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VENERDÌ 21 AGOSTO 2009 – XX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

VENERDÌ 21 AGOSTO 2009 – XX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

SAN PIO X PAPA (m)

Seconda Lettura
Dalla Costituzione Apostolica «Divino Afflatu» di san Pio X, papa
(AAS 3 [1911], 633-635)

La Chiesa che canta le lodi di Dio
I salmi furono composti per divina ispirazione e si trovano raccolti nelle Sacre Scritture. Risulta che fin dagli inizi della Chiesa sono serviti meravigliosamente a nutrire la pietà dei fedeli. I cristiani mediante i salmi offrivano continuamente a Dio il sacrificio di lode, cioè il frutto delle labbra che rendevano omaggio al suo nome (cfr. Eb 13, 15; Os 14, 3). Una parte ragguardevole della stessa sacra Liturgia e del divino Ufficio, secondo l’uso già accolto nella Legge antica, è costituito da salmi. Da essi nacque quella «voce della Chiesa» di cui parla Basilio, e la salmodia, «figlia di quella innodia», come la chiama il nostro predecessore Urbano ottavo, «che risuona incessantemente davanti al trono di Dio e dell’Agnello». Sono i salmi soprattutto che, secondo sant’Atanasio, insegnano agli uomini consacrati al culto divino, «in che misura si debba lodare Dio, e con quali parole rendergli decorosamente omaggio». Egregiamente dice a tal proposito Agostino: «Per essere opportunamente lodato dall’uomo, Dio stesso si è lodato; e poiché si è degnato di lodare se stesso, per questo l’uomo ha trovato come lo possa lodare».
Nei salmi si trova una sorprendente efficacia per suscitare negli animi di tutti il desiderio delle virtù. Benché, infatti, tutta la nostra Scrittura, e antica e nuova, sia divinamente ispirata e utile all’istruzione (cfr. 2 Tm 3, 16), però il libro dei salmi, secondo sant’Atanasio è, per così dire, il giardino paradisiaco nel quale si possano cogliere i frutti di tutti gli altri testi ispirati. Così il salterio non solo innalza i canti degli altri libri biblici, ma vi unisce anche i suoi, che modula al suono della cetra. Sant’Atanasio aggiunge: «In verità, a me che innalzano canti, i salmi sembrano essere come degli specchi in cui uno contempla se stesso e il suo stato interiore e da ciò si sente animato a recitarli». Sant’Agostino nelle Confessioni esclama: «Quanto ho pianto al sentire gli inni e i canti in tuo onore, vivamente commosso dalla voci della tua Chiesa, che cantava dolcemente! Quelle voci vibravano nelle mie orecchie e la verità calava nel mio cuore e tutto si trasformava in sentimento di amore e mi procurava tanta gioia da farmi sciogliere in lacrime».
Chi non si sentirebbe altamente edificato nel ripetere qualcuno di quei numerosi passi che cantano così liricamente e profondamente l’infinita grandezza di Dio, la sua potenza, la sua eccelsa santità, la sua bontà e misericordia con tutte le altre infinite prerogative divine?
Quell’intenso sentimento religioso che li permea è straordinariamente efficace a muovere il cuore alla gratitudine verso i benefici divini, o ad ispirare l’umile supplica in ordine a nuove grazie, o a suscitare salutari propositi di conversione dal peccato.
I salmi accendono l’amore a Cristo perché sono come un quadro che presenta ben delineata l’immagine del Redentore. Giustamente dunque Agostino  «sentiva in tutti i salmi la voce che esultava e che gemeva, che si allietava nella speranza o che sospirava la meta».

Responsorio    1 Ts 2, 4. 3
R. Dio ci ha trovati degni di affidarci il Vangelo, e così lo predichiamo: * non cerchiamo di piacere agli uomini, ma a Dio.
V. Il nostro appello non proviene da volontà di inganno, né da torbidi motivi;
R. non cerchiamo di piacere agli uomini, ma a Dio.

SABATO 15 AGOSTO – ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

SABATO 15 AGOSTO - ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA dans Lettera agli Efesini Nicolas_Poussin._The_Assumption_of_the_Virgin._c._1638._The_National_Gallery_of_Art_Washington._jpeg

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SABATO 15 AGOSTO – ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

MESSA VESPERTINA DELLA VIGILIA LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/festeSolen/0815Page.htm

MESSA DEL GIORNO LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/festeSolen/0815Page.htm

MESSA VESPERTINA DELLA VIGILIA

Seconda  Lettura   1 Cor 15, 54-57
Dio ci dà la vittoria per mezzo di Gesù Cristo.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, quando questo corpo mortale si sarà vestito d’immortalità, si compirà la parola della Scrittura:
«La morte è stata inghiottita nella vittoria.
Dov’è, o morte, la tua vittoria?
Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?».
Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge. Siano rese grazie a Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo!

MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura  1 Cor 15, 20-27a
Cristo risorto è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo.
 
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita.
Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza.
È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi.

PRIMI VESPRI

Lettura Breve   Rm 8, 30
Quelli che Dio ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati.

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla lettera agli Efesini di san Paolo, apostolo 1, 16 – 2, 10
 
Dio ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù
Fratelli, non cesso di render grazie per voi, ricordandovi nelle mie preghiere, perché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui. Possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti secondo l’efficacia della sua forza
che egli manifestò in Cristo,
quando lo risuscitò dai morti
e lo fece sedere alla sua destra nei cieli,
al di sopra di ogni principato e autorità,
di ogni potenza e dominazione
e di ogni altro nome che si possa nominare
non solo nel secolo presente
ma anche in quello futuro.
Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi (Sal 8, 7)
e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa,
la quale è il suo corpo,
la pienezza di colui che si realizza interamente
in tutte le cose.
Anche voi eravate morti per le vostre colpe e i vostri peccati, nei quali un tempo viveste alla maniera di questo mondo, seguendo il principe delle potenze dell’aria, quello spirito che ora opera negli uomini ribelli. Nel numero di quei ribelli, del resto, siamo vissuti anche tutti noi, un tempo, con i desideri della nostra carne, seguendo le voglie della carne e i desideri cattivi; ed eravamo per natura meritevoli d’ira, come gli altri. Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia infatti siete stati salvati. Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù.
Per questa grazia infatti siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo.

Responsorio   
R. Bella, e tutta gloriosa, la Vergine Maria passa da questo mondo a Cristo; * splende tra i santi come il sole tra gli astri.
V. Godono gli angeli, si rallegrano gli arcangeli per l’esaltazione di Maria:
R. splende tra i santi come il sole tra gli astri.

Seconda Lettura
Dalla Costituzione Apostolica »Munificentissimus Deus» di Pio XII, papa
(AAS 42 [1950], 760-762. 767-769)

Santità, splendore e gloria: il corpo della Vergine!
I santi padri e i grandi dottori nelle omelie e nei discorsi, rivolti al popolo in occasione della festa odierna, parlavano dell’Assunzione della Madre di Dio come di una dottrina già viva nella coscienza dei fedeli e da essi già professata; ne spiegavano ampiamente il significato, ne precisavano e ne apprendevano il contenuto, ne mostravano le grandi ragioni teologiche. Essi mettevano particolarmente in evidenza che oggetto della festa non era unicamente il fatto che le spoglie mortali della beata Vergine Maria fossero state preservate dalla corruzione, ma anche il suo trionfo sulla morte e la sua celeste glorificazione, perché la Madre ricopiasse il modello, imitasse cioè il suo Figlio unico, Cristo Gesù.
San Giovanni Damasceno, che si distingue fra tutti come teste esimio di questa tradizione, considerando l’Assunzione corporea della grande Madre di Dio nella luce degli altri suoi privilegi, esclama con vigorosa eloquenza: «Colei che nel parto aveva conservato illesa la sua verginità doveva anche conservare senza alcuna corruzione il suo corpo dopo la morte. Colei che aveva portato nel suo seno il Creatore, fatto bambino, doveva abitare nei tabernacoli divini. Colei, che fu data in sposa dal Padre, non poteva che trovar dimora nelle sedi celesti. Doveva contemplare il suo Figlio nella gloria alla destra del Padre, lei che lo aveva visto sulla croce, lei che, preservata dal dolore, quando lo diede alla luce, fu trapassata dalla spada del dolore quando lo vide morire. Era giusto che la Madre di Dio possedesse ciò che appartiene al Figlio, e che fosse onorata da tutte le creature come Madre ed ancella di Dio».
San Germano di Costantinopoli pensava che l’incorruzione e l’assunzione al cielo del corpo della Vergine Madre di Dio non solo convenivano alla sua divina maternità, ma anche alla speciale santità del suo corpo verginale: «Tu, come fu scritto, sei tutta splendore (cfr. Sal 44, 14); e il tuo corpo verginale è tutto santo, tutto casto, tutto tempio di Dio. Per questo non poteva conoscere il disfacimento del sepolcro, ma, pur conservando le sue fattezze naturali, doveva trasfigurarsi in luce di incorruttibilità, entrare in una esistenza nuova e gloriosa, godere della piena liberazione e della vita perfetta».
Un altro scrittore antico afferma: «Cristo, nostro salvatore e Dio, donatore della vita e dell’immortalità, fu lui a restituire la vita alla Madre. Fu lui a rendere colei, che l’aveva generato, uguale a se stesso nell’incorruttibilità del corpo, e per sempre. Fu lui a risuscitarla dalla morte e ad accoglierla accanto a sé, attraverso una via che a lui solo è nota».
Tutte queste considerazioni e motivazioni dei santi padri, come pure quelle dei teologi sul medesimo tema, hanno come ultimo fondamento la Sacra Scrittura. Effettivamente la Bibbia ci presenta la santa Madre di Dio strettamente unita al suo Figlio divino e sempre a lui solidale, e compartecipe della sua condizione.
Per quanto riguarda la Tradizione, poi, non va dimenticato che fin dal secondo secolo la Vergine Maria vene presentata dai santi padri come la novella Eva, intimamente unita al nuovo Adamo, sebbene a lui soggetta. Madre e Figlio appaiono sempre associati nella lotta contro il nemico infernale; lotta che, come era stato preannunziato nel protovangelo (cfr. Gn 3, 15), si sarebbe conclusa con la pienissima vittoria sul peccato e sulla morte, su quei nemici, cioè, che l’Apostolo delle genti presenta sempre congiunti (cfr. Rm capp. 5 e 6; 1 Cor 15, 21-26; 54-57). Come dunque la gloriosa risurrezione di Cristo fu parte essenziale e il segno finale di questa vittoria, così anche per Maria la comune lotta si doveva concludere con la glorificazione del suo corpo verginale, secondo le affermazioni dell’Apostolo: «Quando questo corpo corruttibile si sarà vestito di incorruttibilità e questo corpo mortale di immortalità, si compirà la parola della Scrittura: La morte è stata ingoiata per la vittoria» (1 Cor 15; 54; cfr. Os 13, 14).
In tal modo l’augusta Madre di Dio, arcanamente unita a Gesù Cristo fin da tutta l’eternità «con uno stesso decreto» di predestinazione, immacolata nella sua concezione, vergine illibata nella sua divina maternità, generosa compagna del divino Redentore, vittorioso sul peccato e sulla morte, alla fine ottenne di coronare le sue grandezze, superando la corruzione del sepolcro. Vinse la morte, come già il suo Figlio, e fu innalzata in anima e corpo alla gloria del cielo, dove risplende Regina alla destra del Figlio suo, Re immortale dei secoli.

Responsorio
R. Ecco il giorno luminoso, nel quale la Madre di Dio è salita al cielo; lodiamo e acclamiamo tutti: * Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo seno.
V. Beata sei tu, santa Vergine Maria, e meritevole d’ogni lode: da te è nato il sole di giustizia, Cristo Salvatore.
R. Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo seno.

SECONDI VESPRI

Lettura breve  1 Cor 15, 22-23
Come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. Ciascuno però nel suo ordine: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo.

