Archive pour la catégorie 'LITURGIA: SETTIMANA SANTA'

Joseph Ratzinger: due meditazioni sul venedì santo

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JOSEPH RATZINGER

VENERDÌ SANTO

1. Prima meditazione

«Essi guarderanno colui che hanno trafitto». Con queste parole l’evangelista Giovanni chiude la sua narrazione della passione di Gesù; cori tali parole introduce la visione di Cristo nello ultimo libro del Nuovo Testamento che noi chiamiamo ‘Apocalisse’. Tra queste due ci!azioni della parola profetica dell’ Antico Testamento è tesa tutta la storia: tra la crocifissione e il ritorno del Signore; in questa citazione si parla sia dell’abbassamento di colui che morì come un assassino sul patibolo, che della potenza di colui che verrà per giudicare il mondo, per essere quindi anche il nostro giudice.
«Essi guarderanno colui che hanno trafitto». Tutto il vangelo di Giovanni non è che la verifica di questa frase, il tentativo di concentrare il nostro sguardo e il nostro cuore nella contemplazione di lui. E tutta la liturgia della Chiesa non è altro che la contemplazione del trafitto, il cui volto nascosto viene scoperto dal sacerdote davanti agli occhi della Chiesa e del mondo, durante la celebrazione cultuale del Venerd1 santo che costituisce il punto più alto dell’anno liturgico.
«Ecco l’albero della croce al quale è stata appesa la salvezza del mondo». «Essi guarderanno colui che hanno trafitto». O Signore concedici in quest’ora di poter guardar a te, nell’ora della tua oscurità e del tuo abbassamento ad opera di un mondo che vuole dimenticare la croce come si fa con un incidente spiacevole, che si sottrae al tuo sguardo, considerandolo un inutile sciupio di tempo e non si rende conto che è proprio qui che ci si fa incontro la tua ora decisiva, nella quale nessuno potrà sottrarsi al tuo sguardo.
Sul fatto della trafittura del crocifisso, Giovanni parla con una solennità stranamente circostanziata, che nello stesso tempo lascia riconoscere il peso che l’evangelista attribuisce a questo evento. Nella narrazione, che si chiude con una formula di testimonianza quasi scongiuratrice, vengono elaborati due testi del Vecchio Testamento, mediante i quali viene nello stesso tempo a risultare evidente il significato di questo avvenimento. «Nessun osso gli deve essere spezzato», dice Giovanni e adduce così un testo del rituale pasquale giudaico che contiene una prescrizione sull’agnello pasquale. Egli ci fa cosi comprendere che Gesù, il cui fianco veniva trafitto nello stesso momento in cui nel tempio avveniva lo sgozzamento rituale dell’agnello pasquale, è il vero agnello senza difetto nel quale si compie definitivamente il significato di qualsiasi culto e di qualsiasi rituale, nel quale soltanto anzi diventa manifesto cosa significa in realtà il culto. Ogni culto precristiano si basa in ultima analisi sull’idea della sostituzione: l’uomo è consapevole che fondamentalmente deve dare se stesso se vuole onorare Dio in maniera adeguata, ma sperimenta nello stesso tempo l’impossibilità di darsi e sorge quindi la sostituzione: ecatombi di olocausti divampano sugli altari degli antichi, viene sviluppato un sistema rituale possente, ma su tutto questo pesa il dramma di una inutilità impressionante, giacché non esiste nulla con cui l’uomo possa sostituire se stesso: qualsiasi cosa possa offrire, rimane sempre troppo poco.
La critica profetica al culto aveva sempre opposto all’autosufficienza dei ritualisti che Dio, a cui appartiene il mondo tutto, non aveva bisogno dei loro capri e dei loro tori; la facciata sfarzosa del rito nasconde soltanto la fuga da ciò che è autentico, dalla chiamata di Dio che vuole noi stessi e che può essere veracemente adorato solo nel gesto dell’amore senza riserva. Mentre nel tempio sanguinavano gli agnelli pasquali, fuori della città muore un uomo, il Figlio di Dio, ucciso proprio da coloro che credono di onorare Dio nel tempio. Dio muore come uomo – egli dà tutto se stesso agli uomini che non sono in grado di darsi a- lui e pone quindi al posto dell’inutile sostituzione cultuale, la realtà del suo amore onnisufficiente. La lettera agli Ebrei ha sviluppato ulteriormente il piccolo accenno del vangelo di Giovanni interpretando la liturgia giudaica del giorno della riconciliazione come preludio figurato della liturgia reale della vita e della morte del Cristo Gesù. Ciò che agli occhi del mondo appariva come fatto assolutamente profano, come esecuzione di un uomo condannato a morte come agitatore politico, era in realtà l’unica vera liturgia della storia del mondo – liturgia cosmica attraverso la quale Gesù, non già nella sfera delimitata e cultuale del tempio, ma fuori ‘davanti al mondo tutto, penetrò attraverso la parete della morte nel tempio vero: alla presenza del Padre.
Ed egli non portò il sangue di animali in sostituzione, ma se stesso, com’è conforme allo amore autentico che non può donare che se stesso. La realtà dell’amore che dà se stesso ha eliminato il gioco della sostituzione, che ormai resta per sempre fuori causa. n. velo del tempio è lacerato, ormai non c’è più culto se non nella partecipazione all’amore di Gesù Cristo che costituisce il perpetuo giorno di riconciliazione cosmica. E tuttavia l’idea della sostituzione ha ricevuto in Cristo un senso nuovo ed inaudito. Dio stesso in Gesù Cristo si è messo al nostro posto e noi tutti viviamo solo a partire dal mistero di questa sostituzione.
n secondo testo del Vecchio Testamento che viene inserito nella narrazione della trafittura rende ancora più evidente quanto abbiamo detto, per quanto permangano oscurità sui dettagli. Giovanni dice che un soldato aprì il fianco di Gesù con la lancia. Egli adopera la stessa parola che nel Vecchio Testamento viene usata per la descrizione della creazione di Eva dal fianco di Adamo dormiente. Qualsiasi cosa voglia indicare più da vicino questo accenno, in ogni caso è sufficientemente chiaro che nel vicendevole rapporto tra Cristo e l’umanità credente si ripete il mistero della creazione dell’origine e della donazione vicendevole dell’uomo e della donna. La chiesa ha origine dal fianco aperto del Cristo morente o, se vogliamo esprimerci in termini diversi ed un po’ metaforici: proprio la morte del Signore, la radicalità dell’amore ché perviene all’autodonazione, ha causato questa fecondità. Poiché egli non- si è rinchiuso nell’egoismo di colui che vive solo per se stesso e mette la propria autoconservazione al di sopra di tutto, ma si è lasciato aprire per uscire fuori da se stesso ed esistere per gli altri, proprio per questo egli raggiunge ormai tutti i tempi, al di là di se stesso. n fianco aperto è quindi il simbolo di ‘una nuova immagine dell’uomo, di un nuovo Adamo; esso sta a contrassegnare Cristo come l’uomo che esiste-per-glialtri. E f-orse a partire da. qui soltanto possono essere intese le profondissime affermazioni della fede su Gesù Cristo, così come nello stesso tempo è a partire da qui che si fa manifesto il compito immediato affida,o dal crocifisso alla nostra vita. La fede dice di Gesù Cristo che egli è una sola persona in due nature; nel testo greco originale si dice in maniera più esatta e appropriata che egli è una sola ‘ipostasi’, un unico essere autonomo.
Nel corso della storia ciò è stato sempre nuovamente equivocato come se a Gesù mancasse qualcosa della sua umanità, come se per essere Dio dovesse in qualche modo essere meno uomo. È vero proprio il contrario: Gesù è l’uomo vero, dal quale è misurato ogni altro uomo, al quale deve andare ogni essere umano per pervenire alla propria autenticità. Ed egli è uomo perfetto proprio in quanto in questo non è ‘ipostasi’, essere che sta presso se stesso. Infatti più elevato ancora che il poter essere presso se stessi è il non-poter-stare-presso-se-stessi e il non volerlo, l’andare agli altri partendo dal Padre. Gesù è per così dire nient’altro che il movimento da sé al Padre e agli uomini. E proprio perciò, perché in lui è stato radicalmente spezzato l’anello del roteare attorno a se stessi, egli è nello stesso tempo figlio di Dio e figlio dell’uomo. Proprio perché egli esiste per gli altri totalmente, egli è totalmente se stesso – immagine finale della vera umanità. Diventar cristiani significa diventare uomini, pervenire alla umanità vera, all’essere-pergli-altri e all’essere-da-Dio. Il fianco aperto del crocifisso, la ferita mortale del nuovo Adamo, è il punto di partenza del vero essere umano dell’uomo: essi guarderanno a colui che hanno trafitto.

 Seconda meditazione
Volgiamo ancora una volta il nostro sguardo al lato aperto del Cristo crocifisso, giacché questo sguardo costituisce il senso intimo del Venerdì santo che vuole riportare i nostri occhi via da tutte le attrazioni del mondo, dalla fata Morgana delle sue promesse in vetrina, al vero punto direzionale che unico ci può garantire il cammino in mezzo al groviglio di viuzze che girano sempre attorno allo stesso posto.
Giovanni ha espresso in maniera ancora diversa, rispetto a quella precedentemente considerata, il pensiero che la chiesa deve la sua origine più profonda al fianco trafitto di Cristo. Egli accenna al fatto che dalla ferita del fianco sono usciti sangue ed acqua. Sangue ed acqua stanno ad indicare per lui i due sacramenti fondamentali, battesimo ed eucaristia, che a loro volta costituiscono il contenuto autentico dell’esser-chiesa della chiesa. Battesimo ed eucaristia sono i due modi in cui gli uomini possono essere inseriti nello spazio vitale di Gesù Cristo. Il battesimo sta a significare infatti che un uomo diventa cristiano e si pone sotto il nome di Gesù Cristo. E questo stare sotto un nome significa molto di più che un puro gioco di parole; ciò che sta a significare può essere visto un po’ attraverso l’evento del matrimonio e la comunità di nome che si istituisce tra due persone come espressione dell’unione vicendevole del loro essere, che avviene appunto nel matrimonio. Il battesimo che, come attuazione sacramentale del divenire cristiani, ci unisce al nome di Cristo, sta a significare esattamente un evento simile al matrimonio: compenetrazione della nostra esistenza con la sua, inserimento della nostra vita nella sua, che diventa cosi criterio e spazio del mio essere umano. L’eucaristia è a sua volta comunione di mensa con il Signore che ci vuole trasformare in lui per condurci cosi l’uno verso l’altro, giacché tutti mangiamo lo stesso pane. Non siamo infatti noi ad assumere il corpo del Signore, ma è lui che ci cava, per così dire, fuori da noi stessi e ci inserisce in lui per farci chiesa.
Giovanni riconduce i due sacramenti alla croce; egli li vede defluire dal fianco aperto del Signore e considera quindi compiuta la parola del discorso di congedo: io vado e torno a voi. Proprio mentre me ne vado vengo a voi; anzi la mia dipartita – la morte sulla croce – è essa stessa il mio ritorno. Fin quando vivremo il nostro corpo non è soltanto il ponte che ci unisce vicendevolmente, ma anche la barriera che ci separa, ci rinchiude nell’inaccostabilità del nostro io, dentro alla nostra forma spazio-temporale. Il fianco aperto diventa nuovamente il simbolo della nuova apertura che il Signore viene a costituire mediante la sua morte: ormai la barriera del corpo non lo lega più, sangue ed acqua scorrono attraverso la storia. In quanto risorto egli è lo spazio aperto che ci chiama tutti. Il suo ritorno non è soltanto un avvenimento lontano, alla fine dei tempi, ma è iniziato già nell’ora della sua morte, a partire dalla quale egli viene sempre nuovamente in mezzo a noi. Nella morte del Signore si è compiuto quindi il destino del seme di grano: nel pane di grano dell’eucaristia noi riceviamo l’inesauribile moltiplicazione di pane dell’amore di Gesù Cristo, sufficiente a saziare la fame di tutti i tempi e che proprio in questa maniera vuole assumere anche noi al servizio di questa moltiplicazione di pani. I due pani di orzo della nostra vita potranno apparire inutili, ma il Signore ha bisogno di essi e li esige.
I sacramenti della chiesa sono, come questa, frutto del seme di grano morente. Riceverli significa per noi donarci a quel movimento da cui essi provengono. Si esige cioè da noi di penetra;; re in quel perdersi, senza del quale non ci possiamo ritrovare: «Chi vuole- conservare la sua vita la deve perdere; ma chi la perderà per il mio nome e per il vangelo, la conserverà»; questa parola del Signore è la formula fondamentale della vita cristiana. La fede in ultima analisi non è niente altro che il dire di si a questa santa avventura del perdersi, e proprio qui, a partire dal suo nucleo profondo non è altro che amore autentico. La fede cristiana riceve quindi la sua forma determinante dalla croce di Gesù Cristo e l’apertura del cristiano al mondo, della quale oggi si sente tanto parlare, non può reperire il proprio modello altrove che nel fianco aperto del Signore, espressione di quell’amore radicale che solo può redimere. Dal corpo trafitto del crocifisso sono usciti sangue ed acqua. Ciò che in primo luogo è segno della sua morte, espressione del sul fallimento nell’abisso della morte, è nello stesso tempo un nuovo inizio: il crocifisso risorgerà e non morrà più… Dalla profondità della morte si innalza la promessa della vita eterna. Sulla croce di. Gesù Cristo brilla già sempre lo splendore vittorioso del mattino di Pasqua. Vive. re con lui a partire dalla croce significa quindi sempre vivere anche sotto la promessa della gioia pasquale.

