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21 dicembre 2011, Ufficio delle letture: Dal «Commento su san Luca» di sant’Ambrogio,

21 DICEMBRE 2011 – FERIA D’AVVENTO

UFFICIO DELLE LETURE

Seconda Lettura

Dal «Commento su san Luca» di sant’Ambrogio, vescovo

(2, 19. 22-23. 26-27; CCL 14, 39-42)

La visitazione di Maria
L’angelo, che annunziava il mistero, volle garantirne la veridicità con una prova e annunziò alla vergine Maria la maternità di una donna vecchia e sterile, per dimostrare così che a Dio è possibile tutto ciò che vuole. Appena Maria ebbe udito ciò, si avviò in fretta verso la montagna, non perché fosse incredula della profezia o incerta dell’annunzio o dubitasse della prova, ma perché era lieta della promessa e desiderosa di compiere devotamente un servizio, con lo slancio che le veniva dall’intima gioia. Dove ormai, ricolma di Dio, poteva affrettarsi ad andare se non verso l’alto? La grazia dello Spirito Santo non comporta lentezze.
Subito si fanno sentire i benefici della venuta di Maria e della presenza del Signore. Infatti «appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, esultò il bambino nel seno di lei, ed ella fu ricolma di Spirito Santo» (cfr. Lc 1, 41). Si deve fare attenzione alla scelta delle singole parole e al loro significato. Elisabetta udì per prima la voce, ma Giovanni percepì per primo la grazia; essa udì secondo l’ordine della natura, egli esultò in virtù del mistero; essa sentì l’arrivo di Maria, egli del Signore; la donna l’arrivo della donna, il bambino l’arrivo del bambino. Esse parlano delle grazie ricevute, essi nel seno delle loro madri realizzano la grazia e il mistero della misericordia a profitto delle madri stesse: e queste per un duplice miracolo profetizzano sotto l’ispirazione dei figli che portano.
Del figlio si dice che esultò, della madre che fu ricolma di Spirito Santo. Non fu prima la madre a essere ricolma dello Spirito, ma fu il figlio, ripieno di Spirito Santo, a ricolmare anche la madre.
Esultò Giovanni, esultò anche lo spirito di Maria. Ma mentre di Elisabetta si dice che fu ricolma di Spirito santo allorché Giovanni esultò, di Maria, che già era ricolma di Spirito santo, si dice che allora il suo spirito esultò. Colui che è incomprensibile, operava in modo incomprensibile nella madre. L’una, Elisabetta, fu ripiena di Spirito Santo dopo la concezione, Maria invece prima della concezione.
«Beata — disse — tu che hai creduto» (cfr. Lc 1, 45). Ma beati anche voi che avete udito e creduto: ogni anima che crede concepisce e genera il Verbo di Dio e riconosce le sue opere.
Sia in ciascuno l’anima di Maria per magnificare il Signore; sia in ciascuno lo spirito di Maria per esultare in Dio. Se c’è una sola madre di Cristo secondo la carne, secondo la fede, invece, Cristo è il frutto di tutti, poiché ogni anima riceve il Verbo di Dio, purché, immacolata e immune da vizi, custodisca la castità con intemerato pudore. Ogni anima, che potrà mantenersi così, magnifica il Signore come magnificò il Signore l’anima di Maria, e il suo spirito esultò in Dio salvatore.
Come avete potuto leggere anche altrove: «Magnificate il Signore con me» (cfr. Sal 33, 4), il Signore è magnificato non perché la parola umana possa aggiungere qualcosa alla grandezza del Signore, ma perché egli viene magnificato in noi. Cristo è l’immagine di Dio: perciò l’anima che compie opere giuste e pie magnifica l’immagine di Dio a somiglianza della quale è stata creata, e mentre la magnifica, partecipa in certo modo alla sua grandezza e si eleva.

8 SETTEMBRE – NATIVITÀ DELLA BEATA VERGINE MARIA (Ufficio delle letture)

8 SETTEMBRE – NATIVITÀ DELLA BEATA VERGINE MARIA

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di sant’Andrea di Creta, vescovo (Disc. 1; PG 97, 806-810)

Le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove
«Il termine della legge è Cristo» (Rm 10, 4). Si degni egli di innalzarci verso lo spirito ancora più di quanto ci libera dalla lettera della legge.
In lui si trova tutta la perfezione della legge perché lo stesso legislatore, dopo aver portato a termine ogni cosa, trasformò la lettera in spirito, ricapitolando tutto in se stesso. La legge fu vivificata dalla grazia e fu posta al suo servizio in una composizione armonica e feconda. Ognuna delle due conservò le sue caratteristiche senza alterazioni e confusioni. Tuttavia la legge, che prima costituiva un onere gravoso e una tirannia, diventò, per opera di Dio, peso leggero e fonte di libertà.
In questo modo non siamo più «schiavi degli elementi del mondo» (Gal 4, 3), come dice l’Apostolo, né siamo più oppressi dal giogo della legge, né prigionieri della sua lettera morta.
Il mistero del Dio che diventa uomo, la divinizzazione dell’uomo assunto dal Verbo, rappresentano la somma dei beni che Cristo ci ha donati, la rivelazione del piano divino e la sconfitta di ogni presuntuosa autosufficienza umana. La venuta di Dio fra gli uomini, come luce splendente e realtà divina chiara e visibile, è il dono grande e meraviglioso della salvezza che ci venne elargito.
La celebrazione odierna onora la natività della Madre di Dio. Però il vero significato e il fine di questo evento è l’incarnazione del Verbo. Infatti Maria nasce, viene allattata e cresciuta per essere la Madre del Re dei secoli, di Dio.
La beata Vergine Maria ci fa godere di un duplice beneficio: ci innalza alla conoscenza della verità, e ci libera dal dominio della lettera, esonerandoci dal suo servizio. In che modo e a quale condizione? L’ombra della notte si ritira all’appressarsi della luce del giorno, e la grazia ci reca la libertà in luogo della schiavitù della legge. La presente festa è come una pietra di confine fra il Nuovo e l’Antico Testamento. Mostra come ai simboli e alle figure succeda la verità e come alla prima alleanza succeda la nuova. Tutta la creazione dunque canti di gioia, esulti e partecipi alla letizia di questo giorno. Angeli e uomini si uniscano insieme per prender parte all’odierna liturgia. Insieme la festeggino coloro che vivono sulla terra e quelli che si trovano nei cieli. Questo infatti è il giorno in cui il Creatore dell’universo ha costruito il suo tempio, oggi il giorno in cui, per un progetto stupendo, la creatura diventa la dimora prescelta del Creatore.

9 marzo 2011 mercoledì delle ceneri: Le ceneri e l’acqua della salvezza

dal sito:

http://www.diocesi.torino.it/pls/diocesitorino/v3_s2ew_consultazione.mostra_pagina?id_pagina=25995

