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15 GIUGNO : SACRATISSIMO CUORE DI GESÙ – UFFICIO DELLE LETTURE

15 GIUGNO : SACRATISSIMO CUORE DI GESÙ

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla lettera ai Romani di san Paolo, apostolo – 8, 28-39

L’amore di Dio si è manifestato in Cristo
Fratelli, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati.
Che diremo dunque in proposito? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi?
Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Proprio come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello (Sal 43, 22).
Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore.

Responsorio Cfr. Ef 2, 5. 4. 7
R. Morti eravamo per i peccati, Dio ci ha fatti rivivere con Cristo: * grande è l’amore con il quale ci ha amati.
V. Per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia:
R. grande è l’amore con il quale ci ha amati.

Seconda Lettura
Dalle «Opere» di san Bonaventura, vescovo
(Opusc. 3, Il legno della vita, 29-30. 47; Opera omnia 8, 79)

Presso di te é la sorgente della vita
Considera anche tu, o uomo redento, chi, quanto grande e di qual natura sia colui che pende per te dalla croce. La sua morte dà la vita ai morti, al suo trapasso piangono cielo e terra, le dure pietre si spaccano.
Inoltre, perché dal fianco di Cristo morto in croce fosse formata la Chiesa e si adempisse la Scrittura che dice: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19, 37), per divina disposizione é stato permesso che un soldato trafiggesse e aprisse quel sacro costato. Ne uscì sangue ed acqua, prezzo della nostra salvezza. Lo sgorgare da una simile sorgente, cioè dal segreto del cuore, dà ai sacramenti della Chiesa la capacità di conferire la vita eterna ed é, per coloro che già vivono in Cristo, bevanda di fonte viva «che zampilla per la vita eterna» (Gv 4, 14).
Sorgi, dunque, o anima amica di Cristo. Sii come colomba «che pone il suo nido nelle pareti di una gola profonda» (Ger 48, 28). Come «il passero che ha trovato la sua dimora» (Sal 83, 4), non cessare di vegliare in questo santuario. Ivi, come tortora, nascondi i tuoi piccoli, nati da un casto amore. Ivi accosta la bocca per attingere le acque dalle sorgenti del Salvatore (cfr. Is 12, 3). Da qui infatti scaturisce la sorgente che scende dal centro del paradiso, la quale, divisa in quattro fiumi (cfr. Gn 2, 10) e, infine, diffusa nei cuori che ardono di amore, feconda ed irriga tutta la terra.
Corri a questa fonte di vita e di luce con vivo desiderio, chiunque tu sia, o anima consacrata a Dio, e con l’intima forza del cuore grida a lui: «O ineffabile bellezza del Dio eccelso, o splendore purissimo di luce eterna! Tu sei vita che vivifica ogni vita, luce che illumina ogni luce e che conserva nell’eterno splendore i multiformi luminari che brillano davanti al trono della tua divinità fin dalla prima aurora.
O eterno e inaccessibile, splendido e dolce fluire di fonte nascosta agli occhi di tutti i mortali! La tua profondità é senza fine, la tua altezza senza termine, la tua ampiezza è infinita, la tua purezza imperturbabile!
Da te scaturisce il fiume «che rallegra la città di Dio» (Sal 45, 5), perché «in mezzo ai canti di una moltitudine in festa» (Sal 41, 5) possiamo cantare cantici di lode, dimostrando con la testimonianza dell’esperienza, che «in te é la sorgente della vita e alla tua luce vediamo la luce» (Sal 35, 10).

31 MAGGIO – VISITAZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA : UFFICIO DELLE LETTURE

31 MAGGIO – VISITAZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA (f)

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dal Cantico dei cantici 2, 8-14; 8, 6-7