Preghiera
Signore Gesù Cristo concedici in questo Venerdì santo di guardare a te, al tuo cuore. trafitto. Concedici che i nostri occhi e il nostro spirito, che ogni giorno si bagnano nella vanità e nella banalità, possano una volta, al di, là di tutti gli schermi di questo mondo, contemplare il vero Salvatore: te, seme di grano morto, dal quale è

germogliato il frutto centuplo dell’amore di cui tutti viviamo. O Signore, noi esitiamo a venire a te, opponiamo resistenza quando ci vuoi prendere come semi di grano, quando vuoi tirarci fuori dalla meschina difesa del nostro spirito di autoconservazione nel quale ci siamo rincantucciati mascherando la nostra pusillanimità con parole grosse. Ah, tu conosci la nostra debolezza, la nostra incapacità a far fronte alla minima oscurità, l’angoscia nella quale rimaniamo prigionieri di noi stessi. Facci liberi; portaci per mano fuori di noi stessi, oltre la soglia della nostra paura, e ciò di cui non siamo capaci possa essere il dono della ricchezza invitta del tuo cuore aperto. Amen.

Preghiera comune di intercessione

Preghiamo per la santa chiesa di Dio. Perché tu o Signore voglia guidarla in questo tempo di confusione, ricerca e domanda. Perché tu voglia inviarle uomini santi che vivano in mezzo al nostro tempo con la pienezza della loro fede. Perché tu ci voglia donare la concordia, la pazienza vicendevole, la forza portante dell’amore ed il coraggio per la santa stoltezza della fede…

Signore pietà!

Preghiamo per tutti coloro che sono alla ricerca, per tutti coloro che sono tentati o che sbagliano. Che in mezzo alla fuga seduttrice verso le parole fatte, in mezzo alla dittatura della via più facile, tu o Dio possa essere di aiuto a coloro che cercano, forza a coloro che sono tentati, sostegno nell’inutilità spaventosa che minaccia di opprimere coloro che si trovano consegnati fuori da se stessi; che tu possa essere luce nel dubbio che ci fa vacillare; che tu ti voglia mostrare agli erranti, ai persecutori che forse cercano ancora te in qualche maniera…

Signore pietà!

Preghiamo per la pace del mondo, per gli affamati, i perseguitati e gli ammalati. Considera o Signore la miseria orribile e molteplice che tiene prigionieri gli uomini; essi sono tuoi figli, non dimenticarli. Concedi la pace là dove essa manca, perché tu solo la puoi dare in mezzo all’indurimento spaventoso degli uomini. Dai il cibo agli affamati, copri gli ignudi, consola .gli afflitti, tu Dio di ogni consolazione.

Signore pietà!

GIOVEDI SANTO: ORA SANTA AL GETHSEMANI – KARL RAHNER

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KARL RAHNER

GIOVEDI SANTO

ORA SANTA AL GETHSEMANI

1. LA PRESENZA DI GESÙ E DELLA SUA VITA

Signore Gesù Cristo, Piglio del Dio vivo, vero Dio e vero uomo, uno nell’unità della Persona e nell’indivisa, inconfusa dualità delle nature, noi ti adoriamo, poiché tu sei veramente qui presente in mezzo a noi.
Tu sei presente non soltanto con la tua eterna divinità, per la quale tu sei della stessa natura, potenza e gloria dell’eterno Padre, onde tutto penetri in tutti i luoghi con la tua immensità, in cui tutto vive, tutto si muove, tutto esiste.
Tu sei qui presente anche con la tua natura umana; tu sei qui tra noi nel Sacramento dell’altare con il tuo corpo, la tua anima, il tuo cuore d’uomo. Tu sei qui: tu che nascesti dalla Vergine Maria, che hai attraversato e subito una esistenza umana, con le sue ore grandi e piccole, con le sue gioie e le sue lacrime, con la sua lunga e grigia monotonia quotidiana e i suoi momenti decisivi. Tu sei qui: lo stesso che ha sofferto sotto Ponzio Pilato e che venne crocifisso. Tu sei qui: quello che sulla croce ha vuotato il calice del dolore fino alla feccia.
Sei presente con il tuo corpo risuscitato e trasfigurato dalla gloria di Dio. Sei in mezzo a noi con il tuo cuore umano nel quale scroscia la gioia di tutte le eternità, con il tuo spirito 1:1mano che contempla, faccia a faccia, la inaccessibile luce del Padre, del Figlio suo e del suo Santo Spirito, questo Dio trino, eterno e incomprensibile. In verità, tu sei qui presente come uomo. Noi non vediamo nulla, ma l’occhio della fede ti vede presente in mezzo a noi, fratèllo nostro che condividi la stessa nostra natura. Il nostro orecchio non ti sente; ma l’udito della fede percepisce quel canto eterno di lode che tu, sommo sacerdote e intercessore dell’umanità intera, perennemente rivolgi all’eterno Padre nella gioia del tuo cuore radioso, straripante di divinità.
Noi ti adoriamo, ti lodiamo, ti ringraziamo e celebriamo la tua gloria, poiché tu hai voluto abitare in mezzo a noi, tu, nostro Dio, nostro principio e origine, nostra mèta e termine; poiché hai voluto abitare tra di noi, essere uomo come noi. Poiché tu hai voluto partire dagli inizi, percorrere peregrinando la nostra strada per le strettoie della nostra finitezza, attraverso la
valle delle lacrime, per ragiungere ancora il fine e lo scopo – mentre sei tu il fine e lo scopo di tutti.
Tu sei tra di noi: per questo anche la tua vita umana ci è qui incredibilmente vicina. Quello che tu hai vissuto millenovecento anni orsono, a ben guardare, è trascorso soltanto in apparenza. Certo, l’aspetto terrestre ed esteriore della tua vita è ormai passato. Tu non devi più nascere come un povero bambino; non hai più fame e sete, non ti affatichi più, non piangi più: la nullità perennemente mutevole di quel che noi chiamiamo vita umana non trascorre più davanti a te e nemmeno dentro di te, nella tua anima, per lasciarvi un’impronta e trasformarti; tu non muori più. Tutto ciò è finito e passato, ed era prezioso appunto perché unico e passeggero. Tutto ciò è finito, perché anche la tua realtà umana, creata, finita, mutevole, è entrata nell’eternità del Padre tuo, è giunta al termine del suo compimento, in cui ogni vicenda sbocca nella definitiva perfezione, quella perfezione che rappresenta tuttavia la più libera vitalità, in Cui la fluidità del tempo si condensa nell’unico istante dell’eternità, che tutto abbraccia in unità, per sempre. La tua vita umana nel tempo è scomparsa, ma unicamente per entrare in Dio.
Appunto per questo essa ci è rimasta più profondamente presente. Perché ormai la tua vita umana è totalmente unita all’Eterno, all’origine di ogni cosa, nella cui sapienza e nel cui amore tutto ciò che passa rimane come eterna inalterabile presenza. Il tuo spirito e il tuo cuore umano vedono ed abbracciano Colui che dà al tempo la sua perennità, al divenire la sua durata eterna, al cambiamento il suo riposo inalterabile, al transitorio la sua incessante stabilità. Nella sapienza e nell’amore eterni di Dio stesso, il tuo cuore può scoprire, amare, accettare ed abbracciare per sempre la divina attualità della tua vita passata, poiché è lì che la tua vita possiede la sua completa realtà.
Ma anche nel tuo cuore stesso, o Gesù, rimani davvero e per sempre presente.
Quel che passa infatti in una vita umana, son soltanto gli avvenimenti esteriori. Ma quando questi sì sono sprofondati nel buio del passato annullatore, hanno generato qualcosa di eterno, hanno contribuito alla formazione dell’uomo spirituale in noi, impregnato di eternità. Durante il tempo che passa, qualcosa accade in noi che non passa mai più. Noi non siamo come una strada sulla quale scorre l’interminabile convoglio degli attimi, passati i quali », la lasciano vuota come prima. Noi assomigliamo piuttosto ad un forziere in cui ogni istante deposita. nel lasciarci, ciò ch’esso aveva di eterno: la capacità unica di amare liberamente Dio e di deciderci – noi, uomini – per Lui o contro di Lui: questo, in realtà, è un atto ogni volta eterno. È come se le onde del tempo, nel loro flusso e riflusso senza fine, lambissero silenziosamente la spiaggia della eternità; come se ogni onda, ogni istante, ogni azione, vi deponessero quanto vi è in 10m di eterno, il bene come il male, poiché questi sono i valori eterni nelle cose del tempo.
Questo bene o questo male eterno, attaccato alle nostre opere fuggitive, si deposita sul fondo incancellabile della nostra anima, penetra in lei e forma la profondità nascosta dell’anima – nascosta a noi, ma non a Dio. E così nel corso del tempo, lentamente va compiendosi qualcosa di eterno: l’aspetto perenne della nostra anima e, con esso, il nostro eterno destino. E quando il tempo si arresterà, niente in realtà avrà cessato. Scompariranno solamente le acque correnti e lasceranno libero e manifesto, anche allo sguardo dell’uomo, ciò che finora gli era nascosto: la sua vita divenuta eternità, così come egli liberamente l’ha forgiata e modellata.
Così è accaduto anche a te, Gesù, perché tu sei vero uomo e hai portato a compimento una vita veramente umana. E pertanto questa vita permane presente non soltanto in Dio, ma anche in .te stesso. Quello che tu sei diventato nella tua vita, lo sei per adesso e per sempre. La tua fanciullezza è passata; ma ancor oggi tu sei colui che ha vissuto una fanciullezza, quale può essere un uomo che, un tempo, fu bambino. Le tue lacrime sono esaurite; ma oggi ancora tu sei come può essere soltanto chi una volta ha pianto, il cui cuore non potrà mai dimenticare la ragione del suo pianto. Le tue pene sono terminate; ma in te rimane perenne la maturità dell’uomo che le ha provate. La tua vita e la tua morte terrene sono trascorse, ma quanto maturò in esse è diventato eterno in te, ed è quindi presente in mezzo a noi. Presenza di eternità è l’eroismo della tua vita che ha superato ogni ostacolo, e l’amore che questa vita ha formato ed illuminato. Presenza di eternità è il tuo cuore, che ha risposto uno schietto sì alle disposizioni incomprensibili del Padre. Presente è la sottomissione, la fedeltà, la dolcezza, l’amore ai peccatori che crebbe in te ad ogni istante della tua vita, affermandosi fino a diventare, per la tua libertà, il tratto caratteristico della tua natura umana. Così ti trovi ora in mezzo a noi, e pertanto si trova presente tra di noi quel che tu fosti, quello che hai vissuto, quello che hai sofferto.
. Ma anche per un terzo motivo la tua vita di un tempo è qui realmente presente in mezzo a noi. Quando si svolgeva la tua vita, al tuo pensiero e al tuo amore erano vicini non soltanto il tuo ambiente particolare e la gente del tuo tempo. Davanti all’interessamento e alla carità, non solo della tua natura divina, bensì anche del tuo cuore umano, stavamo pure noi, stavo io, la mia vita, il mio tempo, il mio ambiente, le mie vicende, le mie ore grandi e meschine, quello che io volevo essere con la mia libertà. Tu, nella misteriosa intimità del tuo essere profondo, conoscevi già tutto, l’avevi da sempre accolto e portato nel tuo cuore. Così la tua vita umana è stata modellata dalla mia propria vita, da sempre. La mia vita fa parte del tuo destino. Tu hai già detto sì alla mia vita, hai pregato per me allora, hai già reso grazie per la mia Grazia; la tua vita si è occupata della mia vita e ha preso, nella sua forma, qualcosa di me e della mia vita. Ed ora che la tua vita. è diventata eternità e sei qui presente tra noi nel Sacramento, tu sei innanzi.. tutto Colui la cui vita, adesso eternata, racchiude per sempre la conoscenza di me e l’amore per me.

COSÌ NOI TI VOGLIAMO ADORARE:
O Gesù – noi ti adoriamo.
O Dio eterno – noi ti adoriamo.
Nostro Redentore, presente nel sacramento noi ti adoriamo.
Gesù, presente come vero uomo – noi ti adoriamo.
Vita e morte di Gesù, eternamente presenti nella conoscenza e nella volontà immutabili del Padre – noi vi adoriamo.
Vita e morte di Gesù, perennemente presenti nella pienezza del suo cuore plasmato da questa .vita e questa morte – noi vi adoriamo.
Vita e passione di Gesù qui presenti, che da sempre avete accolto la nostra vita in voi, – noi vi adoriamo.
Gesù, che sei veramente presente in mezzo a noi, – noi ti adoriamo.

