Archive pour la catégorie 'LITURGIA'

GESÙ CHIAVE CHE APRE: L’ANTIFONA O CLAVIS DAVID. BREVE NOTA DI ANDREA LONARDO SU DI UN TESTO DI G.K. CHESTERTON

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GESÙ CHIAVE CHE APRE: L’ANTIFONA O CLAVIS DAVID. BREVE NOTA DI ANDREA LONARDO SU DI UN TESTO DI G.K. CHESTERTON

Scritto da Redazione de Gliscritti: 20 /12 /2011 -

Il Centro culturale Gli scritti (20/12/2011)

«La chiave corrisponde alla serratura; perché è come la vita». Così scrive G.K. Chesterton e le sue straordinarie parole possono essere prese come il commento più adeguato all’antifona natalizia O chiave di Davide che si canta nella novena di Natale il 20 dicembre, utilizzando la simbologia della chiave per parlare della fede cristiana e del suo Signore. Chesterton scrive, in L’uomo eterno: «Nella chiave [...] c’era soltanto una cosa che era semplice. Apriva la porta. [...] Io non tento alcuna apologia sul motivo per cui il credo [cristiano] debba essere accettato. Ma in risposta al problema storico del perché fu accettato, ed è accettato, io do per altri milioni di persone questa risposta: perché corrisponde alla serratura; perché è come la vita. [...] Esso non c’imprigiona in un sogno fatalistico o nella coscienza di una universale illusione. Esso apre a noi non soltanto incredibili cieli, ma una terra (può sembrare) egualmente incredibile, e la fa credibile. Questa è la verità che è duro spiegare perché è un fatto, ma è un fatto di cui noi siamo testimoni. Siamo cristiani e cattolici non perché adoriamo una chiave, ma perché abbiamo varcato una porta; e abbiamo sentito lo squillo di tromba della libertà passare sopra la terra dei viventi».

Questa l’antifona liturgica del 20 dicembre:

O Chiave di Davide, e scettro della casa di Israele, che apri e nessuno chiude, chiudi e nessuno apre: vieni e fa uscire dal carcere il condannato, che siede nelle tenebre, e nell’ombra della morte.

O Clavis David, et sceptrum domus Israel; qui aperis, et nemo claudit; claudis, et nemo aperit: veni, et educ vinctum de domo carceris, sedentem in tenebris, et umbra mortis.

Questo più ampiamente il brano di Chesterton che mi è stato inviato in dono come regalo prezioso: «[L’immagine delle chiavi consegnate dal Cristo a San Pietro] ha un’esattezza che non è stata forse esattamente notata. Le chiavi hanno avuto una parte cospicua nell’arte e nell’araldica del Cristianesimo: ma non tutti hanno  notato la peculiare precisione dell’allegoria. Arrivati a questo punto della nostra storia, bisognerà dire qualche cosa del primo apparire e della attività della Chiesa nell’Impero romano: e per un breve accenno in proposito nulla potrebbe meglio servire di quell’antica metafora. Il cristiano primitivo era né più né meno che una persona con una chiave, o che diceva di avere una chiave. Tutto il movimento cristiano consistette nel proclamare di possedere tale chiave. Non era solamente un vago movimento in avanti, che avrebbe potuto esser meglio rappresentato dal battere un tamburo. Non era qualche cosa che spazzava via tutto davanti a sé, come un moderno movimento sociale. Come vedremo fra poco, si rifiutava piuttosto di far questo. Esso asseriva in modo assoluto che c’era una chiave e che possedeva tale chiave e che nessun’altra chiave era eguale a quella; era in un certo senso, diciamo pure, ristretto. Soltanto avveniva che quella era la chiave che poteva aprire la prigione del mondo intero, e far vedere la bianca aurora della salvezza. Il credo era come una chiave per tre aspetti che potrebbero convenientemente riunirsi sotto questo simbolo. Primo, una chiave è anzitutto una cosa che ha una forma; ed è una cosa che dipende interamente dal conservare la sua forma. Il credo cristiano è soprattutto la filosofia della forma ed è nemico delle cose informi. Ecco dove differisce da tutte le altre infinite filosofie – manicheismo, Buddismo – che formano una specie di lago notturno nell’oscuro cuore dell’Asia [...] Secondo, la forma della chiave è per se stessa una forma piuttosto fantastica. [...] Una chiave non è materia di astrazioni: nel senso che una chiave non è materia di ragionamento. Essa o è adatta alla serratura, oppure non è. È inutile per gli uomini disputarvi attorno, considerata la cosa in se stessa; o ricostruirla sui puri principi della geometria o dell’arte decorativa. È una sciocchezza per un uomo dire che preferirebbe una chiave più semplice; sarebbe assai più sensato se facesse del suo meglio con un grimaldello. In terzo luogo, poiché la chiave è necessariamente una cosa fatta secondo un disegno, questa aveva un disegno piuttosto elaborato. Quando la gente si lamenta che la religione si è troppo presto immischiata di teologia e roba simile, dimentica che il mondo [...] era penetrato addirittura in un labirinto di vie senza uscita. [...] Basti dire qui che nella chiave c’erano senza dubbio molte cose che parevano complicate: c’era soltanto una cosa che era semplice. Apriva la porta. [...] Io non tento alcuna apologia sul motivo per cui il credo debba essere accettato. Ma in risposta al problema storico del perché fu accettato, ed è accettato, io do per altri milioni di persone questa risposta: perché corrisponde alla serratura; perché è come la vita. È una delle tante storie; con questo di più, che è una storia vera. È una fra le tante filosofie; con questo di più, che è la verità. Noi l’accettiamo; e il terreno è solido sotto i nostri piedi, e la strada è aperta davanti a noi. Esso non c’imprigiona in un sogno fatalistico o nella coscienza di una universale illusione. Esso apre a noi non soltanto incredibili cieli, ma una terra (può sembrare) egualmente incredibile, e la fa credibile. Questa è la verità che è duro spiegare perché è un fatto, ma è un fatto di cui noi siamo testimoni. Siamo cristiani e cattolici non perché adoriamo una chiave, ma perché abbiamo varcato una porta; e abbiamo sentito lo squillo di tromba della libertà passare sopra la terra dei viventi» (G.K. Chesterton, L’uomo eterno, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2008, pp. 265-266; 307).