3.3. Il dono del Figlio e le sue implicazioni morali, secondo le epistole paoline e altre (Pontificia Commissione Biblica)

dal sito:

http://www.jesus.2000.years.de/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_20080511_bibbia-e-morale_it.html

PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA

BIBBIA E MORALE

RADICI BIBLICHE DELL’AGIRE CRISTIANO

3.3. Il dono del Figlio e le sue implicazioni morali, secondo le epistole paoline e altre 

3.3.1. Il dono di Dio secondo Paolo

53. Per l’apostolo Paolo la vita morale non si comprende se non come una risposta generosa all’amore e al dono di Dio per noi. Infatti Dio, volendo fare di noi i suoi figli, ha inviato il suo Figlio e ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abba, Padre (Gal 4,6; cf. Ef 1,3-14), affinché non camminiamo più prigionieri del peccato, ma ‘secondo lo Spirito’ (Rm 8,5); “Poiché se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito” (Gal 5,25).

I credenti sono perciò invitati a rendere grazie costantemente a Dio (1 Ts 5,18; cf. Ef 5,20; Col 3,15). Quando Paolo li esorta a vivere una vita degna della loro chiamata, lo fa sempre mettendo di fronte ai loro occhi il dono immenso di Dio per loro, perché la vita morale non trova il suo vero e pieno senso se non è vissuta come una offerta di se stessi per rispondere al dono di Dio (Rm 12,1).

3.3.2. L’insegnamento morale di Paolo

54. Nei suoi scritti Paolo insiste sul fatto che l’agire morale del credente è un effetto della grazia di Dio che lo ha reso giusto e che lo fa perseverare. Perché Dio ha perdonato a noi e ci ha resi giusti, egli gradisce il nostro agire morale che dà testimonianza della salvezza operante in noi.

a. L’esperienza dell’amore di Dio come base della morale

55. Ciò che fa nascere la morale cristiana non è una norma esterna bensì l’esperienza dell’amore di Dio per ciascuno, una esperienza che l’apostolo vuol ricordare nelle sue lettere affinché le sue esortazioni possano essere comprese e accolte. Egli fonda i suoi consigli ed esortazioni sull’esperienza fatta in Cristo e nello Spirito senza imporre nulla dall’esterno. Se i credenti devono lasciarsi illuminare e guidare dall’interno e se le esortazioni e i consigli non possono far altro che chiedere loro di non dimenticare l’amore e il perdono ricevuti, la ragione consiste nel fatto che essi hanno sperimentato la  misericordia di Dio nei loro confronti, in Cristo, e che essi sono intimamente uniti a Cristo e hanno ricevuto il suo Spirito. Si potrebbe formulare il principio che guida le esortazioni di Paolo: quanto più i credenti sono guidati dallo Spirito tanto meno c’è bisogno di dare loro regole per l’agire.

Una conferma del procedimento di Paolo si presenta nel fatto che egli non inizia le sue lettere con esortazioni morali e non risponde direttamente ai problemi dei suoi destinatari. Mette sempre una distanza fra i problemi e le sue risposte. Riprende le grandi linee del suo Vangelo (per es. Rm 1-8) e mostra come i suoi destinatari devono sviluppare il loro modo di comprendere il Vangelo e poi arriva progressivamente a formulare i suoi consigli per le diverse difficoltà delle giovani chiese (per es. Rom 12-15).

È possibile domandarsi se Paolo anche oggi scriverebbe in questa maniera, se è vero che una maggioranza dei cristiani forse non ha mai fatto l’esperienza della generosità infinita di Dio nei loro confronti e si trovano piuttosto nella situazione di un cristianesimo puramente ‘sociologico’.

In questo contesto si pone pure un’altra domanda: se, cioè, nel passare dei secoli si sia creato un distacco troppo grande fra gli imperativi morali, presentati ai credenti, e le loro radici evangeliche. In ogni caso, è oggi importante formulare di nuovo il rapporto fra le norme e le loro motivazioni evangeliche, per far meglio comprendere come la presentazione delle norme morali dipende dalla presentazione del Vangelo.

b. Il rapporto con Cristo come fondamento dell’agire del credente

56. Ciò che determina per Paolo l’agire morale non è una concezione antropologica, cioè una certa idea dell’uomo e della sua dignità, bensì il rapporto con Cristo. Se Dio giustifica ogni persona umana mediante la fede sola, senza le opere della Legge, ciò non avviene affinché tutti continuino a vivere nel peccato: “Noi, che già siamo morti al peccato, come potremo ancora vivere in esso?” (Rm 6,2). Ma la morte al peccato è una morte con Cristo. Troviamo qui una prima formulazione del fondamento cristologico dell’agire morale dei credenti, fondamento espresso come unione che implica una separazione: uniti a Cristo, i credenti sono ormai separati dal peccato. Importante è l’assimilazione dell’itinerario dei credenti a quello di Cristo. In altre parole: i principi dell’agire morale non sono astratti ma vengono piuttosto da un rapporto con Cristo che ci ha fatti morire insieme con lui al peccato: l’agire morale è direttamente fondato sulla unione con Cristo e sull’inabitazione dello Spirito, dal quale esso viene e di cui è espressione. Così, questo agire non è, fondamentalmente, dettato da norme esteriori, ma proviene dal forte rapporto che nello Spirito connette i credenti a Cristo e a Dio.

Paolo trae anche implicazioni morali dalla sua affermazione unica e caratteristica che la Chiesa è il “corpo di Cristo”. Per l’apostolo questo è più che una semplice metafora e raggiunge uno status quasi-metafisico. Siccome il cristiano è membro del corpo di Cristo, commettere fornicazione è attaccare il corpo della prostituta al corpo di Cristo (1 Cor 6,15-17); siccome i cristiani formano l’unico corpo di Cristo, la varietà dei doni dei membri deve essere usata in armonia e con mutuo rispetto e amore, dando speciale attenzione alle membra più vulnerabili (1 Cor 12-13); celebrando l’Eucaristia, i cristiani non debbono violare o trascurare il corpo di Cristo, arrecando offesa ai membri più poveri (1 Cor 11,17-34; cf. sotto, le implicazioni morali dell’Eucaristia, nn. 77-79).

c. Comportamenti principali verso Cristo Signore

57. Dato che il rapporto con Cristo è tanto fondamentale per l’agire morale dei credenti, Paolo chiarisce quali sono i giusti comportamenti nei confronti del Signore.

Non frequentemente, ma in due testi conclusivi degli scritti paolini si dice che bisogna amare il Signore Gesù Cristo: “Se qualcuno non ama il Signore, sia maledetto!” (1 Cor 16,22) e “La grazia sia con tutti quelli che amano il nostro Signore Gesù Cristo con amore incorruttibile” (Ef 6,24).

È chiaro che questo amore non è un sentimento inoperante, bensì deve concretizzarsi in azioni. La concretizzazione può venire dal titolo più frequente di Cristo, quello di ‘Signore’. La denominazione ‘signore’ è opposta a quella di ‘schiavo’, al quale compete il servire. Sappiamo pure che ‘Signore’ è un titolo divino passato a Cristo. Difatti i cristiani sono chiamati a servire il Signore (Rm 12,11; 14,18; 16,18). Questo rapporto dei credenti con Cristo Signore influisce fortemente nei loro vicendevoli rapporti. Non è giusto comportarsi da giudice di un servo che appartiene a questo Signore (Rm 14,4.6-9). I rapporti fra quelli che, nella società antica, sono schiavi e sono signori, vengono relativizzati (1 Cor 7,22-23; Fm; cf. Col 4,1; Ef 6,5-9). A uno che è servo del Signore conviene, per amore di Gesù, servire quelli che appartengono a questo Signore (2 Cor 4,5).

Dato che con ‘Signore’ è passato un titolo divino a Cristo, possiamo osservare che gli atteggiamenti del credente anticotestamentario nei confronti di Dio passano pure a Cristo: in lui si crede (Rm 3,22.26; 10,14; Gal 2,16.20; 3,22.26; cf. Col 2,5-7; Ef 1,15); in lui si spera (Rm 15,12; 1 Cor 15,19); lui viene amato (1 Cor 16,22; cf. Ef 6,24); a lui si ubbidisce (2 Cor 10,5).

L’agire giusto che corrisponde a questi atteggiamenti nei confronti del Signore, si può desumere dalla sua volontà che si manifesta nelle sue parole ma specialmente nel suo esempio.

d. L’esempio del Signore

58. Le istruzioni morali di Paolo sono di diverso genere. Egli dice con grande chiarezza e forza quali comportamenti sono perniciosi ed escludono dal regno di Dio (cf. Rm 1,18-32; 1 Cor 5,11; 6,9-10; Gal 5,14); si riferisce raramente alla legge mosaica come modello di comportamento (cf. Rm 13,8-10; Gal 5,14); non ignora i modelli morali degli stoici – ciò che gli uomini del suo tempo hanno considerato come buono e cattivo; inoltre trasmette alcune disposizioni di Cristo su problemi concreti (1 Cor 7,10; 9,14; 14,37); e si riferisce pure alla “legge di Cristo” che dice: “Portate i pesi gli uni degli altri!” (Gal 6,2).

Più frequenti sono i riferimenti all’esempio di Cristo che è da imitare e da seguire. In modo generale Paolo dice: “Diventate i miei imitatori come io lo sono di Cristo” (1 Cor 11,1). Esortando all’umiltà e a non cercare solo il proprio interesse (2,4), ammonisce i Filippesi: “Abbiate fra di voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù!” (2,5) e descrive l’intero cammino dell’abbassamento e della glorificazione di Cristo (2,6-11). Presenta pure come esemplare la generosità di Cristo, che si fece povero per renderci ricchi (2 Cor 8,9), e la sua dolcezza e mansuetudine (2 Cor 10,1).

Paolo mette specialmente in rilievo la forza impegnativa dell’amore di Cristo, che raggiunge il suo compimento nella passione. “Poiché l’amore del Cristo ci sospinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro” (2 Cor 5,14-15). Seguendo Gesù non è più possibile una “vita propria” secondo i propri progetti e desideri ma solo una vita in unione con Gesù. Paolo afferma per se stesso una tale vita: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me. Questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20). Questo atteggiamento si trova anche nell’esortazione della lettera agli Efesini: “Camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amati e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio a lui gradito” (Ef 5,2; cf. Ef 3,17; 4,15-16).

e. Il discernimento della coscienza guidato dallo Spirito

59. Anche se Paolo chiede poche volte ai credenti di discernere, lo fa in modo tale da far capire loro che tutte le decisioni devono essere prese con discernimento, come  dimostra l’inizio della parte esortativa della lettera ai Romani (Rm 12,2). I cristiani devono discernere, perché spesso le decisioni da prendere non sono affatto evidenti e palesi. Il discernimento consiste nell’esaminare, sotto la guida dello Spirito, ciò che è migliore e perfetto in ogni circostanza (cf. 1 Ts 5,21; Fil 1,10; Ef 5,10). Chiedendo ai credenti di discernere, l’apostolo li rende responsabili e sensibili alla voce discreta dello Spirito in loro. Paolo è convinto che lo Spirito che si manifesta nell’esempio di Cristo e che è vivo nei cristiani (cf. Gal 5,25; Rm 8,14), darà loro la capacità di decidere che cosa sia conveniente in ogni occasione.

Pontificia Commissione Biblica: 3.3.1. Il dono di Dio secondo Paolo

dal sito:

http://www.jesus.2000.years.de/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_20080511_bibbia-e-morale_it.html

PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA

BIBBIA E MORALE

RADICI BIBLICHE DELL’AGIRE CRISTIANO

3.3. Il dono del Figlio e le sue implicazioni morali, secondo le epistole paoline e altre 

3.3.1. Il dono di Dio secondo Paolo

53. Per l’apostolo Paolo la vita morale non si comprende se non come una risposta generosa all’amore e al dono di Dio per noi. Infatti Dio, volendo fare di noi i suoi figli, ha inviato il suo Figlio e ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abba, Padre (Gal 4,6; cf. Ef 1,3-14), affinché non camminiamo più prigionieri del peccato, ma ‘secondo lo Spirito’ (Rm 8,5); “Poiché se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito” (Gal 5,25).

I credenti sono perciò invitati a rendere grazie costantemente a Dio (1 Ts 5,18; cf. Ef 5,20; Col 3,15). Quando Paolo li esorta a vivere una vita degna della loro chiamata, lo fa sempre mettendo di fronte ai loro occhi il dono immenso di Dio per loro, perché la vita morale non trova il suo vero e pieno senso se non è vissuta come una offerta di se stessi per rispondere al dono di Dio (Rm 12,1).