La visita del Diletto
Una voce! Il mio diletto!
Eccolo, viene
saltando per i monti,
balzando per le colline.
Somiglia il mio diletto a un capriolo
o ad un cerbiatto.
Eccolo, egli sta
dietro il nostro muro;
guarda dalla finestra,
spia attraverso le inferriate.
Ora parla il mio diletto e mi dice:
«Alzati, amica mia,
mia tutta bella, e vieni!
Perché, ecco, l’inverno è passato,
è cessata la pioggia, se n’è andata;
i fiori sono apparsi nei campi,
il tempo del canto è tornato
e la voce della tortora ancora si fa sentire
nella nostra campagna.
Il fico ha messo fuori i primi frutti
e le viti fiorite spandono fragranza.
Alzati, amica mia,
mia tutta bella, e vieni!
O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia,
nei nascondigli dei dirupi,
mostrami il tuo viso,
fammi sentire la tua voce,
perché la tua voce è soave,
il tuo viso è leggiadro.
Mettimi come sigillo sul tuo cuore,
come sigillo sul tuo braccio;
perché forte come la morte è l’amore,
tenace come gli inferi è la gelosia:
le sue vampe sono vampe di fuoco,
una fiamma del Signore!
Le grandi acque non possono spegnere l’amore
né i fiumi travolgerlo.
Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa
in cambio dell’amore, non ne avrebbe che dispregio».

Seconda Lettura
Dalle «Omelie» di san Beda il Venerabile, sacerdote
(Lib. 1, 4; CCL 122, 25-26, 30)

Maria magnifica il Signore che opera in lei
«L’anima mia magnifica il Signore ed il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore» (Lc 1, 46). Con queste parole Maria per prima cosa proclama i doni speciali a lei concessi, poi enumera i benefici universali con i quali Dio non cessò di provvedere al genere umano per l’eternità.
Magnifica il Signore l’anima di colui che volge a lode e gloria del Signore tutto ciò che passa nel suo mondo interiore, di colui che, osservando i precetti di Dio, dimostra di pensare sempre alla potenza della sua maestà.
Esulta in Dio suo salvatore, lo spirito di colui che solo si diletta nel ricordo del suo creatore dal quale spera la salvezza eterna.
Queste parole, che stanno bene sulle labbra di tutte le anime perfette, erano adatte soprattutto alla beata Madre di Dio. Per un privilegio unico essa ardeva d’amore spirituale per colui della cui concezione corporale ella si rallegrava. A buon diritto ella poté esultare più di tutti gli altri santi di gioia straordinaria in Gesù suo salvatore. Sapeva infatti che l’autore eterno della salvezza, sarebbe nato dalla sua carne, con una nascita temporale e in quanto unica e medesima persona, sarebbe stato nello stesso tempo suo figlio e suo Signore.
«Cose grandi ha fatto a me l’onnipotente e santo è il suo nome».
Niente dunque viene dai suoi meriti, dal momento che ella riferisce tutta la sua grandezza al dono di lui, il quale essendo essenzialmente potente e grande, è solito rendere forti e grandi i suoi fedeli da piccoli e deboli quali sono. Bene poi aggiunse: «E Santo è il suo nome», per avvertire gli ascoltatori, anzi per insegnare a tutti coloro ai quali sarebbero arrivate le sue parole ad aver fiducia nel suo nome e a invocarlo. Così essi pure avrebbero potuto godere della santità eterna e della vera salvezza, secondo il detto profetico: «Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato» (Gl 3, 5).
Infatti è questo stesso il nome di cui sopra si dice: «Ed esultò il mio spirito in Dio, mio salvatore».
Perciò nella santa Chiesa è invalsa la consuetudine bellissima ed utilissima di cantare l’inno di Maria ogni giorno nella salmodia vespertina. Così la memoria abituale dell’incarnazione del Signore accende di amore i fedeli, e la meditazione frequente degli esempi di sua Madre, li conferma saldamente nella virtù. Ed è parso bene che ciò avvenisse di sera, perché la nostra mente stanca e distratta in tante cose, con il sopraggiungere del tempo del riposo si concentrasse tutta in se medesima.

Ottava di Pasqua, mercoledì, Vangelo di oggi: Lc 24,13-35 – Riconobbero Gesù nello spezzare il pane.

Ottava di Pasqua, mercoledì, Vangelo di oggi:

Lc 24,13-35 – Riconobbero Gesù nello spezzare il pane.