domani 9 marzo 2011 : mercoledì delle ceneri

Le ceneri e l’acqua della salvezza  

Con il rito dell’imposizione delle ceneri inizia il cammino che condurrà le nostre comunità ad una nuova Pasqua. La Quaresima inizia con il gesto sobrio e « opaco » delle ceneri, per terminare nella santa notte di Pasqua, con il rito gioioso e « limpido » dell’acqua.
La cenere parla di morte, di fuoco, di dissoluzione; l’acqua ricorda la vita, la trasparenza, la pulizia, la rigenerazione. La cenere cosparge il capo della Chiesa pellegrina verso il monte di Sion; l’acqua della vita che sarà aspersa sul popolo nella veglia di Pasqua è pegno di risurrezione e segno di vita nuova.
La cenere è immagine di ciò che è fragile, privo di valore, e nella tradizione biblica diventa simbolo della condizione umana: l’uomo e la donna sono plasmati con la polvere del suolo (Gn 2,7) e dopo la loro morte ad essa ritorneranno (Gn 3,19). La cenere cosparsa sul capo è anche simbolo di lutto, dolore e pentimento: così per Davide e per gli abitanti di Ninive; Giobbe siede sulla cenere, in segno del proprio dolore (Gb 2,8); nel libro di Ezechiele, in segno di penitenza, ci si rotola nella cenere; il salmo 102,10, come espressione di dolore, parla di cibarsi di cenere come di pane.
Per questo motivo, nel cristianesimo antico, l’uso delle ceneri è stato legato alla disciplina penitenziale. Nei primi secoli, infatti, i penitenti, si presentavano al vescovo nel primo giorno di quaresima e questi, con un rito solenne, imponeva loro la cenere sul capo e li vestiva con l’abito dei penitenti (cilicium). Verso il secolo X, con il tramonto della penitenza pubblica, tutta la comunità cristiana venne a sostituirsi spontaneamente ai peccatori pubblici, ricevendo l’imposizione delle ceneri e vivendo il tempo quaresimale come tempo di conversione.
La liturgia cattolica ha conservato questo uso e nella celebrazione eucaristia di inizio quaresima propone il rito di benedizione e imposizione delle ceneri. Le ceneri dell’olivo, ricavate dalla combustione dei rami di ulivo benedetti nella domenica delle Palme, hanno anche un significato pasquale: richiamando l’immagine del fuoco (il fuoco della Passione, il fuoco nuovo della veglia Pasquale), sono simbolo di purificazione. Il legno di olivo, poi, brucia lentamente, dà calore producendo una cenere candida che veniva usata dalle donne per fare il bucato. Inoltre, l’imposizione delle ceneri è fatta sul capo: luogo della dignità dell’uomo e della donna, definitivamente rinnovata nella Pasqua di Cristo. Il messaggio della cenere è dunque chiaro: dalla polvere del pentimento rinasce la vita nuova; dalla penitenza, la gioia del perdono.
Quanto alla celebrazione delle ceneri, non è detto che debba per forza avvenire nell’ambito dell’Eucaristia: l’importante è che avvenga all’interno della celebrazione liturgica, per inserire questo gesto all’interno di un serio cammino penitenziale, compiuto nella Chiesa.
A questo proposito, perché non rivisitare in qualche modo l’antica disciplina penitenziale, per cui la confessione delle colpe precedeva il tempo della penitenza e della conversione, sigillato dalla riconciliazione finale? Si potrebbe recuperare il valore di una liturgia penitenziale compiuta non al termine della quaresima, ma all’inizio, con un coinvolgimento concreto ed effettivo delle famiglie, dei gruppi, della comunità intera nella confessione delle colpe (cioè nell’esame di quei punti sui quali urge la conversione) e nel proposito di cambiamento, dove ciascuno si impegna pubblicamente ad aiutare l’altro nel cammino. Così facendo la celebrazione della riconciliazione al termine della quaresima verrebbe a concludere un cammino penitenziale reale ed impegnativo.
Quanto al ministro dell’imposizione delle ceneri, mentre la rubrica del Messale parla del solo sacerdote (p. 66), il Cerimoniale dei vescovi prevede che anche il diacono possa imporre le ceneri.
Circa l’opportunità di coinvolgere altre figure, come i ministri straordinari della comunione, si tenga presente il valore simbolico di un gesto ricevuto da colui che guida la comunità e a nome di Cristo chiama alla conversione. E se l’assemblea è troppo numerosa? Non è la quaresima il « tempo favorevole » nel quale smettere di andare di fretta, anche davanti a Dio?

Ufficio delle letture 22 dicembre 2010, prima lettura su Is 49, 8,26 commento Prof Giuseppe Barbaglio

questo è il testo della prima lettura dell’Ufficio delle Letture di questa mattina (22 dicembre 2010), si può dire che è uno dei più belli di tutta la Scrittura, io ho lasciato in rima solo la prima parte, ossia la presentazione del testo, le altre no, se volete leggerlo nella grafica originaria andate sul PDF; vi propongo il commento del Prof. Giuseppe Barbaglio (SBF Jerusalem), dal sito:

http://www.giuseppebarbaglio.it/Articoli/finesettimana161197.pdf

sintesi della relazione di Giuseppe Barbaglio
Verbania Pallanza, 16 novembre 1997

Isaia 49,8-26 (…io non ti dimenticherò mai)

Il testo di Isaia riguarda sempre il tema della memoria, ma sull’altro versante. E’ la memoria che Dio ha e fa del popolo. Nelle relazioni precedenti ho trattato invece della memoria che il popolo fa di Dio.
Dice il Signore:
  »Al tempo della misericordia ti ho ascoltato,
nel giorno della salvezza ti ho aiutato.
Ti ho formato e posto
come alleanza per il popolo,
per far risorgere il paese,
per farti rioccupare l’eredità devastata,
per dire ai prigionieri: Uscite,
e a quanti sono nelle tenebre: Venite fuori.
Essi pascoleranno lungo tutte le strade,
e su ogni altura troveranno pascoli.
Non soffriranno né fame né sete
e non li colpirà né l’arsura né il sole,
perché colui che ha pietà di loro li guiderà,
li condurrà alle sorgenti di acqua.
Io trasformerò i monti in strade
e le mie vie saranno elevate.
Ecco, questi vengono da lontano,
ed ecco, quelli vengono da mezzogiorno e da occidente
e quelli dalla regione di Assuan ».
Giubilate, o cieli; rallegrati, o terra,
gridate di gioia, o monti,
perché il Signore consola il suo popolo
e ha pietà dei suoi miseri.
Sion ha detto: « Il Signore mi ha abbandonato,
il Signore mi ha dimenticato ».
Si dimentica forse una donna del suo bambino,
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se queste donne si dimenticassero,
io invece non ti dimenticherò mai.
Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani,
le tue mura sono sempre davanti a me.
I tuoi costruttori accorrono,
i tuoi distruttori e i tuoi devastatori si allontanano da te.
Alza gli occhi intorno e guarda:
tutti costoro si radunano, vengono da te.
  »Com’è vero ch’io vivo – oracolo del Signore -
ti vestirai di tutti loro come di ornamento,
te ne ornerai come una sposa ».
Poiché le tue rovine e le tue devastazioni
e il tuo paese desolato
saranno ora troppo stretti per i tuoi abitanti,
benché siano lontani i tuoi divoratori.
Di nuovo ti diranno agli orecchi
i figli di cui fosti privata:
  »Troppo stretto è per me questo posto;
scostati, e mi accomoderò ».
 Tu penserai: « Chi mi ha generato costoro?
Io ero priva di figli e sterile;
questi chi li ha allevati?
Ecco, ero rimasta sola
e costoro dove erano? ».
 Così dice il Signore Dio:
  »Ecco, io farò cenno con la mano ai popoli,
per le nazioni isse rò il mio vessillo.
Riporteranno i tuoi figli in braccio,
le tue figlie saran portate sulle spalle.
I re saranno i tuoi tutori,
le loro principesse tue nutrici.
 Con la faccia a terra essi si prostreranno davanti a te,
baceranno la polvere dei tuoi piedi;
allora tu saprai che io sono il Signore
e che non saranno delusi quanti sperano in me ».
Si può forse strappare la preda al forte?
Oppure può un prigioniero sfuggire al tiranno?
Eppure dice il Signore:
  »Anche il prigioniero sarà strappato al forte,
la preda sfuggirà al tiranno.
Io avverserò i tuoi avversari;
io salverò i tuoi figli.
Farò mangiare le loro stesse carni ai tuoi oppressori,
 »si ubriacheranno del proprio sangue come di mosto.
Allora ogni uomo saprà
che io sono il Signore, tuo salvatore,
io il tuo redentore e il Forte di Giacobbe ».