3.3.2. L’insegnamento morale di Paolo

54. Nei suoi scritti Paolo insiste sul fatto che l’agire morale del credente è un effetto della grazia di Dio che lo ha reso giusto e che lo fa perseverare. Perché Dio ha perdonato a noi e ci ha resi giusti, egli gradisce il nostro agire morale che dà testimonianza della salvezza operante in noi.

a. L’esperienza dell’amore di Dio come base della morale

55. Ciò che fa nascere la morale cristiana non è una norma esterna bensì l’esperienza dell’amore di Dio per ciascuno, una esperienza che l’apostolo vuol ricordare nelle sue lettere affinché le sue esortazioni possano essere comprese e accolte. Egli fonda i suoi consigli ed esortazioni sull’esperienza fatta in Cristo e nello Spirito senza imporre nulla dall’esterno. Se i credenti devono lasciarsi illuminare e guidare dall’interno e se le esortazioni e i consigli non possono far altro che chiedere loro di non dimenticare l’amore e il perdono ricevuti, la ragione consiste nel fatto che essi hanno sperimentato la  misericordia di Dio nei loro confronti, in Cristo, e che essi sono intimamente uniti a Cristo e hanno ricevuto il suo Spirito. Si potrebbe formulare il principio che guida le esortazioni di Paolo: quanto più i credenti sono guidati dallo Spirito tanto meno c’è bisogno di dare loro regole per l’agire.

Una conferma del procedimento di Paolo si presenta nel fatto che egli non inizia le sue lettere con esortazioni morali e non risponde direttamente ai problemi dei suoi destinatari. Mette sempre una distanza fra i problemi e le sue risposte. Riprende le grandi linee del suo Vangelo (per es. Rm 1-8) e mostra come i suoi destinatari devono sviluppare il loro modo di comprendere il Vangelo e poi arriva progressivamente a formulare i suoi consigli per le diverse difficoltà delle giovani chiese (per es. Rom 12-15).

È possibile domandarsi se Paolo anche oggi scriverebbe in questa maniera, se è vero che una maggioranza dei cristiani forse non ha mai fatto l’esperienza della generosità infinita di Dio nei loro confronti e si trovano piuttosto nella situazione di un cristianesimo puramente ‘sociologico’.

In questo contesto si pone pure un’altra domanda: se, cioè, nel passare dei secoli si sia creato un distacco troppo grande fra gli imperativi morali, presentati ai credenti, e le loro radici evangeliche. In ogni caso, è oggi importante formulare di nuovo il rapporto fra le norme e le loro motivazioni evangeliche, per far meglio comprendere come la presentazione delle norme morali dipende dalla presentazione del Vangelo.

b. Il rapporto con Cristo come fondamento dell’agire del credente

56. Ciò che determina per Paolo l’agire morale non è una concezione antropologica, cioè una certa idea dell’uomo e della sua dignità, bensì il rapporto con Cristo. Se Dio giustifica ogni persona umana mediante la fede sola, senza le opere della Legge, ciò non avviene affinché tutti continuino a vivere nel peccato: “Noi, che già siamo morti al peccato, come potremo ancora vivere in esso?” (Rm 6,2). Ma la morte al peccato è una morte con Cristo. Troviamo qui una prima formulazione del fondamento cristologico dell’agire morale dei credenti, fondamento espresso come unione che implica una separazione: uniti a Cristo, i credenti sono ormai separati dal peccato. Importante è l’assimilazione dell’itinerario dei credenti a quello di Cristo. In altre parole: i principi dell’agire morale non sono astratti ma vengono piuttosto da un rapporto con Cristo che ci ha fatti morire insieme con lui al peccato: l’agire morale è direttamente fondato sulla unione con Cristo e sull’inabitazione dello Spirito, dal quale esso viene e di cui è espressione. Così, questo agire non è, fondamentalmente, dettato da norme esteriori, ma proviene dal forte rapporto che nello Spirito connette i credenti a Cristo e a Dio.

Paolo trae anche implicazioni morali dalla sua affermazione unica e caratteristica che la Chiesa è il “corpo di Cristo”. Per l’apostolo questo è più che una semplice metafora e raggiunge uno status quasi-metafisico. Siccome il cristiano è membro del corpo di Cristo, commettere fornicazione è attaccare il corpo della prostituta al corpo di Cristo (1 Cor 6,15-17); siccome i cristiani formano l’unico corpo di Cristo, la varietà dei doni dei membri deve essere usata in armonia e con mutuo rispetto e amore, dando speciale attenzione alle membra più vulnerabili (1 Cor 12-13); celebrando l’Eucaristia, i cristiani non debbono violare o trascurare il corpo di Cristo, arrecando offesa ai membri più poveri (1 Cor 11,17-34; cf. sotto, le implicazioni morali dell’Eucaristia, nn. 77-79).

c. Comportamenti principali verso Cristo Signore

57. Dato che il rapporto con Cristo è tanto fondamentale per l’agire morale dei credenti, Paolo chiarisce quali sono i giusti comportamenti nei confronti del Signore.

Non frequentemente, ma in due testi conclusivi degli scritti paolini si dice che bisogna amare il Signore Gesù Cristo: “Se qualcuno non ama il Signore, sia maledetto!” (1 Cor 16,22) e “La grazia sia con tutti quelli che amano il nostro Signore Gesù Cristo con amore incorruttibile” (Ef 6,24).

È chiaro che questo amore non è un sentimento inoperante, bensì deve concretizzarsi in azioni. La concretizzazione può venire dal titolo più frequente di Cristo, quello di ‘Signore’. La denominazione ‘signore’ è opposta a quella di ‘schiavo’, al quale compete il servire. Sappiamo pure che ‘Signore’ è un titolo divino passato a Cristo. Difatti i cristiani sono chiamati a servire il Signore (Rm 12,11; 14,18; 16,18). Questo rapporto dei credenti con Cristo Signore influisce fortemente nei loro vicendevoli rapporti. Non è giusto comportarsi da giudice di un servo che appartiene a questo Signore (Rm 14,4.6-9). I rapporti fra quelli che, nella società antica, sono schiavi e sono signori, vengono relativizzati (1 Cor 7,22-23; Fm; cf. Col 4,1; Ef 6,5-9). A uno che è servo del Signore conviene, per amore di Gesù, servire quelli che appartengono a questo Signore (2 Cor 4,5).

Dato che con ‘Signore’ è passato un titolo divino a Cristo, possiamo osservare che gli atteggiamenti del credente anticotestamentario nei confronti di Dio passano pure a Cristo: in lui si crede (Rm 3,22.26; 10,14; Gal 2,16.20; 3,22.26; cf. Col 2,5-7; Ef 1,15); in lui si spera (Rm 15,12; 1 Cor 15,19); lui viene amato (1 Cor 16,22; cf. Ef 6,24); a lui si ubbidisce (2 Cor 10,5).

L’agire giusto che corrisponde a questi atteggiamenti nei confronti del Signore, si può desumere dalla sua volontà che si manifesta nelle sue parole ma specialmente nel suo esempio.

d. L’esempio del Signore

58. Le istruzioni morali di Paolo sono di diverso genere. Egli dice con grande chiarezza e forza quali comportamenti sono perniciosi ed escludono dal regno di Dio (cf. Rm 1,18-32; 1 Cor 5,11; 6,9-10; Gal 5,14); si riferisce raramente alla legge mosaica come modello di comportamento (cf. Rm 13,8-10; Gal 5,14); non ignora i modelli morali degli stoici – ciò che gli uomini del suo tempo hanno considerato come buono e cattivo; inoltre trasmette alcune disposizioni di Cristo su problemi concreti (1 Cor 7,10; 9,14; 14,37); e si riferisce pure alla “legge di Cristo” che dice: “Portate i pesi gli uni degli altri!” (Gal 6,2).

Più frequenti sono i riferimenti all’esempio di Cristo che è da imitare e da seguire. In modo generale Paolo dice: “Diventate i miei imitatori come io lo sono di Cristo” (1 Cor 11,1). Esortando all’umiltà e a non cercare solo il proprio interesse (2,4), ammonisce i Filippesi: “Abbiate fra di voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù!” (2,5) e descrive l’intero cammino dell’abbassamento e della glorificazione di Cristo (2,6-11). Presenta pure come esemplare la generosità di Cristo, che si fece povero per renderci ricchi (2 Cor 8,9), e la sua dolcezza e mansuetudine (2 Cor 10,1).

Paolo mette specialmente in rilievo la forza impegnativa dell’amore di Cristo, che raggiunge il suo compimento nella passione. “Poiché l’amore del Cristo ci sospinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro” (2 Cor 5,14-15). Seguendo Gesù non è più possibile una “vita propria” secondo i propri progetti e desideri ma solo una vita in unione con Gesù. Paolo afferma per se stesso una tale vita: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me. Questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20). Questo atteggiamento si trova anche nell’esortazione della lettera agli Efesini: “Camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amati e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio a lui gradito” (Ef 5,2; cf. Ef 3,17; 4,15-16).

e. Il discernimento della coscienza guidato dallo Spirito

59. Anche se Paolo chiede poche volte ai credenti di discernere, lo fa in modo tale da far capire loro che tutte le decisioni devono essere prese con discernimento, come  dimostra l’inizio della parte esortativa della lettera ai Romani (Rm 12,2). I cristiani devono discernere, perché spesso le decisioni da prendere non sono affatto evidenti e palesi. Il discernimento consiste nell’esaminare, sotto la guida dello Spirito, ciò che è migliore e perfetto in ogni circostanza (cf. 1 Ts 5,21; Fil 1,10; Ef 5,10). Chiedendo ai credenti di discernere, l’apostolo li rende responsabili e sensibili alla voce discreta dello Spirito in loro. Paolo è convinto che lo Spirito che si manifesta nell’esempio di Cristo e che è vivo nei cristiani (cf. Gal 5,25; Rm 8,14), darà loro la capacità di decidere che cosa sia conveniente in ogni occasione.

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ORATIONIS FORMAS (…su alcuni aspetti della mediitazione cristiana, 1989)

DAL DOCUMENTO CHE HO A CASA – LIBRERIA EDITRICE VATICANA 1991 PAG 17-61

ORATIONIS FORMAS

naturalmente il documento non si riferisce in particolare a San Paolo, tuttavia è, per me, un lettura importante anche (e soprattutto?) per chi ama San Paolo;

(ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni aspetti della meditazione cristiana 15 ottobre 1989)

1 INTRODUZIONE

1. In molti cristiani del nostro tempo è vivo il desiderio di imparare a pregare in modo autentico e approfondito, nonostante le non poche difficoltà che la cultura moderna pone all’avvertita esigenza di silenzio, di raccoglimento e di meditazione. L’interesse a forme di meditazione connesse ad alcune religioni orientali ed ai loro peculiari modi di preghiera in questi anni hanno suscitato anche tra i cristiani è un segno non piccolo di tale bisogno di raccoglimento spirituale e di profondo contatto col mistero divino. Di fronte a questo fenomeno, tuttavia, da molte parti è sentita pure la necessità di poter disporre di sicuri criteri di carattere dottrinale e pastorale che consentano di educare alla preghiera, nelle sue molteplici manifestazioni, restando nella luce della verità rivelatasi in Gesù, tramite la genuina tradizione della chiesa. A tale urgenza intende rispondere la presente lettera, affinché nelle varie chiese particolari, la pluralità di forme, anche nuove, di preghiera non ne faccia mai perdere di vista la precisa natura, personale e comunitaria. Queste indicazioni sono rivolte anzitutto ai vescovi perché le rendano oggetto di sollecitudine pastorale verso le chiese loro affidate, così che tutto il popolo di Dio – sacerdoti, religiosi e laici – sia richiamato a pregare, con rinnovato vigore, il Padre mediante lo Spirito di Cristo nostro Signore.