GIOIA E QUARESIMA POSSONO COESISTERE

https://it.zenit.org/articles/gioia-e-quaresima-possono-coesistere/

GIOIA E QUARESIMA POSSONO COESISTERE

Quaresima come riflessione, di conversione, e di risveglio delle coscienze.

14 FEBBRAIO 2016

VINCENZO BERTOLONECHIESA & RELIGIONE

“Dopo che l’esperienza mi ebbe insegnato come fossero vane e futili tutte quelle cose che capitano così frequentemente nella vita quotidiana, decisi infine di cercare se ci fosse qualcosa che mi facesse godere in eterno di una continua e somma letizia”. Può essere buon viatico, per la Quaresima che inizia, portarsi dentro la riflessione del filosofo Baruch Spinoza. In quelle parole, sempre attuali, v’è il riflesso dell’immagine dell’uomo contemporaneo, così curvo e chino sulle realtà quotidiane da non avere più gli occhi della mente capaci di guardare in alto; talmente proteso verso gli atti piccoli e modesti da diventare incapace di quelli grandi; tanto assorbito dalle cose materiali da perdere ogni sapore per la bellezza e la spiritualità ed ignorare l’esistenza di una felicità interiore che è ben più alta e affascinante. La Quaresima, tempo di purificazione, offre la possibilità di liberarsi dal giogo della superstizione, degli interessi, della banalità di una religiosità superficiale, ripetitiva e senz’anima. È un’opportunità importante: coglierla significa ritornare in se stessi, nella propria interiorità. Un po’ come liberare l’anima dal terriccio delle cose, anche dal fango del peccato, dalle ortiche delle chiacchiere. Si tratta di un esercizio necessario sempre e ovunque, ma decisamente indispensabile ai nostri giorni, ingrigiti  da esteriorità, superficialità, apparenze. Scavare nel terreno, soprattutto se roccioso, è molto faticoso; lo è anche cercare in se stessi, sotto le incrostazioni delle abitudini e dei vizi ormai consolidati. L’esercizio della meditazione, dell’esame di coscienza, della riflessione, è impegnativo. Molto più del veleggiare nel vuoto lasciandosi trasportare dal vento delle opinioni, delle mode, dell’oblio: è solo scavando in profondità che si riesce a scoprire il cuore autentico della spiritualità che è radice di giustizia e di verità. La Quaresima cristiana ha anche questo scopo: ricondurre alla moralità, alla sapienza ed alla coerenza dell’amore e della verità. E ciò senza il timore della rinuncia: la vera gioia s’irradia dall’anima, ha bisogno di una coscienza in pace, rifugge dal baccano esteriore. È per questo che gioia e Quaresima possono  coesistere. Già un pagano come Seneca, del resto, non esitava a scrivere all’amico Lucilio: «La vera gioia è res severa», è una realtà seria, austera. La fede, insomma, non è – né può diventare – un po’ di condimento per insaporire la vita. Al contrario, essa è il lievito che la trasforma. Quello che inizia, allora, sia un tempo di riflessione, di conversione, di risveglio delle coscienze. La Quaresima torna ogni anno con le sue domande e proposte forti e con la sua richiesta di risposte altrettanto forti. Non la si puo` mai dare per scontata. Esorta al silenzio, alla preghiera, alla sobrieta`, alla fraternita`, al coraggio di rivedere alcune prospettive. Di fronte a ciò, l’unica possibilità è cambiare. E se la ghianda che pare morta nei campi poi mette radici e s’innalza, perché, come scrive il poeta Gibran Kahlil Gibran, questo miracolo che “si produce mille migliaia di volte nel sonno di ogni autunno e nella passione di ogni primavera non dovrebbe prodursi nel cuore dell’uomo?”