Il libro di Isaia contiene tre blocchi di predicazione.
Dal capitolo 1 al 39 è racchiusa la predicazione del grande Isaia, che risale al settecento. Poi dal capitolo 40 al 55 si trova la predicazione del Secondo Isaia, un profeta anonimo dell’esilio, nel secolo sesto. Questo profeta anonimo, dell’esilio, la cui predicazione è stata raccolta e messa accanto alla predicazione del grande Isaia, si chiama convenzionalmente il profeta della consolazione, perché l’iniziale capitolo 40 esordisce con l’invito: « Consolate, consolate il popolo mio, dice il Signore ». Questo profeta ha ricevuto da Dio la missione di consolare il suo popolo. Prenderemo in considerazione il testo a partire dal versetto 14. Tralasciamo i versetti dall’8 al 12, che riportano un oracolo di Dio, una parola di Dio rivolta al profeta di promessa agli esuli, una parola di liberazione, un impegno di Dio a liberare gli esuli. Così pure il versetto 13 che è un canto di lode. Il profeta si rivolge ai cieli, alla terra, ai monti e dice « giubilate », partecipate alla gioia degli esuli, perché il Signore consola il suo popolo. Ricordo infine che proporre una lettura « laica », come ormai facciamo da alcuni anni, significa fare una lettura storico letteraria. Quindi si tratta non di una lettura spirituale, ma di una lettura che vale per tutti. E’ un testo poetico di grande levatura. Il grande Isaia è ritenuto uno dei massimi poeti dell’umanità. Ci troviamo di fronte ad un bellissimo testo che ci proponiamo di leggere e capire.

collocazione storica
Il testo si pone all’epoca dell’esilio. Nel 586 Gerusalemme è stata conquistata e distrutta da
Nabucodonosor e la classe dirigente è stata deportata. Il « Nabucco » di Verdi è l’epopea di questi ebrei in esilio, che hanno nostalgia di Sion. La strategia di deportare le classi dirigenti era già stata messa in atto dagli Assiri, il cui impero potente ed efficace precedette quello neobabilonese, a cui appartiene Nabucodonosor. Nel 612, Assur e poi Ninive, le grandi capitali dell’impero assiro, furono conquistate da Nabopolassar, il padre di Nabucodonosor. Gli Assiri nel 721 con Sargon II, avevano conquistato il regno del Nord. Infatti dopo Salomone e Roboamo il regno degli ebrei si divise in due. Al Sud due tribù con capitale Gerusalemme, con la dinastia davidica, e invece al Nord le altre dieci tribù, con capitale Samaria e con regnanti di diverse dinastie, prima Geroboamo e poi altri. Il regno del Nord era caduto sotto il dominio assiro nel 721 e la classe dirigente deportata in Mesopotamia. Nel 586 la stessa sorte capita al regno del Sud, con la deportazione. In Mesopotamia c’erano ebrei del regno del Nord ed ebrei del regno del Sud. Il profeta della consolazione è uno dei deportati e vive con loro. I deportati in esilio avevano perduto quello che di più caro avevano: la terra, la dinastia davidica, la città santa. Nel salmo 137 un esule esprime la sua nostalgia struggente per Gerusalemme. I deportatori gli hanno chiesto un canto di Sion, un canto che si canta nel tempio di Gerusalemme e risponde: « Come possiamo noi cantare in terra straniera un canto al Signore » e  « Se io mi dimenticassi di Gerusalemme la mia destra sia inaridita ». La nostalgia struggente di Gerusalemme è seguita dall’invettiva spaventosa: « Possa Dio prendere i tuoi pargoli (Babilonia) e sbatterli contro la roccia ». Gli esuli avevano perduto tutto e Gerusalemme era una rovina. Le mura di difesa abbattute, distrutto il tempio di Salomone. Il tempio sarà ricostruito successivamente, ma in dimensioni molto ridotte. Erode ricostruirà un grande tempio, dando splendore al tempio di Gerusalemme. Nel 70, mentre i lavori non erano ancora terminati, i romani, con Tito, distruggeranno per sempre il tempio. Rimane ancor oggi il muro del pianto. Gli esuli avevano perduto anche la speranza. Non speravano più nel proprio Dio. Il profeta riceve da Dio la missione di ricostruire la speranza.

struttura del brano
Il passo potrebbe essere definito un dialogo, anche drammatico, tra Sion e Dio.
Al versetto 14 abbiamo « Sion ha detto ».
Sion ha detto: « Il Signore mi ha abbandonato,
il Signore mi ha dimenticato ».
Dal 15 al 20 abbiamo la risposta di Dio
Si dimentica forse una donna del suo bambino,
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se queste donne si dimenticassero,
io invece non ti dimenticherò mai…
Il pensiero di Sion in forma di domanda (21)
Tu penserai: « Chi mi ha generato costoro?
Io ero priva di figli e sterile;
questi chi li ha allevati?
Ecco, ero rimasta sola
e costoro dove erano? ».
La risposta di Dio (22-23):
 Così dice il Signore Dio:
  »Ecco, io farò cenno con la mano ai popoli,
per le nazioni isserò il mio vessillo…
Nuovamente l’incredulità di Sion (24):
Si può forse strappare la preda al forte?
Oppure può un prigioniero sfuggire al tiranno?
Risposta di Dio (25-26):
Eppure dice il Signore:
  »Anche il prigioniero sarà strappato al forte,
la preda sfuggirà al tiranno.
Io avverserò i tuoi avversari;
io salverò i tuoi figli…
Tutte le parole di Dio sono al futuro, mentre la prima espressione di Sion è al passato. La risposta di Dio non è quella di suscitare davanti all’incredulo disperato, in questo caso la città di  Sion, una realtà. Dio si presenta a questo disperato con una promessa. E’ la promessa di Dio contro la rassegnata convinzione di Sion.

 analisi del brano
 1. le domande di Sion: rassegnazione, gioiosa incredulità e dubbi
Sion ha detto: « Il Signore mi ha abbandonato,
il Signore mi ha dimenticato ».
Una delle regole principi della poesia ebraica è il parallelismo, che può essere sinonimico (la
seconda proposizione ripete con piccoli cambiamenti la prima), antitetico (la seconda proposizione afferma il contrario della prima), sintetico (la seconda fa una sintesi dell’elemento del primo con uno nuovo). Nel nostro caso ci troviamo di fronte ad un parallelismo sinonimico: le due proposizioni sono parallele ed esprimono la stessa realtà: la dimenticanza è uguale all’abbandono. La memoria non vuol dire far venire in mente. Dimenticare è abbandonare. La realtà dimenticata è lontana, assente, non è più presente.
 Sion fa quella affermazione perché la sua situazione è di desolazione totale. Sion è un cumulo di rovine, la stragrande maggioranza dei suoi abitanti è deportata, non c’è più prospettiva. Dalla rilevazione di una situazione tragica si risale ad una affermazione teologica o religiosa: siccome siamo in una situazione di perdita assoluta ciò vuol dire che Dio ci ha dimenticati, che siamo abbandonati, che non siamo più presenti nella sua vita, nella sua azione. E’ una parola di rassegnazione teologica. Siamo rassegnati alla situazione tragica in cui siamo perché l’unico che potrebbe riportarci a vita ci ha dimenticato, non siamo più presenti a lui. La rassegnazione prende motivo dalla situazione, dalla situazione teologicamente interpretata. Non solo quindi dalla situazione oggettiva, ma dal fatto che si è assenti dalla mente di Dio e si è soli. Il secondo intervento di Sion si trova al versetto 21.
Dio va avanti con il suo progetto, e ricostruirà e ripopolerà la città di Gerusalemme. A quel punto il profeta, prevedendo questo futuro, si chiede come reagirà Sion di fronte a tutto questo. « Tu penserai »: c’è un futuro anche per Sion. Prima c’era il presente di Sion della rassegnazione, nella convinzione che Dio lo ha abbandonato. Poi la ricostruzione ad opera di Dio e la reazione di Sion di gioiosa incredulità.
 Tu penserai: « Chi mi ha generato costoro?
Io ero priva di figli e sterile;
questi chi li ha allevati?
La sterile è la donna che non può avere figli come Sion. Sion non può generare né allevare figli.
Ecco, ero rimasta sola
e costoro dove erano? ».
E’ l’incredulità di Sion di fronte al prodigio, dalla sterilità alla nuova fecondità. La domanda di Sion è: « Chi mi ha ridato i figli? ». E’ una domanda di gioiosa incredulità. Questa immagine della sterile che avrà molti figli risuona in molti testi di Isaia. Anche Paolo cita un testo di Isaia, quello della sterile che avrà tanti figli (Gal 4). Dopo la parola di rassegnazione di Sion, dopo la domanda di gioiosa incredulità, che è posta al futuro, sorge il dubbio di Sion:
Si può forse strappare la preda al forte?
Oppure può un prigioniero sfuggire al tiranno?
Le due domande sono retoriche, hanno una chiara risposta, quella dell’impossibilità. Sion, rassegnata, afferma che è umanamente impossibile la liberazione. A questa rilevazione dell’impossibilità risponde Dio che conferma la realizzazione. Abbiamo quindi il primo dialogante, Sion, che esprime anzitutto la sua rassegnazione, esprime la convinzione che è impossibile riavere la vita. Quando vedrà i suoi figli nuovi si chiede chi li ha ridati. Dalla situazione attuale, Sion, rassegnata e convinta di essere abbandonata da Dio, ha solo delle domande da fare. Il tutto è nelle mani di Dio. L’impossibilità umana e la possibilità di Dio. Dio ha di fronte l’interlocutore rassegnato che anche in presenza del prodigio, sconcertato, si domanda da dove venga.