’2. LA PRESENZA DELL’AGONIA DI GESÙ AL GETHSEMANI
Gesù, tu sei qui veramente tra di noi, con il tuo essere umano: carne e sangue, spirito e cuore. Perciò tu sei tra di noi anche con la tua vita umana: essa non è puramente passata e scomparsa; al contrario, essa è entrata nell’eterna realtà del tuo cuore.
Le tue ore di agonia e di lotta al Monte degli Olivi sono dunque presenti a noi che in questa ora le vogliamo venerare nella fede e nell’amore, nel rispetto, nella riconoscenza e nella compassione espiatrice.
La tua anima umana vede anche adesso, nella gloria del cielo, l’eterna, inalterabile volontà del Padre che. ha stabilito alla tua vita queste ore del Gethsemani. Il tuo cuore adora ancora questa volontà del Padre. E la tua anima e il tuo cuore son qui presenti in mezzo a noi.
Tu che hai sofferto le ore del Gethsemani, sei in mezzo a noi. Ciò che tu hai provato e patito allor-a, è passato: né tristezza, né pena, né amarezza, né angoscia di morte toccano più il tuo cuore da quando sei penetrato nella felicità del Padre. Ma quello che allora hai provato e sofferto, ha improntato il tuo cuore, è rimasto nel tuo cuore, ed è cosi che tu ti trovi fra di noi. L’apostolo afferma di te (Ebrei, 5, 7.8) che, nei giorni della tua vita terrena, con forti grida e lacrime tu presentasti preghiere e suppliche a Colui che ti poteva salvare dalla morte, ed a questo modo hai imparato, nella tua sensibilità, ad obbedire. Noi ti adoriamo cosi e diciamo a te, quale allora tu fosti al Monte degli Olivi: – abbi pietà di noi.

O Gesù, per l’obbedienza che hai imparato al Gethsemani – abbi pietà di noi.
Gesù, per la tua sottomissione al Gethsemani, frutto di lotta – abbi pietà di noi.
Gesù, per la tua accettazione del dolore, mantenuta al Gethsemani – abbi pietà di noi.
Gesù, per il tuo amore verso di noi, sconfitto nemmeno al Gethsemani – abbi pietà di noi.
Gesù, per la tua bontà, che nemmeno al Gethsemani si è tinta di amarezza – abbi pietà di noi.
Gesù, per il tuo coraggio, eroico anche alGethsemani – abbi pietà di noi.
Gesù, per la tua mitezza, che non ha vacillato nemmeno al Gethsemani – abbi pietà di noi.
Gesù, per l’angoscia e la tristezza di quelle ore – abbi pietà di noi.
Gesù, per il tuo timore e tremore – abbi pietà di noi.
Gesù, per la tua preghiera al Gethsemani – abbi pietà di noi.
Gesù, per la tua caduta con la faccia a terra – abbi pietà di noi.
Gesù, per la insistenza della tua preghiera continuamente rinnovata – abbi pietà di noi.
Gesù, per l’afflizione mortale della tua anima – abbi pietà di noi.
Gesù, per la tua domanda che ti fosse allontanato il calice della Passione – abbi pietà di noi.
Gesù, per la tua preghiera: «Non la mia, ma la tua volontà sia fatta» – abbi pietà di noi.
Gesù, per il tuo grido: «Abba, Padre» – abbi pietà di noi.
Gesù, per il tuo triplice acconsentimento alla volontà del Padre – abbi pietà di noi.
Gesù, per il tuo abbandono da parte degli apostoli dormienti – abbi pietà di noi.
Gesù, per il conforto che ricevesti dall’angelo – abbi pietà di noi.
Gesù, per il sudore di sangue della tua agonia all’Oliveto – abbi pietà di noi.
Gesù, per la previsione e la sofferenza anticipata di tutte le sofferenze future – abbi pietà di noi.
Gesù, per la conoscenza che tu avesti. al Gethsemani di tutti i peccati del mondo – abbi pietà di noi.
Gesù, per la tua nausea davanti ai peccati di tutti i tempi – abbi pietà di noi.
Gesù, per la tua conoscenza, al Gethsemani, dei mièi peccati – abbi pietà di noi.
Gesù, per l’afflizione del tuo cuore a causa dei miei peccati – abbi pietà di noi.
Gesù, per la tua prontezza al Gethsemani nel caricarti di tutto questo peso – abbi pietà di noi.
Gesù, per l’affanno del tuo cuore davanti alla inutilità della tua Passione- abbi pietà di noi.
Gesù, per l’abbandono di Dio nello strazio del Gethsemani – abbi pietà di noi.
Gesù, per la tua ubbidienza alla misteriosa volontà del Padre – abbi pietà di noi.
Gesù, per il tuo indefettibile amore verso Dio che sembrava unicamente adirato – abbi pietà di noi.
Gesù al Gethsemani, intercessore di tutti gli afflitti – abbi pietà di noi.
Gesù al Gethsemani, il più abbandonato di tutti i derelitti – abbi pietà di noi.
Gesù al Gethsemani, portavoce di tutti quanti gridano a Dio la loro angoscia – abbi pietà di noi.
Gesù al Gethsemani, modello di tutti i tentati – abbi pietà di noi.
Gesù al Gethsemani, conforto di tutti quelli che lottano penosamente nell’agonia – abbi pietà di noi.
Gesù al Gethsemani, capo di tutti quelli che devono scontare i peccati del mondo – abbi pietà di noi.
Gesù al Gethsemani, fratello compartecipe dell’affanno e della disperazione del mondo intero – abbi pietà di noi.
Gesù al Gethsemani, tu che comprendi ogni dolore – abbi pietà di noi.
Gesù al Gethsemani, nel quale ogni abbandono ha una patria – abbi pietà di noi.
Gesù al Gethsemani, che perseveri ad amare ancora ogni peccatore – abbi pietà di noi.
Gesù al Gethsemani, che vuoi stringere al tuo cuore anche il peggiore dei rinnegati – abbi pietà di noi.
Gesù al Gethsemani, la cui angoscia mortale redime la nostra morte in un felice ritorno alla casa del Padre – abbi pietà di noi.
Gesù al Gethsemani, sii a noi propizio – perdonaci, o Gesù.
Gesù al Gethsemani, sii a noi propizio – liberaci, o Gesù.
Dai peccati pianti al Gethsemani – liberaci, o Gesù.
Dalla ingratitudine verso il tuo amore – liberaci, o Gesù.
Dalla indifferenza verso il tuo dolore – liberaci, o Gesù.
Dalla insensibilità verso la tua agonia – liberaci, o Gesù.
Dalla resistenza alle grazie ottenuteci al Gethsemani – liberaci, o Gesù;
Dal rifiuto del tuo consenso al dolore e alla espiazione del Gethsemani – liberaci, o Gesù.
Dal dubbio sull’amore di Dio, nelle nostre notti del Gethsemani – liberaci, o Gesù.
Dall’amarezza nelle nostre prove del Gethsemani – liberaci, o Gesù.
Dalla disperazione nel nostro abbandono – liberaci, o Gesù.
Noi, poveri peccatori – ti preghiamo, ascoltaci.
Perdona i nostri peccati – ti preghiamo, ascoltaci.
Facci capire le tue sofferenze – ti preghiamo, ascoltaci.
Insegnaci il tuo abbandono alla volontà del Padre nel Gethsemani – ti preghiamo, ascoltaci.
Concediti l’insistenza della tua preghiera nella notte del Gethsemani – ti preghiamo, ascoltaci.
Accordaci i sentimenti del tuo cuore nelle ore del Gethsemani – ti preghiamo,ascoltaci.
Donaci di capire la penitenza e l’espiazione ti preghiamo, ascoltaci.
Facci comprendere che le nostre sofferenze sono una partecipazione alla tua sacra Passione ti preghiamo, ascoltaci.
Riempici d’orrore per i nostri peccati – ti preghiamo, ascoltaci.
Dacci la tua forza e la tua pazienza nei nostri affanni e nei nostri abbandoni – ti preghiamo, ascoltaci.
Assistici nella nostra agonia con il tuo coraggio di fronte alla morte – ti preghiamo, ascoltaci.
Nell’ora della nostra morte, mandaci il tuo Angelo del Gethsemani – ti preghiamo, ascoltaci.
Insegnati a vegliare e a pregare sempre con te al Gethsemani – ti preghiamo, ascoltaci.
Metti nel nostro cuore e sulle nostre labbra la parola: «Padre!», proprio quando Dio ci sembrerà il Signore e Giudice severo, il Dio incomprensibile e inaccessibile – ti preghiamo, ascoltaci.
Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo perdonaci, o Signore.
Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo – ascoltaci, o Signore.
Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo – abbi pietà di noi.
PREGHIAMO: Gesù, che sei qui presente, per i sacri sentimenti del tuo cuore divino ed umano, con i quali hai affrontato 1′agonia del Gethsemani nell’espiazione, nell’ubbidienza e nell’amore e con le quali tu rimani ancora in mezzo a noi, ti preghiamo:
, riempi i nostri cuori di pentimento per i nostri peccati, facci accogliere la nostra croce nel tuo spirito di espiazione e di penitenza ed accordaci un amore di gratitudine in ricambio dell’amore col quale tu accettasti al Gethsemani di dare inizio – per noi peccatori – alla tua sacrosanta Passione. – Amen.

3. LA PRESENZA DELL’ AGONIA DI GESÙ IN NOI
Signore Gesù Cristo, tu s,ei qui presente nel Santissimo Sacramento. Ma tu non rimani tra noi soltanto in questa forma. Tu vivi anche in noi.
Da quando siamo stati incorporati per il Battesimo al tuo Corpo Mistico, la Chiesa, tu vivi anche in noi mediante il tuo Santo Spirito col quale siamo stati segnati e consacrati. Tu sei in noi la vita della nostra vita, del nostro spirito e del nostro cuore. Con la forza e la potenza vivificante del tuo Santo Spirito, che procede dal Padre per te, tu hai preso possesso del più intimo centro del nostro essere, delle profondità più celate della nostra anima, le hai trasformate, illuminate, santificate, divinizzate. Non siamo più noi a vivere, bensì tu in noi; non apparteniamo più a noi stessi, ma a te. Tu sei la legge della nostra vita, l’intimo impulso del nostro essere e delle nostre azioni, la segreta luce del nostro spirito, l’ardore profondo dei nostri cuori, il santo splendore di tutta la nostra natura che la rende conforme alla luce eterna della divinità stessa.
Tu sei e vivi in noi, ci comunichi il tuo proprio essere, e la tua propria vita per mezzo tuo, che sei la grazia increata stessa, e ci rendi capaci mediante la grazia creata, di ricevere in noi te stesso insieme con il Dio unico e trino, di possederVi e di partecipare alla tua vita e alla sua. Così, per grazia del tuo imperscrutabile amore, noi siamo veramente e realmente figli e figlie del tuo Padre celeste, davvero tuoi fratelli e sorelle, coeredi con te di quella gloria che il Padre tuo comunica con generazione eterna a te come Dio e dona per grazia anche alla tua anima umana, che è come la nostra. Noi siamo così veramente ripieni dell’eterno Amore, il quale, nella persona dello Spirito Santo, perennemente procede dal Padre e da te. O Gesù, tu vivi talmente in noi che la tua stessa presenza nel Sacramento non è che un mezzo per manifestare, comunicare, accrescere e rafforzare la tua presenza di grazia in noi. La tua presenza sacramentale cesserà alla fine dei tempi. Ma la tua presenza in noi rimarrà: una volta caduti i veli della fede che la ricopre, essa salirà dalle profondità del cuore nascoste anche a noi stessi ed allora il suo nome sarà I Paradiso.
Se dunque tu vivi in noi, allora la nostra vita, fino nella sua banalità quotidiana, è anch’essa sottoposta alle leggi della tua vita. La nostra vita è una continuazione della tua. Quando fummo battezzati cominciò un nuovo capitolo della tua vita, il nostro atto di battesimo è una pagina della tua biografia. Sì, noi dobbiamo divenire conformi alla tua immagine, primogenito di molti fratelli, anzi noi dobbiamo rivestirci di te. Dal momento che tu vivi in noi devi prendere in noi una forma sempre più precisa. La grazia segreta di Dio nella tua anima umana ha reso la tua vita terrena una sua pura espressione e rivelazione in questo mondo visibile; allo stesso modo la nostra vita deve rivelare la stessa grazia – la tua grazia – in tutto il nostro agire e soffrire, onde conformarsi alla tua vita ad un tempo terrestre e celeste. Tu hai voluto condurre una vita in tutti i tempi, in tutte le situazioni, in tutti i popoli e razze. E siccome tu non potesti, nella limitazione della tua condizione creata, ottenere questo nella tua vita terrena, allora, mediante il tuo Santo Spirito donatoci dal tuo cuore trafitto, afferri con la tua grazia le nostre vite e cerchi di conformarle alla tua, affinché in tutti i tempi e in tutti i luoghi, fino al cessare dei giorni, la tua vita prosegua in forme e modi sempre nuovi.
Ma se la tua vita, nella grazia e nello Spirito Santo, deve assumere nuovo aspetto ‘nella nostra vita, ciò vale anche per le tue sofferenze, per la tua Passione benedetta. Questo è infatti l’avvenimento decisivo della tua vita. Nel battesimo noi fummo, come dice l’Apostolo, immersi nella tua morte. Essendo dunque figli di Dio, ripieni del suo Spirito e coeredi con te, dobbiamo pure patire con te per condividere la tua gloria. Noi portiamo sempre, secondo il tuo Apostolo, la tua Passione nel nostro corpo, affinché la tua vita si manifesti nel nostro corpo mortale. Tu devi dunque assumere in noi, inevitabilmente, l’aspetto del Crocifisso. Nelle membra del tuo Mistico Corpo tu continui a soffrire sino alla fine dei giorni. La tua Passione, o Gesù, giungerà propriamente al termine solo quando saranno state piante le ultime lacrime, sarà scomparso l’ultimo dolore e l’ultima agonia sarà stata subita su questa terra. lo non potrei essere tuo discepolo se la tua croce non gravasse anche su di me; e se la tua Passione non fosse anche mia porzione, allora io dovrei concludere che il tuo spirito e la intima legge della tua vita terrena non dimorano e non operano in me. Ma allora io non sarei tuo: sarei invece lontano da te, che sei la vita vera ed eterna!
Se tu invece vuoi continuare a patire anche in me per la salvezza mia e del mondo come per la gloria del Padre, se tu vuoi completare, con i miei dolori e le mie pene, ciò che ancora manca alla tua Passione per il tuo Corpo, che è la Chiesa, allora la mia vita avrà continuamente parte – una parte ben povera e piccola, ma reale – alla tua notte del Gethsemani.
In questo caso non sarà più nel pacifico e pio raccoglimento di quest’ora in chiesa che io compirò, nella sua forma più vera, la mia «Ora Santa» in venerazione delle tue sofferenze all’Oliveto. Le mie autentiche «ore sante» sono le ore in cui gli affanni del corpo e dell’anima mi pesano fino a schiacciarmi, le ore in cui Dio mi porge il calice dell’amarezza, le ore in cui piango i miei peccati, le ore in cui grido al Padre tuo, o Gesù, senza che trovi apparentemente ascolto, le ore in cui la fede mi diventa una tortura, la speranza sembra mutarsi in disperazione, l’amore sembra morto nel mio cuore. Queste sono le vere «ore sante» della mia vita: le ore in cui la grazia attira misteriosamente il mio cuore nella tua angoscia del Gethsemani. Ma quando queste ore si addenseranno su di me, allora abbi pietà di me, Signore!
Quando l’angoscia del tuo Gethsemani si abbatterà su di me, stammi accanto. Dammi grazia di riconoscere in essa le tue ore sante, quelle della tua vita, quelle del Gethsemani. Fammi allora comprendere che esse, in definitiva, non piombano su di me per un cieco caso, per cattiveria umana o per un tragico destino, che esse sono invece una grazia: la grazia di condividere la tua sorte al Monte degli Olivi.
Concedimi la grazia di dire: Sì. Sì a ciò che vi è di più amaro, sì a tutto, poiché tutto in tali ore, anche le conseguenze delle mie colpe, è voluto dall’eterno Amore – che Egli sia benedetto in eterno. Accordami allora la grazia di pregare, anche quando il cielo pare plumbeo e sbarrato, anche quando mi seppellisce il mortale silenzio di Dio, anche quando tutte le stelle della mia vita si spengono, anche quando la fede e la carità sembrano morte nel mio cuore, anche quando le mie labbra balbettano formule di preghiera che risuonano come menzogne al mio cuore schiacciato. La fredda disperazione, che vuol uccidere il mio cuore, per la tua grazia in me sia ancora una preghiera, una confessione del tuo amore; !’impotenza paralizzante- di un’anima in agonia, di un’anima che non ha più nulla dove aggrapparsi, sia ancora un grido che sale verso il Padre tuo. In quel momento – te lo dico fin da ora, qui, inginocchiato davanti a te – tutto si inabissi e sia ricoperto dalla tua agonia nell’Oliveto.
Abbi pietà di noi, Gesù, quando l’angelo della nostra vita ci porgerà il calice, come a te. Ti preghiamo, abbi pietà di noi. Ma non impietosirti al punto di risparmiarci quel calice. Chi ti appartiene lo deve sorbire con te, come tu hai fatto. Ma abbi pietà di noi allora con l’assisterci, non tanto per sentirci forti in quell’ora, quanto piuttosto perché la tua forza trionfi nella nostra debolezza. Ti imploriamo: abbi pietà di noi! Nei tuoi tormenti, al Monte degli Olivi, vedesti davanti a te gli uomini di queste ore d’agonia, e tale visione ha consolato allora il tuo cuore. Facci essere gli uomini della tua consolazione. Ti gridiamo: abbi pietà di noi.