Ed ecco, in quello stesso giorno, [il primo della settimana], due [dei discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto.
Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».
Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».
Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Parola del Signore

28 DICEMBRE – SANTI INNOCENTI MARTIRI : UFFICIO DELLE LETTURE

28 DICEMBRE – SANTI INNOCENTI MARTIRI

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura

Dal libro dell’Esodo 1, 8-16. 22

La strage dei bambini ebrei in Egitto
In quei giorni, sorse sull’Egitto un nuovo re, che non aveva conosciuto Giuseppe. E disse al suo popolo: «Ecco che il popolo dei figli d’Israele è più numeroso e più forte di noi. Prendiamo provvedimenti nei suoi riguardi per impedire che aumenti, altrimenti, in caso di guerra, si unirà ai nostri avversari, combatterà contro di noi e poi partirà dal paese». Allora vennero imposti loro dei sovrintendenti ai lavori forzati per opprimerli con i loro gravami, e così costruirono per il faraone le città-deposito, cioè Pitom e Ramses. Ma quanto più opprimevano il popolo, tanto più si moltiplicava e cresceva oltre misura; si cominciò a sentire come un incubo la presenza dei figli d’Israele. Per questo gli Egiziani fecero lavorare i figli d’Israele trattandoli duramente. Resero loro amara la vita costringendoli a fabbricare mattoni di argilla e con ogni sorta di lavoro nei campi: e a tutti questi lavori li obbligarono con durezza.
Il re d’Egitto disse alle levatrici degli Ebrei, delle quali una si chiamava Sifra e l’altra Pua: «Quando assistete al parto delle donne ebree, osservate quando il neonato è ancora tra le due sponde del sedile per il parto: se è un maschio, lo farete morire; se è una femmina, potrà vivere». Allora il faraone diede quest’ordine a tutto il suo popolo: «Ogni figlio maschio che nascerà agli Ebrei, lo getterete nel Nilo, ma lascerete vivere ogni figlia».

Responsorio Is 65, 19; Ap 21, 4. 5
R. Gioia per il mio popolo: * non si udranno più voci di pianto e grida di angoscia.
V. Non vi sarà più morte, né lutto, né lamento, né dolore: io faccio nuove tutte le cose.
R. Non si udranno più voci di pianto e grida di angoscia.

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di san Quodvultdeus, vescovo
(Disc. 2 sul Simbolo; PL 40, 655)

Non parlano ancora e già confessano Cristo
Il grande Re nasce piccolo bambino. I magi vengono da lontano, guidati dalla stella e giungono a Betlemme, per adorare colui che giace ancora nel presepio, ma regna in cielo e sulla terra. Quando i magi annunziano ad Erode che è nato il Re, egli si turba e, per non perdere il regno, cerca di ucciderlo, mentre, credendo in lui, sarebbe stato sicuro in questa vita e avrebbe regnato eternamente nell’altra.
Che cosa temi, o Erode, ora che hai sentito che è nato il Re? Cristo non è venuto per detronizzarti, ma per vincere il demonio. Tu, questo non lo comprendi, perciò ti turbi e infierisci; anzi, per togliere di mezzo quel solo che cerchi, diventi crudele facendo morire tanti bambini.
Le madri che piangono non ti fanno tornare sui tuoi passi, non ti commuove il lamento dei padri per l’uccisione dei loro figli, non ti arresta il gemito straziante dei bambini. La paura che ti serra il cuore ti spinge ad uccidere i bambini e, mentre cerchi di uccidere la Vita stessa, pensi di poter vivere a lungo, se riuscirai a condurre a termine ciò che brami. Ma egli, fonte della grazia, piccolo e grande nello stesso tempo, pur giacendo nel presepio, fa tremare il tuo trono; si serve di te che non conosci i suoi disegni e libera le anime dalla schiavitù del demonio. Ha accolto i figli dei nemici e li ha fatti suoi figli adottivi.
I bambini, senza saperlo, muoiono per Cristo, mentre i genitori piangono i martiri che muoiono. Cristo rende suoi testimoni quelli che non parlano ancora. Colui che era venuto per regnare, regna in questo modo. Il liberatore incomincia già a liberare e il salvatore concede già la sua salvezza.
Ma tu, o Erode, che tutto questo non sai, ti turbi e incrudelisci e mentre macchini ai danni di questo bambino, senza saperlo, già gli rendi omaggio.
O meraviglioso dono della grazia! Quali meriti hanno avuto questi bambini per vincere in questo modo? Non parlano ancora e già confessano Cristo! Non sono ancora capaci di affrontare la lotta, perché non muovono ancora le membra e tuttavia già portano trionfanti la palma della vittoria.