LA CREAZIONE GEME E SOFFRE COME NELLE DOGLIE DEL PARTO

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LA CREAZIONE GEME E SOFFRE COME NELLE DOGLIE DEL PARTO

19 NOVEMBRE 2013

Da alcuni anni veniamo continuamente colpiti da notizie di sconvolgimenti naturali che avvengono in diverse parti del mondo e che provocano innumerevoli vittime: terremoti, tsunami, cicloni, alluvioni, carestie e altro. Io credo che la natura sia in sofferenza un po’ per causa nostra ma anche e soprattutto perché è come se contenesse in sé il seme della corruzione. La morte fa parte della vita e tutti i sistemi, vitali o no, non sono eterni, sono destinati al disfacimento. Dal ‘nulla’ miracolosamente nascono, crescono, arrivano all’apice dello splendore ma poi  inevitabilmente decadono, si ammalano, perdono colpi, finché muoiono tornando al ‘nulla’ originario. Così è sia per un fiore che per una Stella. La Natura, che emerge dal caos a causa dell’intervento divino, ritorna inevitabilmente al caos da cui è nata a causa del fatto che nella materia di cui è composta è insita la corruzione, che come un germe la consuma e rode. Se essa fosse rimasta permeata dall’afflato divino, così come inizialmente era stata concepita, sarebbe durata perfetta per sempre. Ma il Male che è entrato in essa, soprattutto come ribellione, come affermazione superba di autosufficienza, ha fatto sì che essa stessa smarrisse il sostegno del creatore e alla fine fosse destinata alla morte, così come un pallone  si sgonfia e raggrinzisce perché perde l’aria che lo teneva in forma. Ma la Natura non dimentica del suo stato originario, soffre e grida perché ha una immensa nostalgia della perfezione primitiva che la rendeva partecipe della gloria di Dio, perciò a suo modo  prega e spera con gemiti sempre più incontenibili che la Grazia divina faccia il suo ritorno e la vivifichi donandole la vera Vita. Per dirla con San Paolo “La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità – non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa – e nutre la speranza  di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo” (Romani 8, 19-23). E così pure, relativamente all’essere umano, la sua organizzazione sociale sembra al giorno d’oggi sempre più in disfacimento, e questo per un atto di superbia e ribellione, simile al tragico grido ‘Non serviam! Non ti servirò!’ di Lucifero, che ormai è generalizzato e ha portato alla quasi completa scomparsa della Fede e del culto che a Dio è dovuto. Purtroppo siamo arrivati al punto, di concepire tutte le nostre strutture più per la morte che per la vita. Infatti ciò che aumenta è il soffocamento cosciente e voluto di quelle che sono le vere espressioni superiori, quelle che  assicurano il nostro perfetto metabolismo, cioè quelle spirituali. Il Moderno per sua concezione è infatti ateo, relativistico e opposto ad ogni trascendenza, e alla fin fine nichilistico. Ogni eventuale moto residuo di fede o rapporto con l’assoluto viene da esso cancellato,  e ciò assicura la perdita dell’orientamento e l’alienazione dell’aiuto divino che conducono la società umana verso il disfacimento finale (1). E non si può certo accusare l’Altissimo dicendo ‘ma perché Dio ha permesso questo o quest’altro?’ quando  invece si rifiuta sdegnosamente il suo aiuto. Il paradosso è che gli alfieri della ribellione per primi dicono ‘Non credo in Dio perché esiste il male’ mentre la risposta sarebbe molto semplice: ‘esiste il male perché si rifiuta Dio’. E forse per poter risorgere si dovrà giungere alla crisi finale, ad una specie di morte mistica – verso cui d’altronde sembriamo da tempo ben avviati – e che avrà il suo culmine con l’era Anticristica, quella in cui il Mondo sarà come non mai mondo e in cui il Profano si sarà assolutizzato. Ma il Male è per sua natura distruzione, menzogna e morte, per cui il suo regno di cartapesta incollata con il sangue degli innocenti non potrà durare a lungo, anche se si dovrà prima toccare il fondo dell’abisso. Ma proprio in quella situazione estrema, probabilmente verrà fuori un grido potente dell’anima che pur soffocata, per non morire, non dimentica della sua origine divina, imperiosamente ci farà sentire il bisogno della salvezza, e ci porterà finalmente e in maniera risolutiva ad accettare e cercare Chi la sostiene e la mantiene, Colui che è il solo che può ridarci la vera Vita, cioè il nostro Creatore.