Quando ci farai partecipare alle tue ore del Gethsemani – abbi pietà di noi.
Quando dobbiamo riconoscere nelle ore della afflizione una comunicazione alle tue sofferenze – abbi pietà di noi.
Quando a noi, come a te, la volontà di Dio sembra dura e incomprensibile – abbi pietà di noi.
Quando la tristezza e il turbamento, la nausea e la paura, ci assalgono, come fu per te – abbi pietà di noi. Quando noi siamo presi dal rimorso delle nostre colpe – abbi pietà di noi.
Quando la santità e la giustizia divine ci riempiono di spavento c abbi pietà di noi.
Quando dobbiamo pagare ed espiare per i nostri errori – abbi pietà di noi.
Quando siamo chiamati a condividere le sofferenze del tuo Corpo Mistico, la Chiesa – abbi pietà di noi.
Quando l’egoismo ci tenta di sopravvalutare, piagnucolando, le nostre sofferenze – abbi pietà
di noi.
Quando siamo traditi, come te, dagli amici abbi pietà di noi.
Quando anche noi, come te, siamo privati di ogni soccorso – abbi pietà di noi.
Quando, come a te, ci accolgono ostilità e odio – abbi pietà di noi.
Quando il nostro amore, come il tuo, ci viene ripagato con l’ingratitudine – abbi pietà di noi.
Quando il Padre pare non ascolti la nostra preghiera – abbi pietà di noi.
Quando nella notte del dolore la luce della fede sembra oscurarsi – abbi pietà di noi.
Quando, nelle ore del Gethsemani, la disperazione minaccia di sconfiggere la spéranza – abbi pietà di noi.
Quando, nelle nostre vere «ore sante», l’amore di Dio in noi sembra scomparire – abbi pietà di noi.
Quando in noi non rimane nient’altro che la nostra più profonda miseria e la nostra estrema impotenza, insieme alla incomprensibilità di Dio – abbi pietà di noi.
Quando ci assale, come fu per te, l’ultima agonia – abbi pietà di noi.
Agnello di Dio, che al Gethsemani ti sei caricato di tutti i nostri dolori – perdonaci, o Gesù.
Agnello di Dio, che al Gethsemani e sulla Croce hai redento e santificato la nostra sofferenza – ascoltaci, o Gesù.
Agnello di Dio, tu che introduci nella gloria del Padre quanti hanno patito con te e in te abbi pietà di noi, o Gesù. Amen.

«MISSA IN COENA DOMINI» NELL’ARCIBASILICA LATERANENSE – OMELIA DI PAOLO VI, 1968

http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/homilies/1968/documents/hf_p-vi_hom_19680411_it.html

«MISSA IN COENA DOMINI» NELL’ARCIBASILICA LATERANENSE

OMELIA DI PAOLO VI

GIOVEDÌ SANTO, 11 APRILE 1968

VENERATI FRATELLI E FIGLI CARISSIMI!

Tale è l’ampiezza, tale la ricchezza, tale la profondità dei fatti, dei misteri, dei riti, che il Giovedì Santo offre alla nostra considerazione, che faremo Noi pure ancora una volta una rinuncia a tutto comprendere, a tutto dire; e una scelta faremo d’uno degli aspetti di questa dolorosa e beata rievocazione della «Cena del Signore», sul quale concentriamo, per un breve istante, la nostra riflessione, come fosse il punto facile, che ci lascia intravedere nella sua prospettiva i significati molteplici dell’avvenimento celebrato.

LA PIÙ VERA AUTENTICA E DEGNA FORMA DELL’AMORE
Sembra chiaro a Noi che questo punto focale è l’amore.
E non pronunciamo con facilità questa troppo facile parola, dai molti, ambigui significati, nei quali le più varie e contraddittorie espressioni del sentimento e del volere sono stranamente accomunate, dalle più basse e depravate della passione e del vizio alle più alte e sublimi dell’eroismo e della carità, a quelle trascendenti perfino dell’infinita bontà effusiva di Dio con l’identico nome di amore. Ma questo incontro della parola, anzi della realtà dell’amore in questa celebrazione del Giovedì Santo è per noi una fortuna, una scuola; quella di saper distinguere fra le tante equivoche o imperfette forme dell’amore quella più vera, più autentica, più degna di tanto nome.

L’IMMENSO SIGNIFICATO DEL RACCONTO DELL’EVANGELISTA GIOVANNI
Ascoltiamo l’Evangelista Giovanni, colui che in quella sera benedetta, valendosi dell’atmosfera spirituale e mistica che s’era prodotta durante quella cena desideratissima (cfr. Luc. 22, 15), dal Maestro, ancor più che della posizione conviviale a lui toccata, meritò di posare la testa sul petto di Gesù. Egli apre il suo racconto con parole studiate: «Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo giunta l’ora di passare da questo mondo al Padre, poiché egli aveva amato i suoi ch’erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Io. 13, 1). Fino alla fine, che cosa significa? Fino alla fine della vita temporale? Ciò indica che siamo in una veglia cosciente, precedente la tragedia della Passione, cioè in quell’ora testamentaria, in cui tutto si conclude con accenti e con gesti di suprema sincerità, e il cuore rivela le sue più profonde riserve nella semplice solennità delle estreme confidenze? Ovvero significa: fino alla fine d’ogni concepibile misura, fino all’eccesso, fino all’inverosimile limite, a cui solo il Cuore di Cristo poteva arrivare? Fino a dare se stesso con la totalità che il vero amore esige, e con l’effusione che solo un amore divino può concepire e può attuare? Qualunque sia l’interpretazione che daremo a quella superlativa espressione, ricorderemo ch’essa pone in chiave dell’ultima veglia di Cristo l’amore, che nelle stesse parole di Lui sale alla vetta della sua misura: «Nessuno ha un amore più grande di questo, di uno che dia la vita per i suoi amici» (Io. 15, 13). Amare vuol dire dare; dare significa amare. Dare tutto, dare la vita. Ecco la linea vera dell’amore, ecco il suo termine.

IL DONO DEH SACRIFICIO RIPETUTO E MOLTIPLICATO DALLA EUCARISTIA
Pensiamo allora al misterioso avvenimento che concluse quella cena pasquale. Scrive San Paolo, il primo a sigillarlo nella storia biblica: «Il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese il pane, e rese le grazie, lo spezzò e disse: prendete e mangiate, questo è il mio Corpo, che sarà dato per voi; questo fate in memoria di me. E similmente il calice… dicendo: Questo calice è il nuovo testamento nel mio sangue. Questo fate, ogni volta che ne berrete, in memoria di me» (1 Cor. 11, 23-25). Il dono cruento che-Cristo stava per offrire all’umanità nel suo imminente sacrificio della croce è riprodotto, è moltiplicato, è perpetuato nel dono, identico ma incruento, del Sacrificio eucaristico. Impossibile capire se non si pensa all’amore, che in quella sera inventò questa straordinaria maniera di comunicarsi. È per noi impossibile accogliere come si conviene questa immolata presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, che stiamo per celebrare, se non entriamo in quella proiezione d’amore, che Egli a noi rivolge; ancora San Paolo, che esclama: «Egli mi amò, e diede se stesso per me» (Gal. 2, 20).
Siamo inseguiti da questo ineffabile, irrefrenabile amore. Siamo così conosciuti, ricordati, assediati da questo potente e silenzioso amore, che non ci dà tregua, che vuole a noi comunicarsi, che vuole da noi essere compreso, ricevuto, ricambiato. Tutto il cristianesimo è qui. Il cristianesimo è comunione della vita divina, in Cristo, con la nostra. Il cristianesimo è appropriazione di Dio; e Dio è carità, è amore.
La rivelazione, sebbene sempre velata da un sistema di parole e di segni, il sistema sacramentale, per lasciare, anche in questa pienezza d’incontro intatta la nostra libertà, diventa folgorante. Se crediamo in questo «mysterium fidei», se entriamo nel cono di luce e di amore ch’essa lancia su di noi, come rimanere impassibili, come inerti, come distratti, come indifferenti? L’amore vuole amore: «amor ch’a nullo amato amar perdona»… (Dante, 1, 5, 103). È fuoco: come non sentirne il calore? come non cercare, in qualche modo, di corrispondervi ?

«IO VI DO IL COMANDAMENTO NUOVO»
Anche a questo ha provveduto il Signore da quella sera benedetta. Per capire ciò che Egli ha detto a questo proposito, dopo la sconcertante lezione d’amore e d’umiltà data ai suoi con la lavanda dei loro piedi, dobbiamo figurarci di avere Lui, Gesù Cristo, qui fra noi, in questa sua Chiesa romana, che ne custodisce le parole, i poteri, gli esempi, la perenne promessa; e dobbiamo chiedere a noi stessi: che cosa Egli ci direbbe? quale raccomandazione ci farebbe? quale lezione collegherebbe al suo mistero pasquale, che stiamo celebrando? Tacciano un istante, interiormente, i nostri animi, ed ascoltiamo: «Io vi do il comandamento nuovo: amatevi gli uni gli altri, come Io ho amato voi . . .» (Io. 13, 34). Ancora si parla di amore. Ma questa volta l’amore deve partire da noi. All’amore ricevuto da Cristo deve seguire il nostro per i nostri simili, per la comunità che ci trova uniti d’intorno a Lui, la presenza fisica, occasionale, esteriore, deve farsi unione spirituale, perpetua, interiore; così si forma la Chiesa, così si compagina il suo Corpo mistico. Una nuova circolazione di carità ci deve rendere da nemici amici, da estranei fratelli. Con questo paradossale impegno: dobbiamo amare come Lui ci ha amati.