ISAIA 9,1-6 PRIMA LETTURA (LA FASE GIOSIANA)

http://www.internetica.it/cap2_mater.htm

ISAIA 9,1-6 PRIMA LETTURA (LA FASE GIOSIANA)

2.1. Presentazione del testo
2.2. Attribuzione letteraria
2.3. Significato della reinterpretazione
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Una tappa importante nella tradizione dell’Emmanuele è testimoniata da Is 9,1-6 [15]. La pericope, che canta la gioia per la nascita di un figlio regale, appartiene alle pagine più note e particolarmente studiate del libro di Isaia. Sotto il profilo del genere letterario il brano si presenta come un inno di ringraziamento, la cui costruzione è dominata fondamentalmente da alcuni motivi propri dell’ideologia regale di Gerusalemme (sotto questo profilo sono molto eloquenti i vv. 5-6).

2.1. Presentazione del testo
Per cogliere l’importanza del brano all’interno della tradizione di Is 7 è anzitutto necessario accostare, almeno in forma sintetica, il suo messaggio [16]. L’evento della liberazione viene descritto poeticamente, nel v. 1, come l’irrompere improvviso della luce (simbolo di libertà e di vita) nel luogo stesso dell’oscurità e delle tenebre. Al motivo della luce si associa quello della gioia che costituisce il contenuto di una dichiarazione di fede (v. 2): il Signore ha moltiplicato la gioia per il suo popolo, gioia che sì sperimenta alla sua presenza (allusione al tempio di Gerusalemme) e si sprigiona con l’intensità propria delle esperienze elementari della vita, quali sono la mietitura (contesto agricolo) e la spartizione del bottino (contesto militare).

1 vv. 3-5a contengono una triplice motivazione, enfatizzata dalla congiunzione ki (perché) ripetuta all’inizio di ogni versetto. Come risulta evidente dall’esplicito riferimento alla vittoria di Gedeone (v. 3), la gioia si fonda anzitutto sulla liberazione realizzata e assicurata dall’intervento prodigioso dei Signore. La grandezza dell’opera divina è messa in evidenza dalla descrizione della tirannia esercitata dalla dominazione straniera. Questa è presentata plasticamente mediante tre termini (giogo, sbarra, bastone), che concorrono a evidenziare la straordinaria potenza di JHV;H in quanto ricreano, a livello narrativo, il quadro drammatico dell’oppressione, che è stata “spezzata » per sempre dall’intervento salvifico di Dio. La fine dell’oppressione, simboleggiato dal fuoco che brucia le rumorose calzature militari e i mantelli intrisi di sangue (v. 4), costituisce, a sua volta, il motivo di una gioia ancora più intensa, perché scaturisce ormai dall’esaltante esperienza della sicurezza che la liberazione divina ha dischiuso. In questo inarrestabile crescendo il motivo-culmine della gioia esplode nella proclamazione del bambino nato e subito connotato come il « figlio dato » (v. 5a). La forma passiva del verbo « dare » (passivo teologico) presenta il figlio quale dono del Signore stesso che, in questo modo, si manifesta fedele alla sua promessa (cf Is 7,14). Se la liberazione divina moltiplica la gioia, questa trova il suo fondamento nella stessa fedeltà del Signore di cui il figlio nato è segno.
Il v. 5b, come si evince dalla tipica forma narrativa dei verbi ebraici, contempla il « figlio » nella pienezza della sua funzione regale: sulla spalla del « figlio dato » è posato il segno della sovranità ed egli ha così ricevuto i titoli corrispondenti: « consigliere ammirabile » (come Salomone), « Dio potente » (come Davide strumento delle vittorie di Dio), « padre per sempre » (per la ricerca del benessere del popolo), « principe della pace » (in quanto garante della libertà da ogni potenza nemica). In stretta connessione con il v. 5b, il v. 6 descrive, con un linguaggio altamente simbolico, la grandezza della sovranità e la perennità della pace che hanno come centro il trono di Davide e come ambito di irradiazione il suo regno: un regno consolidato nel diritto e nella giustizia e, quindi, in piena sintonia con le esigenze fondamentali del Signore e della sua parola.