2. Il contatto sempre più frequente con altre religioni e con i loro differenti stili e metodi di preghiera, ha condotto negli ultimi decenni molti fedeli ad interrogarsi sul valore che possono avere per i cristiani forme non cristiane di meditazione. La questione riguarda soprattutto i metodi orientali1. C’è chi si rivolge oggi a tali metodi per motivi terapeutici: l’irrequietezza spirituale di una vita sottoposta al ritmo assillante della società tecnologicamente avanzata spinge anche un certo numero di cristiani a cercare in essi la via della calma interiore e dell’equilibrio psichico. Quest’aspetto psicologico non sarà considerato nella presente lettera, che intende invece evidenziare le implicazioni teologiche e spirituali della questione. Altri cristiani, sulla scia del movimento d’apertura e di scambio con religioni e culture diverse, sono e parere che la loro stessa preghiera abbia molto da guadagnare da tali metodi. Rilevando che, in tempi recenti, non pochi metodi tradizionali di meditazione, peculiari del cristianesimo, sono caduti in disuso, costoro si chiedono: non sarebbe allora possibile, attraverso una nuova educazione alla preghiera, arricchire la nostra eredità incorporandovi anche ciò che le era finora estraneo.

3. Per rispondere a questa domanda, occorre anzitutto considerare, sia pure a grandi linee, in che cosa consista la natura intima della preghiera cristiana, per vedere in seguito se e come possa essere arricchita da metodi di meditazione nati nel contesto di religioni e culture diverse. E’ necessario a tale scopo formulare una decisiva premessa. La preghiera cristiana è sempre determinata dalla struttura della fede cristiana, nella quale risplende la verità stessa di Dio e della creatura. Per questo essa si configura, propriamente parlando, come un dialogo personale, intimo e profondo, tra l’uomo e Dio. Essa esprime quindi la comunione delle creature redente con la vita intima delle Persone trinitarie. In questa comunione, che si fonda sul battesimo e sull’eucaristia, fonte e culmine della vita della chiesa, è implicato un atteggiamento di conversione, un esodo dall’io verso il tu di Dio. La preghiera cristiana, quindi, è sempre allo stesso tempo autenticamente personale e comunitaria. Rifugge da tecniche impersonali o incentrate sull’io, capaci di produrre automatismi nei quali l’orante resta prigioniero di uno spiritualismo intimista, incapace di un’apertura libera al Dio trascendente. Nella chiesa la legittima ricerca di nuovi metodi di meditazione dovrà sempre tenere conto che a una preghiera autenticamente cristiana è essenziale l’incontro di due libertà, quella infinita di Dio con quella finita dell’uomo.

2 LA PREGHIERA CRISTIANA

ALLA LUCE DELLA RIVELAZIONE

4. Come debba pregare l’uomo che accoglie la rivelazione biblica, lo insegna la Bibbia stessa. Nell’Antico Testamento c’è una meravigliosa raccolta di preghiere, rimasta viva lungo i secoli anche nella chiesa di Gesù Cristo, nella quale essa è diventata la base della preghiera ufficiale: il libro delle Lodi o dei Salmi2. Preghiere del tipo dei salmi si trovano già in testi più antichi o vengono riecheggiate in testi più recenti dell’Antico Testamento3. Le preghiere del libro dei Salmi narrano anzitutto le grandi opere di Dio per il popolo eletto. Israele medita, contempla e rende di nuovo presenti le meraviglie di Dio, facendone memoria attraverso la preghiera.

Nella rivelazione biblica Israele giunge a riconoscere e lodare Dio, presente in tutta la creazione e nel destino di ogni uomo. Cosi lo invoca, ad esempio, come soccorritore nel pericolo, nella malattia, nella persecuzione, nella tribolazione. Infine, sempre alla luce delle sue opere salvifiche, egli viene celebrato nella sua divina potenza e bontà, nella sua giustizia e misericordia, nella sua regale grandezza.

5. Grazie alle parole, alle opere, alla passione e risurrezione di Gesù Cristo, nel Nuovo Testamento la fede riconosce in lui la definitiva autorivelazione di Dio, la Parola incarnata che svela le profondità più intime del suo amore. È lo Spirito santo che fa penetrare in queste profondità di Dio, lui che, inviato nel cuore dei credenti, « scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio » (1Cor 2,10). Lo Spirito, secondo la promessa di Gesù ai discepoli, spiegherà tutto ciò che egli non poteva ancora dire loro. Però lo Spirito « non parlerà da sé, … ma mi glorificherà perché prenderà dei mio e ve lo annunzierà » (Gv 16,13s). Quello che Gesù chiama qui « suo » è, come spiega in seguito, anche di Dio Padre, perché « tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve lo annunzierà » (Gv 16,15).

Gli autori del Nuovo Testamento, con piena consapevolezza, hanno sempre parlato della rivelazione di Dio in Cristo all’interno di una visione illuminata dallo Spirito santo. I Vangeli sinottici narrano le opere e le parole di Gesù Cristo in base alla comprensione più profonda, acquisita dopo la pasqua, di ciò che i discepoli avevano visto e udito; tutto il Vangelo di Giovanni respira della contemplazione di colui che fin dall’inizio è il Verbo di Dio fatto carne; Paolo, al quale Gesù è apparso sulla via di Damasco nella sua maestà divina, tenta di educare i fedeli perché siano « in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità [del mistero di Cristo] e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, per essere ricolmi di tutta la pienezza di Dio » (Ef 3,18s). Per Paolo il « mistero di Dio è Cristo, nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza » (Col 2,3) e – precisa l’apostolo – « Dico questo perché nessuno vi inganni con argomenti seducenti » (v. 4).

6. Esiste quindi uno stretto rapporto fra la rivelazione e la preghiera. La costituzione dogmatica Dei verbum ci insegna che mediante la sua rivelazione Dio invisibile « nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici (Cf. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (Cf. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con Sé »4.

Questa rivelazione si è attuata attraverso parole e opere che rinviano sempre, reciprocamente, le une alle altre; fin dall’inizio e di continuo tutto converge verso Cristo, pienezza della rivelazione e della grazia, e verso il dono dello Spirito santo. Questi rende l’uomo capace di accogliere e contemplare le parole e le opere di Dio e di ringraziarlo e adorarlo, nell’assemblea dei fedeli e nell’intimità del proprio cuore illuminato dalla grazia.

Per questo la chiesa raccomanda sempre la lettura della parola di Dio come sorgente della preghiera cristiana, e allo stesso tempo esorta a scoprire il senso profondo della sacra Scrittura mediante la preghiera « affinché possa svolgersi il colloquio tra Dio e l’uomo; poiché « gli parliamo quando preghiamo e lo ascoltiamo quando leggiamo gli oracoli divini »"5.

7. Da quanto è stato ricordato derivano subito alcune conseguenze. Se la preghiera del cristiano deve inserirsi nel movimento trinitario di Dio, il suo contenuto essenziale dovrà necessariamente essere anche determinato dalla duplice direzione di tale movimento: nello Spirito santo il Figlio viene nel mondo per riconciliarlo con il Padre attraverso le sue opere e le sue sofferenze; d’altra parte, nello stesso movimento e nel medesimo Spirito, il Figlio incarnato ritorna al Padre, compiendo la sua volontà mediante la e la risurrezione. Il Padre nostro, la preghiera di Gesù, indica chiaramente l’unità di questo movimento: la volontà del Padre deve realizzarsi sulla terra come in cielo (le richieste di pane, di perdono, di protezione esplicitano le dimensioni fondamentali della volontà di Dio verso di noi) affinché una nuova terra viva e si sviluppi nella Gerusalemme celeste.

È alla chiesa che la preghiera di Gesù6 viene consegnata (« così voi dovete pregare », Mt 6,9) e per questo la preghiera cristiana, anche quando avviene nella solitudine, in realtà è sempre all’interno di quella « comunione dei santi » nella quale e con la quale si prega, tanto in forma pubblica e liturgica quanto in forma privata. Pertanto, essa deve compiersi sempre nello spirito autentico della chiesa in preghiera e quindi sotto la sua guida, che può concretizzarsi talvolta in una direzione spirituale sperimentata. Il cristiano, anche quando è solo e prega nel segreto, ha la consapevolezza di pregare sempre in unione con Cristo, nello Spirito santo, insieme con tutti i santi per il bene della chiesa7.

3 MODI ERRONEI DI PREGARE

8. Già nei primi secoli s’insinuarono nella chiesa modi erronei di pregare, dì cui già alcuni testi del Nuovo Testamento (Cf. lGv 4,3; 1Tm 1,3-7 e 4,3-4) fanno riconoscere le tracce. In seguito si possono rilevare due deviazioni fondamentali: la pseudognosi e il messalianismo, di cui si sono occupati i padri della chiesa. Da quella primitiva esperienza cristiana e dall’atteggiamento dei padri si può imparare molto per affrontare la problematica contemporanea.

Contro la deviazione della pseudognosi8 i padri affermano che la materia è creata da Dio e come tale non è cattiva. Inoltre sostengono che la grazia, la cui sorgente è sempre lo Spirito santo, non è un bene proprio dell’anima, ma dev’essere impetrata da Dio come dono. Perciò l’illuminazione o conoscenza superiore dello Spirito (« gnosi ») non rende superflua la fede cristiana. Infine, per i padri, il segno autentico di una conoscenza superiore, frutto della preghiera, è sempre l’amore cristiano.

9. Se la perfezione della preghiera cristiana non può essere valutata in base alla sublimità della conoscenza gnostica, non può esserlo neppure in riferimento all’esperienza del divino, alla maniera del messalianismo9. I falsi carismatici del IV secolo identificavano la grazia dello Spirito santo con l’esperienza psicologica della sua presenza nell’anima. Contro di essi i padri insistettero sul fatto che l’unione dell’anima orante con Dio si compie nel mistero, in particolare attraverso i sacramenti della chiesa. Essa può inoltre realizzarsi perfino attraverso esperienze di afflizione e anche di desolazione. Contrariamente all’opinione dei messaliani, queste non sono necessariamente un segno che lo Spirito ha abbandonato l’anima. Come hanno sempre chiaramente riconosciuto i maestri spirituali, possono invece essere un’autentica partecipazione allo stato di abbandono di nostro Signore sulla croce, il quale resta sempre modello e mediatore della preghiera10.

10. Tutte e due queste forme di errore continuano a essere una tentazione per l’uomo peccatore. Lo istigano a cercare di superare la distanza che separa la creatura dal Creatore, come qualcosa che non dovrebbe esserci; a considerare il cammino di Cristo sulla terra, con il quale egli ci vuole condurre al Padre, come realtà superata; ad abbassare ciò che viene accordato come pura grazia al livello della psicologia naturale, come « conoscenza superiore » o come « esperienza ».

Riapparse di tanto in tanto nella storia ai margini della preghiera della chiesa, tali forme erronee oggi sembrano impressionare nuovamente molti cristiani, raccomandandosi loro come rimedio, sia psicologico che spirituale, e come rapido procedimento per trovare Dio11.

11. Ma queste forme erronee, dovunque sorgano, possono essere diagnosticate in maniera molto semplice. La meditazione cristiana orante cerca di cogliere nelle opere salvifiche di Dio in Cristo, Verbo incarnato, e nel dono del suo Spirito la profondità divina, che vi si rivela sempre attraverso la dimensione umano-terrena. Invece, in simili metodi di meditazione, anche quando si prende lo spunto da parole e opere di Gesù, si cerca di prescindere il più possibile da ciò che è terreno, sensibile e concettualmente limitato, per salire o immergersi nella sfera del divino, che in quanto tale non è né terrestre, né sensibile, né concettualízzabile12.

Questa tendenza, presente già nella tarda religiosità greca (soprattutto nel « neoplatonismo »), si riscontra, in fondo, nell’ispirazione religiosa di molti popoli, non appena essi abbiano riconosciuto il carattere precario delle loro rappresentazioni del divino e dei loro tentativi di avvicinarvisi.