L’INSUPERABILE POTENZA DELLA CARITÀ
Quel come dà le vertigini. Ci avverte che non avremo mai amato abbastanza. Ci avverte che la nostra professione di amore cristiano è ancora al principio. Ci avverte che il precetto della carità contiene in sé sviluppi potenziali, che nessuna filantropia, che nessuna sociologia potrà mai eguagliare. La carità è ancora contratta e racchiusa entro confini di costumi, d’interessi, di egoismi, che dovranno, Noi crediamo, essere dilatati. Dilatentur spatia caritatis, esclama Sant’Agostino (Sermo 10 de verbis D.ni). E a nostro stimolo, e forse a nostro rimprovero, dalle labbra soavi e tremende di Cristo piovono quest’altre indimenticabili parole, sempre sull’amore: «Da questo tutti conosceranno che siete miei discepoli, se vi amerete scambievolmente» (Io. 13, 35). L’amore dunque è il distintivo dell’autenticità cristiana.
Oh! quale lezione! quale programma! quale rinnovamento, quale «aggiornamento» è sempre proposto alla nostra. fedeltà a Cristo Signore! Piaccia a noi che tali divine parole, degne del Giovedì Santo, risuonino in quest’aula, in questa assemblea, in questa Chiesa romana, per trovarvi il loro umile, felice e volonteroso compimento; e piaccia al nostro Maestro e Salvatore Gesù concedere a noi questa grazia pasquale di saperle ricordare, vivere e rivivere sempre.

Il Giovedì Santo, ultima alba di quaresima, primo tramonto del triduo pasquale (Prima Parte, la seconda parte domani)

http://www.zenit.org/it/articles/il-giovedi-santo-ultima-alba-di-quaresima-primo-tramonto-del-triduo-pasquale-prima-parte

Il Giovedì Santo, ultima alba di quaresima, primo tramonto del triduo pasquale (Prima Parte, la seconda parte domani)

Una riflessione sulle preghiere e sulla liturgia del giovedì della Settimana Santa

Roma, 25 Marzo 2013 (Zenit.org) Padre Giuseppe Midili, O.Carm.

Il giovedì della Settimana Santa costituisce un momento cruciale della vita liturgica e il punto di congiunzione tra due tempi liturgici di straordinaria intensità. Nell’arco di una giornata, infatti, la Chiesa contempla l’ultima aurora del tempo quaresimale e il tramonto del primo giorno del triduo pasquale, culmine di tutto l’anno liturgico.
Una riflessione sulla struttura rituale del Giovedì Santo, sulle preghiere e sulla liturgia della Parola, costituisce il fondamento per la comprensione del significato teologico e spirituale delle due celebrazioni e per una partecipazione viva ed efficace ai santi misteri che vi si celebrano. Il percorso quaresimale, che inizia con il Mercoledì delle Ceneri e si conclude con la Messa Crismale, è caratterizzato da alcuni segni penitenziali: il colore liturgico viola e la soppressione del testo dell’Alleluia.
Nelle domeniche di Quaresima si omette anche il Gloria. Il Giovedì Santo invece, il colore liturgico è il bianco, proprio della solennità, ed il testo del Gloria viene cantato: la Chiesa – che si prepara ai momenti della passione – non può contenere la sua gioia, mentre celebra il memoriale dei grandi doni che ha ricevuto dal suo Salvatore.
Nel triduo pasquale la Chiesa celebra solennemente i grandi misteri della nostra redenzione, il Signore crocifisso, sepolto e risuscitato, facendone memoria attraverso celebrazioni particolari. Nel pomeriggio del giovedì santo – sul far della sera – la Chiesa si raduna per iniziare liturgicamente il percorso salvifico con la Messa nella Cena del Signore. La rubrica che offre gli spunti per l’omelia illustra il significato di questa celebrazione: si commemora l’istituzione dell’Eucarestia e del sacerdozio ministeriale ed il comandamento del Signore sull’amore fraterno.
La preghiera di colletta può essere la sintesi di tutto il percorso celebrativo ed il modello schematico per una riflessione: O Dio, che ci hai riuniti per celebrare la santa Cena nella quale il tuo unico Figlio, prima di consegnarsi alla morte, affidò alla Chiesa il nuovo ed eterno sacrificio, convito nuziale del suo amore, fa’ che dalla partecipazione a così grande mistero attingiamo pienezza di carità e di vita.
Nella prima lettura dal Libro dell’Esodo viene descritta la celebrazione della Pasqua di Israele, secondo la forma vincolante che aveva trovato nella Legge mosaica. All’origine può esserci stata una festa di primavera dei nomadi, ma per Israele era diventata una festa di commemorazione, di ringraziamento e, allo stesso tempo, di speranza. L’agnello, simbolo della liberazione dalla schiavitù in Egitto, era al centro della cena pasquale, strutturata secondo regole liturgiche e messa in relazione con la santa cena dell’unico Figlio insieme ai discepoli (Mc 14,18-26).
Gesù ha celebrato la Pasqua, ma al posto dell’agnello ha donato se stesso, il suo corpo e il suo sangue, secondo il racconto riportato nella seconda lettura (1 Cor 11,23-26). Si instaura così il nuovo ed eterno sacrificio, che ha liberato il popolo per sempre da una schiavitù ben più grande: il peccato. Il sacrificio antico, dell’agnello, è diventato consegna alla morte: «Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso» (Gv 10,18).
Nella preghiera di colletta, la dimensione del nuovo ed eterno sacrificio viene accostata alla linea teologica del convito nuziale dell’amore. La riflessione di papa Benedetto XVI offre una sintesi interpretativa: «Il suo sangue, l’amore di Colui che è insieme Figlio di Dio e vero uomo, uno di noi, quel sangue può salvare. Il suo amore, quell’amore in cui Egli si dona liberamente per noi, è ciò che ci salva. Il gesto nostalgico, in qualche modo privo di efficacia, che era l’immolazione dell’innocente ed immacolato agnello, ha trovato risposta in Colui che per noi è diventato insieme Agnello e Tempio. Così al centro della Pasqua nuova di Gesù stava la Croce. Da essa veniva il dono nuovo portato da Lui. E così essa rimane sempre nella Santa Eucaristia, nella quale possiamo celebrare con gli Apostoli lungo il corso dei tempi la nuova Pasqua. Dalla croce di Cristo viene il dono» (Benedetto XVI, Omelia della Messa in Cena Domini, 5 aprile 2007).
Il testo del prefazio esprime il nesso di consequenzialità e dipendenza che Cristo ha stabilito tra il Suo sacrificio e la nostra salvezza: egli istituì il rito del sacrificio perenne; a te per primo si offrì vittima di salvezza. In questo senso va anche interpretato il riferimento alla croce, che si trova nell’antifona d’ingresso: «Di null’altro mai ci glorieremo, se non della croce di Gesù Cristo, nostro Signore: egli è la nostra salvezza, vita e risurrezione; per mezzo di lui siamo stati salvati e liberati» (cfr. Gal. 6,14).

DOMENICA 8 APRILE – PASQUA DI RESURREZIONE

DOMENICA 8 APRILE – PASQUA DI RESURREZIONE

LETTURE DELLA VEGLIA LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/triduo/VegliaPage.htm

LETTURE DEL GIORNO LINK:

http://www.maranatha.it/Festiv2/pasqB/PasqPage.htm

MESSA DEL GIORNO:

Seconda Lettura  Col 3, 1-4
Cercate le cose di lassù, dove è Cristo.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossési
Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra.
Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria.

UFFICIO DELLE LETTURE

La Veglia Pasquale tiene il posto dell’Ufficio delle letture.
Coloro che non intervengono alla solenne Veglia pasquale,
recitino di essa almeno quattro letture con i canti e le orazioni.
E’ bene scegliere le letture riportate sotto, dal sito:

http://www.maranatha.it/Ore/pas/pas1/letDOMpage.htm

metto la Lettera ai Romani,  lettura della veglia:

TERZA LETTURA
Dalla lettera ai Romani di san Paolo, apostolo    6, 3-11

Cristo risuscitato dai morti non muore più
Fratelli, quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione. Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato. Infatti chi è morto, è ormai libero dal peccato.
Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato una volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù.

MEDITAZIONI DEL CARDINALE ZEN PER LA VIA CRUCIS AL COLOSSEO – vi propongo una meditazione della via Crucis del 2008

http://www.zenit.org/article-13860?l=italian

MEDITAZIONI DEL CARDINALE ZEN PER LA VIA CRUCIS AL COLOSSEO 2008

CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 18 marzo 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito i testi delle meditazioni e delle orazioni per la Via Crucis del Venerdì Santo, che si svolgerà il 21 marzo prossimo al Colosseo, composti dal Cardinale Joseph Zen Ze-Kiun, SDB, Vescovo di Hong Kong.

* * *
UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE DEL SOMMO PONTEFICE
VIA CRUCIS AL COLOSSEO PRESIEDUTA DAL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
VENERDÌ SANTO 2008

MEDITAZIONI E PREGHIERE DI
Sua Eminenza Reverendissima
il Signor Card. JOSEPH ZEN ZE-KIUN, S.D.B.
Vescovo di Hong Kong

PRESENTAZIONE
Quando Sua Santità Papa Benedetto XVI, per mezzo dell’Eminentissimo Signor Cardinale Tarcisio Bertone, mi chiese di preparare le meditazioni per la Via Crucis del Venerdì Santo di quest’anno al Colosseo, non ho avuto la minima esitazione ad accettare tale compito. Ho capito che il Santo Padre, con quel gesto, intendeva manifestare la propria attenzione al grande Continente asiatico e coinvolgere, in particolare, in questo solenne esercizio di pietà cristiana i fedeli della Cina, per i quali la Via Crucis è una devozione molto sentita. Il Papa ha voluto che io portassi al Colosseo la voce di quelle sorelle e di quei fratelli lontani.
Certamente il protagonista di questa Via dolorosa è Nostro Signore Gesù Cristo, come ci viene presentato dai Vangeli e dalla tradizione della Chiesa. Ma dietro di Lui c’è tanta gente del passato e del presente, ci siamo noi. Lasciamo che stasera tanti nostri fratelli lontani anche nel tempo siano presenti spiritualmente in mezzo a noi. Essi probabilmente più di noi oggi hanno vissuto nel loro corpo la Passione di Gesù. Nella loro carne Gesù è stato nuovamente arrestato, calunniato, torturato, deriso, trascinato, schiacciato sotto il peso della croce ed inchiodato su quel legno come un criminale.
Ovviamente questa sera al Colosseo non ci siamo solo noi. Sono presenti al cuore del Santo Padre e al nostro cuore tutti i « martiri viventi » del ventunesimo secolo. « Te martyrum candidatus laudat exercitus ».
Pensando alla persecuzione, pensiamo anche ai persecutori. Nello stendere il testo di queste meditazioni, con grande mio spavento mi sono accorto di essere poco cristiano. Ho dovuto fare grande sforzo per purificarmi dai sentimenti di poca carità verso quelli che hanno fatto soffrire Gesù e quelli che stanno facendo soffrire, nel mondo di oggi, i nostri fratelli. Solo quando mi sono messo davanti ai miei peccati ed alle mie infedeltà, sono riuscito a vedere me stesso tra i persecutori e ho potuto struggermi di pentimento e di gratitudine per il perdono del Maestro misericordioso.
Mettiamoci, dunque, a meditare, a cantare e a pregare Gesù e con Gesù per quelli che soffrono a causa del Suo nome, per quelli che fanno soffrire Lui e i Suoi fratelli e per noi stessi peccatori e qualche volta anche Suoi persecutori.

PREGHIERA INIZIALE
Il Santo Padre:
Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
C. Amen.
Gesù Salvatore,
ci troviamo riuniti in questo giorno, in quest’ora e in questo luogo, che ci ricorda i tanti Tuoi servi e serve, che, secoli orsono, tra i ruggiti dei leoni affamati e le grida della folla divertita, si sono lasciati sbranare e colpire a morte per la fedeltà al Tuo nome.
Noi oggi veniamo qui ad esprimere a Te la gratitudine della Tua Chiesa per il dono della salvezza, operata mediante la Tua Passione.
I Colossei si sono moltiplicati attraverso i secoli, là dove i nostri fratelli, in varie parti del mondo, in continuazione della Tua Passione, vengono ancora oggi duramente perseguitati. Insieme con Te e con i nostri fratelli perseguitati di tutto il mondo, iniziamo pieni di commozione questo cammino sulla Via dolorosa, da Te un giorno percorsa con tanto amore.

