ma non lo riconosce più mentre spezza il pane. Noi riconosciamo il Maestro presente in quel pane.

1...45678...35

Une Paroisse virtuelle en F... |
VIENS ECOUTE ET VOIS |
A TOI DE VOIR ... |
Unblog.fr | Annuaire | Signaler un abus | De Heilige Koran ... makkel...
| L'IsLaM pOuR tOuS
| islam01