12. Con l’attuale diffusione dei metodi orientali di meditazione nel mondo cristiano e nelle comunità ecclesiali, ci troviamo di fronte ad un acuto rinnovarsi del tentativo, non esente da rischi ed errori, di fondere la meditazione cristiana con quella non cristiana. Le proposte in questo senso sono numerose e più o meno radicali: alcune utilizzano metodi orientali solo ai fini di una preparazione psicofisica per una contemplazione realmente cristiana; altre vanno oltre e cercano dì generare, con diverse tecniche, esperienze spirituali analoghe a quelle di cui si parla in scritti di certi mistici cattolici13; altre ancora non temono di collocare quell’assoluto senza immagini e concetti, proprio della teoria buddista14, sullo stesso piano della maestà di Dio, rivelata in Cristo, che si eleva al di sopra della realtà finita e, a tal fine, sì servono di una « teologia negativa » che trascende ogni affermazione contenutistica su Dio, negando che le cose del mondo possono essere una traccia che rinvia all’infinità di Dio. Per questo propongono di abbandonare non solo la meditazione delle opere salvifiche che il Dio dell’antica e della nuova alleanza ha compiuto nella storia, ma anche l’idea stessa del Dio uno e trino, che è amore, in favore di un’immersione « nell’abisso indeterminato della divinità »15.

Queste proposte o altre analoghe di armonizzazione tra meditazione cristiana e tecniche orientali dovranno essere continuamente vagliate con accurato discernimento di contenuti e di metodo, per evitare la caduta in un pernicioso sincretismo.

4 LA VIA CRISTIANA DELL’UNIONE CON DIO

13. Per trovare la giusta « via » della preghiera, il cristiano considererà ciò che è stato precedentemente detto a proposito dei tratti salienti della via di Cristo, il cui « cibo è fare la volontà di colui che (lo) ha mandato a compiere la sua opera » (Gv 4,34). Gesù non vive con il Padre un’unione più intima e più stretta di questa, che per lui si traduce continuamente in una profonda preghiera. La volontà del Padre lo invia agli uomini, ai peccatori, addirittura ai suoi uccisori ed egli non può essere più intimamente unito al Padre che obbedendo a questa volontà. Ciò non impedisce in alcun modo che nel cammino terreno egli si ritiri anche nella solitudine per pregare, per unirsi al Padre e ricevere da lui nuovo vigore per la sua missione nel mondo. Sul Tabor, dove certamente egli è unito al Padre in maniera manifesta, viene evocata la sua passione (Cf. Lc 9,3 1) e non viene neppure presa in considerazione la possibilità di permanere in « tre tende » sul monte della trasfigurazione. Ogni preghiera contemplativa cristiana rinvia continuamente all’amore del prossimo, all’azione e alla passione, e proprio così avvicina maggiormente a Dio.

14. Per accostarsi a quel mistero dell’unione con Dio, che i padri greci chiamavano divinizzazione dell’uomo, e per cogliere con precisione le modalità secondo cui essa si compie, occorre tenere presente anzitutto che l’uomo è essenzialmente creatura16, e tale rimane in eterno, cosicché non sarà mai possibile un assorbimento dell’io umano nell’io divino, neanche nei più alti stati di grazia. Si deve però riconoscere che la persona umana è creata « ad immagine e somiglianza » di Dio, e l’archetipo di questa immagine è il Figlio di Dio, nel quale e per il quale siamo stati creati (Cf. Col 1,16). Ora questo archetipo ci svela il più grande e il più bel mistero cristiano: il Figlio è dall’eternità « altro » rispetto al Padre e tuttavia, nello Spirito santo, è « della stessa sostanza »; di conseguenza, il fatto che ci sia un’alterità non è un male, ma piuttosto il massimo dei beni. C’è alterità in Dio stesso, che è una sola natura in tre persone, e c’è alterità tra Dio e la creatura, che sono per natura differenti. Infine, nella santa eucaristia, come anche negli altri sacramenti – e analogamente nelle sue opere e nelle sue parole – Cristo ci dona se stesso e ci rende partecipi della sua natura divina17,senza per altro sopprimere la nostra natura creata, alla quale egli stesso partecipa con la sua incarnazione.

15. Se si considerano insieme queste verità, si scopre, con profonda meraviglia, che nella realtà cristiana vengono adempiute, oltre ogni misura, tutte le aspirazioni presenti nella preghiera delle altre religioni, senza che con questo l’io personale e la sua creaturalità debbano essere annullati e scomparire nel mare dell’Assoluto. « Dio è amore » (1Gv 4,8): questa affermazione profondamente cristiana può conciliare l’unione perfetta con l’alterità tra amante e amato, con l’eterno scambio e l’eterno dialogo. Dio stesso è questo eterno scambio, e noi possiamo in piena verità diventare partecipi di Cristo, quali « figli adottivi », e gridare con il Figlio nello Spirito santo « Abbà, Padre ». In questo senso, i padri hanno pienamente ragione di parlare di divinizzazione dell’uomo che, incorporato a Cristo Figlio di Dio per natura, diventa per la sua grazia partecipe della natura divina, « figlio nel Figlio ». Il cristiano, ricevendo lo Spirito santo, glorifica il Padre e partecipa realmente alla vita trinitaria di Dio.

5 QUESTIONI DI METODO

16. La maggior parte delle grandi religioni che hanno cercato l’unione con Dio nella preghiera, hanno anche indicato le vie per conseguirla. Siccome « la chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni »18, non si dovranno disprezzare pregiudizialmente queste indicazioni in quanto non cristiane. Si potrà, al contrario, cogliere da esse ciò che vi è di utile, a condizione di non perdere mai di vista la concezione cristiana della preghiera, la sua logica e le sue esigenze, poiché è all’interno di questa totalità che quei frammenti dovranno essere riformulati ed assunti. Tra di essi si può annoverare anzitutto l’umile accettazione di un maestro esperto nella vita di preghiera e delle sue direttive; di ciò si è sempre avuto consapevolezza nell’esperienza cristiana sin dai tempi antichi, dall’epoca dei padri del deserto. Questo maestro, esperto nel « sentire cum ecclesia », deve non solo guidare e richiamare l’attenzione su certi pericoli, ma, quale « padre spirituale », deve anche introdurre in maniera viva, da cuore a cuore, nella vita di preghiera, che è dono dello Spirito santo.

17. La tarda classicità non cristiana distingueva volentieri tre stadi nella vita di perfezione: la via della purificazione, dell’illuminazione e dell’unione. Questa dottrina è servita da modello per molte scuole di spiritualità cristiana. Questo schema, in se stesso valido, necessita tuttavia di alcune precisazioni, che ne permettano una corretta interpretazione cristiana, evitando pericolosi fraintendimenti.

18. La ricerca di Dio mediante la preghiera deve essere preceduta e accompagnata dalla ascesi e dalla purificazione dai propri peccati ed errori, perché secondo la parola di Gesù soltanto « i puri di cuore vedranno Dio » (Mt 5,8). Il Vangelo mira soprattutto a una purificazione morale dalla mancanza di verità e di amore e, su un piano più profondo, da tutti gli istinti egoistici che impediscono all’uomo di riconoscere e accettare la volontà di Dio nella sua purezza. Non sono le passioni in quanto tali ad essere negative (come pensavano gli stoici e i neoplatonici) ma la loro tendenza egoistica. È da essa che il cristiano deve liberarsi: per arrivare a quello stato di libertà positiva che la classicità cristiana chiamava « apatheia », il medioevo « impassibilitas » e gli Esercizi spirituali ignaziani « indiferencia »19.

Ciò è impossibile senza una radicale abnegazione, come si vede anche in san Paolo che usa apertamente la parola « mortificazione » (delle tendenze peccaminose)20. Solo questa abnegazione rende l’uomo libero di realizzare la volontà di Dio e di partecipare alla libertà dello Spirito santo.

19. Dovrà perciò essere interpretata rettamente la dottrina di quei maestri che raccomandano di « svuotare » lo spirito da ogni rappresentazione sensibile e da ogni concetto, mantenendo però un’amorosa attenzione a Dio, così che rimanga nell’orante un vuoto che può allora essere riempito dalla ricchezza divina. Il vuoto di cui Dio ha bisogno è quello della rinuncia al proprio egoismo, non necessariamente quello della rinuncia alle cose create che egli ci ha donato e tra le quali ci ha posti. Non vi è dubbio che nella preghiera ci si deve concentrare interamente su Dio ed escludere il più possibile quelle cose di questo mondo che ci incatenano al nostro egoismo. Sant’Agostino è, su questo punto, un maestro insigne: se vuoi trovare Dio, dice, abbandona il mondo esteriore e rientra in te stesso. Tuttavia, prosegue, non rimanere in te stesso, ma oltrepassa te stesso, perché tu non sei Dio: egli è più profondo e più grande di te. « Cerco la sua sostanza nella mia anima e non la trovo; ho meditato tuttavia sulla ricerca di Dio e, proteso verso di lui, attraverso le cose create, ho cercato di conoscere le « perfezioni invisibili di Dio » (Rm 1,20) »21. « Restare in se stessi »: ecco il vero pericolo. Il grande dottore della chiesa raccomanda di concentrarsi in se stessi, ma anche di trascendere l’io che non è Dio, ma solo una creatura. Dio è « interior intimo meo, et superior summo meo »22. Dio infatti è in noi e con noi, ma ci trascende nel suo mistero23.

20. Dal punto di vista dogmatico, è impossibile arrivare all’amore perfetto di Dio se si prescinde dalla sua autodonazione nel Figlio incarnato, crocifisso e risuscitato. In lui, sotto l’azione dello Spirito santo, prendiamo parte, per pura grazia, alla vita intradivina. Quando Gesù dice: « Chi ha visto me ha visto il Padre » (Gv 14,9), non intende semplicemente la visione e la conoscenza esteriori della sua figura umana (« la carne non giova a nulla », Gv 6,63). Ciò che intende è piuttosto un « vedere » reso possibile dalla grazia della fede: vedere attraverso la manifestazione sensibile di Gesù ciò che questi, quale Verbo del Padre, vuole veramente mostrarci di Dio (« t lo Spirito che dà la vita… ; le parole che vi ho dette sono spirito e vita », Gv 6,63). In questo « vedere » non si tratta dell’astrazione puramente umana (« abstractio ») dalla figura in cui Dio si è rivelato, ma del cogliere la realtà divina nella figura umana di Gesù, del cogliere la sua dimensione divina ed eterna nella sua temporalità. Come dice sant’Ignazio negli Esercizi spirituali, dovremmo tentare di cogliere « il profumo infinito e la dolcezza infinita della divinità » (n. 124), partendo dalla finita verità rivelata dalla quale abbiamo iniziato. Mentre ci eleva, Dio è libero di « svuotarci » di tutto ciò che ci trattiene in questo mondo, di attirarci completamente nella vita trinitaria del suo amore eterno. Tuttavia, questo dono può essere concesso solo « in Cristo attraverso lo Spirito santo » e non attraverso le proprie forze, astraendo dalla sua rivelazione.

21. Nel cammino della vita cristiana, alla purificazione segue l’illuminazione mediante l’amore che il Padre ci dona nel Figlio e l’unzione che da lui riceviamo nello Spirito santo (cf. lGv 2,20). Fin dall’antichità cristiana si fa riferimento alla « illuminazione » ricevuta nel battesimo. Essa introduce i fedeli, iniziati ai divini misteri, alla conoscenza di Cristo mediante la fede che opera per mezzo della carità. Anzi, alcuni scrittori ecclesiastici parlano in modo esplicito dell’illuminazione ricevuta nel battesimo come fondamento di quella sublime conoscenza di Cristo Gesù (cf. Fil 3,8) che viene definita come « theoria » o contemplazione24.

I fedeli, con la grazia dei battesimo, sono chiamati a progredire nella conoscenza e nella testimonianza dei misteri della fede mediante « la profonda intelligenza che essi esperiscono delle cose spirituali »25. Nessuna luce di Dio rende superate le verità della fede. Le eventuali grazie di illuminazione che Dio può concedere aiutano piuttosto a chiarir meglio la dimensione più profonda dei misteri confessati e celebrati dalla chiesa, in attesa che il cristiano possa contemplare Dio come egli è nella gloria (cf. 1Gv 3,2).

22. Il cristiano orante, infine, può arrivare, se Dio lo vuole, ad un’esperienza particolare di unione. I sacramenti, soprattutto il battesimo e l’eucaristia26, sono l’inizio obiettivo dell’unione del cristiano con Dio. Su questo fondamento, per una speciale grazia dello Spirito, l’orante può essere chiamato a quel tipo peculiare di unione con Dio che, nell’ambito cristiano, viene qualificato come mistica.