PRIMA STAZIONE
Gesù in agonia nell’Orto degli ulivi
V. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Marco. 14, 32-36
Giunsero ad un podere chiamato Getsèmani, e Gesù disse ai suoi discepoli: « Sedetevi qui, mentre io prego ». Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura ed angoscia. Disse loro: « La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate ». Poi, andato un po’ innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse da lui quell’ora. E diceva: « Abbà, Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò
che io voglio, ma ciò che vuoi tu ».
Meditazione
Gesù sentiva paura, angoscia e tristezza fino a morire. Si scelse tre compagni, che però presto caddero addormentati, e cominciò a pregare, solo: « Passi da me quest’ora, allontana da me questo calice … Però, Padre, sia fatta la tua volontà ».
Era venuto nel mondo per fare la volontà del Padre, ma mai come in quel momento gustò la profondità dell’amarezza del peccato e si sentì smarrito.
Nella Lettera ai Cattolici in Cina, Benedetto XVI ricorda la visione nell’Apocalisse di San Giovanni che piange davanti al libro sigillato della storia umana, del « mysterium iniquitatis ». Solo l’Agnello immolato è capace di togliere quel sigillo.
In tante parti del mondo la Sposa di Cristo sta attraversando l’ora tenebrosa della persecuzione, come un tempo Ester, minacciata da Aman, come la « Donna » dell’Apocalisse minacciata dal drago. Vegliamo e accompagniamo la Sposa di Cristo nella preghiera.
Preghiera
Gesù, Dio onnipotente, che Ti sei fatto debolezza a causa dei nostri peccati, Ti sono familiari le grida dei perseguitati, che sono l’eco della tua agonia. Essi chiedono: Perché questa oppressione? Perché questa umiliazione? Perché questa prolungata schiavitù?
Tornano alla mente le parole del Salmo: « Svégliati, perché dormi Signore? Déstati! Non ci respingere per sempre! Perché nascondi il tuo volto, dimentichi la nostra miseria e oppressione? Poiché siamo prostrati nella polvere, il nostro corpo è steso a terra. Sorgi, vieni in nostro aiuto! » (Sal 43, 24-26).
No, Signore! Tu non hai usato questo Salmo nel Getsèmani, ma hai detto: « Sia fatta la tua volontà! ». Avresti potuto mobilitare dodici legioni di angeli, ma non l’hai fatto.
Signore, la sofferenza ci fa paura. Torna in noi la tentazione di aggrapparci ai mezzi facili di successo. Fa’ che non abbiamo paura della paura, ma confidiamo in Te.
Tutti:
Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.
Stabat mater dolorosa
iuxta crucem lacrimosa,
dum pendebat Filius.
SECONDA STAZIONE
Gesù tradito da Giuda e abbandonato dai suoi
V. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Marco. 14, 43a.45-46.50-52
E subito, mentre ancora Gesù parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici.
Appena giunto, Giuda gli si avvicinò e disse: « Rabbì » e lo baciò.Quelli gli misero le mani addosso e lo arrestarono.
Allora tutti lo abbandonarono e fuggirono. Lo seguiva però un ragazzo, che aveva addosso soltanto un lenzuolo, e lo afferrarono. Ma egli, lasciato cadere il lenzuolo, fuggì via nudo.
Meditazione
Tradimento e abbandono da parte di coloro che Egli aveva scelto come apostoli, ai quali aveva confidato i segreti del Regno, nei quali aveva riposto piena fiducia! Dunque, fallimento completo. Quale dolore e quale umiliazione!
Ma tutto ciò avvenne come adempimento di quello che avevano detto i profeti. Altrimenti come si sarebbe potuto conoscere la bruttezza del peccato, che è appunto tradimento dell’amore?
Il tradimento sorprende, soprattutto se riguarda anche i pastori del gregge. Come hanno potuto fare questo a Lui? Lo spirito è forte, ma la carne è debole. Tentazioni, minacce e ricatti piegano le volontà. Ma quanto scandalo! Quanto dolore al cuore del Signore!
Non scandalizziamoci! Le defezioni non sono mai mancate nelle persecuzioni. E dopo ci sono stati spesso i ritorni. In quel giovane, che buttò via il lenzuolo e fuggì nudo (cfr Mc 14, 51-52), autorevoli interpreti hanno visto il futuro evangelista Marco.
Preghiera
Signore, chi fugge dalla Tua Passione rimane senza dignità. Abbi pietà di noi. Noi ci denudiamo dinanzi alla Tua maestà. Mostriamo a Te le nostre piaghe, le più vergognose.
Gesù , abbandonare Te è abbandonare il sole. Volendoci sbarazzare del sole, cadiamo nel buio e nel freddo.
Padre, ci siamo allontanati dalla Tua casa. Non siamo degni di essere ricevuti di nuovo da Te. Ma Tu dai ordini perché siamo lavati, vestiti, calzati e ci sia messo l’anello al dito.
Tutti:
Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.
Cuius animam gementem,
contristatam et dolentem
pertransivit gladius.
TERZA STAZIONE
Gesù è condannato dal Sinedrio
V. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Marco. 14, 55.61b-62a.64b
I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte, ma non la trovavano.
Il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: « Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto? ». Gesù rispose: « Io lo sono! ».
Tutti sentenziarono che era reo di morte.
Meditazione
Il Sinedrio era la corte di giustizia del popolo di Dio. Ora questa corte condanna il Cristo, il Figlio di Dio benedetto, e lo giudica reo di morte.
L’Innocente viene condannato « perché ha bestemmiato », dichiarano i giudici e si stracciano le vesti. Ma noi dall’Evangelista sappiamo che lo hanno fatto per invidia e odio.
San Giovanni dice che, in fondo, il sommo sacerdote aveva parlato a nome di Dio: solo lasciando condannare l’innocente Suo Figlio, Dio Padre poté salvare i colpevoli fratelli di Lui.
Attraverso i secoli, schiere di innocenti sono state condannate a sofferenze atroci. Qualcuno grida all’ingiustizia, ma sono essi, gli innocenti, che espiano in comunione con Cristo, l’Innocente, i peccati del mondo.
Preghiera
Gesù, Tu non Ti preoccupi di far valere la Tua innocenza, intento come sei solo a ridonare all’uomo la giustizia che ha perduto a causa del peccato.
Eravamo Tuoi nemici, non c’era modo di poter cambiare la nostra condizione. Tu Ti sei fatto condannare per darci il perdono. Salvatore, fa’ che non ci facciamo condannare nell’ultimo giorno. « Iudex ergo cum sedebit, quicquid latet apparebit; nil inultum remanebit. Iuste iudex ultionis, donum fac remissionis ante diem rationis ».
Tutti:
Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.
O quam tristis et afflicta
fuit illa benedicta
mater Unigeniti!
QUARTA STAZIONE
Gesù è rinnegato da Pietro
V. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Marco. 14, 66-68.72
Mentre Pietro era giù nel cortile, venne una delle giovani serve del sommo sacerdote e, vedendo Pietro che stava a scaldarsi, lo guardò in faccia e gli disse: « Anche tu eri con il Nazareno, con Gesù ». Ma egli negò dicendo: « Non so e non capisco che cosa dici ».
E subito, per la seconda volta un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola che Gesù gli aveva detto: « Prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai ». E scoppiò in pianto.
Meditazione
« Se anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò » (Marco 14, 31). Pietro era sincero quando diceva questo, ma non conosceva se stesso, non conosceva la propria debolezza. Era generoso, ma aveva dimenticato di avere bisogno della generosità del Maestro. Pretendeva di morire per Gesù , mentre era Gesù che doveva morire per lui, per salvarlo.
Facendo di Simone la « pietra » su cui fondare la Chiesa, Cristo coinvolse l’apostolo nella sua iniziativa di salvezza. Pietro credette ingenuamente di poter dare qualcosa al Maestro, mentre tutto gli veniva dato gratuitamente da Lui, anche il perdono dopo il rinnegamento.
Gesù non ritirò la sua scelta di Pietro come fondamento della sua Chiesa. Dopo il pentimento, Pietro fu reso capace di confermare i suoi fratelli.
Preghiera
Signore, quando Pietro parla, illuminato dalla rivelazione del Padre, Ti riconosce Cristo, Figlio del Dio vivente. Quando invece si fida della sua ragione e della sua buona volontà, diventa ostacolo alla Tua missione. La presunzione gli fa rinnegare Te, suo Maestro, mentre l’umile pentimento lo riconfermerà roccia su cui Tu edifichi la Tua Chiesa. La Tua scelta di affidare la continuazione dell’opera di salvezza a uomini deboli e vulnerabili manifesta la Tua saggezza e potenza.
Proteggi gli uomini che Tu hai prescelto, Signore, perché le porte degli inferi mai prevalgano contro i Tuoi servi.
Rivolgi a noi tutti il Tuo sguardo come quella notte a Pietro, dopo il canto del gallo.
Tutti:
Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.
Quæ mærebat et dolebat
pia mater, cum videbat
Nati poenas incliti.