OMELIA PER IL 28 FEBBRAIO 2001 – MERCOLEDÌ DELLE CENERI – TOTUSTUUS

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OMELIA PER IL 28 FEBBRAIO 2001 – MERCOLEDÌ DELLE CENERI – TOTUSTUUS 

(le letture corrispondono con quele di domani)

NESSO TRA LE LETTURE « Vi supplichiamo, in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio », ci esorta san Paolo nella seconda lettura (2Cor 5,20). Riconciliazione è parola chiave nella liturgia del mercoledì delle ceneri. Riconciliazione significa cambiamento « a partire dall’altro », per questo, implica la conversione a Dio e a partire da Dio, alla quale chiama il profeta Gioele nella prima lettura: « Tornate al Signore, vostro Dio ». Gesù nel vangelo interiorizza le pratiche religiose e penitenziali del giudaismo: l’elemosina deve essere nascosta; il digiuno, gioioso; e la preghiera, umile. « E il Padre, che vede ciò che è nascosto, ti ricompenserà ».

MESSAGGIO DOTTRINALE LA PRIORITÀ DEL CUORE. Con il termine cuore si vuol dire l’interiorità, non in opposizione, ma come origine di ogni azione esteriore di riconciliazione e penitenza. Per questo, non parliamo di esclusività, ma di priorità. Con una espressione molto efficace, il profeta Gioele propende per codesta priorità: « Stracciate il vostro cuore, non le vostre vesti » (prima lettura). È evidente che il profeta non intende l’espressione in modo escludente, giacché nel versetto 15 continua: « Promulgate un digiuno, purificate la comunità, tra l’atrio e l’altare piangano i sacerdoti », tutte azioni esteriori. Il testo evangelico pone davanti ai nostri occhi Gesù, che porta al massimo grado di interiorità le tre pratiche tipiche della religione giudaica – e possiamo dire di ogni religione, compresa quella cristiana: 1) l’elemosina, che oggi potremmo tradurre con carità, solidarietà, assistenza sociale, volontariato, cioè, tutte le forme possibili di aiuto al bisognoso. Gesù ci insegna lo stile proprio di fare carità: in segreto, senza alcuna ostentazione, cercando unicamente di compiacere Dio e di compiere nel mondo la sua santissima volontà. 2) La preghiera, cioè, tutto l’insieme di attività spirituali che legano l’uomo intimamente a Dio. Dalla santa Messa alla preghiera privata, dalla meditazione all’orazione liturgica, dal sacramento della penitenza alle diverse forme di religiosità popolare. Per il cristiano ciò che conta è che, qualsiasi sia l’attività spirituale, sia un vero incontro con Dio Padre nell’intimità del cuore. 3) Il digiuno, ossia, tutto ciò che implichi rinuncia a se stesso, distacco da sé per guadagnare in disponibilità nei confronti di Dio e del prossimo. Possono essere i sacrifici volontari, le piccole noie della vita di ogni giorno, l’assumere con decisione e coraggio le prove della vita, la lotta costante e coraggiosa contro le tentazioni… Qui ciò che importa è la gioia spirituale con cui si affrontano tutte queste situazioni, una gioia che si ripercuote nell’atteggiamento e nel comportamento verso Dio e verso gli uomini.