23. Certamente il cristiano ha bisogno di determinati tempi di ritiro nella solitudine per raccogliersi e ritrovare, presso Dio, il suo cammino. Ma, dato il suo carattere di creatura, e di creatura che sa di essere al sicuro solo nella grazia, il suo modo di avvicinarsi a Dio non si fonda su alcuna tecnica nel senso stretto della parola. Ciò contraddirebbe lo spirito d’infanzia richiesto dal Vangelo. La mistica cristiana autentica non ha niente a che vedere con la tecnica: è sempre un dono di Dio, di cui chi ne beneficia si sente indegno27.

24. Ci sono determinate grazie mistiche, conferite ad esempio ai fondatori di istituzioni ecclesiali in favore di tutta la loro fondazione nonché ad altri santi, che caratterizzano la loro peculiare esperienza di preghiera e che non possono, come tali, essere oggetto di imitazione e di aspirazione per altri fedeli, anche appartenenti alla stessa istituzione, e desiderosi di una preghiera sempre più perfetta28. Possono esserci diversi livelli e diverse modalità di partecipazione all’esperienza di preghiera di un fondatore, senza che a tutti debba venir conferita la medesima forma. Del resto l’esperienza di preghiera che ha un posto privilegiato in tutte le istituzioni autenticamente ecclesiali, antiche e moderne, è sempre in ultima analisi qualcosa di personale. Ed è alla persona che Dio dona le sue grazie in vista della preghiera.

25. A proposito della mistica si deve distinguere tra i doni dello Spirito santo e i carismi accordati in modo totalmente libero da Dio. I primi sono qualcosa che ogni cristiano può ravvivare in sé attraverso una vita zelante di fede, di speranza e di carità e così, attraverso una seria ascesi, arrivare a una certa esperienza di Dio e dei contenuti della fede. Quanto ai carismi, san Paolo dice che essi sono soprattutto in favore della chiesa, degli altri membri del corpo mistico di Cristo (cf. 1Cor 12,7). A questo proposito, va ricordato sia che i carismi non possono essere identificati con dei doni straordinari (« mistici ») (cf. Rm 12,3-21), sia che la distinzione fra i « doni dello Spirito santo » e i « carismi » può essere fluida. Certo è che un carisma fecondo per la chiesa non può, nell’ambito neotestamentario, venir esercitato senza un determinato grado di perfezione personale e che, d’altra parte, ogni cristiano « vivo » possiede un compito peculiare (e in questo senso un « carisma ») « per l’edificazione del corpo di Cristo » (cf. Ef 4,15-16)29, in comunione con la gerarchia, alla quale « spetta soprattutto di non estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono » (Lumen gentium, n. 12).

6 METODI PSICOFISICI-CORPOREI

26. L’esperienza umana dimostra che la posizione e l’atteggiamento del corpo non sono privi d’influenza sul raccoglimento e la disposizione dello spirito. E un dato al quale alcuni scrittori spirituali dell’oriente e dell’occidente cristiano hanno prestato attenzione.

Le loro riflessioni, pur presentando punti in comune con i metodi orientali non cristiani di meditazione, evitano quelle esagerazioni o unilateralità che, invece, spesso vengono oggi proposte a persone non sufficientemente preparate.

Questi autori spirituali hanno adottato quegli elementi che facilitano il raccoglimento nella preghiera, riconoscendone al contempo anche il valore relativo: essi sono utili se riformulati in vista del fine della preghiera cristiana30. Ad esempio, il digiuno nel cristianesimo possiede anzitutto il significato di un esercizio di penitenza e di sacrificio, ma, già presso i padri, era anche finalizzato a rendere l’uomo più disponibile all’incontro con Dio e il cristiano più capace di dominio di sé e allo stesso tempo più attento ai fratelli bisognosi.

Nella preghiera è tutto l’uomo che deve entrare in relazione con Dio, e dunque anche il suo corpo deve assumere la posizione più adatta per il raccoglimento31. Tale posizione può esprimere in modo simbolico la preghiera stessa, variando a seconda delle culture e della sensibilità personale. In alcune aree, i cristiani, oggi, stanno acquisendo maggior consapevolezza di quanto l’atteggiamento dei corpo possa favorire la preghiera.

27. La meditazione cristiana dell’oriente32 ha valorizzato il simbolismo psicofisico, spesso carente nella preghiera dell’occidente. Esso può partire da un determinato atteggiamento corporeo, fino a coinvolgere anche le funzioni vitali fondamentali, come la respirazione e il battito cardiaco. L’esercizio della « preghiera di Gesù », ad esempio, che si adatta al ritmo respiratorio naturale, può – almeno per un certo tempo – essere di reale aiuto per molti33. D’altra parte gli stessi maestri orientali hanno anche constatato che non tutti sono ugualmente idonei a far uso di questo simbolismo, perché non tutti sono in grado di passare dal segno materiale alla realtà spirituale ricercata. Compreso in modo inadeguato e non corretto, il simbolismo può diventare addirittura un idolo e, di conseguenza, un impedimento all’elevazione dello spirito a Dio. Vivere nell’ambito della preghiera tutta la realtà del proprio corpo come simbolo è ancora più difficile: ciò può degenerare in un culto del corpo e può portare a identificare surretiziamente tutte le sue sensazioni con esperienze spirituali.

28. Alcuni esercizi fisici producono automaticamente sensazioni di quiete e di distensione, sentimenti gratificanti, forse addirittura fenomeni di luce e di calore che assomigliano ad un benessere spirituale. Scambiarli per autentiche consolazioni dello Spirito santo sarebbe un modo totalmente erroneo di concepire il cammino spirituale. Attribuire loro significati simbolici tipici dell’esperienza mistica, quando l’atteggiamento morale dell’interessato non corrisponde ad essa, rappresenterebbe una specie di schizofrenia mentale, che può condurre perfino a disturbi psichici e, talvolta, ad aberrazioni morali.

Ciò non toglie che autentiche pratiche di meditazione provenienti dall’oriente cristiano e dalle grandi religioni non cristiane, che esercitano un’attrattiva sull’uomo di oggi diviso e disorientato, possano costituire un mezzo adatto per aiutare l’orante a stare davanti a Dio interiormente disteso, anche in mezzo alle sollecitazioni esterne.

Occorre tuttavia ricordare che l’unione abituale con Dio, o quell’atteggiamento di vigilanza interiore e di invocazione dell’aiuto divino che nel Nuovo Testamento viene chiamato la « preghiera continua »34, non si interrompe necessariamente quando ci si dedica anche, secondo la volontà di Dio, al lavoro e alla cura del prossimo. « Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio », ci dice l’apostolo (1Cor 10,31). La preghiera autentica infatti, come sostengono i grandi maestri spirituali, desta negli oranti un’ardente carità che li spinge a collaborare alla missione della chiesa e al servizio dei fratelli per la maggior gloria di Dio35.

7 IO SONO LA VIA »

29. Ogni fedele dovrà cercare e potrà trovare nella varietà e ricchezza della preghiera cristiana, insegnata dalla chiesa, la propria via, il proprio modo di preghiera; ma tutte queste vie personali confluiscono, alla fine, in quella via al Padre, che Gesù Cristo ha detto di essere. Nella ricerca della propria via ognuno si lascerà quindi condurre non tanto dai suoi gusti personali quanto dallo Spirito santo, il quale lo guida, attraverso Cristo, al Padre.

30. Per chi si impegna seriamente verranno comunque tempi in cui gli sembrerà di vagare in un deserto e di non « sentire » nulla di Dio, malgrado tutti i suoi sforzi. Deve sapere che queste prove non vengono risparmiate a nessuno che prenda sul serio la preghiera. Ma egli non deve identificare immediatamente questa esperienza, comune a tutti i cristiani che pregano, con la « notte oscura » di tipo mistico. Ad ogni modo in quei periodi la preghiera, che egli si sforzerà di mantenere fermamente, potrà dargli l’impressione di una certa « artificiosità » benché si tratti in realtà di qualcosa di totalmente diverso: essa è infatti proprio allora espressione della sua fedeltà a Dio, alla presenza del quale egli vuole rimanere anche quando non è ricompensato da alcuna consolazione soggettiva.

In questi momenti apparentemente negativi diventa manifesto ciò che l’orante cerca realmente: se cerca proprio Dio che, nella sua infinita libertà, sempre lo supera, oppure se cerca solo se stesso, senza riuscire ad andare oltre le proprie « esperienze », sia che gli sembrino « esperienze » positive d’unione con Dio che « esperienze » negative di « vuoto » mistico.

31. L’amore di Dio, unico oggetto della contemplazione cristiana, è una realtà della quale non ci si può « impossessare » con nessun metodo o tecnica; anzi, dobbiamo aver sempre lo sguardo fisso in Gesù Cristo, nel quale l’amore divino è giunto per noi sulla croce a tal punto che egli si è assunto anche la condizione d’allontanamento dal Padre (cf. Me 15,34). Dobbiamo dunque lasciar decidere a Dio la maniera con cui egli vuole farei partecipi del suo amore. Ma non possiamo mai, in alcun modo, cercare di metterci allo stesso livello dell’oggetto contemplato, l’amore libero di Dio; neanche quando, per la misericordia di Dio Padre, mediante lo Spirito Santo mandato nei nostri cuori, ci viene donato in Cristo, gratuitamente, un riflesso sensibile di quest’amore divino e ci sentiamo come attirati dalla verità, dalla bontà e dalla bellezza del Signore.

Quanto più viene concesso ad una creatura di avvicinarsi a Dio, tanto maggiormente cresce in lei la riverenza davanti al Dio, tre volte santo. Si comprende allora la parola di sant’Agostino: « Tu puoi chiamarmi amico, io mi riconosco servo »36. Oppure la parola che ci è ancora più familiare, pronunciata da colei che è stata gratificata della più alta intimità con Dio: « Ha guardato l’umiltà della sua serva » (Le 1,48).

Il sommo pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell’udienza concessa al sottoscritto cardinale prefetto, ha approvato la presente lettera, decisa nella riunione plenaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.

Roma, dalla sede della Congregazione per la dottrina della fede, il 15 ottobre 1989, nella festa di santa Teresa di Gesù.

JOSEPH card. RATZINGER, prefetto

+ ALBERTO BOVONE

arciv. tit. di Cesarea di Numidia

segretario

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NOTE

1 Con l’espressione « metodi orientali » s’intendono metodi ispirati all’induismo e al buddismo, come lo « Zen » o la « meditazione trascendentale » oppure lo « Yoga ». Si tratta quindi di metodi di meditazione dell’estremo oriente non cristiano, che non di rado oggi sono adoperati anche da alcuni cristiani nella loro meditazione. Gli orientamenti di principio e di metodo contenuti nel presente documento intendono essere un punto di riferimento non solo in relazione a questo problema, ma anche, più in generale, per le diverse forme di preghiera oggi praticate nelle realtà ecclesiali, in particolar modo nelle associazioni, movimenti e gruppi.

2 Sul libro dei Salmi nella preghiera della chiesa, Cf. Institutio generali de Liturgia horarum, nn. 100-109: [EV 4/238-2471.

3 Cf. ad esempio Es. 15, Dt 32, 1Sani 2, 2Sam 22, taluni testi profetici, lCr 16.

4 CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Dei verbum 2: [EV 1/873]. Questo documento offre altre indicazioni sostanziose per una comprensione teologica e spirituale della preghiera cristiana; si vedano, ad es., nn. 3, 5, 8, 21: [EV 1/874.877.882-884.904].

5 DV 25: [EV 908s].

6 Sulla preghiera di Gesù si veda Istitutio generalis de Liturgia horarum, n. 9: [EV 4/135-137].

7 Cf. Institutio generalis de Liturgia horarum, n. 9: [EV 4/143].

8 La pseudognosi considerava la materia come qualcosa di impuro, di degradato, che avvolgeva l’anima in un’ignoranza dalla quale la preghiera avrebbe dovuto liberarla per ìnnalzarla alla vera conoscenza superiore e quindi alla purezza. Certamente non tutti ne erano capaci, ma solo gli uomini veramente spirituali; per i semplici credenti bastavano la fede e l’osservanza dei comandamenti di Cristo.