2. Le risposte di Dio.
Mentre la parte dialogica di Sion è molto breve, perché ha solo interrogativi da porre, le risposte di Dio sono articolate e abbondanti. Le risposte di Dio sono tutte volte al futuro (i verbi sono al futuro). Dio risponde con promesse, quindi non mettendo sotto gli occhi una realtà che smentisce la rassegnazione, ma chiedendo fiducia.  « Io non ti dimenticherò » non può essere oggetto di osservazione immediata, ma solo di abbandono fiducioso alla promessa di Dio. Il vero tema del brano sarà la speranza. Attraverso questo brano il profeta vuole riaccendere la speranza degli esuli. Mette in bocca agli esuli parole di rassegnazione e di incredulità, riporta la parola di Dio che è una promessa e invita gli esuli ad affidarsi alla promessa.
Prima risposta: la promessa rassicurante
Dio risponde con un interrogativo che prende come paragone la mamma: Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Come una mamma non può dimenticarsi del figlio, del frutto delle sue viscere, così Dio. Le viscere
sono l’espressione dell’amore tenero ed emotivo della mamma. La parola « amore » tradotta a volte con misericordia, in ebraico è « rahamîm », le viscere che si commuovono. Lo stesso significato lo si trova in Paolo, Rom 12,1:  « Io vi esorto « dià tôn oiktirmôn », mediante i gesti di tenerezza materna di Dio ». E’ un primo argomento che Dio fa valere contro la rassegnazione: se ammettete che una mamma non si può dimenticare del figlio, così dovete ammettere che io non mi posso dimenticare di voi, che siete miei figli. L’elezione del popolo è anche tradotta con « voi siete i miei figli, io sono il padre ». Qui troviamo la variante della madre e la costante della figliolanza.
La seconda parte va oltre il paragone:
Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Anche se una madre sventurata si dimenticasse del figlio, non può avvenire che io mi dimentichi, afferma Dio. La parola di Dio è rassicurante. Dio è una madre che non può mai essere sventurata. La rassicurazione si basa solo sulla parola di Dio, non ci sono prove immediate. La parola rassicurante di per sé fa a pugni con la situazione presente. E’ dalla situazione sventurata
che gli ebrei hanno dedotto che Dio si è dimenticato del suo popolo. Dio risponde che il popolo non è mai assente dalla vita di Dio. Unicamente la parola di Dio è contro la percezione normale della situazione che dice tutt’altro. Dopo questa rassicurazione generale Dio insiste nell’avvalorare la propria affermazione: Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani, le tue mura sono sempre davanti a me. E’ un modo molto plastico per affermare la presenza costante del popolo davanti a Dio. Ecco che Dio presenta ciò che avverrà, addirittura al presente. Nel progetto di Dio il futuro è già presente, la liberazione è già in questa parola che assicura: I tuoi costruttori accorrono, i tuoi distruttori e i tuoi devastatori si allontanano da te. E’ la ricostruzione, che inizia con la parola rassicurante di Dio, ed anche il ripopolamento: Alza gli occhi intorno e guarda: Invita Sion a sollevare gli occhi chini sulla propria tragedia: tutti costoro si radunano, vengono da te.
Dio ha bisogno di fare un giuramento:
  »Com’è vero ch’io vivo – oracolo del Signore -
ti vestirai di tutti loro come di ornamento,
te ne ornerai come una sposa ».
Questo è il giorno del tuo sposalizio. I figli sono il vestito di sposa.
Poiché le tue rovine e le tue devastazioni
e il tuo paese desolato
saranno ora troppo stretti per i tuoi abitanti,
benché siano lontani i tuoi divoratori.
Quelli che ritorneranno da te saranno così numerosi, che avranno poco spazio a disposizione, non riusciranno quasi ad entrare. Di nuovo ti diranno agli orecchi i figli di cui fosti privata:  « Troppo stretto è per me questo posto; scostati, e mi accomoderò ». E’ la prima risposta di Dio, la sua parola rassicurante, con immagini anticipate della ricostruzione e del ripopolamento.

Secondo intervento: Dio è sovrano di tutti i popoli
Di fronte alla resistenza di Sion che si chiede chi mai ha portato questi numerosi figli Dio risponde:  Così dice il Signore Dio:  « Ecco, io farò cenno con la mano ai popoli, per le nazioni isse rò il mio vessillo. Non dimenticarsi e fare sono la stessa cosa: il ricordare non vuol dire far venire alla mente, ma fare, far venire nell’azione, far risalire alla vita. Dio qui fa valere un altro argomento, la propria sovranità universale sui popoli. Dio non ha solo un rapporto di alleanza, ma anche di sovranità. Il Dio di Israele è il Dio di tutti i popoli. Israele è diventato progressivamente monoteista. Con Mosè la religione ebraica nasce come monolatria. Viene adorato e riconosciuto un unico Dio, ma per il proprio popolo, senza escludere gli dei degli altri popoli. Con Isaia, nel settecento circa, si raggiunge la certezza che non ci sono altri dei neppure per gli altri popoli, ma che il Dio riconosciuto da Israele è l’unico Dio in assoluto e quindi è anche il Dio degli altri popoli e quindi può agire sugli altri popoli a favore di Israele. Il Dio di tutti i popoli è in funzione del Dio di Israele, perché la sovranità di Dio sugli altri popoli è una sovranità esercitata a beneficio di Israele. Basta un cenno con la mano e i popoli si mettono subito in azione. In un altro testo di Isaia si dice che Dio farà un fischio e Assor corre. A questi popoli Dio dice di riportare i suoi figli. Come Dio aveva chiamato i popoli per castigare il suo popolo, adesso chiama i popoli per la restituzione al suo popolo. Riporteranno i tuoi figli in braccio, le tue figlie saran portate sulle spalle. Dio come motivo di speranza pone due realtà: anzitutto che è il Dio del popolo, che ha scelto e che non può abbandonare mai, e secondo che è il Dio dei popoli e che quindi può intervenire sulla scena del mondo per liberare il suo popolo La tradizione del Secondo Isaia fa spesso riferimento alla sovranità universale. Se Dio fosse solo il Dio del popolo, avrebbe unicamente amore e benevolenza. Poiché i figli di Sion sono in mano ai popoli, solo in quanto Dio ha una sovranità universale può intervenire in soccorso di Sion. Il motivo della sovranità universale è presupposto dell’azione efficace di liberazione. Può liberare efficacemente gli esuli di Sion in terra straniera perché è il signore dei popoli. I re saranno i tuoi tutori, I re dei popoli difenderanno il tuo diritto le loro principesse tue nutrici. Con la faccia a terra essi si prostreranno davanti a te, baceranno la polvere dei tuoi piedi; La grande potenza neobabilonese di Nabucodonosor che si prostra davanti alla piccola città di Gerusalemme in rovina! allora tu saprai che io sono il Signore e che non saranno delusi quanti sperano in me ». E’ il tema della speranza e della delusione. Il « saprai » non indica una conoscenza teorica, abbandonata sotto l’urto della situazione drammatica. La conoscenza è una fede, è un ritorno a credere. La speranza umana trova un esaudimento in Dio. L’azione di Dio promessa è tesa a suscitare la speranza. Il « consolare il popolo mio », non vuol dire pronunciare parole di consolazione inefficaci, ma suscitare realmente una consolazione, perché Dio interviene a liberare.