2.2. Attribuzione letteraria
Se la pericope di Is 9,1-6 si presenta particolarmente ricca per il messaggio appena richiamato, essa si configura piuttosto problematica a livello di critica letteraria. Ciò risulta immediatamente evidente dalle diverse posizioni che sono state assunte circa la sua autenticità. Effettivamente mentre alcuni esegeti attribuiscono il brano al profeta Isaia (Alt, Eissfeldt, von Rad, Penna), altri, invece, lo ritengono una promessa messianica postesilica (Dubin, Marti, Fohror). Recentemente alcuni studiosi (Barth, Verrneylen) hanno messo l’origine del testo in rapporto con la redazione giosiana dei libro di Isaia e quindi con l’attività redazionale della scuola deuteronomistica [17].
Quest’ultima attribuzione è sostenuta da una serie di motivazioni di notevole importanza e peso. Anzitutto la dichiarazione solenne « un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio » (9,5) presenta delle connessioni tematiche e, in parte, anche letterarie con una glossa tipicamente deuteronomistica che, nella forma di una profezia « post eventum », annuncia la nascita di Giosia, e quindi la sua ascesa al trono, come l’avvenimento decisivo nel futuro di Israele, grazie al quale tutte le tribù saranno nuovamente riunite nell’unico culto gradito al Signore: « Ecco nascerà un figlio nella casa di Davide, chiamato Giosia… » (IRe 13,2). Notiamo, inoltre, che l’esplicito richiamo all’intervento divino realizzatosi « al tempo di Madian » (v. 3) pone il nostro brano nella prospettiva teologica della fiducia nel Signore che combatte per il suo popolo. Proprio questa prospettiva è stata sviluppata dall’opera deuteronomistica nella pericope che narra la sconfitta dei Madianiti ad opera di Gedeone (cf Gdc 7,1-22). In questa pagina, infatti, la narrazione sviluppa in modo grandioso e organico il messaggio teologico che la vittoria non è dovuta alla forza militare, di cui disponeva Gedeone, ma unicamente all’intervento salvifico di JHWH.
I dati ora presentati orientano ad attribuire la pagina di Is 9,1-6 alla scuola deuteronomistica. La connessione letteraria con 1Re 13,2 è un elemento determinante per ritenere che il nostro testo è sorto per celebrare Giosia (640-609), il re che, approfittando della debolezza dell’Assiria, potè estendere la giurisdizione della casa di Giuda alle tribù che formavano un tempo il regno di Israele e che nel 722 erano state sottomesse all’irnpero assiro.
Il riferimento a Giosia risulta ulteriormente confermato dal fatto che al momento in cui si inserì il poema nel Memoriale di Isaia si premise l’affermazione di 8,23b per sottolineare che la sottomissione delle regioni di Zabulon e di Neftali all’Assiria rappresentavano ormai un evento dei passato. In questo modo acquista esplicito rilievo l’annuncio che la liberazione compiuta da Giosia costituisce l’evento della salvezza promesso da Isaia e ora divenuto finalmente realtà. La via del mare, che unisce l’Egitto alla Mesopotamia, appare come il luogo nel quale si manifesta la salvezza del Signore che da Giuda si estende fino alle regioni estreme di Israele: a est dei Giordano e alle due tribù settentrionali di Zabulon e Neftali, nella Galilea. In altri termini, il regno di Davide appare sostanzialmente ricostruito anche sotto il profilo geografico-territoriale!