QUINTA STAZIONE
Gesù è giudicato da Pilato
V. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Marco. 15, 12-15
Pilato disse loro di nuovo: « Che cosa volete dunque che io faccia di quello che voi chiamate il re dei Giudei? ». Ed essi di nuovo gridarono: « Crocifiggilo! ». Pilato diceva loro: « Che male ha fatto? ». Ma essi gridarono più forte: « Crocifiggilo! ». Pilato, volendo dar soddisfazione alla folla, rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.
Meditazione
Pilato sembrava potente, aveva diritto di vita e di morte su Gesù . Prendeva gusto ad ironizzare sul « Re dei Giudei », ma in realtà egli era debole, vile e servile. Temeva l’imperatore Tiberio, temeva il popolo, temeva quei sacerdoti, che pur disprezzava nel cuore. Consegnò alla crocifissione Gesù , che egli sapeva essere innocente.
Nel velleitario tentativo di salvare Gesù , diede pure libertà ad un pericoloso omicida.
Inutilmente cercava di lavarsi quelle mani grondanti di sangue innocente.
Pilato è immagine di tutti coloro che detengono l’autorità come strumento di potere e non si curano della giustizia.
Preghiera
Gesù , con il Tuo coraggio di dichiararti re hai cercato di risvegliare Pilato alla voce della sua coscienza. Illumina la coscienza di tante persone costituite in autorità, perché riconoscano l’innocenza dei tuoi seguaci. Da’ loro il coraggio di rispettare la libertà religiosa.
È molto diffusa la tentazione di adulare il potente e di opprimere il debole. E i potenti sono coloro che sono costituiti in autorità, quelli che controllano il commercio e i mass media; ma c’è anche la gente che si lascia facilmente manipolare dai potenti per opprimere i deboli. Come poteva gridare « Crocifiggilo! » quella gente che pur Ti aveva conosciuto come amico compassionevole, che aveva fatto solo del bene a tutti?
Tutti:
Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.
Quis est homo qui non fleret,matrem Christi si videret
in tanto supplicio?
SESTA STAZIONE
Gesù è flagellato e coronato di spine
V. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Marco. 15, 15b.17-19
Pilato dopo aver fatto flagellare Gesù lo consegnò perché fosse crocifisso.
Allora i soldati lo vestirono di porpora, intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo. Poi presero a salutarlo: « Salve, re dei Giudei! ». E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano davanti a lui.
Meditazione
La flagellazione in uso allora era una punizione terrificante. L’orribile flagellum dei Romani strappava la carne a brandelli. E la corona di spine, oltre che causare acutissimo dolore, costituiva anche uno scherno alla regalità del divino Prigioniero, come pure gli sputi e gli schiaffi.
Torture tremende continuano a emergere dalla crudeltà del cuore umano – e quelle psichiche non sono meno tormentose di quelle fisiche – e sovente le vittime stesse diventano carnefici. Sono senza senso tante sofferenze?
Preghiera
No, Gesù, sei Tu che continui a raccogliere e a santificare tutte le sofferenze: quelle degli ammalati, di coloro che muoiono di stenti, di tutti i discriminati; ma le sofferenze che brillano tra tutte sono quelle per il Tuo nome.
Per le sofferenze dei martiri, benedici la Tua Chiesa; che il loro sangue diventi seme di nuovi cristiani. Crediamo fermamente che le loro sofferenze, anche se sul momento sembrano completa sconfitta, porteranno la vera vittoria alla tua Chiesa. Signore, da’ costanza ai nostri fratelli perseguitati!
Tutti:
Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.
Pro peccatis suæ gentis
vidit Iesum in tormentis
et flagellis subditum.
SETTIMA STAZIONE
Gesù è caricato della Croce
V. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Marco. 15, 20
Dopo essersi fatti beffe di Gesù, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo.
Meditazione
La croce, il grande simbolo del cristianesimo, da strumento di punizione ignominiosa è diventata vessillo glorioso di vittoria.
Ci sono atei coraggiosi che sono pronti a sacrificarsi per la rivoluzione: sono disposti ad abbracciare la croce, ma senza Gesù. Tra i cristiani vi sono « atei » di fatto che vogliono Gesù, ma senza la croce. Ora senza Gesù la croce è insopportabile e senza la croce non si può pretendere di essere con Gesù.
Abbracciamo la croce e abbracciamo Gesù e con Gesù abbracciamo tutti i nostri fratelli sofferenti e perseguitati!
Preghiera
O divino Redentore, con quale trasporto hai abbracciato la croce, che da lungo desideravi! Essa pesa sulle Tue spalle piagate, ma viene sostenuta da un cuore pieno di amore.
I grandi Santi hanno capito così profondamente il valore salvifico della croce da esclamare: « O patire o morire! ». Concedi a noi di accogliere almeno il Tuo invito a portare la croce dietro di Te. Tu hai preparato una croce su misura per ciascuno di noi. Abbiamo davanti alla mente l’immagine di Papa Giovanni Paolo II, che sale la « Collina delle croci » in Lituania. Ognuna di quelle croci aveva una storia da raccontare, storia di dolore e di gioia, di umiliazione e di trionfo, di morte e di risurrezione.
Tutti:
Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.
Quis non posset contristari,
piam matrem contemplari
dolentem cum Filio?
Gesù è aiutato dal Cireneo a portare la Croce
V. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Marco. 15, 21
Costrinsero a portare la croce di Gesù un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo.
Meditazione
Simone di Cirene veniva dalla campagna. Si imbatté nel corteo di morte e venne angariato a portare la croce insieme a Gesù.
In un secondo tempo, egli ratificò questo servizio, si mostrò felice di essere stato di aiuto al povero Condannato e divenne uno dei discepoli nella Chiesa primitiva. Certamente fu oggetto di ammirazione e quasi di invidia per la sorte speciale di aver sollevato Gesù nelle sue sofferenze.
Preghiera
Caro Gesù, Tu probabilmente hai mostrato al Cireneo la Tua riconoscenza per il suo aiuto, mentre la croce in realtà era dovuta a lui e a ciascuno di noi. Così, Gesù, sei riconoscente a noi ogni volta che aiutiamo i fratelli a portare la croce, mentre facciamo semplicemente il nostro dovere per espiare i nostri peccati.
Sei Tu, Gesù, all’inizio di questo circolo di compassione. Tu porti la nostra croce, così che noi siamo resi capaci di aiutare Te nei Tuoi fratelli a portare la croce.
Signore, come membra del Tuo Corpo, noi ci aiutiamo a vicenda a portare la croce e ammiriamo l’esercito immenso di cirenei che, pur non avendo ancora la fede, hanno generosamente alleviato le Tue sofferenze nei Tuoi fratelli.
Quando aiutiamo i fratelli della Chiesa perseguitata, facci ricordare che, in realtà, siamo noi a essere ancor più aiutati da loro.
Tutti:
Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.
Tui Nati vulnerati,
tam dignati pro me pati
poenas mecum divide.
NONA STAZIONE
Gesù incontra le donne di Gerusalemme
V. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Luca. 23, 27-28
Seguiva Gesù una grande moltitudine di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: « Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli ».
Meditazione
Le donne, le mamme attingono dall’amore una immensa capacità di sopportazione nella sofferenza. Soffrono a causa degli uomini, soffrono per i loro figli. Pensiamo alle mamme di tanti giovani perseguitati e imprigionati a causa di Cristo. Quante lunghe notti passate nella veglia e in lacrime da quelle mamme! Pensiamo alle mamme che, rischiando arresti e persecuzioni, hanno perseverato a pregare in famiglia, coltivando nel cuore la speranza di tempi migliori.
Preghiera
Gesù, come Ti sei preoccupato, nonostante i tuoi patimenti, di rivolgere la Tua parola alle donne sulla Via della Croce, fa’ sentire anche oggi la Tua voce consolatrice e illuminante a tante donne sofferenti.
Tu le esorti a non piangere su di Te, ma su se stesse e sui loro figli.
Piangendo su di Te, piangono sofferenze che portano la salvezza all’umanità e sono quindi causa di gioia. Ciò su cui devono piangere, invece, sono le sofferenze dovute ai peccati, che rendono esse e i loro figli e noi tutti come legni secchi meritevoli di essere gettati nel fuoco.
Tu, Signore, hai mandato Tua Madre a ripeterci questo stesso messaggio a Lourdes e a Fatima: « Fate penitenza e pregate per fermare l’ira di Dio ». Fa’ che noi finalmente accogliamo con cuore sincero l’accorato appello!
Tutti:
Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.
Eia, mater, fons amoris,
me sentire vim doloris
fac, ut tecum lugeam.
DECIMA STAZIONE
Gesù è crocifisso
V. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Marco. 15, 25.31.34
Erano le nove del mattino quando crocifissero Gesù.
Anche i capi dei sacerdoti con gli scribi, fra loro, si facevano beffe di lui e dicevano: « Ha salvato altri e non può salvare se stesso! ».
Alle tre, Gesù gridò a gran voce: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? ».
Meditazione
Gesù denudato, inchiodato, in preda a indicibili dolori, deriso dai suoi nemici, si sente perfino abbandonato dal Padre. È l’inferno meritato dai nostri peccati. Sulla croce Gesù è rimasto, non si è liberato.
Si sono realizzate in Lui le profezie del Servo sofferente: « Non ha apparenza né bellezza … non splendore … Noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio … Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori » (Is 53, 2.4.6-7).
Preghiera
Gesù crocifisso, non tanto sul Tabor quanto sul Calvario, Tu ci hai rivelato il Tuo vero volto, il volto di un amore che si è spinto fino alla fine.
C’è chi per riverenza vuole rappresentarTi coperto dal manto regale anche sulla croce. Ma noi non temiamo di esporTi così come pendevi sul patibolo quel venerdì, dall’ora sesta all’ora nona.
La visione di Te crocifisso ci sprona a vergognarci delle nostre infedeltà e ci riempie di gratitudine per la Tua infinita misericordia. O Signore, quanto Ti è costato l’averci amato!
Fidandoci della forza che viene dalla Tua Passione, promettiamo di mai più offenderTi. Desideriamo di avere un giorno l’onore di essere messi noi pure in croce come Pietro e Andrea. Ci incoraggia la serenità e la gioia che abbiamo avuto la grazia di contemplare sui volti dei Tuoi servi fedeli, i martiri del nostro secolo.
Tutti:
Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.
Fac ut ardeat cor meum
in amando Christum Deum,
ut sibi complaceam.
UNDICESIMA STAZIONE
Gesù promette il suo Regno al buon ladrone
V. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Luca. 23, 33.42-43
Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero Gesù e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra.
Uno dei malfattori disse: « Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno ». Gli rispose: « In verità io ti dico: oggi sarai con me nel paradiso ».
Meditazione
Era un malfattore. Rappresenta tutti i malfattori, cioè tutti noi. Ha avuto la fortuna di essere vicino a Gesù nella sofferenza, ma noi tutti abbiamo questa fortuna. Diciamo anche noi: « Signore, ricordati di noi, quando arriverai nel Tuo regno ». Avremo la stessa risposta.
E quelli che non hanno la fortuna di essere vicini a Gesù? Gesù è vicino a loro, a tutti e a ciascuno.
« Gesù , ricordati di noi »: diciamoglielo per noi, per i nostri amici, per i nostri nemici, e per i persecutori dei nostri amici. La salvezza di tutti è la vera vittoria del Signore.
Preghiera
Gesù, ricordati di me quando, conscio delle mie infedeltà, sono tentato di disperazione.
Gesù, ricordati di me, quando, dopo sforzi ripetuti, mi trovo ancora in fondo alla valle.
Gesù, ricordati di me, quando tutti si sono stancati di me e nessuno più mi concede fiducia, e io mi ritrovo solo e abbandonato.
Tutti:
Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.
Sancta mater, istud agas,
Crucifixi fige plagas
cordi meo valide.
DODICESIMA STAZIONE
La madre e il discepolo accanto alla croce di Gesù
V. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Giovanni. 19, 25-27
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: « Donna, ecco tuo figlio! ». Poi disse al discepolo: « Ecco tua madre! ». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Meditazione
Gesù dimentica se stesso anche in quel momento supremo e pensa a Sua Madre, pensa a noi. Affida anzitutto Sua Madre al discepolo, come sembra suggerire San Giovanni, o piuttosto affida il discepolo alla Madre?
Comunque, per il discepolo Maria sarà sempre la Madre che il Maestro morente gli ha affidato e per Maria il discepolo sarà sempre il figlio che il Figlio morente le ha affidato e a cui sarà spiritualmente vicina soprattutto nell’ora della morte. A fianco poi dei martiri morenti, ci sarà sempre la Madre che sta in piedi, accanto alla loro croce, a sostenerli.
Preghiera
Gesù e Maria, avete condiviso fino in fondo anche la sofferenza: Tu, Gesù , sulla croce e tu, Madre, ai piedi di essa. La lancia ha squarciato il costato del Salvatore e la spada ha trafitto il cuore della Vergine Madre.
In realtà, siamo stati noi coi nostri peccati a causare tanto dolore.
Accettate il pentimento di noi tutti, che per la nostra debolezza siamo sempre esposti al rischio di tradire, rinnegare e disertare.
Accettate l’omaggio di fedeltà di tutti quelli che hanno seguito l’esempio di San Giovanni, che restò coraggiosamente accanto alla croce.
Gesù e Maria, vi dono il cuore e l’anima mia. Gesù e Maria, assistetemi nell’ultima agonia. Gesù e Maria, spiri in pace con voi l’anima mia.
Tutti:
Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.
Fac me vere tecum flere,
Crucifixo condolere,
donec ego vixero.
TREDICESIMA STAZIONE
Gesù muore sulla Croce
V. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Luca. 23, 46
Gesù, gridando a gran voce, disse: « Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito ». Detto questo, spirò.
Meditazione
Gesù muore veramente, perché è vero uomo. Consegna al Padre l’ultimo respiro. Oh, com’è prezioso il respiro! Il soffio di vita fu dato al primo uomo, è ridato a noi in modo nuovo dopo la risurrezione di Gesù , affinché siamo capaci di offrire ogni respiro al suo Datore. Quanta paura abbiamo della morte e come siamo tenuti schiavi da questa paura! Il senso e il valore di una vita sono decisi dal come la si sa donare. Già per l’uomo senza fede non è ammissibile che s’aggrappi alla vita perdendone il senso. Per Gesù , poi, non c’è amore più grande di quello di dare la vita per l’amico. Chi è attaccato alla vita la perderà. Chi è pronto a sacrificarla la conserverà.
I martiri danno la più alta testimonianza del loro amore. Non si vergognano del loro Maestro davanti agli uomini. Il Maestro sarà orgoglioso di loro davanti a tutta l’umanità nell’ultimo giorno.
Preghiera
Gesù, Tu hai preso la vita umana proprio per poterla donare. Indossando la nostra carne di peccato, Tu, Re immortale, sei diventato mortale. Accettando la morte più tragica e oscura, frutto estremo del peccato, Tu hai posto l’atto supremo di completa fiducia nel Padre. « In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum ».
Tutti:
Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.
Vidit suum dulcem Natum
morientem desolatum,
cum emisit spiritum.
QUATTORDICESIMA STAZIONE
Gesù è deposto dalla croce nel sepolcro
V. Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
R. Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Dal Vangelo secondo Marco. 15, 46
Giuseppe d’Arimatea, comprato un lenzuolo, depose il corpo di Gesù dalla croce, lo avvolse con il lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare una pietra all’entrata del sepolcro.
Meditazione
Gesù ha scelto non di scendere vivo dalla croce, ma di risorgere dal sepolcro. Vera morte, vero silenzio, la Parola di Vita tacerà per tre giorni.
Immaginiamo lo smarrimento dei nostri progenitori davanti al corpo esanime di Abele, la prima vittima della morte.
Pensiamo al dolore di Maria, che accoglie sul suo seno Gesù ridotto a un cumulo di piaghe, verme piuttosto che uomo, non più capace di ricambiare lo sguardo d’amore di Sua Madre. Ora ella deve consegnarlo alle gelide pietre del sepolcro, dopo averlo affrettatamente pulito e composto. Ora c’è solo da aspettare. Sembra interminabile l’attesa del terzo giorno.
Preghiera
Signore, i tre giorni ci sembrano tanto lunghi. I nostri fratelli forti si stancano, i fratelli deboli scivolano sempre più giù , mentre i prepotenti si ergono spavaldi. Da’ perseveranza ai forti, Signore, scuoti i deboli e converti tutti i cuori.
Abbiamo noi ragione ad avere fretta e pretendere di vedere subito la vittoria della Chiesa? Non è forse la nostra vittoria che siamo ansiosi di vedere? Signore, rendici perseveranti nello stare accanto alla Chiesa del silenzio e nell’accettare di scomparire e morire come il chicco di grano.
Facci sentire sempre la Tua parola, Signore: « Non abbiate paura! Io ho vinto il mondo. Non manco mai all’appuntamento. Sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo ».
Signore, aumenta la nostra fede!
Tutti:
Pater noster, qui es in cælis:
sanctificetur nomen tuum;
adveniat regnum tuum;
fiat voluntas tua, sicut in cælo, et in terra.
Panem nostrum cotidianum da nobis hodie;
et dimitte nobis debita nostra,
sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
et ne nos inducas in tentationem;
sed libera nos a malo.
Quando corpus morietur,fac ut animæ donetur
paradisi gloria.
Amen.

R. Amen.

A cura dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice.