Terzo intervento: Dio rende possibile ciò che è impossibile all’uomo
Di fronte all’ultimo rimasuglio di sfiducia di Sion (v. 24), all’affermata impossibilità umana c’è la possibilità di Dio: Eppure dice il Signore: « Anche il prigioniero sarà strappato al forte, (alla potenza dei babilonesi) la preda sfuggirà al tiranno. Io avverserò i tuoi avversari; io salverò i tuoi figli. Prima aveva affermato la sua signoria su tutti i popoli, che riporteranno a Gerusalemme gli esuli, adesso invece la liberazione degli esuli non può avvenire senza una lotta. La liberazione degli israeliti esuli richiede la sconfitta degli oppressori. Farò mangiare le loro stesse carni ai tuoi oppressori, si ubriacheranno del proprio sangue come di mosto. Il risvolto di violenza nei confronti degli oppressori ha solo un esiguo spazio in questo brano, che illustra l’azione positiva di Dio a favore degli esuli. In primo piano c’è l’azione liberatrice. Dio ricostruirà Sion, Dio libererà gli esuli. Questa liberazione comporterà la sconfitta degli avversari e la violenza nei loro confronti. Allora ogni uomo saprà che io sono il Signore, tuo salvatore, io il tuo redentore e il Forte di Giacobbe ». Prima c’era il « tu saprai », adesso tutti sapranno. L’universalismo di Dio sovrano di tutti i popoli diventa anche l’universalismo della conoscenza di Dio. Dio sarà conosciuto da tutti come l’unico vero Dio. Allora non solo Israele giungerà a questa conoscenza di fede, ma anche tutti i popoli. L’identità di Dio emerge dalla sua azione salvatrice, di liberazione, di redenzione. Il termine ebraico di redentore, parola che avrà molto successo nel cristianesimo, è il « goêl », figura che si riferisce ad un contesto tribale, dove ogni cosa e ogni persona della tribù non possono essere alienati. Nel caso che qualcosa le venisse sottratto, tutta la tribù è impegnata a ricuperare ciò che è stato rubato. L’azione di ricupero di una propria proprietà si chiama « redenzione », « riscatto ». L’obbligo spetta ai parenti più prossimi della persona, oppure anche a tutta la tribù. Gli abitanti di Gerusalemme appartenevano a Jahvé, sono i suoi figli. Sono stati portati via, alienati dai neobabilonesi e l’azione di Dio è il ricupero, il riscatto di quelli che erano suoi e che non hanno mai cessato di esserlo. La redenzione è il riscattare una proprietà. I gerosolimitani in esilio restano di Dio, e restando di Dio, Dio rivendicherà il suo diritto di proprietà e li riporterà a Gerusalemme. « Il Forte di Giacobbe » è un titolo molto arcaico, che risale alle tradizioni patriarcali. La memoria di Dio equivale all’intervento salvifico. Per Dio ricordarsi vuol dire intervenire in modo salvifico e liberatorio. Sion può sperare in questo Dio mnestico.

Intertestualità sull’ « Io mi ricorderò »
Questo testo si inserisce nel contesto di tutti i testi profetici (il motivo della consolazione, il motivo del Dio signore di tutti i popoli), si inserisce nel contesto generale della predicazione di Isaia, si inserisce nel contesto generale della bibbia. Intertestualità significa che un testo come quello analizzato non è stato creato dal nulla da parte dell’autore, ma è un testo intessuto di altri testi. L’intertestualità è mostrare come un testo è il sedimento di altri testi. Il motivo del Dio che si ricorda è rintracciabile in diversi luoghi biblici.

Genesi 9,14-16:
  »Quando radunerò
le nubi sulla terra
e apparirà l’arco sulle nubi
ricorderò la mia alleanza
che è tra me e voi
e tra ogni essere che vive in ogni carne
e non ci saranno più le acque
per il diluvio, per distruggere ogni carne.
L’arco sarà sulle nubi
e io lo guarderò per ricordare l’alleanza eterna
tra Dio e ogni essere che vive in ogni carne
che è sulla terra »
Dio, dopo il diluvio, fa apparire l’arcobaleno in cielo e la sua visione gli farà ricordare l’alleanza con
il mondo, prevenendo così altri diluvi, non distruggendo più il mondo.

Esodo 2,24 e 6,5
  »Allora Dio ascoltò il loro lamento, si ricordò della sua alleanza con Abramo e Giacobbe. »
  »Sono ancora io che ho udito il lamento degli israeliti asserviti dagli egiziani e mi sono ricordato della mia alleanza ».
Il ricordarsi dell’alleanza sta a significare l’impegno a liberare il popolo di Israele. L’esodo è il frutto della memoria di Dio

Salmo 105
Dio « ricorda sempre la sua alleanza:
parola data per mille generazioni,
l’Alleanza stretta con Abramo
e il suo giuramento ad Isacco » (8-9).
Questo salmo presenta e narra la storia di Israele, nelle sue tappe fondamentali. La dinamica sottesa a questa storia del popolo è che Dio ricorda sempre la sua alleanza. I versetti sopra riportati sono preceduti al versetto 5 dall’esortazione del salmista al popolo di
ricordarsi delle meraviglie che Dio ha fatto:  « Ricordate le meraviglie che ha compiute, isuoi prodigi e i giudizi della sua bocca. » Dio si ricorda operando e il popolo è esortato a ricordare le opere di Dio in modo da essere fedele.

Salmo 106
  »Si ricordò della sua alleanza con loro,
si mosse a pietà per il suo grande amore » (45)
Il popolo è andato in rovina e Dio si è ricordato della sua alleanza e si è mosso a pietà. La memoria diventa momento di svolta nella storia del popolo da una situazione negativa a una situazione di liberazione.

Ezechiele 16,60
Ezechiele presenta la storia di Israele sotto l’immagine di una fanciulla, priva di qualità, di bellezza che Dio ha scelto e ha sposato. Dio l’ha presa sotto il suo mantello e l’ha fatta una sua sposa bellissima. Ma questa fanciulla ha tradito Dio. Israele ha origini pagane, idolatriche. Dio non abbandona la sposa traditrice e infedele:  « Io mi ricorderò dell’alleanza conclusa con te al tempo della tua giovinezza e stabilirò con te un’alleanza eterna ». Dio stabilirà un nuovo sposalizio indistruttibile. La memoria viva e creativa di Dio è capace di creare un rapporto indistruttibile con il popolo. L’ »Io mi ricorderò » si colloca in un contesto più ampio, nell’intera bibbia, in cui ricorre il motivo di Dio che si ricorda sempre della sua alleanza.

Intertestualità sul « ricordati, o Dio »
 Sempre sul piano della interstestualità abbiamo la preghiera di Israele rivolta a Dio, di chi trovandosi in situazioni come quella di Sion, conserva la speranza che si esprime nella supplica, nella preghiera « ricordati, o Dio ». « Ricordati » non è l’invito ad un Dio distratto che si è dimenticato, ma la supplica a Dio di essere fedele alla sua memoria, in modo da intervenire.

 Esodo 32,13 e Deut 9,27
 La preghiera di Mosè, dopo l’adorazione del vitello d’oro, dopo l’idolatria e la successiva ira di Dio: Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: « Perché, Signore, divamperà la tua ira contro il  tuo popolo, che tu hai fatto uscire dal paese d’Egitto con grande forza e con mano potente?  12Perché dovranno dire gli Egiziani: Con malizia li ha fatti uscire, per farli perire tra le montagne  e farli sparire dalla terra? Desisti dall’ardore della tua ira e abbandona il proposito di fare del  male al tuo popolo. 13Ricòrdati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per  te stesso e hai detto: Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo e tutto questo paese, di cui ho parlato, lo dar ò ai tuoi discendenti, che lo possederanno per sempre » (Esodo)  Mosè chiede a Dio di non stravolgere il significato dell’Esodo, che un’azione di vita e di liberazione non sia interpretata come un’azione di distruzione e di morte dagli Egiziani.  Mosè fa forza sulla parola di Dio, sulla sua coerenza, sulla sua fedeltà, sulla sua promessa.  Lo stesso argomento viene utilizzato in Deuternomio: Ricordati dei tuoi servi Abramo, Isacco e Giacobbe; non guardare alla caparbietà di questo popolo  e alla sua malvagità e al suo peccato, perché il paese da dove ci hai fatti uscire non dica: Poiché il Signore non era in grado di introdurli nella terra che aveva loro promessa e poiché li odiava, li ha fatti uscire di qui per farli morire nel deserto. Al contrario essi sono il tuo popolo, la tua eredità,  che tu hai fatto uscire dall’Egitto con grande potenza e con braccio teso. Anche in questo caso Mosè supplica Dio di rimanere fedele alla sua parola.