9 I messaliani furono già denunciati da sant’EFREM SIRO (Hymni contra heresis 22, 4: ed. E. BECK, CSCO 169, 1957, p. 79) e in seguito, tra gli altri, da EPIFANIO DI SALAMNA(Panarion, detto anche Adversus haereses: PG 41, 156-1200; PG 42, 9-832) e ANFILOCHIO, vescovo di lconio (Contra haeretícos: C. FICKER, Amphilochiana 1, Leipzig 1906, 21-77).

10 Cf., ad es., S. GIOVANNI DELLA CROCE, Subida del Monte Carmelo, II, c. 7, 1l.

11 Nel medioevo esistevano correnti estremistiche ai margini della chiesa, che vengono descritte, non senza ironia, da uno dei grandi contemplativi cristiani, il fiammingo Jan van Ruysbroek. Egli distingue nella vita mistica tre tipi di deviazione (Die gheestelike Brulocht 228,12-230,17; 230,18~232,22; 232,23-236,6) e riporta anche una critica generale riguardante queste forme (236,7-237,29). Tecniche simili sono state successivamente individuate e respinte da santa Teresa di Gesù, la quale osserva acutamente che « la stessa cura che si mette a non pensare a nulla sveglierà l’intelletto a pensare molto » e che lasciare da parte il mistero di Cristo nella meditazione cristiana è sempre una specie di tradimento (si veda: S.TERESA DI GESU’, Vida, 12,5 e 22,1-5).

12 Additando a tutta la chiesa l’esempio e la dottrina di S. Teresa di Gesù, che a suo tempo dovette respingere la tentazione di certi metodi che invitavano a prescindere dall’umanità di Cristo a vantaggio dì un vago immergersi nell’abisso della divinità, papa Giovanni Paolo Il diceva in un’omelia del 1novembre 1982 che il grido di Teresa di Gesù in favore di una preghiera tutta centrata in Cristo « è valido anche ai nostri giorni contro alcuni metodi di orazione che non s’ispirano al Vangelo e che in pratica tendono a prescindere da Cristo, a vantaggio di un vuoto mentale che nel cristianesimo non ha senso. Ogni metodo di orazione è valido in quanto si ispira a Cri sto e conduce a Cristo, la via, la verità e la vita (cf. Gv 14,6) ». Si veda: Homilia Abulae in honorem Sanctae Teresiae: AAS 75(1983), 256-259.

13 Si veda, ad esempio, La nube della non-conoscenza, opera spirituale di un anonimo scrittore inglese dei sec. XIV.

14 Il concetto di « nirvana » viene inteso nei testi religiosi del buddismo come uno stato di quiete che consiste nell’estinzione di ogni realtà concreta in quanto transitoria, e quindi deludente e dolorosa.

15 Maestro Eckhart parla di un’immersione « nell’abisso indeterminato della divinità », che è « una tenebra nella quale la luce della Trinità non e mai rifulsa ». Cf. Serno « Ave gratia plena » in fine (J. QUINT, Deutsche Predigten und Traktate, Hanser 1955, 261).

16 Cf. CONCILIO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, 19 [EV 11 1373]: « La ragione più alta della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l’uomo è invitato al dialogo con Dio: non esiste, infatti, se non perché creato per amore da Dio, da lui sempre per amore è conservato, né vive pienamente secondo verità se non lo riconosce liberamente e se non si affida al suo Creatore ».

17 Come scrive S.TOMMASO a proposito dell’eucaristia: « … proprius effectus huius sacramenti est conversio hominis in Christum, ut dicat cum Apostolo: Vivo ego, iam non ego; vivit vero in me Christus (Gal 2,20) » (In IV Sent., d. 12, q. 2, a. 1).

18 CONCILIO VATICANO 11, Dich. Nostra aetate. 2: [EV 1/8571.

19 S. IGNAZIO DI LOYOLA, Ejercicios espirituales, n. 23 e passim.

20 Cf. Col 3,5; Rm 6,11ss; Gal 5,24.

21 S. AGOSTINO, Enarrationes in Psalmos, XLI, 8: PL 36, 469.

22 S. AGOSTINO, Confessiones 3, 6, 11: PL 32, 688; cf. De vera religione 39,72: PL 34, 154.

23 Il senso cristiano positivo dello « svuotamento » delle creature risplende in maniera esemplare nel Poverello d’Assisi. San Francesco, proprio perché ha rinunciato alle creature per amore del Signore, le vede tutte riempite della sua presenza e fulgenti nella loro dignità di creature di Dio e ne intona la segreta melodia dell’essere nel suo Cantico delle creature (cf. C. ESSER, Opuscola Sancti Patris Francisci Assisiensis, Ed. Ad Claras Aquas, Grottaferrata-Roma 1978, pp. 83-86). Nello stesso senso scrive nella « Lettera a tutti i fedeli »: « Ogni creatura che è in cielo e in terra e nel mare e nella profondità degli abissi (Ap 5,13) renda a Dio lode, gloria e onore e benedizione, poiché egli è la nostra vita e la nostra forza. Egli che solo è buono (Le 18,19), che solo è altissimo, che solo è onnipotente e ammirabile, glorioso e santo, degno di lode e benedetto per gli infiniti secoli dei secoli. Amen » (C. ESSER, Opuscola, p. 124). San Bonaventura fa notare come in ciascuna creatura Francesco percepiva il richiamo di Dio ed effondeva la sua anima nel grande inno della riconoscenza e della lode (cf. Legenda Sancti Francisci, e. 9, n. 1, in Opera omnia, Quaracchi 1898, vol. VIII, p. 530).

24 Si vedano, ad esempio, S. GIUSTINO, Apologia 1, 61, 12-13: PG 6, 420-421; CLEMENTE ALESSANDRINO, Paedagogus 1, 6, 25-31: PG 8, 281-284; S. BASILIO DI CESAREA, Homiliae diversae 13, 1: PG 31, 424-425; S. GREGORIO NAZIANZENO, Orationes 40, 3, 1: PG 36, 361.

25 DV 8: [EV 11883].

26 L’eucaristia, definita dalla cost. dogm. Lumen gentium « fonte e apice di tutta la vita cristiana » (LG 11: [EV 1/313]) ci fa « partecipare realmente al corpo del Signore » (LG 7: [EV 1/297]); in essa « siamo elevati alla comunione con lui » (LG 7: [EV 1/2971]).

27 Cf. S. TERESA DI GESU’, Castillo interior IV, 1, 2.

28 Nessun orante, senza una grazia speciale, ambirà ad una visione globale della rivelazione di Dio quale san Gregorio Magno riconosce in san Benedetto, oppure a quello slancio mistico con cui san Francesco d’Assisi contemplava Dio in tutte le sue creature, o ad una visione ugualmente globale, come quella donata a sant’Ignazio al fiume Cardoner e della quale egli afferma che in fondo avrebbe potuto prendere per lui il posto della sacra Scrittura. La « notte oscura » descritta da san Giovanni della Croce, è parte del suo personale carisma d’orazione: ogni membro dei suo ordine non ha bisogno di viverla nello stesso modo per arrivare a quella perfezione nella preghiera cui è chiamato da Dio.

29 La chiamata dei cristiano ad esperienze « mistiche » può includere tanto ciò che san Tommaso qualifica come esperienza viva di Dio attraverso i doni dello Spirito, quanto le forme inimitabili (e quindi alle quali non si deve aspirare) di donazione della grazia. Cf. S. TOMMASO D’AQUINO, Summa theologiae I-II, a. 1 c, come pure a. 5 ad l.

30 Si vedano, ad esempio, gli scrittori antichi, che parlano dell’atteggiamento dell’orante assunto dai cristiani in preghiera: TERTULLIANO, De oratione XIV e XVII: PL 1, 1170 e 1174-76; ORIGENE, De oratione XXXI, 2: PG 11, 550-553, nonché del significato di tal gesto: BARNABA, Epistula XII, 2-4: PG 2, 760-761; S. GIUSTINO, Dialogus 90, 4-5: PG 6, 689-692; S. IPPOLITO ROMANO, Commentarium in Dan. 111, 24: GCS 1, 168, 8-17; ORIGIENE, Homiliae in Ex. XI, 4: PG 12, 377-378. Sulla posizione dei corpo si veda anche ORIGENE, De oratione XXXI, 3: PG 11, 553-555.

31 Cf. S. IGNAZIO Di LOYOLA, Ejercicios espirituales, n. 76.

32 Come ad esempio quella degli anacoreti esicasti. L’hesychia o quiete, esterna ed interna, viene considerata dagli anacoreti una condizione della preghiera; nella sua forma orientale è caratterizzata da solitudine e da tecniche di raccoglimento.

33 L’esercizio della « preghiera di Gesù », che consiste nel ripetere una formula densa di riferimenti biblici di invocazione e supplica (ad es. « Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me »), si adatta al ritmo respiratorio naturale. A questo proposito si veda: S. IGNAZIO Di LOYOLA, Ejercicios espirituales, n. 258.

34 Cf. 1Ts 5,17. Si veda d’altra parte 2Ts 3,8-12. Da questi e altri testi sorge la problematica: Come conciliare l’obbligo della preghiera continua con quello dei lavoro? Si vedano, tra altri, S. AGOSTINO, Epistula 130, 20: PL 33, 501-502, e S. GIOVANNI CASSIANO, De institutis coenobiorum III, 1-3: SC 109, 92-93. Si legga anche la « Dimostrazione sulla preghiera » di Afraate, il primo padre della chiesa siriaca, e in particolare i numeri 14-15 dedicati alle cosiddette « opere della preghiera » (cf. l’edizione di J. PARISOT, Afraatis Sapientis Persae Demonstrationes IV: PS 1, pp. 170-174).

35 S. TERESA DI GESÙ, Castillo interior VII, 4,6.

36 S. AGOSTINO, Enarrationes in Psalmos CXLU, 6: PL 37, 1849. Si veda anche: S. AGOSTINO, Tract. in Ioh. IV, 9: PL 35, 1410: « Quando autem nec ad hoc dignum se dicit, vere pienus Spiritu sancto erat, qui sic servus Dominum agnovit, et ex servo amicus fieri meruit ».

2 FEBBRAIO, « GIORNATA MONDIALE DELLA VITA CONSACRATA »: l’invito a rileggere la povertà, la castità e l’obbedienza con lo «sguardo» di San Paolo, «modello e prototipo» dei « religiosi ».

dal sito: 

http://www.atma-o-jibon.org/italiano4/rit_cei13.htm

« GIORNATA MONDIALE DELLA VITA CONSACRATA »

« Vita Consacrata »:

il « Messaggio » della « Cei » per la « Giornata Mondiale » del 2 Febbraio 2009.

«Esistenze trasformate dall’amore di Gesù»

Dalla « Commissione episcopale », l’invito a rileggere la povertà, la castità e l’obbedienza con lo «sguardo» di San Paolo, «modello e prototipo» dei « religiosi ».

(« Avvenire », 13/1/’09)

Il prossimo 2 Febbraio si celebra la « 13ª Giornata Mondiale della Vita Consacrata ».

Di seguito pubblichiamo il « Messaggio », preparato per l’occasione dalla « Commissione Episcopale per il Clero e la Vita Consacrata ».

Alle consacrate e ai consacrati, ai sacerdoti, ai diaconi e ai fedeli laici.

«Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (« Gal 2,20″). Con queste parole l’Apostolo Paolo ci comunica la sua totale conformazione a Gesù. Esse esprimono in modo sublime la bellezza della vita consacrata e ad esse vogliamo ispirarci nell’ormai tradizionale « Messaggio » in occasione della « 13ª Giornata Mondiale della Vita Consacrata », nella Festa della « Presentazione del Signore ». Tale « Giornata » offre a tutta la Chiesa l’occasione per ringraziare Dio per il dono dei consacrati e delle consacrate, e allo stesso tempo li incoraggia a vivere la loro particolare vocazione con la passione di San Paolo, ponendolo quale modello e prototipo della loro vita.