2.3. Significato della reinterpretazione
In questo contesto è interessante ora rilevare che la nostra pericope presenta anche delle indubbie connessioni letterarie con la pagina dell’Emmanuele, soprattutto con Is 7,13-14. In particolare è evidente che Is 9,5-6 riprende Is 7,14. In entrambi i testi si parla di un « figlio » della stirpe di Davide. Se Is 7 ne annuncia la nascita, Is 9 la presuppone avvenuta e la proclama, insinuando in questo modo che la promessa dell’Emmanuele si è adempiuta. Gli stessi titoli riferiti al davidide (« Consigliere ammirabile », « Dio potente », « Padre per sempre », Principe della pace ») lo presentano in una prospettiva ideale nella quale confluiscono le caratteristiche della potenza di Davide e della sapienza di Salomone. In altri termini, egli è il segno della fedeltà di JHWH alla sua promessa e, quindi, il segno della stessa presenza salvifica del Signore nella storia del suo popolo.
La connessione letteraria di Is 9,1-6 con Is 7 è illuminante. Alla luce di questo, dato, infatti, la nostra pericope si configura come una grandiosa reinterpretazione deuteronomistica della promessa isaiana dell’Emmanuele. li discendente, nel quale si rende evidente il pieno fallimento dei progetto di porre fine alla casa di Davide, è in modo emblematico il re Giosia.
Questo meraviglioso poema, inserito nel Memoriale di Isaia, condivise lo sviluppo teologico che contraddistinse sia il processo di formazione dell’opera isaiana, sia in particolare l’itinerario della tradizione di Is 7. La ricchezza delle immagini e dei simboli, che trascendono l’opera storica del re Giosia, hanno facilitato, nel periodo postesilico, la lettura messianica di questa pagina. Grazie ad essa lo sguardo, che prima era rivolto al passato per celebrare la liberazione compiuta dal Signore attraverso il « figlio », si rivolge ora verso il futuro nell’attesa del nuovo Davide che inaugurerà il regno di Dio, fondato sul diritto e la giustizia e caratterizzato dalla « pace senza fine ». Questa rilettura non ci è solo autorevolmente attestata in tempi recenti dalla versione greca della LXX (poi ripresa dalla Vulgata). In realtà essa è già presente nel testo ebraico. come risulta dalla dichiarazione conclusiva del v. 6, dove quanto è descritto nel poema viene presentato come l’opera che il Signore realizzerà nella sua ardente gelosia. Effettivamente il tema della gelosia di JHWH, intesa come energia d’amore che spinge JHWH a tutelare il suo popolo dalle potenze ostili che ne minacciano l’esistenza e l’autenticità, costituisce un motivo che si è sviluppato nel primo periodo dopo l’esilio, in modo speciale ad opera dei profeta Zaccaria (cf Zc 1, 14-15; 8,2). Una simile rilettura testimonia una nuova fase di attualizzazione reinterpretatrice della tradizione dell’Emmanuele, fase che ci è testimoniata in modo emblematico nella pericope di Is 11, 1 -5.

Venerdì 23 dicembre, Ufficio delle Letture, Sant’Ippollito: Rivelazione del Dio invisibile

VENERDÌ 23 DICEMBRE 2011 – FERIA D’AVVENTO

Seconda Lettura
Dal trattato «Contro Noèto» di sant’Ippòlito, sacerdote
(Cap. 9-12; PG 10, 815-819)

Rivelazione di Dio invisibile
Uno solo è Dio, fratelli, colui che noi non conosciamo per altra via che quella delle Sacre Scritture.
Noi dobbiamo quindi sapere tutto quanto le divine Scritture ci annunziano e conoscere quanto esse ci insegnano. Dobbiamo credere al Padre, come lui vuole che gli crediamo, glorificare il Figlio come vuole che lo glorifichiamo, ricevere lo Spirito Santo come desidera che lo riceviamo.
Procuriamo di arrivare a una comprensione delle realtà divine non secondo la nostra intelligenza e non certo facendo violenza ai doni di Dio, ma nella maniera in cui egli stesso volle rivelarsi nelle Sacre Scritture.
Dio esisteva in sé perfettamente solo. Nulla c’era che fosse in qualche modo partecipe della sua eternità. Allora egli stabilì di creare il mondo. Come lo pensò, come lo volle e come lo descrisse con la sua parola, così anche lo creò. Il mondo cominciò ad esistere, perciò, come lo aveva desiderato. E quale lo aveva progettato, tale lo realizzò. Dunque Dio esisteva nella sua unicità e nulla c’era che fosse coeterno con lui. Niente esisteva se non Dio. Egli era solo, ma completo in tutto. In lui si trovava intelligenza, sapienza, potenza e consiglio. Tutto era in lui ed egli era il tutto. Quando volle, e nella misura in cui volle, egli, nel tempo da lui prefissato, ci rivelò il suo Verbo per mezzo del quale aveva creato tutte le cose.
Poiché dunque Dio possedeva in sé la sua Parola, ed essa era inaccessibile per il mondo creato, egli la rese accessibile. Pronunziando una prima parola, e generando luce da luce, presentò alla stessa creazione come Signore il suo stesso Pensiero, e rese visibile colui che egli solo conosceva e vedeva in se stesso e che prima era assolutamente invisibile per il mondo creato. Lo rivelò perché il mondo lo vedesse e così potesse essere salvato.
Questi è la Sapienza che venendo nel mondo si rivelò Figlio di Dio. Tutto fu creato per mezzo di lui, ma egli è l’unico che viene dal Padre.
Questi poi diede una legge e dei profeti e li fece parlare nello Spirito Santo perché, ricevendo l’ispirazione della potenza del Padre, annunziassero il volere e il disegno del Padre.
Così dunque fu rivelato il Verbo di Dio, come dice il beato Giovanni che sommariamente riprende le cose già dette dai profeti mostrando che questi è il Verbo, nel quale tutto fu creato. Dice Giovanni: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di lui, senza di lui nulla è stato fatto» (Gv 1, 1. 3).
Più avanti dice: Il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo ha conosciuto. Venne presso i suoi, ma i suoi non lo hanno accolto (cfr. Gv 1, 10-11).