Neemia 1,8:
 E’ una preghiera di penitenza. Il popolo, tornato dall’esilio, fa penitenza per i suoi peccati. Neemia, portavoce del popolo, dice:  « Ricordati della parola che hai affidato a Mosè tuo servo: Se sarete infedeli, io vi disperderò tra i popoli; ma se tornerete a me e osserv erete i suoi comandi e li eseguirete, anche se i vostri esiliati si  trovassero all’estremità dell’orizzonte, io di là li raccoglierò e li ricondurrò al luogo che ho scelto per farvi dimorare il mio nome » .  La parola di Dio non è tanto una parola prescrittiva, ma promissoria. Nel capitolo quarto della lettera ai Romani Paolo scarta il tema del patto, perché il patto sinaitico,  l’alleanza, ha in se stessa, nella sua dinamica, una bilateralità: Dio sceglie il popolo e il popolo è  chiamato a essere fedele alla legge. Sono le clausole dell’alleanza. A Paolo il patto del Sinai non piace, perché c’è la legge e la legge è elemento particolaristico. Paolo allora risale all’alleanza con Abramo. Mentre il giudaismo interpretava l’alleanza con Abramo alla luce dell’alleanza con il Sinai,  interpretando Abramo come il primo osservante della Legge ancor prima d’essere promulgata, Paolo invece riscopre l’unilateralità dell’alleanza con Abramo. L’unilateralità è stata messa in evidenza  dalla corrente sacerdotale, mentre il deuteronomista ha scelto l’alleanza bilaterale.  L’alleanza unilaterale è la promessa. Paolo si riferisce al berit, che noi traduciamo con alleanza, nel  significato di promessa ad Abramo. Dio, con la promessa ad Abramo di una discendenza numerosa,  si impegna a benedire in Abramo tutti i popoli, tutte le tribù della terra. E’ una promessa universale. Nel capitolo 9 della lettera ai Romani, dove si tratta del tema teologico del popolo di Israele, del popolo della promessa, del popolo a cui è stata rivolta per primo la promessa, e che ha rifiutato il vangelo e che quindi si è escluso, Paolo si chiede quale fine facciano le promesse di Dio e risponde  che le promesse di Dio sono irrevocabili. La promessa di Dio al popolo di Israele resta irrevocabile. Noi cattolici, pieni di moralismo, che amiamo molto il patto bilaterale, le leggi, dobbiamo scoprire molto di più il Dio della tradizione biblica, il Dio della promessa, il Dio di Abramo, sul quale concordano cristiani, ebrei e musulmani.

Intertestualità sul non ricordo o perdono
Ultimo tema, dopo quello di Dio che si ricorda, del « ricordati, o Dio », quello di Dio che non si ricorderà dei nostri peccati. Dio si ricorda del popolo, con una memoria attiva e creativa, suscitatrice di vita, non si ricorderà dei peccati. I nostri peccati non sono davanti a lui. Noi non siamo davanti a lui delle persone che si sono compromesse una volta per sempre. Siamo sempre capaci di ribaltare, per grazia sua, tutte le nostre scelte. Non siamo prigionieri delle nostre scelte passate, dei nostri peccati. Abbiamo possibilità nuove. E’ questo il significato del non ricordarsi o del perdono.

Geremia 34, 31
Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Riconoscete il Signore, perché tutti mi
conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore; poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato (Geremia)

Isaia 64, 8
Signore, non adirarti troppo,
non ricordarti per sempre dell’iniquità.
Ecco, guarda: tutti siamo tuo popolo. (Isaia)

Isaia 43, 25
 »Io, io cancello i tuoi misfatti,
per riguardo a me non ricordo più i tuoi peccati. » (Isaia)
Il perdono non vuol dire stendere un velo sul passato, ma che quel peccato che tu hai fatto non peserà più su dite per il futuro, non condizionerà più il tuo futuro. Il tuo futuro è tutto dinanzi a te come possibilità. Il perdono è essere liberati dal condizionamento del passato. L’inertestualità ci ha fatto cogliere come il brano di Isaia analizzato si inserisce nel contesto biblico, dove si ritrova il motivo di Dio che si ricorderà sempre, il motivo del « ricordati, o Dio » e il motivo di Dio che non si ricorda dei nostri peccati.

COMMENTO BIBLICO A TUTTE E TRE LE LETTURE DI DOMANI, IN FRANCESE…

SI TRATTA DEL SITO: BIBLE SERVICE DEL QUALE HO MESSO ANCHE IL LINK;

METTO IL LINK AL MIO BLOG FRANCESE DOVE HO MESSO INSIEME IL COMMENTO ALLE TRE LETTURE; SUL SITO BLIBLE SERVICE, INVECE,  SI TROVANO IN DUE PAGINE SEPARATE, OSSIA IL COMMENTO A PAOLO DA UNA PARTE ED IL COMMENTO ALLA PRIMA LETTURA, AL SALMO ED AL VANGELO DA UN ALTRA, NON CAPISCO BENE PERCHÉ FORSE VOGLIONO SEPARARE LA LETTERATURA PAOLINA, COMUNQUE QUESTO LINK CORRISPONDE AL MIO BLOG FRANCESE E TROVATE IL COMMENTO A TUTTE E TRE LE LETTURE E AL SALMO;

http://gabriellaroma.unblog.fr/2010/02/06/commentaire-biblique-a-le-lecture-du-dimanche-7-fevrier/

Festa del Beato Giacomo Alberione – Liturgia delle Ore: Ufficio delle Letture, Lodi, Vespri

da sito:

http://www.paulus.net/index.php?option=com_content&task=view&id=25&Itemid=42

Liturgia per la Festa del Beato Giacomo Alberione   

LITURGIA DELLE ORE

INVITATORIO

Ant.
Nella festa del beato Giacomo Alberione
lodiamo il Signore nostro Dio.

Salmo invitatorio.

UFFICIO DELLE LETTURE
INNO

O eterna Sorgente d’amore
da te ogni cosa fluisce;
per te anche il nome fiorisce
di Giacomo tuo strumento.

La notte che avvolge due secoli
si accende a metà del suo corso:
di luce divina risplende
il volto del santo tuo servo.

E ancor nella notte del dubbio
è un’onda di luce la voce:
“Io sono con voi. Non temete!
Vivete con me nella pace”.

Lo sguardo rivolto a Maria,
formato alla scuola di Paolo,
il “padre” che a noi hai donato
addita il Maestro e il Pastore.

Fedeli al tuo “patto” d’amore,
la luce dell’Ostia accogliamo;
nutriti del Verbo annunciamo
a tutti il Vangelo che salva.

A te, Dio Padre, sia gloria,
onore al Maestro e Pastore,
al Santo Paraclito amore
nel tempo e nei secoli eterni.

Antifone, salmi e versetto dal Comune dei Pastori.

PRIMA LETTURA

Dalla prima lettera ai Corinti di san Paolo, apostolo 2,1-16

Fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso. Io venni in mezzo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione; e la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.

 Tra i perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo che vengono ridotti al nulla; parliamo di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria. Nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. Sta scritto infatti:
 Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì,
 né mai entrarono in cuore di uomo,
 queste ha preparato Dio per coloro che lo amano (Is 64,4).

Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio. Chi conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato. Di queste cose noi parliamo, non con un linguaggio suggerito dalla sapienza umana, ma insegnato dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali. L’uomo naturale però non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito. L’uomo spirituale invece giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno.
 Chi infatti ha conosciuto il pensiero del Signore
  in modo da poterlo dirigere? (Sap 9,13; Is 40,13).

Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo.

RESPONSORIO  Cf 1Cor 1,21-25

R.  E’ piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. * Noi predichiamo Cristo crocifisso.
V.  La stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, la debolezza di Dio è più forte degli uomini:
R.  noi predichiamo Cristo crocifisso.

SECONDA LETTURA

Dall’opera autobiografica “Abundantes divitiae gratiae suae” del beato Giacomo Alberione (Ed. San Paolo, Roma, 1998, nn. 13-20).