Inaugurando l’ »Anno Paolino », il Santo Padre Benedetto XVI ha richiamato la splendida « professione di fede » dell’Apostolo, affermando: «Tutto ciò che Paolo fa, parte da questo centro. La sua fede è l’esperienza dell’essere amato da Gesù Cristo in modo tutto personale; […] è l’essere colpito dall’amore di Gesù Cristo, un amore che lo sconvolge fin nell’intimo e lo trasforma; [...] è l’impatto dell’amore di Dio sul suo cuore» (« Omelia » nei « Primi Vespri » della Solennità dei « Santi Apostoli Pietro e Paolo, 28 Giugno 2008). È questo il fondamento della vita cristiana e della vita consacrata in particolare: è il Signore a irrompere nella storia dell’uomo, chiamandolo ad appartenergli completamente. Proprio così, in modo straordinario sulla « via di Damasco », il Signore Gesù ha folgorato e conquistato (cfr. « Fil 3,12″) Saulo di Tarso. Nella luce abbagliante dell’incontro con Cristo, il consacrato è chiamato a vivere tutta la sua esistenza fino a poter dire: «Cristo vive in me»; a lasciarsi coinvolgere in un rapporto interpersonale tanto appassionato da non vedere altro se non il Cristo crocifisso e risorto, conformandosi a Lui fino a portare nel proprio corpo le sue « stimmate ». Emergerà così, in modo sempre più convinto e decisivo, che «l’amore del Cristo ci possiede» (« 2Cor 5,14″). È stato osservato che l’originale « greco » ha tre sfumature: l’amore « agapico » di Cristo ci avvolge, ci coinvolge, ci travolge.

In ogni caso, Paolo arriva alla certezza che nulla potrà mai separarlo e separarci da questo amore: la vita consacrata diventa così «epifania dell’amore di Dio nel mondo» (Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica « Vita Consecrata », Cap. III).

Questo amore appassionato di Gesù suscita una risposta totalizzante da parte del consacrato nella reciprocità amicale e sponsale: «Ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura» (« Fil 3,8″). «Per me il vivere è Cristo» (« Fil 1,21″).

È proprio in questa luce che si devono comprendere i « voti religiosi ». San Paolo è modello di obbedienza allo Spirito e anche agli « Apostoli » e agli anziani (cfr. « At 15,2″), sceglie una vita povera e dedita al lavoro intenso per non essere di peso ad alcuno, vive nel « celibato » consacrato per essere totalmente dedito al Signore e alla « comunità », si dona con tutte le sue forze alla missione dell’evangelizzazione in mezzo a molte tribolazioni (cfr. « 1Tes 2,2″).

In questo orizzonte, ci sembra particolarmente importante sottolineare l’importanza dell’obbedienza, anche perché la Festa della « Presentazione del Signore » mette in evidenza più volte come Maria, Giuseppe e Gesù obbedirono umilmente alla legge del Signore data a Mosè. In tutta la sua vita Gesù ha obbedito alla volontà del Padre, «fino alla morte e a una morte di croce» (« Fil 2,8″). La recente « Istruzione » della « Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica », « Il servizio dell’autorità e l’obbedienza », invita a cercare «ogni mattina il contatto vivo e costante con la « Parola » che in quel giorno è proclamata, meditandola e custodendola nel cuore come tesoro, facendone la radice d’ogni azione e il criterio primo d’ogni scelta» (n. 7). Infatti, obbedendo alla « Parola di Dio » che si rivela attraverso le mediazioni umane, «ci inseriamo nel disegno con cui Egli ci ha concepito con amore di Padre. Dunque l’obbedienza è l’unica via di cui dispone la persona umana, essere intelligente e libero, per realizzarsi pienamente» (n. 5).

Questa « Giornata » sia per tutti i consacrati e le consacrate l’occasione per rinnovare l’offerta totale di sé al Signore nel generoso servizio ai poveri, secondo il carisma dell’ »Istituto » di appartenenza. Le « comunità » monastiche e religiose siano « oasi » nelle quali si vive il primato assoluto di Dio, della sua gloria e del suo amore, nella gioia della comunione fraterna e nella dedizione appassionata ai poveri, agli ultimi, ai sofferenti nel corpo e nello spirito.

La Vergine Maria, che si è associata completamente all’offerta di Gesù dicendo «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (« Lc 1, 37″), accolga l’offerta della vostra vita e la unisca strettamente a quella del Figlio suo, in un legame indissolubile che la condurrà sino al « Calvario »: «È lei la Vergine Figlia di Sion che per adempiere la legge presentò nel tempio il Figlio, gloria d’Israele e luce delle genti. Così, o Padre, per tua disposizione, un solo amore associa il Figlio e la Madre, un solo dolore li congiunge, una sola volontà li sospinge: piacere a te, unico sommo bene» (« Prefazio » della « Messa a Maria Vergine » nella « Presentazione del Signore »).

Roma, 1° Gennaio 2009, Solennità di « Maria SS. Madre di Dio ».

La « Commissione Episcopale per il Clero e la Vita Consacrata ».

MERCOLEDÌ 21 GENNAIO 2009 – II SETTIMANA DEL T.O.

MERCOLEDÌ 21 GENNAIO 2009 – II SETTIMANA DEL T.O.

SANT’AGNESE (m)

Prima Lettura      Eb 7,1-3.15-17

Fratelli, Melchisedek, re di Salem, sacerdote del Dio Altissimo, andò incontro ad Abramo mentre ritornava dalla sconfitta dei re e lo benedisse; a lui Abramo diede la decima di ogni cosa e il suo nome tradotto significa anzitutto re di giustizia, e quindi anche re di Salem, cioè re di pace. Egli è senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio e rimane sacerdote in eterno.
Ciò risulta ancor più evidente dal momento che, a somiglianza di Melchisedek, sorge un altro sacerdote, che non è diventato tale per ragione di una prescrizione carnale, ma per la potenza di una vita indefettibile.
Gli è resa infatti questa testimonianza: “Tu sei sacerdote in eterno alla maniera di Melchisedek”.

UFFICIO DELLE LETTURE DELLA MEMORIA DI SANT’AGNESE

non ci sono citazioni di San Paolo, ma credo che valga la pena leeggere il bellissimo testo di Sant’Ambrogio

Seconda Lettura
Dal Trattato «Sulle vergini» di sant’Ambrogio, vescovo
(Lib. 1, cap. 2. 5. 7-9; PL 16, 189-191)

Non ancora capace di soffrire e già matura per la vittoria
E’ il giorno natalizio per il cielo di una vergine: seguiamone l’integrità. E’ il giorno natalizio di una martire: offriamo come lei il nostro sacrificio. E’ il giorno natalizio di sant’Agnese!
Si dice che subì il martirio a dodici anni. Quanto è detestabile questa barbarie, che non ha saputo risparmiare neppure un’età così tenera! Ma certo assai più grande fu la forza della fede, che ha trovato testimonianza in una vita ancora all’inizio. Un corpo così minuscolo poteva forse offrire spazio ai colpi della spada? Eppure colei che sembrava inaccessibile al ferro, ebbe tanta forza da vincere il ferro. Le fanciulle, sue coetanee, tremano anche allo sguardo severo dei genitori ed escono in pianti e urla per piccole punture, come se avessero ricevuto chissà quali ferite. Agnese invece rimane impavida fra le mani dei carnefici, tinte del suo sangue. Se ne sta salda sotto il peso delle catene e offre poi tutta la sua persona alla spada del carnefice, ignara di che cosa sia il morire, ma pur già pronta alla morte. Trascinata a viva forza all’altare degli dei e posta fra i carboni accesi, tende le mani a Cristo, e sugli stessi altari sacrileghi innalza il trofeo del Signore vittorioso. Mette il collo e le mani in ceppi di ferro, anche se nessuna catena poteva serrare membra così sottili.
Nuovo genere di martirio! Non era ancora capace di subire tormenti, eppure era già matura per la vittoria. Fu difficile la lotta, ma facile la corona. La tenera età diede una perfetta lezione di fortezza. Una sposa novella non andrebbe si rapida alle nozze come questa vergine andò al luogo del supplizio: gioiosa, agile, con il capo adorno non di corone, ma del Cristo, non di fiori, ma di nobili virtù.
Tutti piangono, lei no. I più si meravigliano che, prodiga di una vita non ancora gustata, la doni come se l’avesse interamente goduta. Stupirono tutti che già fosse testimone della divinità colei che per l’età non poteva ancora essere arbitra di sé. Infine fece sì che si credesse alla sua testimonianza in favore di Dio, lei, cui ancora non si sarebbe creduto se avesse testimoniato in favore di uomini. Invero ciò che va oltre la natura è dall’Autore della natura.
A quali terribili minacce non ricorse il magistrato, per spaventarla, a quali dolci lusinghe per convincerla, e di quanti aspiranti alla sua mano non le parlò per farla recedere dal suo proposito! Ma essa: «E’ un’offesa allo Sposo attendere un amante. Mi avrà chi mi ha scelta per primo. Carnefice, perché indugi? Perisca questo corpo: esso può essere amato e desiderato, ma io non lo voglio». Stette ferma, pregò, chinò la testa.
Avresti potuto vedere il carnefice trepidare, come se il condannato fosse lui, tremare la destra del boia, impallidire il volto di chi temeva il pericolo altrui, mentre la fanciulla non temeva il proprio. Avete dunque in una sola vittima un doppio martirio, di castità e di fede. Rimase vergine e conseguì la palma del martirio.

UFFICIO DELLE LETTURE DEL T.O.

Dalla Costituzione dogmatica  » Lumen gentium « del Concilio ecumenico Vaticano Il sulla Chiesa.

Ecco, io salverò il mio popolo

, L’eterno Padre, con liberalissimo e arcano disegno di sapienza e di bontà, ha creato l’universo, ha decretato di elevare gli uomini alla partecipazione della sua vita divina e, quando essi caddero, in Adamo, non li ha abbandonati, ma ha sempre provveduto loro l’aiuto necessario per la salvezza in considerazione di Cristo redentore,  » il quale è l’immagine dell’invisibile Dio, generato prima di ogni creatura  » (Col 1, 15). Tutti gli eletti il Padre fino dall’eternità  » li ha conosciuti nella sua prescienza e li ha predestinati a essere conformi alla immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito di una moltitudine di fratelli  » (Rm 8, 29). 1 credenti in Cristo li ha voluti convocare nella santa Chiesa, la quale, già prefigurata sin dal principio del mondo, mirabilmente preparata nella storia del popolo di Israele e nell’antica alleanza e stabilita  » negli ultimi tempi « , è stata manifestata dall’effusione dello Spirito e avrà glorioso compimento alla fine dei secoli. Allora, come si legge nei santi padri, tutti i giusti, a partire da Adamo,  » dal giusto Abele fino all’ultimo eletto « , saranno riuniti presso il Padre nella Chiesa universale. Quelli che non hanno ancora ricevuto il Vangelo, sono ordinati in vari modi al popolo di Dio e fra questi in modo speciale il popolo al quale furono concesse le alleanze e le promesse e dal quale Cristo è nato secondo la carne (cfr. Rm 9, 4-5). Questo popolo è carissimo a Dio per la scelta che ne ha fatto e per i suoi patriarchi e profeti. E poi Dio non si pente di averlo scelto e colmato di favori (cfr. Rin 11, 28-29). Ma il disegno della salvezza abbraccia anche coloro che riconoscono il Creatore, e tra questi in primo luogo i Musulmani, i quali professando di tenere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale. Il Signore è anche vicino a quanti cercano il Dio ignoto nelle ombre e nelle immagini, poiché egli dà a tutti vita e respiro e ogni cosa (cfr. At 17, 25-28), e, come salvatore, vuole che tutti gli uomini siano salvi (cfr. 1 Tin 2, 4). Infatti quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, cercano sinceramente Dio e coll’aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà divina, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna. Né la divina Provvidenza nega gli aiuti necessari alla salvezza a coloro che, senza averne colpa, non sono ancora arrivati a una conoscenza esplicita di Dio, e si sforzano, non senza la grazia divina, di condurre una vita retta. Poiché tutto ciò che di buono e di vero si trova in loro, è ritenuto dalla Chiesa come una preparazione al Vangelo, e come dato da colui che illumina ogni uomo, affinché abbia finalmente la vita.

LODI

Lettura Breve   2 Cor 1, 3-5
Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio. Infatti, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione.

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