Publié dans:LITURGIA: SETTIMANA SANTA |on 6 avril, 2012 |Pas de commentaires »

Omelia di ENZO BIANCHI, priore di Bose (sul triduo pasquale)

http://www.monasterodibose.it/content/view/3511/26/1/6/lang,it/

Omelia  di ENZO BIANCHI, priore di Bose

Giovanni 13,1-15
1 Corinti 11,23-32

Carissimi,

iniziamo a celebrare il santo sacramento del Triduo pasquale, cominciamo a vivere il mistero pasquale di Gesù, il mistero che si è consumato in tre giorni, mistero sintetizzato nella sua passione, morte e resurrezione. Ma va subito detto con chiarezza: noi non celebriamo gli ultimi giorni di Gesù in quanto ultimi giorni della sua vita, ma perché in essi c’è stata la rivelazione, la narrazione di tutta la vita di Gesù e di tutta l’opera di Dio a favore di noi uomini.
Con questo tramonto siamo all’inizio del primo giorno, il giorno della passione e morte che si apre significativamente con la cena di Gesù, nella quale egli, con dei gesti, ha voluto raccontare in anticipo quello che sarebbe accaduto nelle ore successive dello stesso giorno, il primo dei tre giorni pasquali. Gesù, volendo dire ai suoi discepoli che dava la vita liberamente e mosso soltanto dall’amore, volendo istruire i discepoli sul significato di quegli eventi terribili ormai incombenti, secondo i vangeli sinottici compie un gesto e secondo il quarto vangelo compie un altro gesto. Ma i due gesti hanno lo stesso significato, la stessa intenzione: uno è il gesto eucaristico della frazione del pane, l’altro è il gesto della lavanda dei piedi. Le letture che abbiamo ascoltato ci danno la narrazione di questi gesti: nel brano della Prima lettera ai Corinti Paolo racconta, in fedeltà alla tradizione che troviamo nei sinottici, la frazione del pane; nel quarto vangelo Giovanni ci parla della lavanda.
Questa sera voglio sostare sulla lavanda, ma non dimentico che il gesto eucaristico, così come la lavanda, vuole manifestare l’amore di Gesù, svelare l’amore di cui Gesù è stato capace, dirci come Gesù aveva speso la vita e l’ha voluta anche dare subendo l’ingiustizia, la violenza degli uomini, subendo il tradimento di chi mangiava con lui lo stesso pane (cf. Sal 41,10; Gv 13,18) e sedeva alla stessa tavola, ma mentiva; subendo il tradimento all’alleanza comunitaria da lui vissuta interamente; subendo anche l’incomprensione e la non vicinanza di quelli che aveva scelto «perché stessero con lui» (Mc 3,14). Gesù ha vissuto questo senza contraddire l’amore, senza venir meno all’amore; e in questo Gesù non ha solo vissuto con forza ciò che gli apparteneva nella sua vita umana, ma ha anche raccontato Dio e lo ha raccontato non nella quantità delle sofferenze, non nel soffrire e nel morire, ma nel vivere sofferenze e morte ingiusta in un preciso modo, mai venendo meno all’amore. La morte di Gesù, la sua passione hanno questo di unico e sono per noi oggetto questa sera di contemplazione: non in quanto morte, non in quanto sofferenza, ma perché Gesù è riuscito a vivere morte ingiusta e sofferenza continuando ad amare e mai contraddicendo l’amore.
Durante l’ultima cena Gesù è con i discepoli e dice, secondo Paolo che si rifà alla tradizione: «Questo è il mio corpo che è per voi … Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue». Che cosa significano queste parole? Significano: «La mia vita è stata, è e sarà nelle prossime ore vita donata a voi, spesa per voi. E la mia morte, fino al sangue versato, è un nuovo patto, una nuova alleanza, ultima e definitiva, con voi». Pensiamo almeno un momento al contesto reale di queste parole. Con Gesù ci sono i discepoli, uomini ai quali egli si è dato e per i quali ha consumato la vita: tra di loro c’è uno che lo tradisce, che vive nella menzogna ormai da tempo ma continua a stare con Gesù; uno che lo rinnega, e solo dopo si pentirà nonostante gli avvertimenti che Gesù gli aveva dato personalmente; e gli altri, impauriti, ignavi, inerti, che lo abbandonano tutti. Gesù dice: «Io vi do il mio corpo»; gli altri – Paolo legge la comunità di Corinto, ma era la comunità del Signore quella sera, è la nostra comunità questa sera, è la comunità della chiesa –, gli altri tengono il «proprio» (ciò di cui pensano di avere proprietà); addirittura, pur partecipando alla cena in cui il Signore dà tutto, anche il suo corpo – «il mio corpo che è per voi» –, gli altri tengono il «proprio» per sé fino a mangiare – dice Paolo – il «proprio» cibo e dunque in realtà non sono partecipi della cena del Signore (cf. 1Cor 11,17-22). Ma leggiamo anche come la lavanda dei piedi da parte di Gesù dica la stessa cosa, e come Gesù per entrambi i gesti comandi: «Fate questo in memoria di me», oppure: «Fate questo come io ho fatto a voi». Due gesti, due memorie comandate per una sola realtà: Gesù che dà la vita per noi. Conosciamo bene questa narrazione della lavanda, descritta con precisione e con una lentezza che ci invita a sostare anche sui particolari dell’agire di Gesù. È impressionante, ma è una scena in cui le parole sono semplicemente di troppo. È un fare di Gesù; di più, direi che per Giovanni è veramente l’opera, quell’opera di cui più volte ha parlato nel quarto vangelo, l’opera di Gesù, l’opera del Figlio, ma che adesso diventa un’azione, un fare.
Avete sentito: Gesù si alza da tavola, depone le vesti, prende l’asciugamano, se lo cinge ai fianchi, versa l’acqua nel catino, lava i piedi ai discepoli. È Gesù che opera, che fa, totalmente protagonista, non ha né inservienti né assistenti. Perché quel gesto che riassumeva tutta la sua vita e che prefigurava la sua morte, in sintonia a come aveva vissuto al servizio degli altri, lui solo e solo così poteva farlo. È il fare dello schiavo – lo sappiamo bene – verso il suo Signore; ma è anche il gesto che può essere fatto per amore da parte del discepolo verso il suo rabbi; ed è anche il gesto che poteva essere fatto per amore da parte del figlio verso il padre vecchio e anziano. Solo in quei casi era possibile quel gesto: o per amore del figlio e del discepolo, o per obbedienza dello schiavo. Un gesto, dunque, che è di umiliazione ma che può anche essere di relazione, di affetto. E non possiamo dimenticare che, se questo è il gesto compiuto quella sera da Gesù verso i suoi discepoli, l’unica che aveva fatto a lui quel gesto, l’unica – non glielo hanno mai fatto i discepoli –, l’unica era quella prostituta che gli lavò i piedi e per la quale Gesù ha dovuto dire che quel gesto era una narrazione di amore (cf. Lc 7,36-47; Mc 14,3-9). In ogni caso, Gesù opera un’inversione dei ruoli: si fa schiavo, si fa discepolo, si fa figlio. Ecco lo scandalo di Pietro: il gesto compiuto da Gesù dice la sua identità, e Pietro, da buon ebreo, non può accettare una tale identità per il suo rabbi, per il suo profeta e Messia. Così egli protesta, e non accettando l’opera di Gesù non accetta neppure l’opera di Dio. Gesù deve dunque dirgli: «Se tu non accetti che io ti lavi i piedi non avrai parte con me». Cioè: «Tu non puoi avere nessuna comunione con me, né qui e ora, ma neanche nel Regno, neanche nella vita eterna». Gesù con quel gesto fonda la relazione essenziale tra lui e il discepolo, tra lui e il credente futuro, tra lui e il cristiano.
Il cristiano, ciascuno di noi, per entrare in relazione con Gesù dovrà lasciarsi lavare i piedi; dovrà accettare di vedere andare in frantumi l’immagine religiosa, teologica che ha di Dio, che ha del suo Inviato; dovrà accettare un amore che non si può misurare umanamente, ma che è un amore sempre preveniente, un amore, soprattutto, che non si deve meritare. Sì, perché ciascuno di noi, e questo è il grande ostacolo alla fede in Gesù Cristo, pensa di dover meritare l’amore. Qui davvero sta la differenza tra gli uomini che sono pronti a credere in Dio ma che sono lenti a credere in Gesù Cristo. Questa è la verità: Gesù ci dice che l’amore di Dio non va meritato. Gesù conosce questa difficoltà umana, per la quale l’uomo non arriva a credere, non arriva a credere in Cristo e non arriva a «credere all’amore», come dice con molta intelligenza spirituale Giovanni nella sua Prima lettera (cf. 1Gv 4,16). Per questo Gesù chiede solo che ci lasciamo lavare i piedi da lui e ci promette che capiremo più tardi il perché. Ecco allora l’exeghésato (Gv 1,18) attuato nella lavanda: Gesù che ci narra Dio, che ci narra l’amore di Dio, un amore che non dobbiamo meritare, un amore per il quale i piedi ci sono lavati anche quando noi non comprendiamo. Pietro capirà più tardi, dopo essere passato anche attraverso l’infedeltà. Anche Giuda si lascia lavare i piedi quella sera, ma non capirà; anzi, proprio perché Gesù gli ha lavato i piedi, proprio perché gli ha dato il boccone eucaristico, accresce la sua capacità di inimicizia fino a permettere che Satana si impadronisca completamente di lui (cf. Lc 22,3). Ecco allora il messaggio: lasciarsi lavare i piedi da Gesù Cristo. Qui noi decidiamo se la nostra fede è autenticamente cristiana, o se resta ancora nell’economia veterotestamentaria, o se è semplicemente una fede monoteista. Perché solo da una tale comprensione di Gesù, da una tale inversione dei ruoli noi decidiamo la comunione con Dio o il suo rifiuto.
Ma dopo il gesto e dopo il dialogo con Pietro, Giovanni ci parla di un dialogo avvenuto anche con i discepoli: «Avete capito quello che vi ho fatto?». Qui però ciò che è richiesto nella comprensione non riguarda l’identità di Gesù, ma riguarda il comportamento dei discepoli. Gesù instaura un’altra logica nelle sue parole: si passa così dal piano cristologico circa l’identità di Gesù, al piano etico, o – se si vuole – al piano ecclesiologico, al piano delle relazioni tra i discepoli, che è poi il piano della relazione tra i cristiani e tutti gli uomini che il cristiano decide semplicemente di incontrare, credenti o non credenti, cristiani o non cristiani. La lavanda dei piedi operata da Gesù è stata sì una rivelazione di chi Gesù è, ma qui diventa un esempio, un paradigma – potremmo dire nel nostro linguaggio – che viene proposto ai discepoli. Ecco come dalla fede scaturisce il fare, l’etica: «Dimmi che immagine tu hai di Dio e ti dirò come tu vivi da uomo. Se dunque tu credi che Dio, il Signore, può lavare i piedi a te, allora tu sarai capace, anzi sentirai la responsabilità e il dovere di lavare i piedi agli altri».
E non dimentico neppure qui, in questo passaggio dalla rivelazione all’etica, il racconto di Paolo, perché anche l’Apostolo ci fa passare dalla liturgia all’etica, da una celebrazione rituale a un entrare in quella logica del «per voi», smettendo di avere per sé il proprio. In ogni caso, dai gesti fatti da Gesù, lavanda o istituzione, scaturisce l’etica ecclesiale, il fare dei cristiani. L’interpretazione liturgica della chiesa romana ha privilegiato questo paradigma della lavanda; ha privilegiato, per così dire, il versante etico del gesto di Gesù e ha considerato la lavanda dei piedi come ministerium, come un compito necessario nella vita fraterna, a imitazione di Gesù che presiedendo la comunità ha lavato i piedi ai suoi. Ed è per questo che nella chiesa latina chi presiede la chiesa, chi presiede una comunità monastica lava i piedi agli altri. Ma va ricordato che l’interpretazione ambrosiana privilegia il significato cristologico e fa addirittura della lavanda un gesto battesimale; certo, con un significato penitenziale, che noi facciamo fatica a comprendere.
Ma è significativo che nella tradizione monastica, dove si è iniziata a vivere la lavanda, prima ancora che all’interno delle chiese, questo gesto sia un gesto che dice, rivela, racconta come i cristiani vivono l’amore. Mi ha sempre impressionato che nella Regola di Benedetto si ordina che l’abate versi l’acqua sulle mani degli ospiti che arrivano e, aiutato dalla comunità, lavi i piedi a tutti gli ospiti che giungono in monastero: «Pedes hospitibus omnibus tam abbas quam cuncta congregatio lavet» (RB 53,12-13). Pensate, se io dovessi lavare i piedi a tutti gli ospiti che arrivano qui… Però questo è significativo, perché non è solo un gesto di umiltà, di servizio verso l’ospite che nella tradizione monastica è comunque sacramento di Cristo (cf. RB 53,1), ma io credo voglia essere soprattutto una dimostrazione di umanità. Non a caso san Benedetto ha appena affermato: «Omnis ei exhibeatur humanitas», «si mostri all’ospite tutta l’umanità» (RB 53,9). Quasi a dire che la lavanda dei piedi è un cammino di umanizzazione per l’ospitante, abate e comunità monastica, ma anche per l’ospite che giunge, sconosciuto o conosciuto. Questo gesto della lavanda dei piedi, segno di un servizio all’altro, segno di umiliazione personale riguarda tutti: riguarda noi monaci e riguarda anche voi, amici e ospiti. È vero che nella liturgia lo compie solo chi presiede la chiesa o la comunità monastica, e certamente lo fa, se pur indegnamente, a nome di Cristo, per ricordare l’abbassamento del Kýrios, l’atteggiamento di Dio verso ciascuno; ma poi, secondo la volontà di Gesù, questo gesto dovrebbe essere compiuto dalla comunità tutta, dai cristiani tra di loro, dovrebbe essere un gesto reciproco.
Ora chi presiede lo compie, a nome del Signore, per raccontare chi era Gesù, come inveramento del suo esempio; ma lo compie anche per dire che il rapporto fraterno nella comunità cristiana è dato dal servizio dello schiavo o dall’affetto del discepolo verso il maestro, del figlio verso il padre. È un gesto dunque che noi reiteriamo perché Gesù ce lo ha chiesto, per il suo comando, alla stessa maniera con cui rifacciamo il gesto sul pane e sul vino. Che il Signore ci conceda di accettare questo suo gesto. E soprattutto ci conceda, attraverso questo gesto, di modificare la nostra immagine di Dio e di accogliere il suo amore: un amore che non dobbiamo meritare perché ci previene, un amore che non chiede neppure reciprocità, ma chiede solo di essere accolto e creduto. Perché noi cristiani dobbiamo essere, secondo la volontà di Gesù, nient’altro che quelli che credono all’amore (cf. 1Gv 4,16).

Omelia di ENZO BIANCHI, priore di Bose

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