Una particolare luce venne dall’Ostia santa

La notte che divise il secolo scorso dal corrente [il secolo XIX dal secolo XX] fu decisiva per la specifica missione e spirito particolare in cui sarebbe nato e vissuto il suo futuro apostolato. Si fece l’adorazione solenne e continuata in Duomo (Alba), dopo la Messa solenne di mezzanotte, innanzi a Gesù esposto.
Aveva letto l’invito di Leone XIII a pregare per il secolo che incominciava. Il Papa parlava delle necessità della Chiesa, dei nuovi mezzi del male, del dovere di opporre stampa a stampa, organizzazione ad organizzazione, della necessità di far penetrare il Vangelo nelle masse, delle questioni sociali.
Una particolare luce venne dall’Ostia santa, maggior comprensione dell’invito di Gesù “venite ad me omnes”; gli parve di comprendere il cuore del grande Papa, gli inviti della Chiesa, la missione vera del sacerdote. Si sentì profondamente obbligato a prepararsi a far qualcosa per il Signore e gli uomini del nuovo secolo con cui sarebbe vissuto.
Ebbe senso abbastanza chiaro della propria nullità, ed insieme sentì “vobiscum sum usque ad consummationem saeculi” nell’Eucaristia, e che in Gesù-Ostia si poteva aver luce, alimento, conforto, vittoria sul male.
Vagando con la mente nel futuro gli pareva che nel nuovo secolo anime generose avrebbero sentito quanto egli sentiva. Aveva già egli confidenze di compagni chierici; egli con loro, loro con lui, tutti attingendo dal Tabernacolo.
La preghiera durò quattro ore dopo la Messa solenne: che il secolo nascesse in Cristo-Eucaristia; che nuovi apostoli risanassero le leggi, la scuola, la letteratura, la stampa, i costumi; che la Chiesa avesse un nuovo slancio missionario; che fossero bene usati i nuovi mezzi di apostolato; che la società accogliesse i grandi insegnamenti delle encicliche di Leone XIII, specialmente riguardanti le questioni sociali e la libertà della Chiesa.
L’Eucaristia, il Vangelo, il Papa, il nuovo secolo, i mezzi nuovi, la necessità di una nuova schiera di apostoli gli si fissarono così nella mente e nel cuore, che poi ne dominarono sempre i pensieri, la preghiera, il lavoro interiore, le aspirazioni. Si sentì obbligato a servire la Chiesa, gli uomini del nuovo secolo e operare con altri, in organizzazione. 

RESPONSORIO  Ef 3, 8-10

R.  A me, che sono l’infimo di tutti i santi, è stata concessa questa grazia di annunziare ai Gentili le imperscrutabili ricchezze di Cristo  *  e far risplendere agli occhi di tutti qual è l’adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio, creatore dell’universo,
V.  perché sia manifestata ora, per mezzo della Chiesa, la multiforme sapienza di Dio,
R.  e far risplendere agli occhi di tutti qual è l’adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio, creatore dell’universo.

Inno Te Deum.

ORAZIONE

O Padre, che hai suscitato nella Chiesa il beato Giacomo Alberione, sacerdote, per annunciare al mondo il tuo Figlio Via e Verità e Vita, con le molteplici forme della comunicazione, fa’ che, imitando il suo esempio, dedichiamo le nostre forze per portare il Vangelo a tutte le genti. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli.

LODI MATTUTINE

INNO
O Cristo, Verbo del Padre,
re glorioso fra i santi,
luce e salvezza del mondo,
in te crediamo.

Cibo e bevanda di vita,
balsamo, veste, dimora,
forza, rifugio, conforto,
in te speriamo.

Illumina col tuo Spirito
L’oscura notte del male,
orienta il nostro cammino
incontro al Padre. Amen.

Oppure un altro inno o canto adatto approvato dall’autorità ecclesiastica.

1 ant. Voi siete luce del mondo;
 come città costruita sul onte,
 non potere restare nascosti.

Salmi e cantico della dom., I sett.

2 ant. Risplenda la vostra luce davanti agli uomini:
 vedano le vostre opere buone
 e rendano gloria al Padre.

3 ant. Viva ed efficace è la parola di Dio,
più penetrante di una spada a due tagli.
 

LETTURA BREVE Eb 13,7-8
 Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunziato la parola di Dio; considerando attentamente l’esito del loro tenore di vita, imitatene la fede. Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre! Non lasciatevi sviare da dottrine varie e peregrine.

RESPONSORIO BREVE
R.  Li hai posti come sentinelle, * vegliano sulla tua Chiesa.
Li hai posti come sentinelle, * vegliano sulla tua Chiesa.
V.  Giorno e notte annunziano i tuo nome,
vegliano sulla tua Chiesa.
 Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
 Li hai posti come sentinelle, * vegliano sulla tua Chiesa.

Ant. al Ben.
Non siete voi a parlare, ma parla in voi lo Spirito del Padre.

INVOCAZIONI

A Cristo Maestro e Pastore, che continua a passare per le vie del mondo soccorrendo le necessità e suscitando vocazioni sempre nuove, rivolgiamo la nostra supplica, per l’intercessione del beato Giacomo Alberione:

Gesù Maestro, Via Verità e Vita, abbi pietà di noi.

Tu hai illuminato dal Tabernacolo l’anima del giovane Alberione, rivelandogli il tuo desiderio di “attirare tutti a te”:
– fa’ che tutti gli uomini e le donne del nostro tempo accolgano la luce del Vangelo.

Tu hai destato nel cuore di Giacomo Alberione l’ansia apostolica di Paolo per la salvezza dei lontani:
– rendici sensibili e generosi alle chiamate di quanti vivono ai margini della tua Chiesa.

Tu hai dato al beato Giacomo Alberione il dono di passare costantemente dalla contemplazione all’azione:
– rendici ferventi nella preghiera e ardenti nell’apostolato.

Tu hai reso il nostro Fondatore un illuminato e paterno formatore di anime apostoliche:
– concedi a tutti i formatori discernimento vocazionale ed efficacia nella guida dei giovani loro affidati.

Tu hai dotato il beato Alberione di grande intraprendenza apostolica e, insieme, di docile obbedienza a tutti i superiori:
– concedi a tutti noi una cordiale fedeltà alle direttive del magistero ecclesiale.

Il nostro Fondatore ha promesso di essere sempre «servo della mirabile Famiglia Paolina, ora e in cielo», e di intercedere per tutti gli operatori della comunicazione sociale:
– dona ai novelli apostoli della evangelizzazione di giungere con lui nel Regno eterno.

Padre nostro…


ORAZIONE

O Padre, che hai suscitato nella Chiesa il beato Giacomo Alberione, sacerdote, per annunciare al mondo il tuo Figlio Via e Verità e Vita, con le molteplici forme della comunicazione, fa’ che, imitando il suo esempio, dedichiamo le nostre forze per portare il Vangelo a tutte le genti. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli.
 
VESPRI

INNO

Gesù, premio e corona
dei tuoi servi fedeli,
glorifica il tuo nome.

Concedi alla tua Chiesa,
che venera il beato Giacomo,
la vittoria sul male.

Seguendo le tue orme
sulla via della croce,
egli piacque a Dio Padre.

Sapiente e vigilante,
testimoniò il Vangelo
in parole ed in opere.

Dalla città dei santi,
dove regna glorioso,
ci guidi e ci protegga.

A te Cristo sia lode,
al Padre ed allo Spirito
nei secoli dei secoli. Amen.

Oppure, come all’Ufficio delle Letture.

Antifone e salmi dal Comune dei Pastori.

LETTURA BREVE RM 8,28-30

Noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati.

RESPONSORIO BREVE

R.  Il Signore è giusto, * ama la giustizia.
Il Signore è giusto, * ama la giustizia.
V.  Guarda i buoni con amore,
ama la giustizia.
 Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
Il Signore è giusto, * ama la giustizia.

Ant. al Magn.
Amministratore fedele e saggio,
messo dal Signore a capo della sua famiglia,
hai distribuito il cibo della vita.

Oppure:
Ti rendo grazie, o Cristo, buon pastore,
che mi hai guidato alla gloria:
il gregge che mi hai dato
sia con me nel tuo regno.

INTERCESSIONI

Uniti in preghiera con tutti i nostri fratelli e sorelle sparsi nel mondo, invochiamo con fede il Divino Maestro e Pastore, e diciamo:
Rendici tuoi discepoli, Signore, ed esaudiscici.

Tu ci hai chiamati, per bocca del nostro Fondatore, a rinnovare nella Chiesa lo slancio dei primi apostoli, per essere «San Paolo vivo oggi»:
– concedi a tutti i missionari del Vangelo santità e sapienza.