Giovedì 22 dicembre 2011, Ufficio delle Letture, Dal «Commento su san Luca» di san Beda il Venerabile: il Magnificat

GIOVEDÌ 22 DICEMBRE 2011 – FERIA D’AVVENTO

UFFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura

Dal «Commento su san Luca» di san Beda il Venerabile, sacerdote

(1, 46-55; CCL 120, 37-39)

Magnificat
«E Maria disse: L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore» (Lc 1, 46). Dice: il Signore mi ha innalzato con un dono così grande e così inaudito che non è possibile esprimerlo con nessun linguaggio: a stento lo può comprendere il cuore nel profondo. Levo quindi un inno di ringraziamento con tutte le forze della mia anima e mi do, con tutto quello che vivo e sento e comprendo, alla contemplazione della grandezza senza fine di Dio, poiché il mio spirito si allieta della eterna divinità di quel medesimo Gesù, cioè del Salvatore, di cui il mio seno è reso fecondo con una concezione temporale.
«Perché ha fatto in me cose grandi l’Onnipotente, e santo è il suo nome» (cfr. Lc 1, 49). Si ripensi all’inizio del cantico dove è detto: «L’anima mia magnifica il Signore». Davvero solo quell’anima a cui il Signore si è degnato di fare grandi cose può magnificarlo con lode degna ed esortare quanti sono partecipi della medesima promessa e del medesimo disegno di salvezza: Magnificate con me il Signore, esaltiamo insieme il suo nome (cfr. Sal 33, 4). Chi trascurerà di magnificare, per quanto sta in lui, il Signore che ha conosciuto e di santificare il nome, «sarà considerato il minimo nel regno dei cieli» (Mt 5, 19).
Il suo nome poi è detto santo perché con il fastigio della sua singolare potenza trascende ogni creatura ed è di gran lunga al di là di tutto quello che ha fatto.
«Ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia» (Lc 1, 54). Assai bene dice Israele servo del Signore, cioè ubbidiente e umile, perché da lui fu accolto per essere salvato, secondo quanto dice Osea: Israele è mio servo e io l’ho amato (cfr. Os 11, 1). Colui infatti che disdegna di umiliarsi non può certo essere salvato né dire con il profeta: «Ecco, Dio è il mio aiuto, il Signore mi sostiene» (Sal 53, 6) e: Chiunque diventerà piccolo come un bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli (cfr. Mt 18, 4).
«Come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre» (Lc 1, 55). Si intende la discendenza spirituale, non carnale, di Abramo; sono compresi, cioè, non solo i generati secondo la carne, ma anche coloro che hanno seguito le orme della sua fede, sia nella circoncisione sia nell’incirconcisione. Anche lui credette quando non era circonciso, e gli fu ascritto a giustizia. La venuta del Salvatore fu promessa ad Abramo e alla sua discendenza, cioè ai figli della promessa, ai quali è detto: «Se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa» (Gal 3, 29).
E’ da rilevare poi che le madri, quella del Signore e quella di Giovanni, prevengono profetando la nascita dei figli: e questo è bene perché come il peccato ebbe inizio da una donna, così da donne comincino anche i benefici, e come il mondo ebbe la morte per l’inganno di una donna, così da due donne, che a gara profetizzano, gli sia restituita la vita.

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