MINISTRI DI RICONCILIAZIONE. « Siamo ambasciatori di Cristo, ed è come se Dio stesso vi esortasse per mezzo di noi », ci dice san Paolo nella seconda lettura, ed aggiunge: « Giacché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio ». San Paolo ci mostra la dimensione ecclesiale della riconciliazione. È Dio che pone nel cuore dell’uomo il dono della riconciliazione (lasciatevi riconciliare da Dio), ed è l’uomo colui che lo accoglie (o lo rifiuta), ma la Chiesa è lo strumento scelto dallo stesso Dio affinché ci ricordi, per mezzo dei suoi ministri, questo dono straordinario, ed è allo stesso tempo la mediatrice voluta da Dio di ogni riconciliazione. Per questo, per la Chiesa è un’esigenza della sua fedeltà a Dio tanto il predicare dovunque e in tutti i modi possibili la riconciliazione con Dio e tra gli uomini, quanto l’amministrare efficacemente codesta riconciliazione per mezzo del sacramento della penitenza e del perdono. La liturgia di oggi è un avvertimento nitido ai vescovi e ai sacerdoti, affinché siamo sempre preparati a promuovere la riconciliazione, e disponibili a riconciliare l’uomo con Dio e con i suoi fratelli per mezzo del sacramento.

SUGGERIMENTI PASTORALI GLOBALIZZARE LA RICONCILIAZIONE. Con questo termine si cerca di estendere la riconciliazione a tutti gli uomini, in tutte le latitudini e in qualsiasi strato della società. Come cattolici, dobbiamo riconciliarci innanzitutto con noi stessi, con la nostra coscienza posta davanti a Dio e alla sua volontà. Allo stesso tempo, dobbiamo cercare la riconciliazione entro la stessa Chiesa cattolica, dato che una persona o una comunità non riconciliate non potranno nemmeno riconciliare altri. Sotto l’impulso e la guida del Santo Padre e dei nostri Vescovi, dobbiamo promuovere la riconciliazione con tutte le comunità cristiane separate della Chiesa cattolica: con la nostra preghiera, con la nostra testimonianza, con la nostra solidarietà., con il nostro aiuto materiale o spirituale. Si deve promuovere allo stesso modo la riconciliazione con i membri di altre religioni (ebrei, musulmani, buddisti, induisti,…). È probabile che entro le nostre stesse parrocchie ci siano membri di altre Chiese cristiane, o di altre religioni: dovrà iniziare per mezzo loro l’impulso e il desiderio di riconciliazione. Come? Cercando di realizzare le forme che i nostri vescovi o parroci ci segnalano: ma altresì, lo Spirito ispirerà a ciascuno altri modi concreti, personali o collettivi. La riconciliazione globale comprende tutti i settori della vita, oltre a quello religioso: riconciliazione del Nord più sviluppato e del Sud, che lo è di meno, a livello mondiale o a livello nazionale; riconciliazione tra laici, non poche volte ostili ad ogni senso religioso, e credenti, che a volte esagerano i comportamenti laici; riconciliazione tra gli emigrati, provenienti da paesi in guerra o in condizioni economiche minime, e gli abitanti dei paesi che li accolgono; riconciliazione negli stadi di calcio tra i tifosi di una squadra o dell’altra, della squadra nazionale di diversi paesi… Una cosa inoltre resti chiara: la globalizzazione della riconciliazione esclude qualsiasi conseguenza negativa.

LA RICONCILIAZIONE PERMANENTE. Il fenomeno della globalizzazione reclama una riconciliazione permanente, in costante riciclaggio. L’uomo, le comunità umane non si riconciliano una volta per sempre, ma hanno necessità di mantenersi in atteggiamento continuo di riconciliazione. Nella riconciliazione succede la stessa cosa che accade in amore: se non lo si alimenta, si raffredda, diventa abitudine, e muore. Giorno dopo giorno si deve rinnovare l’atteggiamento dell’anima verso la riconciliazione, e ci si deve esercitare in atti di riconciliazione, per quanto siano piccoli, per mantenerla viva e per farla crescere. Quante occasioni hai al giorno di praticare la riconciliazione? Non lo so, ma sicuramente più di una. Non lasciarla passare. Traine profitto. Per giungere a creare nell’anima un atteggiamento di riconciliazione, si richiede di averla praticata, senza stancarsi, in molte occasioni. Perché non riflettere, al termine della giornata, se hai avuto qualche opportunità di riconciliarti con Dio, perché hai commesso qualche mancanza, o sei stato meno generoso con Lui? Se hai avuto qualche occasione di praticare la riconciliazione con gli altri (familiari, vicini, emigranti, cristiani di altre Chiese, mendicanti…) e se hai saputo approfittarne? Una riflessione che può cambiare abbastanza la tua vita e quella di chi ti sta intorno!