Alla scuola del beato Alberione, tu ci hai insegnato a coltivare «la preghiera prima di tutto, sopra tutto, vita di tutto»:
– insegnaci a cercare presso il tuo tabernacolo la luce e la forza del tuo Spirito.

Tu hai sostenuto nelle difficoltà il beato Alberione con l’assicurazione: «Io sono con voi. Non temete»:
– donaci la fede costante nella tua assistenza e il superamento di ogni timore.

Tu hai detto al tuo servo: «Di qui voglio illuminare»:
– fa’ che non poniamo ostacoli alla tua Luce, ma siamo trasparenti diffusori della Verità che salva.

Tu ci hai chiesto “un cuore penitente” e la piena fiducia nella tua misericordia:
– donaci il desiderio di una continua conversione e la consapevolezza della nostra povertà.
 
Tu hai ispirato a Don Alberione, morente, di lasciarci il suo testamento, con le ultime parole «Paradiso, paradiso!»:
– concedi ai nostri fratelli e sorelle defunti di godere il premio eterno con tutti i santi del cielo.

Padre nostro…

ORAZIONE
O Padre, che hai suscitato nella Chiesa il beato Giacomo Alberione, sacerdote, per annunciare al mondo il tuo Figlio Via e Verità e Vita, con le molteplici forme della comunicazione, fa’ che, imitando il suo esempio, dedichiamo le nostre forze per portare il Vangelo a tutte le genti. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli.

COMPIETA
Dal giorno corrente.

Liturgia per la Festa del Beato Giacomo Alberione – Celebrazione Eucaristica – Festa per la Famiglia Paolin 26 novembre

dal sito:

http://www.paulus.net/index.php?option=com_content&task=view&id=25&Itemid=42

Liturgia per la Festa del Beato Giacomo Alberione    
  
26 novembre

BEATO GIACOMO ALBERIONE
Sacerdote e fondatore
Festa

CELEBRAZIONE EUCARISTICA
ANTIFONA D’INGRESSO  Sal 95/96, 3-4

Narrate tra i popoli la gloria del Signore, a tutte le nazioni dite i suoi prodigi; grande è il Signore e degno di ogni lode.

Si dice il Gloria.

COLLETTA

O Padre,
che hai suscitato nella Chiesa
il beato Giacomo Alberione, sacerdote,
per annunciare al mondo il tuo Figlio
Via e Verità e Vita,
con le molteplici forme della comunicazione,
fa’ che, imitando il suo esempio,
dedichiamo le nostre forze
per portare il Vangelo a tutte le genti.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio,
che è Dio, e vive e regna con te
nell’unità dello Spirito Santo
per tutti i secoli dei secoli.

PRIMA LETTURA   1Cor. 9,16-23

Fratelli, non è per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Quale è dunque la mia ricompensa? Quella di predicare gratuitamente il vangelo senza usare del diritto conferitomi dal vangelo.
 Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero: mi sono fatto Giudeo con i Giudei, per guadagnare i Giudei; con coloro che sono sotto la legge sono diventato come uno che è sotto la legge, pur non essendo sotto la legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono sotto la legge. Con coloro che non hanno legge sono diventato come uno che è senza legge, pur non essendo senza la legge di Dio, anzi essendo nella legge di Cristo, per guadagnare coloro che sono senza legge. Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il vangelo, per diventarne partecipe con loro.

Oppure  2Cor. 3,1-6
Fratelli, cominciamo forse di nuovo a raccomandare noi stessi? O forse abbiamo bisogno, come altri, di lettere di raccomandazione per voi o da parte vostra? La nostra lettera siete voi, lettera scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini. E’ noto infatti che voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma sulle tavole di carne dei vostri cuori.
 Questa è la fiducia che abbiamo per mezzo di Cristo, davanti a Dio. Non però che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio, che ci ha resi ministri adatti di una Nuova Alleanza, non della lettera ma dello Spirito; perché la lettera uccide, lo Spirito dà vita.

SALMO RESPONSORIALE   Salmo 88/89

 Il Signore è fedele per sempre.

Canterò senza fine le grazie del Signore,
 con la mia bocca annunzierò la tua fedeltà nei secoli,
 perché hai detto:
«La mia grazia rimane per sempre»;
 la tua fedeltà è fondata nei cieli.

Dice il Signore:
 «Ho stretto un’alleanza con il mio eletto,
 ho giurato a Davide mio servo:
 stabilirò per sempre la tua discendenza,
 ti darò un trono che duri nei secoli».

 Ho trovato Davide, mio servo,
 con il mio santo olio l’ho consacrato;
 la mia mano è il suo sostegno,
 il mio braccio è la sua forza.

 La mia fedeltà e la mia grazia saranno con lui
 e nel mio nome si innalzerà la sua potenza.
 Egli mi invocherà: Tu sei mio padre,
 mio Dio e roccia della mia salvezza».

CANTO AL VANGELO

Alleluia, alleluia.
Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.
Alleluia. (Gv 14,6)

VANGELO Gv 14,1-14

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l’avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via».
 Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse.
 In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre. Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò».

PREGHIERA DEI FEDELI

Ammaestrati dall’esempio e dalle parole del beato Giacomo Alberione, eleviamo a Dio le nostre invocazioni per tutta l’umanità, riscattata dal sangue di Cristo e ancora assetata della sua verità, della sua guida, della sua vita divina.

Diciamo insieme: Ascoltaci, Signore.

1. Per il popolo di Dio, perché accolga il messaggio di salvezza recato dal divino Maestro e Pastore, e non si lasci sedurre da quanti abusano dei nuovi linguaggi della comunicazione.

2. Per la Famiglia Paolina, perché si senta portatrice di un dono speciale dello Spirito a tutta la Chiesa: la sequela di Cristo Via Verità e Vita, la devozione a Maria Madre e Maestra e Regina, e l’ardore missionario dell’apostolo Paolo.

3. Per tutti gli operatori della comunicazione sociale, perché promuovano i veri valori umani e cristiani, e facciano risuonare “sopra i tetti” e nelle coscienze la voce del divino Maestro e Pastore.

4. Per il laicato cristiano, perché si senta sempre più coinvolto nella nuova evangelizzazione, e testimoni nella cultura attuale la forza liberatrice del messaggio evangelico.

5. Per tutti noi, perché, consapevoli della nostra insufficienza, non ci scoraggiamo delle difficoltà, ma invochiamo umilmente la forza di Dio e contiamo con fiducia sulle “incalcolabili ricchezze della sua grazia”.

Padre misericordioso, che hai rivelato al beato Giacomo Alberione la persona di Cristo, “forma” perfetta di ogni vero discepolo, donaci la stessa fede che lo ha reso padre di molte comunità di consacrati e apostoli per il nostro tempo. Te lo chiediamo per lo stesso Cristo nostro Signore.

SULLE OFFERTE

Accetta, Signore, i doni che portiamo al tuo altare nella festa del beato Giacomo Alberione, e trasformaci in una lode vivente della tua gloria. Per Cristo nostro Signore.
PREFAZIO

È veramente cosa buona e giusta rendere grazie
e innalzare a te l’inno di benedizione e di lode,
Dio onnipotente ed eterno.
Nel beato Giacomo Alberione,
che per il regno dei cieli ha consacrato
la vita a Cristo tuo Figlio,
noi celebriamo, o Padre,
l’iniziativa mirabile del tuo amore,
poiché tu riporti l’uomo
alla santità della sua prima origine
e gli fai pregustare i doni
che a lui prepari nel mondo rinnovato.
Per questo segno della tua bontà,
uniti agli angeli e ai santi,
con voce unanime
cantiamo l’inno della tua lode:
Santo…

ANTIFONA ALLA COMUNIONE  Gv 14,12

In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre.

Oppure:   Gv 15,4-5
Rimanete in me e io in voi, dice il Signore. Chi rimane in me e io in lui, porta molto frutto.

DOPO COMUNIONE
La comunione al tuo sacramento
ci santifichi e ci rinnovi, Signore,
e l’intercessione del beato Giacomo Alberione
ci aiuti a progredire ogni giorno
nella dedizione al tuo servizio.
Per Cristo nostro Signore.

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