IL SIGNIFICATO E IL VALORE DEL SACRAMENTO DELLA PENITENZA

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IL SIGNIFICATO E IL VALORE DEL SACRAMENTO DELLA PENITENZA

La Confessione è sacramento della Conversione poiché realizza sacramentalmente l’appello di Gesù alla conversione. Il peccato indebolisce l’uomo, lo depaupera, gli sottrae la sua bellezza originaria di essere creato a immagine e somiglianza di Dio. Ecco perchè la Chiesa invita i cristiani ad accostarsi con fiducia e maggiore frequenza al sacramento della Riconciliazione.
Nell’ultimo periodo si è parlato molto dei Sacramenti. Il Papa ha incentrato il suo discorso al Convegno della Diocesi di Roma sul Battesimo. Qualche settimana fa l’Incontro mondiale delle Famiglie ha celebrato la bellezza del Matrimonio e proprio ieri si è concluso il Convegno Eucaristico Internazionale di Dublino. Manca ancora uno: la Confessione. Un Sacramento che per i cattolici è un esercizio della carità di Dio, mentre per molte persone è un’occasione dove la persona viene giudicata e punita. Ma cos’è realmente la Confessione? Qual è il suo vero significato?
Ne ha parlato don Alessandro Saraco, Officiale della Penitenzieria Apostolica*, autore di due saggi pubblicati dalla LEV: “La Penitenzieria Apostolica. Storia di un Tribunale di misericordia e di pietà” e“La Grazia nella debolezza. L’esperienza spirituale di Andrè Louf”.
Don Alessandro, potrebbe spiegarci il vero significato della Confessione?
Secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica, la Confessione è sacramento della Conversione poiché realizza sacramentalmente l’appello di Gesù alla conversione, il cammino di ritorno al Padreda cui si è allontanati con il peccato.
È chiamata anche sacramento del Perdono, poiché attraverso l’assoluzione del sacerdote, Dio accorda al penitente il “perdono e la pace”. Ancora, è sacramento della Riconciliazione perché dona al peccatore l’amore di Dio che riconcilia.
Bastano queste poche battute per smentire la mentalità di coloro che, erroneamente, concepiscono il confessionale come “il moderno Tribunale d’Inquisizione della coscienza”, e si evidenzia invece come in questo sacramento si raccoglie l’intero annuncio del Vangelo. Accostarsi al confessionale, infatti, è come entrare nel cuore stesso di Dio, il Padre ricco di misericordia, lento all’ira e grande nell’amore, che fa festa per ogni figlio che ritorna a Lui. Ecco la buona novella annunciata da Gesù: siamo peccatori, ma il nostro peccato può essere perdonato e assolto.
Alcuni sostengono che la confessione sia un’invenzione della Chiesa. Quando e per iniziativa di chi è iniziata questa pratica tra i cristiani?
E’ difficile individuare un filo unificante nello sviluppo storico del sacramento della Penitenza. La celebrazione di tale sacramento, come lo intendiamo noi oggi, era del tutto sconosciuta alla Chiesa delle origini, la quale concedeva al penitente il perdono dei peccati in un unico e irripetibile atto: il Battesimo. Tale stato di grazia ricevuto col Battesimo veniva interrotto da peccati considerati particolarmente gravi come l’idolatria, l’omicidio e l’adulterio. Commettere questi peccati comportava l’esclusione dalla comunione ecclesiale, senza poter partecipare all’Eucaristia.
In questi casi il processo di riconciliazione da parte del penitente comportava una disciplina molto severa, secondo la quale i peccatori dovevano fare una lunga e pubblica penitenza per i peccati commessi, prima di venire nuovamente accolti nella comunità ecclesiale dopo un’esortazione da parte del Vescovo.
La prassi di una “penitenza privata” ha inizio nell’Irlanda monastica nel VII secolo e si è poi diffusa in Europa grazie alla predicazione dei missionari. Bisogna attendere il IV Concilio Lateranense del 1215, con la Costituzione 21, Omnis utriusque sexus, per avere la prima e “ufficiale” proclamazione da parte della Chiesa dell’obbligo per “ogni fedele di entrambi i sessi, dopo che avrà raggiunto l’età della discrezione confessare fedelmente in privato i suoi peccati, almeno una volta all’anno, al proprio sacerdote”.
Cosa si intende per peccati? Perché la Chiesa invita a confessarli?
Il Catechismo definisce il peccato “una mancanza contro la ragione, la verità e la retta coscienza. E’ una trasgressione in ordine all’amore vero, verso Dio e verso il prossimo, a causa di un perverso attaccamento a certi beni. In altri termini, il peccato è alienazione dell’uomo da Dio e, al medesimo tempo, alienazione dell’uomo da se stesso in quanto, una volta perduto il contatto con l’Assoluto, finisce per perdere se stesso. Il peccato indebolisce l’uomo, lo depaupera, gli sottrae la sua bellezza originaria di essere creato a immagine e somiglianza di Dio. Ecco perchè la Chiesa invita i cristiani ad accostarsi con fiducia e maggiore frequenza al sacramento della Riconciliazione: soltanto mediante la sua celebrazione possiamo ritrovare la verità di essere figli prediletti del Padre che si compiace di limitare e arginare l’azione distruttiva del peccato con la potenza della Sua infinita misericordia.
Chi ha il potere e la forza di perdonare i peccati e rinnovare a vita nuova?
Ricordando le parole di Benedetto XVI nella Spe Salvi posso dire che l’uomo può scegliere di commettere il male ma da solo non può liberarsene. Solo Dio ci può redimere. Perciò, occorre avere l’umiltà di riconoscersi peccatori e di rivolgersi con fiducia a Colui che non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva.
Spesso rimaniamo sgomenti quando prendiamo coscienza delle nostre fragilità e cadute. Alcuni disperano, altri si smarriscono; alcuni arrivano perfino a sfuggire da se stessi e da Dio. Ciò avviene perché non crediamo abbastanza che Dio è disposto sempre ad accoglierci e perdonarci. La vita spirituale è una continua opera di conversione. Non possiamo mai appartenere a quella categoria di persone di cui Gesù ha detto “che non hanno bisogno di conversione”, è sempre illusorio credersi convertiti una volte per tutte.
Non siamo mai dei semplici peccatori, ma dei “peccatori-perdonati”, dei “peccatori-in-perdono”, dei “peccatori-in-conversione”. Solo Cristo può vincere il male che ci abita e il confessionale diventa lo spazio privilegiato nel quale l’amore di Cristo fino alla donazione di sé trionfa sulla potenza del male e della colpa.
Benedetto XVI ha lamentato la perdita della pratica della Confessione in molte parti della Chiesa universale. Come mai avviene questo? E soprattutto come si pensa di far rinascere l’entusiasmo nella pratica del confessarsi?
Il Santo Padre, in tanti suoi interventi, più volte ci ha messo in guardia dal pericolo del relativismo etico e da una “imperante cultura edonista che sta oscurando nelle coscienze degli individui il senso del peccato”. Anzi, assistiamo al verificarsi di un fenomeno ancora più inquietante per cui il peccato perde la sua impronta di male e si trasforma in moda. Siamo come avvolti da un’atmosfera amorale. Non esiste più la frontiera tra vizio e virtù, tra bene e male, tra ciò che è buono e ciò che non lo è.
Conoscere il proprio peccato, rendersi conto del male delle nostre azioni, diventa allora un atteggiamento fondamentale se vogliamo emanciparci da una cultura di morte. Riconoscersi peccatori ci spinge a rivolgere il nostro cuore al Signore implorando il suo perdono e ottenendo così salvezza e pace. In tal senso, dovremmo tenere più presente un tema di vita spirituale caro alla tradizione monastica antica: la lotta spirituale, ovvero il combattimento invisibile in cui il cristiano, sostenuto dalla Grazia, resiste e lotta per non soccombere sotto il peso delle tentazioni. Occorre prendere sul serio tale “combattimento” per dire “no” al potere del Maligno e dire “sì” all’amore di Dio e alla Verità.
* La Penitenzieria Apostolica è il primo dei Tribunali della Curia Romana la cui competenza si riferisce alle materie che concernono il Foro interno e le Indulgenze. Per il Foro interno, sia sacramentale che non sacramentale, essa concede le assoluzioni, le dispense, le commutazioni, le sanazioni, i condoni e altre grazie. La stessa provvede che nelle Basiliche Patriarcali dell’Urbe ci sia un numero sufficiente di penitenzieri, dotati delle opportune facoltà. Le origini di questo dicastero sono antichissime. La sua fondazione risale intorno alla metà del XII secolo quando il forte incremento dei pellegrinaggi penitenziali presso la Sede Apostolica e il rafforzamento della plenitudo potestatis del Pontefice comportarono un consistente aumento delle richieste di assoluzioni da pene e censure dirette da ogni parte d’Europa verso Roma. Per potervi far fronte, i papi delegarono la propria facoltà di trattare determinate materie ad un cardinale, designato nel linguaggio delle fonti dapprima come “poenitentiarius papae”, poi come “poenitentiarius generalis” e dai decenni conclusivi del XIII secolo come “maior poenitentiarius”. Recentemente, è stato aperto alla consultazione degli studiosi una parte considerevole del patrimonio archivistico del Dicastero e, precisamente, la Serie dei Fondi riguardanti la documentazione di casi, materie e situazioni che la Penitenzieria Apostolica, nella sua plurisecolare attività, ha trattato in “Foro esterno”, unitamente ad altre Serie riguardanti più strettamente la storia del Dicastero, la sua evoluzione nel tempo, la struttura e organizzazione interna.

(Teologo Borèl) Giugno 2012 – autore: Don Alessandro Saraco

Publié dans:LITURGIA, LITURGIA - SACRAMENTARIA |on 11 janvier, 2016 |Pas de commentaires »

Te Deum laudamus, Gregoriano, T. Simplex; SCHOLA GREGORIANA MEDIOLANENSIS, Giovanni Vianini, Milano.It.

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30 DICEMBRE – UFFICIO DELLE LETTURE – DAL TRATTATO «LA CONDIZIONE DI TUTTE LE ERESIE» DI SANT’IPPOLITO, SACERDOTE

http://www.maranatha.it/Ore/nat/1230letPage.htm

30 DICEMBRE SESTO GIORNO DELL’OTTAVA DI NATALE

UFFICIO DELLE LETTURE

SECONDA LETTURA

DAL TRATTATO «LA CONDIZIONE DI TUTTE LE ERESIE» DI SANT’IPPOLITO, SACERDOTE

(Cap. 10, 33-34; PG 16, 3452-3453)

Il Verbo che s’è fatto carne ci rende simili a Dio Noi crediamo al Verbo di Dio. Non ci appoggiamo su parole senza senso, né ci lasciamo trasportare da improvvise e disordinate emozioni o sedurre dal fascino di discorsi ben congegnati, ma invece prestiamo fede alle parole della potenza di Dio. Queste cose Dio le ordinava al suo Verbo. Il Verbo le diceva in parole per distogliere con esse l’uomo dalla sua disobbedienza. Non lo dominava come fa un padrone con i suoi schiavi, ma lo invitava a una decisione libera e responsabile. Il Padre mandò sulla terra questa sua Parola nel tempo ultimo poiché non voleva più che parlasse per mezzo dei profeti, né che fosse annunziata in forma oscura e solo intravista attraverso vaghi riflessi, ma desiderava che apparisse visibilmente in persona. Così il mondo contemplandola avrebbe potuto avere la salvezza. Il mondo avendola sotto il suo sguardo non avrebbe più sentito il disagio e il timore come quando si trovava di fronte a un’immagine divina riflessa dai profeti, né avrebbe provato lo smarrimento come quando essa veniva resa presente e manifestata mediante le potenze angeliche. Ormai avrebbe constatato di trovarsi alla presenza medesima di Dio che parla. Noi sappiamo che il Verbo ha preso un corpo mortale dalla Vergine, e ha trasformato l’uomo vecchio nella novità di una creazione nuova. Noi sappiamo che egli si è fatto della nostra stessa sostanza. Se infatti non fosse della nostra stessa natura, inutilmente ci avrebbe dato come legge di essere imitatori suoi quale maestro. Se egli come uomo è di natura diversa perché comanda a me nato nella debolezza la somiglianza con lui? E come può essere costui buono e giusto? In verità, per non essere giudicato diverso da noi, egli ha tollerato la fatica, ha voluto la fame, non ha rifiutato la sete, ha accettato di dormire per riposare, non si è ribellato alla sofferenza, si è assoggettato alla morte, e si è svelato nella risurrezione. Ha offerto come primizia, in tutti questi modi, la sua stessa natura d’uomo, perché non ti perda d’animo nella sofferenza, ma riconoscendoti uomo, aspetti anche per te ciò che il Padre ha offerto a lui. Quando tu avrai conosciuto il Dio vero, avrai insieme all’anima un corpo immortale e incorruttibile; otterrai il regno dei cieli, perché nella vita di questo mondo hai riconosciuto il re e il Signore del cielo. Tu vivrai in intimità con Dio, sarai erede insieme con Cristo, non più schiavo dei desideri, delle passioni, nemmeno della sofferenza e dei mali fisici, perché sarai diventato dio. Infatti le sofferenze che hai dovuto sopportare per il fatto di essere uomo, Dio te le dava perché eri uomo. Però Dio ha promesso anche di concederti le sue stesse prerogative una volta che fossi stato divinizzato e reso immortale. Cristo, il Dio superiore a tutte le cose, colui che aveva stabilito di annullare il peccato degli uomini, rifece nuovo l’uomo vecchio e lo chiamò sua propria immagine fin dall’inizio. Ecco come ha mostrato l’amore che aveva verso di te. Se tu ti farai docile ai suoi santi comandi, e diventerai buono come lui, che è buono, sarai simile a lui e da lui riceverai gloria. Dio non lesina i suoi beni, lui che per la sua gloria ha fatto di te un dio.

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